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Autore: Pluma    28/10/2009    2 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XIII° CAPITOLO

SAINTE VIERGE DU PARDON

 

Un po’ di bene nel male e un po’ di male nel bene…

Ma che razza di stronzata!

Se così fosse uno potrebbe decidere di tenere chiuso dentro di sé uno dei due

Invece, le cose, sono sempre un po’ più complicate di così…

 

 

“Scusa se sono un po’ ripetitiva, ma non vedo l’utilità di questa cosa” si lamentò assonnata Sheril.

“E’ un favore, quello che stiamo facendo” ripeté, per l’ennesima vota, Richard.

“E il bel paio di gambe che ci ha aperto la porta, immagino che non c’entri nulla” si intromise ironico Asriel.

La risposta di Richard si limitò ad un semplice sorriso, accompagnato da una luce maliziosa negli occhi marrone scuro. Ovvio che satine era l’unico motivo per cui i Predators non erano già in Galles, pensare a cosa fare con il Trojan e con il piccolo segreto, oramai non più tale, che teneva racchiuso dentro. Sheril e Asriel si erano dichiarati, fin da subito, estremamente contrari al contrattempo. Savannah, invece, non si era mostrata particolarmente interessata alla cosa; il viaggio in America aveva dato riposo ai suoi fantasmi e tanto le bastava. Che fossero gli altri a decidere sul da farsi. Jack aveva mantenuto il muso intatto dalla sera in cui avevano rubato il Trojan; né lui e tanto meno la ragazza avevano rivelato che cosa fosse successo nello strip club, ma non ci voleva un genio per capire, almeno l’andamento generale. Comunque nemmeno lui si era espresso e, questo, diede a Richard la possibilità di “costringere” i Predators a rimandare il ritorno a casa.

Si trovavano, in quel momento, nel salotto della signorina Rolland, per quanto il termine sembrasse fuori luogo riferito ad una donna di 85 anni suonati. Le pareti della stanza erano di un bel rosa salmone; qua e là era stato appeso qualche quadretto paesaggistico di piccole dimensioni, ma niente foto. Nessun ritratto era in mostra, in quella casa, almeno da ciò che avevano potuto vedere i cinque ospiti. Al centro della sala un enorme tappeto dai colori freddi, impreziosito da vari ghirigori ricamati, proteggevano il parquet dai due divano e dalla poltrona di legno. Questi ultimi erano ricoperti da cuscini beige che attenuavano la durezza del materiale con cui erano fatti. Al centro, per finire, vi era un tavolino rettangolare, su cui la signorina Rolland posò un vassoio con alcune tazzine da the, aiutata da satine che cominciò a servire la bevanda fumante.

“Oh, grazie mille cara.”

“Non si preoccupi. Si metta pure a sedere, ci penso io a servire” disse la donna rivolgendo all’anziana un sorriso gentile ed educato.

La signorina Camille Rolland, così si era presentata, si mise a sedere sulla poltrona rimasta vuota che fronteggiava il divano da tre posti su cui erano seduti Asriel, Richard e Sheril; mentre alla sua destra aveva quello da due posti su cui si erano accomodati i più giovani della stanza.

“Vorrei ringraziarvi per la vostra gentilezza” cominciò con voce dolce ma chiara Camille.

“Per dimostrarci la sua gratitudine potrebbe iniziare subito a dirci ciò che deve, senza inutili preamboli” si intromise, in modo poco educato, Sheril.

Lo sguardo di Satine fulminò l’altra donna.

“Li scegli così maleducati o lo diventano a stare con te, Richard?”

“Perdoni la mia dipendente signorina Rolland, svegliarsi presto la rende sempre piuttosto suscettibile” si scusò Richard, nonostante il suo tono non fosse per nulla rammaricato. “Però non ha tutti i torti: il nostro tempo è prezioso.”

“Decisamente lo diventano a stare con te!” constatò Satine porgendo, in modo brusco, la tazza di the al suo ex amante.

“Non ti preoccupare Satine, in fondo hanno ragione loro” disse la signorina Rolland per nulla turbato dalla mancanza di tatto dei suoi ospiti.

Il suo sorriso, rilassato e tenero, si affievolì, solo per un istante, ovvero quando la sua mente, avanti con gli anni, cercò di riordinare i ricordi; ma appena i suoi occhi, dall’iride sbiadita per l’età, ritornarono a fissare le tre persone che le stavano di fronte, il suo viso recuperò nuovamente un’espressione serena.

 

 

“Compii i miei 20 anni un paio di settimane dopo il D-day, lo sbarco in Normandia. Grande giorno, ma per noi che lo abbiamo vissuto in prima persona ricordiamo molto più facilmente l’astio che, sia noi francesi che i tedeschi, provammo in quei mesi estivi. Noi eravamo stanchi di sentire il nostro idioma sporcato  dal nemico, loro si sentivano sotto pressione per ciò che stava accadendo. La situazione stava influenzando le vite di tutti noi, anche i bambini dovevano stare molto attenti e, di norma, era difficile vederne qualcuno gironzolare per le vie. Io, da poco ventenne, la percepii e la sopportai a pieno la nuova situazione, soprattutto da quando i miei genitori si erano messi in combutta con le file partigiane.

“L’unica perdona che se ne fregava di tutto era mia sorella Doriane. Non era una brutta persona, ma era maliziosa e stupida, troppo interessata a cose non propriamente adatte alla sua esperienza. E lui aveva i capelli biondi e gli occhi grigi, lo sguardo di qualcuno che del mondo ne sapeva un poco di più e un modo di fare che incantò Doriane dal primo momento. Un principe azzurro:così lo definiva.

-Camille, Camille guarda, ha anche la divisa.-

-Vero sorellina, ed è proprio quella che dovrebbe tenerti lontana da lui.-

“Eberwolf Schulte, un soldato della Wehrmacht, l’esercito regolare tedesco: questo era l’identità del primo amore di mia sorella. Nonostante si mostrasse carino ed educato, interessato e dolce con Doriane non era diverso dagli altri soldati che marciavano per le vie della mia città. Anche lui, come glia altri, era sempre a caccia di qualcuno da accusare di complotto contro il Reich. Fu Schulte ad arrestare i miei genitori, una mattina di inizio luglio.

-Anne Rolland e Baptiste Rolland?- chiese il tedesco entrando in casa nostra senza nemmeno bussare.

-Eberwolf lo sai che sono loro, ci conosci caro- rispose ingenuamente la piccola Doriane.

“La vidi sbiancare, divenire più pallida di un cencio, quando gli stessi occhi che la fecero innamorare si girarono verso di lei intimandola di tacere con un semplice sguardo carico di disprezzo. La sorressi, mentre i tedeschi portavano via mamma e papà. Piangemmo; piangemmo entrambe e piangemmo tanto. Lei per il suo cuore spezzato, io per la mia famiglia distrutta. Ma i tedeschi avevano tutt’altro che ultimato le umiliazioni alla famiglia Rolland.

“Qualche giorno dopo Schulte passò davanti casa nostra, accompagnato da un manipolo di sottoposti. Quando Doriane lo vide si lanciò con foga verso la porta, gli occhi carichi di lacrime e speranza che lui fosse lì per lei.

-Eberwolf caro, amore mio. Ti perdono non c’è bisogno che ti scusi, dimenticherò.-

“Lui si mise a ridere, beffardo:

-di cosa dovresti perdonarmi, stupida?

“Fu uno spettacolo pietoso: urla, pianti, sberle e le risate dei tedeschi al seguito di Schulte che deridevano mia sorella, umiliata e picchiata sotto gli occhi di tutti.

-Doriane basta- dissi uscendo di casa e cingendola con un braccio la vita.

-Buon giorno, signorina Camille- mi salutò Schulte.

Lo guardai, stranita dal fatto che conoscesse il mio nome; non mi aveva mai rivolto la parola, ed io stavo bene ugualmente.

-Buon giorno a lei signor Schulte- risposi al saluto con il tono più neutro che mi riuscì di trovare, nonostante la rabbia che provavo.

-La prego, mi chiami Eberwolf.-

Fu un attimo, mia sorella si liberò dalla mia presa, allontanandomi poi con uno spintone. La sua testa girava a destra e a sinistra in modo frenetico, guardando prima me, poi Schulte e ancora me.

-Maledetti. Voi siete amanti. SIETE AMANTI- mi accusò, puntandomi il dito indice contro. –Lo sapevi che io lo amo, perché mi hai fatto questo, Camille?-

Non mi diede nemmeno il tempo di difendermi che mi diede uno schiaffo. La guancia bruciava, ma ancora più dolorante era il mio spirito. Era come se un macigno si fosse posato sul mio petto, un peso invisibile all’esterno, ma che io percepivo come se fosse reale e tangibile. Com’era possibile che un uomo avesse potuto mettere due sorelle una contro l’altra?

-Cosa fai, stupida?- La bloccò Schulte, prendendole con una mano il polso e stringendolo, prima che Doriane potesse colpirmi nuovamente.

-Lasciami, lasciami maledetto. Ti odio!- strillò, sempre più isterica, la mia sorellina.

-Ti avverto, piccola pervertita. Occhio a quello che dici- minacciò il tedesco.

“Mi misi in mezzo ai due, prendendo con forza e determinazione le spalle di Doriane, liberandola dall’uomo. La riportai in casa e quando lei si sedette, disperata e sfinita, su una sedia della cucina le rivolsi la parola con tanto di quel rancore nella voce da rimanerne basita io stessa.

-Vergognati, stupida ragazzina. Sei la macchia della nostra famiglia. Se ti vedo uscire di casa senza il mio permesso te ne darò tante da farti diventare livida. E lo dico perché ho il potere di farlo: ricordati la tua età.-

“Detto questo uscii di casa, chiudendo la porta a chiave. Mi incamminai nella direzione della campagna, verso il mio posto preferito. Una sottospecie di boschetto. A dire il vero non è giusto definirlo nemmeno così: qualche albero, vicino uno all’altro. Erano pochi, ma se si conoscevano bene era possibile nascondercisi, esattamente ciò che facevo quando sentivo il bisogno di solitudine. Non era molto distante dal mio paese, vi arrivai nel giro di una mezz’oretta e, come al mio solito mi addentrai nella piccola macchia vegetativa. Mi sedetti sul terriccio, tanto cosa importava se mi fossi sporcata, a casa non ci sarebbe stata mia madre a rimproverarmi. In pochi giorni ero divenuta pienamente responsabile di me stessa e di quella ingenua e alquanto poco furba di mia sorella che, nonostante tutto, amavo immensamente.

“Ero immersa nei miei pensieri, nei progetti che la mia mente cercava di organizzare, per rimanere occupata ed evitare di perdere la ragione. Per questo motivo sentii solo troppo tardi i passi degli stivali.

-Signorina Camille.-

-Signor Schulte.

-Mi sembrava di averle dato il permesso di chiamarmi Eberwolf.-

-Come lo ha dato a mia sorella?-

-Non ho promesso niente a sua sorella.-

-Ma non ha mai nemmeno smentito.-

“Lo fissai con arroganza. Fossimo stati in mezzo ad altre persone il mio comportamento sarebbe stato, senza dubbio, punito; ma lì eravamo soli e sembrava non essere interessato al mio atto di sfida. Detta francamente fossi stata nei suoi panni credo che non ci avrei fatto caso nemmeno io.

-Non ho interesse per Doriane.-

-Questo non cambia le cose- affermai.

-Io sono interessato a te, Camille- disse, inginocchiandosi davanti a me e prendendosi la libertà di darmi del tu.

“Non potevo crederci, ma che razza di uomo avevo davanti?

-Se ne vada. Ha rovinato la mia famiglia, non vedo come la sua dichiarazione possa toccarmi.-

-Ho rovinato la tua famiglia?-

-I miei genitori…mia sorella.-

-I tuoi genitori sono nemici della mia patria e tua sorella, bè ti stupiresti di quanto poco la conosci- scattò furioso Schulte. –Tu mi odi, ma proprio non ce n’è la ragione. Io ho fatto il mio dovere e se c’è qualcuno da biasimare quella è Doriane.-

-Come osa accusare mia sorella?-

“Lo aggredii, spingendolo lontano da me, quel tanto che bastava per rialzarmi.

Eberwolf Schulte era un ventisettenne ben addestrato, una spintarella da parte di una povera fanciulla non avrebbe potuto fargli effetto nemmeno se avesse voluto. Veloce si rialzò anche lui, utilizzando la mia spinta come slancio per mettersi in piedi e bloccarmi la strada.

-Mi faccia passare- gli ordinai, come se ne avessi realmente il potere.

-No, mi ascolti- disse recuperando la distanza formale del lei.

“Mi bloccò la faccia con le mani, obbligandomi a guardarlo e, per la prima volta da quando i tedeschi avevano occupato la Francia, lessi tristezza e stanchezza negli occhi di uno di loro. La stessa stanchezza e tristezza che avvelenavano le nostre vite: loro, almeno alcuni di loro, erano come noi. La pietà che provai durò meno di qualche istante, in fondo quello era l’uomo che aveva sedotto mia sorella e arrestato i miei genitori. Passata l’empatia, nacque la paura che quell’uomo volesse, come dire, approfondire il contatto fisico. Suppongo che capì, perché subito dopo mi lasciò il viso, rimanendo, però, dov’era impedendo il mio ritorno a casa.

-Crede che l’aggredirei? Crede che io voglia violentarla? Non ne ho l’intenzione; io sono un uomo non un vigliacco.-

-Lo credo perché si è già comportato male.-

- E’una menzogna, io non ho mai toccato Doriane. E’ lei che si è avvicinata a me, e per farlo mi ha venduto i vostri genitori.-

“Le parole gli uscirono tutto d’un fiato, senza una pausa, senza respirare, per questo impiegai qualche secondo per capire. Anche quando la mia testa recepì il messaggio e il suo significato non riuscii a trovare le parole per ribattere.

-Suppongo che non mi crede e a questo punto nemmeno mi importa. Io sono sinceramente interessato a lei e proprio per questo motivo ho fatto in modo che Anne e Baptiste Rolland ricevessero un trattamento di favore, ma nemmeno questo è più importante. Io sono il nemico- disse con amarezza.

-Non può aver avuto il potere di farlo. Lei è solo un Unterfeldwebel.-

-Eppure i signori Rolland sono vivi e in condizioni decenti.-

-Non le credo, non è nel vostro stile- mi ostinai a rifiutare.

-Come non lo dovrebbe essere il fatto che lei è ancora qui con tutti i vestiti addosso, giusto?- mi schernì. –Comunque domani partirò e, probabilmente, morirò. Morirò odiato da lei senza una vera motivazione, ma la perdono, perché, al contrario di quello che lei crede, io sono un essere umano.-

“Detto questo, mi girò le spalle e se ne andò. Non lo rividi più, come non rividi i miei genitori.

“Ritornai a casa sco0nvolta, come non lo ero mai stata. Il mio mondo era stato capovolto, le mie certezze erano crollate . L’unica cosa di cui ero certa eriche avrei cacciato Doriane; non avrei mai lasciato che vivesse nella casa di mamma e papà la loro piccola Giuda. Ma anche quel punto saldo crollò, a suo tempo. Ero davanti a casa mia, infilai la mano nella tasca ma, invece di estrarne la chiave, mi ritrovai a stringere una statuetta e un foglietto piegato.

Spero vivamente di essere riuscito a parlarti. Suppongo di averti raccontato tutto su Doriane e, se il mio istinto non mi ignora, credo che nel tuo cuore non ci sia spazio per il perdono, né per lei né per me. E’ proprio di questo che voglio parlarti, Camille. Noi siamo solo pedine. Io devo combattere e vivere (e morire) lontano da casa mia; voi dovete subire la presenza di un invasore, sebbene oramai sconfitto.

Non è una bella situazione, quindi perché peggiorarla odiandoci? Per me pazienza, ma quella è tua sorella.

Io non ho obblighi verso di lei, ma tu sì e, probabilmente, se tu non fossi stata così occupata ad adorare i tuoi genitori e loro stessi a complottare contro di noi, forse vi sareste accorti della mia presenza nella sua vita. Io ho fatto il mio dovere, mentre voi no, non nei confronti di una ragazzina inesperta e stupidina. Se foste stati più attenti io avrei perso la partita.

Come vedi nessuno può evitare il biasimo, ma penso che sarebbe meglio lasciare l’astio a sfere più in alto di noi.

Questa l’ho comprata da voi. Si chiama Sainte Vierge du Pardon. Immagino che tu capisca cosa voglia dire. Nonostante tutto e le circostanze non vi dimenticherò.

Era firmato Eberwolf Schulte.

 

 

 

 

 

Leuconoe: è sempre un piacere ricevere recensioni così ben articolate. Cosa dire? La tua interpretazione di Richard è a dir poco perfetta…non avrei potuto essere più chiara ed esauriente: hai fatto un quadro a dir poco perfetto del mio piccolo boss capellone. Sono contenta: sono convinta che hai una buona sensibilità nel percepire le sfumature, però a quanto pare sono stata brava a trasmetterle nel momento giusto. Nel modo più assoluto non hai sbagliato niente.

Per quanto riguarda questo capitolo, spero vivamente che non risulti noioso. Anche perché tocca un argomento per me molto importante (anzi due). Posso lanciarti una piccola sfida? Solo per giocare: prova ad indovinare quali sono…

Per il prossimo capitolo, invece, non posso dare delle grosse anticipazioni perché, per ora, esiste solo nella mia testa; ma la tua recensione mi è piaciuta talmente tanto che voglio dirti che mi ha ispirato il video “she wolf” di Shakira. Non tanto il senso della canzone, l’immagine di lei nella gabbia…la domanda sorge spontanea: chi finirà nella gabbia e chi ce lo/la metterà? J 

   
 
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