Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Black_Eyeliner    16/11/2009    4 recensioni
***Vincitrice del concorso "Quell'INFERNO di Contest", indetto da DarkRose86***
***Vincitrice inoltre del Premio Speciale "Miglior Trattazione del Pairing"***
“La menzogna sporca l’anima, la rende impura: lentamente la conduce all’inferno. E’ impossibile per chi ha rinnegato la fede aspirare al Paradiso; è impossibile cancellare dalla pelle un marchio a fuoco. Non si può cancellare l’odio, né il dolore. Ed è impossibile elidere dal corpo il seme del male inoculato da un demone…”
SebastianxCiel
Dedicata a tutte le ragazze che hanno partecipato al contest e a chiunque ami la coppia SebastianxCiel.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Note: Non ce la faccio, SebastianxCiel… *ç**ç**ç* E mentre mi addentro nella lime, ringrazio i nuovi Preferiti e Owarinai yume per aver commentato.^^

 

Nota supplementare: Alzino le mani coloro che conoscono “Sebastian” di Steve Harley. Bene, abbassate le mani e seguite il link--à Sebastian  (Già, la canzone si chiama proprio “Sebastian”, una delle mie canzoni preferite, che, STRANAMENTE, negli ultimi tempi ho rispolverato).

 

Cos’altro aggiungere… Spero la storia vi piaccia.:)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Interlude # 2:

“Eye Shadow”

 

 

 

 

 

 

 

 



 

“You're not gonna run, we only just begun to compromise
Slagged in a Bowery saloon, love's a story we'll serialise

Pale angel face;

green eye-shadow, the glitter is out of sight
No courtesan could begin to decipher your beam of light

Somebody called me Sebastian…”

 

“Sebastian”

Steve Hurley and Cookney Rebel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il percorso da seguire per diventare un perfetto maggiordomo sicuramente era impervio; sebbene Sebastian si fosse immedesimato in quel ruolo con singolare destrezza, alcune delle mansioni che era stato chiamato a ricoprire nell’ultimo periodo erano state alquanto eccentriche e, nondimeno, avevano reso molto più intrigante il suo soggiorno presso la residenza dei Phantomhive.

Non che assecondare i capricci del suo prezioso signorino fosse un’esperienza spiacevole, tutt’altro; solo Sebastian si era chiesto se memorizzare un intero saggio di medicina facesse anch’esso parte dei compiti tipicamente attribuiti ad un maggiordomo.

L’aspetto più interessante dell’intera faccenda non era stato soltanto scoprire quanto gli esseri umani avessero affinato le proprie conoscenze con l’avvento del nuovo secolo; ciò di cui piuttosto era rimasto piacevolmente sorpreso era stato l’insistente formicolio che continuava a percepire nel dito destro intento a sfogliare le pagine rilegate del trattato sull’asma, a rammentargli la piccola e ardente lingua che, dolcemente inesperta, lo aveva leccato come si lecca un confetto di mandorla e zucchero raffermo.

Sebastian non aveva previsto l’eventualità che il suo viziato signore avesse potuto tramutare il loro legame in un gioco di ruolo, perverso quanto bastava da indurlo a credere che mai la scelta di un’anima da divorare fosse stata più azzeccata, lusinghieramente succulenta; avrebbe atteso pazientemente, non senza godere del piacere implicito nell’attesa stessa del delizioso compenso d’ogni sua prodiga servitù.

 

La sfumatura felina nel suo sorriso, illuminata dal fioco riverbero del candelabro, presto si dissolse quando quegli stuzzicanti pensieri cessarono di vorticare nella sua mente; le mani, come sempre celate dal candore di morbidi guanti, sospinsero elegantemente il carrello da portata lungo il corridoio che conduceva alle stanze del conte dove, da due notti e tre giorni ormai, il ragazzino si dibatteva tra le lenzuola umide in preda ad una febbre logorante.

 

Tre colpetti, battuti con le nocche inguantate sul pesante uscio in legno d’acero, precedettero l’ingresso di Sebastian nell’ampia camera da letto del signorino.

 

-Perdoni l’intrusione, mio signore.

Non ricevette alcuna risposta; le sue mani spinsero audaci il battente e, ben presto, l’oscuro spiraglio tra l’anta e lo stipite divenne squarcio a lasciar fluire lo sfavillio traballante delle candele, ricreando un ipnotico effetto di luce pesca e violetta lungo la moquette di feltro marrone e gli alti pannelli di quercia olivastra che rivestivano le pareti della stanza.

Le raffinate calzature in pelle nera perfettamente lucidata non produssero alcun suono mentre, con passo felpato, Sebastian si appropinquò lentamente al letto a baldacchino nel quale il suo signore era finalmente riuscito ad ottenere un po’ del tanto anelato riposo; il maggiordomo sollevò di più  il braccio per permettere al candelabro di rischiarare l’ambiente fosco, voltandosi guardingo: difatti, di tutta la villa, la camera da letto di Ciel aveva in primo luogo catturato il suo interesse, grazie all’atmosfera intrisa del dolce profumo di zucchero filato e d’avena della pelle di quel dispettoso fanciullo, nonché della miriade di ammalianti promesse di cui quelle quattro semplici mura erano intrepide ed allettanti guardiane.

Era infatti, nel suo genere, una camera molto bella, con il suo fregio immacolato decorato in arabeschi d’oro verdognolo e con la grande lumiera di vetro soffiato e di cristallo sospesa al centro del soffitto, tinteggiato di un pallido rosa antico; il fuoco si era spento da un po’ nel camino, sulla cui mensola di legno intarsiato due grandi vasi cinesi di porcellana azzurra erano stati convenientemente riposti: l’effluvio floreale dei tulipani sfrangiati gialli e arancioni si spargeva soave nell’atmosfera, già satura del profumo delle pietanze servite sul carrello da portata e dalle finestre, parzialmente adombrate dai tendaggi di taffetà oltremare, pioveva la luce mielata di un’altera falce di luna.

Tuttavia il particolare più armonioso e accattivante dell’intero ambiente era il corpicino sudato e sfinito che, infagottato nelle lenzuola bianche e nelle pesanti coperte di kashmir, pareva smarrirsi in quel letto così grande.

La febbre si era abbassata considerevolmente, constatò Sebastian una volta giunto al capezzale del suo giovane padrone: lo scrutò con una languida occhiata, colma di adulazione e di intenerito desiderio al rossore che era svanito dalle gote color latte di Ciel, alle goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte liscia e alle ciocche umide dei capelli bellamente sparpagliate sul cuscino.

Adesso, il tronfio padrone di casa Phantomhive, nelle iridi cremisi del demone che l’osservavano tracimanti di cupidigia e famelica voglia di divorarlo, pareva un bambino indifeso che avesse giocato troppo a lungo, fino a stancarsi: Sebastian tralasciò di osservare convenienti distanze nel momento stesso in cui la propria conturbante bramosia lo condusse a muovere un altro passo in avanti, completamente ebbro dello splendore di quell’anima che ancora non possedeva del tutto ma della quale contemplava costantemente l’esaltante essenza.

 

Il maggiordomo osservò con inverecondo trasporto come le coperte fossero state scalciate via per la febbre bruciante a lasciare intravedere i lineamenti delicati e orgogliosamente belli del giovane dormiente; il riverbero opalescente della luna calante, attraverso la superficie traslucida delle vetrate, giocò dispettoso con il corpo di Sebastian, proiettandone l’ombra sghemba e sbilenca sul letto sfatto quasi quella macchia d’oscurità, allungandosi all’infinito, fosse lì ad offuscare ogni virginea purezza e a rimarcare la pretesa di possesso del demone sul gracile corpo lì disteso.

Strappare l’anima a quel ragazzino, succhiargliela dalle caduche viscere in un umido e drammatico bacio sarebbe stato così facile adesso; il demone lo avrebbe condotto con passo volutamente tardo sulla riva desolata del fiume che conduceva al sonno eterno: non avrebbe mancato di godere dei suoi ansiti soffocati né i suoi lunghi artigli avrebbero esitato nel graffiare le gote morbide di Ciel, qualora avesse tentato di sottrarsi al bacio mortale.

Ciò nonostante Sebastian avrebbe continuato a carezzarlo e cullarlo dolcemente tra le sue braccia, raccogliendo sui polpastrelli le brillanti stille di pianto che, diluite da vermigli rigagnoli di sangue, finalmente sarebbero colate come fresca pioggia autunnale dalle ciglia di Ciel, accompagnando la sua mesta caduta verso l’Inferno.

 

-Bocchan… E’ giunta l’ora.

Bisbigliò assorto; le dita, protese nello spasmo dell’attimo tanto agognato, vibrarono un poco prima di lambire la fronte madida del signorino; le iridi vermiglie indugiarono sul bordo di seta della veste da notte di Ciel, tra le cui pieghe la pelle delle sue gambe pareva tanto più tenera e più candida dello stesso tessuto.

Sebastian si inchinò in avanti quel tanto che bastava per percepire il calore tra le esili gambe del suo signore travolgere il gelo inumano della propria pelle; il sorriso sardonico svanì dalle sue labbra quando il pensiero di porre fine alla sua penosa e straziante attesa si concretizzò nella mano inguantata che, vorace, si artigliò all’incavo del ginocchio del ragazzino e nelle sue dita adesso separate solo da un palmo dal viso di Ciel.

 

-Mio signore, mi rincresce enormemente, ma temo sia ora…

Con un balzo repentino, Sebastian ritrasse la mano che aveva posata sulla gamba di Ciel mentre un pugno improvviso, battuto con forza contro il suo torace, gli smorzò il respiro, lasciandolo sgomento.

-… Temo sia giunta l’ora di alzarsi.

Sussurrò riguardoso, cercando di preservare scaltramente la grottesca farsa del maggiordomo e di nascondere il proprio sconcerto: eppure, nel momento stesso in cui Sebastian sollevò lo sguardo umile dal letto per incrociare quello del suo signorino, il bagliore di puro terrore che colse nelle iridi cobalto di Ciel fu sufficiente a lasciarlo impietrito.

-Signorino… Qualcosa non va?

Domandò sommessamente, osservando come la mano del ragazzino si era sollevata cercando di agguantare, in brevi tremiti convulsi, qualcosa che a Sebastian, malgrado la sua natura, continuava a rimanere invisibile.

-C-chiunque tu sia… Sa-salvaci…

I sussulti che seguitarono a scuotere la piccola figura del conte lo fecero incespicare sulle sue stesse parole confuse, attorcigliate alla lingua impastata dal calore della febbre; i suoi occhi sgranati, rivolti al soffitto, erano ancora ottenebrati dall’incubo che continuava a ripetersi crudelmente, inesorabilmente, portando con sé il dolore di un passato che seguitava tenacemente ad incalzarlo.

Malgrado il ragazzino stesse strenuamente lottando per liberarsi di quella terribile, evanescente visione, il suo sonno tormentato pareva avergli incollato le ciglia come filamenti blu acido di costoso kajal indiano, simili a frammenti sparsi di pellicola cinematografica, una bobina a ritroso, deforme, sfuocata, oscura, in scorrimento lento.

-C’è qualcosa di cui è spaventato, bocchan?

Le grandi mani gelide di Sebastian afferrarono la piccola mano di Ciel, stringendola e carezzandola dolcemente come si carezzano riverenti le mani di un padrone, le mani di un amante o le mani di un bambino che ha fatto un brutto sogno; le parole di Agni continuavano a riecheggiare nella sua mente sulla necessità di dover vezzeggiare quel ragazzetto capriccioso, facendolo sorridere malevolo: continuò a blandire con fare adulante la mano tremula di Ciel, ma il gemito sofferto che lasciò le sottili labbra esangui lo colse di sorpresa.

-Ormai è fuori da quella gabbia, mio signore. Non ha nulla da temere.

Le labbra di Sebastian si arricciarono in una piega inequivocabile quando, attirando Ciel a sé, lo sentì completamente avvinto ed inerme contro il proprio petto.

-Venga, bocchan… Pronunci il mio nome…

Con l’indice e il pollice gli catturò velocemente il mento tra le dita, costringendo il ragazzo a sollevare i grandi occhi colmi d’angoscia verso i propri; tuttavia si sorprese quando la resistenza che incontrò fu molto più blanda di quanto si aspettasse realmente.

Ciel strizzò forte le palpebre, annaspando: dischiuse la bocca per urlare, o forse per gemere o forse ancora per singhiozzare, ma ne uscì solo il fiato caldo; il sorriso velato di un sottile sadismo di Sebastian divenne ancor più ampio, lasciando scoperti i canini affilati e la lingua che, di tanto in tanto, lasciava una scia brillante di saliva sulle labbra subdolamente piegate all’insù: l’incommensurabile e perversa lussuria di vedere una creatura mortale lottare per respirare, affannarsi pur di sfuggire al supplizio estremo dell’Inferno abbandonandosi alle ingannevoli premure di un demone, fece fremere Sebastian fin nelle profondità convesse del proprio oscuro spirito.

Non importava di quale stregua di esseri umani si trattasse: gli uomini, quando sull’orlo del baratro, erano disposti a rinnegare la loro fede ed aggrapparsi a qualunque cosa pur di non precipitare verso il fuoco supremo della perdizione, senza neanche fermarsi a soppesare le conseguenze, senza neppure discernere la sottile frattura tra Bene e Male.

-Lo invochi… Lo urli…

Lo incitò, stringendolo a sé, soffocandolo nella sua stretta; Sebastian annusò l’odore acre dei suoi capelli incollati alla fronte sudata, sorrise, godette, avviluppò le diaboliche spire al suo corpo fin quando, dalle piccole labbra, proruppe il suo nome.

-Se-Sebastian!

L’angoscia che trapelò dall’urlo di Ciel fermò il tempo, immortalando in un fulgido frammento di memoria la miriade di emozioni contrastanti che scaturivano dal solo invocare il nome di Sebastian; con una movenza fulminea, la mano del ragazzino si sottrasse alla stretta dell’altro, quasi avesse acquistato di colpo consapevolezza del freddo inumano di quella pelle a contatto con la propria.

Le dita diafane e contratte sguainarono la pistola a spillo1 nascosta sotto il cuscino, serrandosi spasmodicamente al grilletto; il metallo scuro scintillò nell’oscurità, lambito dai raggi della luna che, nella sua altezzosa vanità, specchiò la propria inquietante bellezza sulla superficie lucida della canna, puntata alla fronte dell’uomo chino sul letto.

Ansimi focosi rubarono alla camera il suo melodrammatico silenzio, squarciandone la solenne essenza e stravolgendola completamente in una sintesi alchemica di sguardi allibiti, labbra tremanti e parole taciute: Sebastian rimase a fissare, con la mascella penzoloni e la mano ancora sospesa a mezz’aria, il piccolo corpo del suo signore squassato da brividi sempre più intensi, tremendamente eccitante nella sua posizione supina e ancor di più per la pericolosa arma da fuoco brandita da mani immature e puerili.

-Non… Non mi toccare… !

Quasi avesse intuito l’ambiguità dell’ordine appena proferito con un fil di voce, Sebastian rimase ancora ad osservare, per un lasso di tempo che parve infinito, la bocca della pistola puntata verso il proprio volto: il pensiero di essere egli stesso nel mirino bastò a farlo fremere di una diabolica libidine; senza dir nulla, si ritrasse con garbo, inchinandosi poi umilmente dinnanzi al suo padrone ancora visibilmente sconvolto.

-Non era nelle mie intenzioni, signorino.

Asserì con il tono più cordiale che riuscisse a rendere credibile le proprie fasulle intenzioni, dissimulate da un’interpretazione come sempre magistrale; avrebbe volentieri contato uno ad uno, con prodiga e allo stesso tempo degenere devozione, quei gemiti allettanti che continuavano a smorzare il respiro affannoso di Ciel, il quale ancora tentava di fermare il tremolio nel suo polso per poter puntare fermamente il revolver: parlò piano quando i suoi occhi turchesi incontrarono l’ordito scuro del cielo che si stagliava dietro i vetri della finestra.

-E’… E’ buio?

Balbettò incredulo, abbassando la pistola e lasciandola ricadere di colpo sul soffice materasso.

-Sebastian! Che ore sono?!

Nonostante il respiro non si fosse ancora regolarizzato, la voce di Ciel suonò minacciosa, profondamente adirata quando s’accorse di aver dormito a lungo, comunque troppo.

-Precisamente sono trascorsi quattordici minuti dalle sette di sera, mio signore.

Proclamò atono Sebastian, esaminando le lancette del suo orologio da tasca rifinito in puro argento.

-Si può sapere come ti è saltato in mente di lasciarmi dormire fino a quest’ora?

Porgendo al suo signore la veste da camera di seta e aiutandolo ad indossarla, Sebastian sospirò e finse di ignorare l’astio che permeava ogni singola parola di Ciel, replicando remissivo.

-Ho ben pensato di lasciarla riposare, dato che gli elementi del caso ci sono già noti da diversi giorni e la fretta, nelle sue condizioni di salute, mi è parsa assolutamente fuori luogo. E poi, se me lo concede signorino, si dice che il sonno sia la miglior cura per gli esseri umani.

Concluse serafico, scrutando di sottecchi l’espressione del conte mutare da una di pura rabbia ad un’altra di vaga esasperazione; soddisfatto della reazione, Sebastian si accinse a versare il tè nella tazza di ceramica decorata da nontiscordardime azzurri e dal manico d’argento brillante, rincarando ulteriormente la dose.

-Ad ogni modo il signorino ha mentito ancora una volta, vedo. Non si è neanche premurato di mettermi al corrente della malattia di cui soffre in modo cronico sin da quando era ancora un bambino.

L’enfasi con la quale l’ultima parola fu proferita non mancò di indispettire Ciel che, nel frattempo, tentò invano di alzarsi dal letto.

-Non me l’hai mai chiesto, quindi non vedo perché avrei dovuto parlartene.

Rimbeccò velenoso, scostando ancora di più le coperte da sé.

-E adesso non perdere tempo in inutili chiacchiere. Sbrigati e dammi una mano a vestirmi.

Il sorriso mellifluo di Sebastian non era ancora svanito del tutto quando, con lo sguardo umilmente rivolto verso il basso, si compiacque dell’adorabile testardaggine del suo padrone.

-Certamente, ma non prima di averle servito la cena. E adesso, signorino, avanti… Apra la bocca.

-Sei forse uscito fuori di senno, Sebastian?

Inveì, scandalizzato dall’aria furbescamente consapevole con la quale Sebastian aveva avvicinato il cucchiaio alla sua bocca.

-Non dirmi che stai cercando di… Imboccarmi?!

Se Ciel era ormai avvezzo alle lusinghe di quel demone tanto astuto e tanto persuasivo, rabbrividì alla sensazione del cucchiaio tiepido, premurosamente premuto contro le proprie labbra dalle dita inguantate di Sebastian.

-Affatto. Ho a lungo pensato alla possibilità che oltre all’esserle fedele, un perfetto maggiordomo dovrebbe anche preoccuparsi della sua salute, nondimeno vezzeggiar-

-Non dire idiozie, Sebastian. Non ho bisogno delle tue premure… Mi disgustano! Smettila immediatamente.

Con uno schiaffo, che lasciò Sebastian momentaneamente perplesso, il ragazzino allontanò quella mano impudente da sé, sibilando indignato tra i denti stretti.

-Sono spiacente se la disgustano. Ma vede, signorino… Credo che sia vero ciò che si dice e cioè che certi gesti possono aiutare a placare la tensione ed inoltre, tutti convengono nel dire che le premure ben  si prestano ad una persona della sua età… A maggior ragione se dopo aver avuto un incubo.

-La mia età?

Le lenzuola, strette nella morsa ferrea dei suoi pugni, minacciarono quasi di strapparsi quando Ciel, attonito per l’inusitata spudoratezza di Sebastian, si scagliò contro l’uomo in piedi davanti a sé.

-Si può sapere cosa stai cercando di insinuare? Non osare… Non provarci neppure!

-Non potrei mai osare tanto…

Sebastian ripose con cura il cucchiaio d’argento nel piatto da portata, optando invece per diluire il tè versato poc’anzi nella tazza con del latte; la fragranza fortemente speziata dell’Assam Mangalam2 si diffuse rapidamente nell’atmosfera rarefatta della stanza, inebriando per un effimero istante i sensi dei suoi due occupanti e interrompendo l’acceso diverbio che stava avendo luogo: una volta che ebbe terminato di aggiungere due zollette di zucchero, la mano inguantata del maggiordomo si adoperò nel mescolare il liquido bollente con estrema e deliberata lentezza.

-Ma vede, un fatto rimane comunque inconfutabile…

Quando si voltò, Sebastian fu ricambiato da uno sguardo talmente furibondo da trafiggere quasi la sua stessa carne; con passo calibrato e languidamente felino, l’uomo si avvicinò al letto, porgendo la tazza a Ciel con un ossequioso inchino e una mano poggiata gravemente sul petto, pur conoscendo in anticipo il tono da usare per neutralizzare la caparbia resistenza del piccolo conte, che ora lo guardava di sbieco seduto nel letto.

-Non credo che lei possa davvero contraddirmi su un fatto tanto palese e veritiero, quindi mi conceda di dirle che la realtà dell’intera faccenda è che il signorino…

Sebastian si chinò appena e la provocazione del suo avvicinare così tanto il volto a quello pallido e delicato di Ciel prese forma ben presto nel sussurro impudico soffiato contro le labbra color rubino del ragazzo, facendole fremere per l’inaspettata sensualità implicita in quel gesto; con una mano l’uomo sollevò quella dell’altro, posandogli sul palmo la tazza calda e, rallegrandosi della smorfia di fastidio dipinta sul viso infantile del signorino, concluse sottovoce.

-… E’ che il signorino ha solo tredici anni. Con tutto il dovuto rispetto, vuole forse negarlo, bocchan?

-Taci! Sta zitto… Sebastian.

Sebastian si ritrasse con un veloce balzo all’indietro, smarrendosi nella leziosa voluttà della sua stessa contemplazione; il guizzo di rancore che attraversò le iridi di Ciel si dissipò nel momento stesso in cui il giovane conte indugiò sulla propria immagine riflessa sulla superficie concentrica, tenuamente increspata del tè nero nella tazza che reggeva tra le mani: ma nulla aveva lasciato intuire l’impeto con il quale Ciel posò di scatto la tazza sul comodino, issandosi in ginocchio sul materasso e sporgendosi in avanti.

 

Le piccole dita febbricitanti si avvilupparono colleriche alla cravatta dell’uomo che non esitò ad assecondarne la movenza, lasciandosi trascinare passivamente verso l’esile corpo davanti a sé; le loro labbra collisero violentemente in un bacio casto e al contempo delirante, muovendosi con foga eppur rimanendo serrate.

 

Sebastian rimase impassibile, ostinato nella sua volontà di non cedere alla tentazione di quella deliziosa bocca di bambino; non che per lui fosse un problema, solo giocarci prima di accondiscendere a corromperla gli sembrò infinitamente più eccitante; aveva assaporato nel corso della sua lunga esistenza ogni tipo di bacio, da quello lascivo della donna matura ed esperta a quello del giovane uomo irretito dal fascino della trasgressione, ma nulla era degno di poter essere paragonato neanche lontanamente ad un bacio di quel tipo.

 

 

Si stupì del modo in cui le mani minute e trepidanti del ragazzino gli avevano dapprima accarezzato gli zigomi affilati ed alteri, per persuaderlo ad aprire la bocca e del modo in cui, percependo il suo rifiuto, si erano intricate nei suoi capelli corvini, tirandoli con veemenza; la lingua inesperta del piccolo conte lambì lascivamente le labbra chiuse dell’altro, attardandosi sugli angoli perfettamente disegnati della bocca di Sebastian, reclamandone con autorità l’accesso che, obbedientemente, alla fine gli fu concesso.

 

 

Le mani di Ciel strinsero il capo di Sebastian, costringendolo a reclinarlo all’indietro per approfondire quel traviante e squisito contatto, con ogni nuova spinta inconsapevolmente lussuriosa della lingua che, ingenua e umida, continuò imperterrita la sua curiosa esplorazione; ora che il piccolo Phantomhive, nel fervore della sua inesperienza, si era alzato in piedi, chiudendo d’istinto gli occhi indisponenti, Sebastian scrutò i tratti armoniosi del volto appena arrossato, godendo dei capelli scuri del ragazzo a solleticargli la fronte e la punta del naso: l’incomputabile desiderio di conquistare quel corpo gracile premuto contro il proprio e nascosto solo dalla stoffa leggera della veste di seta, l’incommensurabile brama di vincere quel cuore indurito dall’odio sempre più possente che percepiva scalpitare contro il proprio petto, la smania frenetica di divorare quell’anima tanto impura e teneramente infantile ancora una volta consacrarono il glorioso vincolo che neanche la morte avrebbe potuto recidere, benedicendolo nell’acqua e nelle fiamme catartiche del Regno di Geenna.

 

A sua volta Sebastian mosse le labbra, baciando di rimando il suo giovane padrone, ma senza pretendere il dominio della sua bocca: lasciare a lui condurre le redini del gioco era decisamente la scelta più avveduta e infinitamente più procace; solo adesso, malgrado la sua secolare esperienza, il demone aveva compreso quanto potesse essere appagante la sprovveduta spontaneità di un bacio che per quel ragazzino era il primo, rovinosamente bagnato e così irruentemente bollente.

Ciel gemette involontariamente contro le labbra di Sebastian, ogni suo vagito dolcemente ingoiato dalla bocca dell’altro; mugolò quietamente, irretito dal piacere che mai aveva provato se non in quel fatidico istante.

I denti di Ciel mordicchiarono insolenti le labbra del suo maggiordomo, prima che la piccola e fervida lingua tornasse ad esplorare prepotentemente la bocca dell’altro: un filo di saliva aveva cominciato a colare lungo il suo mento, per il modo maldestro e adolescenziale del giovane Phantomhive di baciare.

Quando dopo svariati istanti Ciel si allontanò un poco, leccandosi le labbra screpolate e unite ancora da un filo di saliva a quelle del suo maggiordomo, entrambi si ritrovarono ansimanti, incapaci di sciupare il silenzio disceso tra loro con sconvenienti parole di ripicca; Ciel, con aria vittoriosa eppure ancora turbata da tutte le sensazioni contraddittorie che il suo giovane corpo aveva provato, si rimise a sedere con fare noncurante, ghermendo il manico della tazza e portandosi l’orlo alle labbra ancora gonfie e arrossate per quel fuorviante bacio.

 

-Che hai ancora da guardare? Muoviti a preparare tutto. Voglio finire al più presto questa storia e tornarmene a casa…

Rimbrottò Ciel sprezzante, posando la tazza ormai vuota sul comodino e tentando impacciatamente di sfilarsi la veste da solo; come scosso improvvisamente dalle parole aspre del suo signore, Sebastian si affrettò verso di lui, facilitandogli il compito di svestirsi.

-Signorino… ?

-Si può sapere adesso cosa c’è?!

-Volevo solo chiederle… Se è possibile… Cos’è che le ha ispirato questo?

Ciel si voltò di spalle, disdegnoso della sentenza che, sebbene fosse stata pronunziata con tono oltremodo rispettoso, allo stesso tempo racchiudeva tutta la provocazione e il divertito scherno dei quali il demone si serviva costantemente pur di indurlo alla resa.

-Non credere che abbia il significato che pensi, Sebastian!

-Le chiedo scusa in anticipo, ma temo di non comprendere appieno le sue intenzioni. A quale significato crede che io pensi?

Ciel alzò le braccia meccanicamente per lasciare che Sebastian gli infilasse la giacca, continuando tuttavia a dargli altezzosamente le spalle.

-Se proprio vuoi saperlo, non ha significato nulla. Era solo per dimostrarti che non hai a che fare con un ragazzetto sprovveduto. Solo con un bambino. E dovresti sapere che, quando si tratta di giocare, i bambini della mia età possono diventare molto avidi.

Un sorriso malevolo increspò le labbra di Ciel mentre il suo fedele maggiordomo era ora intento a legare, in un nodo laborioso ed elegante, i due lembi della sua benda nera; la stoffa nera coprì il pentacolo che, come il filo di saliva poco prima aveva unito le loro labbra fameliche, come un filo d’acido nero e denso a poco a poco corrodeva le distanza tra i loro spiriti oscuri, fino al giorno in cui sarebbero diventati un’unica, demoniaca essenza.

-Lei fa sempre qualcosa che va oltre ogni mia tacita aspettativa. Perché lei, in fondo, è la mia anima. Anzi, no. Lei è il mio signorino.

-Adesso basta, Sebastian, andiamo.

 

-Yes, my lord.

 

La lingua di Sebastian percorse sinuosamente le sue stesse labbra, assaporandone il gusto di miele, di zucchero e di lacrime che la bocca di Ciel vi aveva lasciato; sorrise beffardo alle spalle del suo signore, indaffarato nel sistemarsi il cappello a cilindro e nel cercare il suo corto bastone in legno laccato di nero.

 

-A proposito, ho di nuovo trovato quel libro tra le sue lenzuola, mio signore.

-Quale libro?

Sibilò Ciel, arrestandosi poco prima di giungere all’uscio.

-Quello per il quale non riesce a sbarazzarsi dei suoi continui incubi. Dovrebbe evitare di cimentarsi nella lettura di Edgar Allan Poe prima di ritirarsi per la notte.

Con un colpo secco, Ciel spalancò il battente, replicando tracotante.

-Ti ricordo che io faccio quello che mi pare, o davvero ti piace sentirmi ripetere?

-Senz’altro è così, bocchan. Solo ripensavo ad alcune parole che, magari, potrebbero continuare a turbare il suo sonno. Dopotutto non ha nulla da temere. Se lei lo desidera il contratto rimarrà valido ed  io continuerò ad essere la sua ombra e ad appartenerle, corpo, cuore ed anima, sino alla fine.

-E con questo?

Ciel chiese seccato, incamminandosi verso l’oscurità del corridoio che conduceva alle scale: solo l’eco lontana della voce sarcastica di Sebastian lo raggiunse alle spalle, insieme al riverbero del candelabro ad illuminare flebilmente i pannelli di legno delle pareti adornate dai ritratti sfocati dei suoi avi.

 

-Sappia però signorino che non può giocare troppo a lungo con il cuore di un demone. Non è poi una cosa così facile da maneggiare.

 

E non lo si può rubare con un bacio…

 

Uno spiffero d’aria gelida, proveniente dalle imposte dischiuse della finestra in fondo al corridoio, spense di colpo le fiammelle sfavillanti di luce blu e rossastra del candelabro, sfogliando le pagine del libro apparso dal nulla sul leggio accanto al davanzale; la luna calante ne illuminò i caratteri in inchiostro nero, rendendoli  brillanti per far sì che potesse sussurrarli alle tenebre:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ed ecco: dall’oscurità di quei drappeggi da cui si

Disperdevano canti sonori si fece avanti un’ombra oscura, indefinita-

Un’ombra quale la luna allorché pende bassa nel cielo potrebbe disegnare

Da una figura d’uomo:

 

ma era ombra non d’uomo,

né di Dio,

né di cosa consueta.

 

[…]

 

E noi rimanemmo sgomenti perché la voce dell’ombra

Non era di un essere soltanto,

ma di una moltitudine e, variando cadenza di sillaba in sillaba,

torbidamente colpiva le nostre orecchie,

con gli accenti indimenticabili e consueti di

mille e mille

ormai scomparsi cari.”3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-Un bacio non può conquistare il cuore di un demone. La vendetta compiuta grazie ad un demone non può fermare la triste dipartita di coloro che non ci sono più. L’avermi evocato è un fatto che non potrà mai essere cambiato. E neanche se i suoi baci riuscissero a conquistare un demone coloro che amava ritornerebbero. Perché essi non torneranno… Mai più, bocchan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note al testo:

 

1Tipico modello di rivoltella a doppia canna, in voga nella fin de siècle.

 

2Famoso e pregiato tè nero indiano.

 

3Estratto da “I Racconti del Terrore”, intitolato “Ombra”, di Edgar Allan Poe.

   
 
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