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Autore: DreamWriter    17/11/2009    2 recensioni
§Andrea è un attore precario in cerca di lavoro§
§Giulia è un’attrice appena affermata§
§Roberto è uno fra gli scrittori più famosi del momento§
Le loro vite si intrecceranno in una girandola d’amore e odio, di lacrime e sorrisi.
Questa è la storia non di un amore solo, ma di amori diversi che si incrociano, si rincorrono, si perdono, ritornano...
Questa è la mia prima storia inserita qui e spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia e i personaggi sono frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. L'immagine di sopra rappresenta i tre protagonisti secondo la mia immaginazione quindi i tre attori rappresentati non c'entrano nulla con la storia.

..:Paura di amare:..

Personaggi principali:

Andrea Fogli

 Giulia Corsi

Roberto Mottini

Personaggi secondari:

Claudio Loe

Cesare Tecchi

Vittorio Moli

Gaspare Cielo

Valerio Foglia

Susan Snerdin

E altri che conoscerete man mano che leggerete la storia...                                             

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Prologo

La prima volta che andai al cinema la ricordo ancora come fosse ieri: avevo sette anni e la mia mano minuscola e gracilina stringeva quella di mio padre, robusta e piena di calli. Poco più avanti di noi c’era mia madre, con una lunga gonna rossa e una orribile camicetta a fiori. Il cinema profumava di pane appena sfornato e sinceramente non me lo sono mai saputo spiegare il perché di quell’odore così strano. Quando entrammo nella sala di proiezioni vidi quasi tutti i posti occupati ma dopo pochi istanti ci venne incontro una ragazza molto gentile che ci guidò ai posti assegnati. “Hai visto Andrea? Quella è una maschera” mi disse mio padre indicandomi la ragazza che ci aveva fatti accomodare. La guardai perplesso: all’epoca per me il termine “maschera” si riferiva semplicemente a degli strani vestiti indossati a Carnevale. Papà mi sorrise intuendo i miei dubbi. “Qui al cinema si chiamano maschere coloro che aiutano gli spettatori a trovare il loro posto!” mi spiegò mio padre. Maschera! Ecco, fu quella la mia prima parola! Sì, la mia prima parola che riguardava il cinema! Cominciai a ripeterla senza sosta finché le luci si spensero e mia madre mi azzittì. Lo schermo si illuminò e grazie quella tenua luce che si rifletteva su di noi potei ammirare i visi concentrati dei miei genitori. Poi partì una musica ad alto volume e apparvero le prime immagini, le prime scene. Ma era tutto concitato, non riuscivo a capire molto e sbuffai. “Non è questo il film!” esclamò mio padre vedendomi annoiato. “Come no?” chiesi ingenuamente. “Questo è un trailer: un riassunto di un altro film che tra un po’ uscirà al cinema” disse papà. Trailer! Ecco la seconda parola! Lo schermo divenne nero e io mi strinsi al braccio di mio padre. Poi a poco a poco si illuminò con alcune scritte minuscole finché una scritta più grande annunciò il titolo. Lasciai la presa e mi incantai a guardare il film. Quella sera capii di essere cambiato. Capii che a casa non sarebbe tornato più il solito Andrea. No, perché avevo conosciuto il cinema. E me ne ero completamente, perdutamente, irrimediabilmente innamorato! Quando il film terminò e le luci in sala si riaccesero, mettendo fine alla magia che si era venuta a creare, mi voltai verso mio padre spalancando i miei occhioni color nocciola. Lui mi sorrise e mi passò una mano fra i miei capelli castani. “Papà…” dissi “…da grande farò l’attore!”
Penso che tutta la mia sofferenza infinita sia nata quella sera. Ma d’altro canto non posso porre fine a questa sofferenza perché è tutta la mia vita…

Pioveva forte. Questo è ciò che mi ricordo di tutta la mia infanzia e adolescenza. E poi mi ricordo la mia disperazione perché volevo uscire da casa, volevo correre in giardino e assaporare quella sensazione di libertà che mi mancava. Volevo sentire la pioggia scorrere lungo il mio corpo, volevo dissetarmi con la pioggia. Ma non mi era permesso. Mia madre non voleva che mi sciupassi i vestiti o che solo per  un attimo qualche ciocca di capelli stesse fuori posto. Mi opprimeva, mi proibiva di frequentare i normali luoghi pubblici, mi vietava di avere amicizie e mi faceva studiare in una stupida scuola privata dove tutti i ragazzini e le ragazzine erano viziati e con la puzza sotto il naso. Non li sopportavo e loro non sopportavano me. Dicevano che ero troppo ribelle solo perché volevo comportarmi come delle persone inferiori, di basso ceto. “Oh cava Giulia…” mi disse un giorno una mia compagna di classe dalla erre moscia “…ma pevché ti ostini a fave la vivoluzionavia? Tu sei vicca, come lo siamo tutti in questa scuola quindi…compovtati da vicca!”. La guardai contrariata. “Ancova? Ti ho detto di compovtavti da vicca!” insistette. Non resistetti e la riempii di insulti. Il giorno dopo fui costretta a presentarmi a scuola accompagnata da entrambi i genitori. Il preside mi fece una paternale durissima e mi diede una sospensione di un mese. Un mese solo perché avevo detto ciò che pensavo! Mio padre si indignò e annullò l’iscrizione a quell’istituto. “Giulia studierà in una scuola pubblica da oggi in poi!” disse. Io facevo salti di gioia. Ma mia madre si ribellò e ne uscì vincitrice: avrei studiato a casa con un tutore. Sprofondai nell’angoscia più profonda. Mio padre capì e riuscì a strappare a mia madre un assenso per iscrivermi ad un corso di teatro. “Almeno esce di casa” disse. Così capii finalmente a cosa ero destinata nella vita: avrei fatto l’attrice!

Non potevo fare a meno di rimanere incantato quando mia madre mi leggeva le fiabe prima di addormentarmi. Ma il problema era proprio questo: io non riuscivo mai a dormire! Ed era tutta colpa delle fiabe: la notte non facevo che pensare a qualche degna continuazione delle fiabe apprese senza chiudere occhio. Poi cominciai a idearne di mie e le raccontai a mio fratello, di due anni più piccolo. Lui batteva le mani eccitato e mi pregava di idearne sempre altre. Allora mi armai di carta e penna e dapprima translitterai dalla mia mente al foglio le fiabe che già avevo inventato. Poi ne scrissi altre. Quando in casa arrivò il primo computer me ne impadronii letteralmente e ricopiai tutte le fiabe inventate fino ad allora. Poi arrivò la stampante e feci rilegare alla cartolibreria i miei lavori appena stampati. Avevo il mio primo libro! Lo portai a scuola tutto orgoglioso e a rotazione tutti i miei compagni lo lessero. In breve tempo divenne un piccolo caso letterario: la maestra ne fu entusiasta e altre maestre di classi diverse ne fecero alcune copie da far leggere ai propri alunni.
Poi alle medie vinsi parecchi concorsi letterali indetti dalla scuola. E una volta giunto alle superiori la scelta non fu difficile: Liceo Classico! Peccato che non fu tutto rose e fiori e che i miei voti non erano mai molto alti! Ma dopo molti stenti riuscii a diplomarmi senza essere bocciato. E dopo cosa avrei fatto? Amavo scrivere e volevo intraprendere la carriera di giornalista e scrittore. Ma mio padre non ne volle sapere e mi costrinse a iscrivermi a Giurisprudenza. “Meglio avere un avvocato in casa che uno scrittore squattrinato!” mi ripeteva. Tuttavia io non smisi di scrivere e mandai alcuni miei romanzi a delle editorie. Un giorno una di queste mi rispose: avrebbero pubblicato i miei scritti! Piansi tutto il giorno per la felicità davanti a mio padre che scuoteva la testa e continuava a dire “Robè, comunque tu fai l’avvocato!”. Non lo delusi e riuscii a laurearmi. Intanto ero diventato uno scrittore piuttosto conosciuto e apprezzato. Un giorno mio padre mi chiamò: era debole ma felice. “Sono fiero di te…e smettila di fare l’avvocato! Devi continuare a scrivere…” mi disse. Il giorno dopo morì. Io gli diedi retta e abbandonai lo studio dove facevo praticantato. Sfornai altri libri che in breve mi consacrarono come scrittore. Ecco, era questo quello che avevo sempre desiderato! Vivere solo grazie alla mia arte…



   
 
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