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Autore: _Joey_    18/11/2009    1 recensioni
I ricordi sono come dei vecchi indumenti: se non li vuoi buttare, li metti via, nei cassetti più alti del tuo armadio, e ti dimentichi di averli, fino a quando qualcosa, qualsiasi cosa, ti fa tornare in mente quando li hai indossati, un particolare giorno, un particolare evento, e allora li ripeschi e magari te li provi anche, come un tuffo nel passato. * Gemma torna a Londra dopo tempo e deve confrontarsi con la realtà che a volte cambia e che, a volte, rimane incredibilmente simile a quella che avevamo lasciato.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due – There’s not a place on earth I’d rather be than here.

A Londra era tutto così diverso. Tra sé e sé aveva pensato ad un milione di aggettivi per descrivere quel cambiamento, quel ritorno, per descrivere Londra, e le situazioni, ma si era quasi pentita di averne trovati solo di dispregiativi perché, in fondo, Londra era sempre casa sua. Lo era stata, almeno.
L'aggettivo peggiore le era venuto in mente quando, entrata da un tabaccaio, aveva chiesto un pacco di Lucky Strike blu e, dandole il pacchetto, le avevano riferito il prezzo; doveva avere fatto una faccia davvero strana, perchè il commesso le aveva detto qualcosa tipo "ma da dove vieni?", domanda piuttosto stupida, considerato il fatto che il suo accento era ancora presente, se non del tutto, in buona parte. Istintivamente fu come sentire la voce di Josh che le consigliava di portarsi le sigarette dall'America, perchè in Inghilterra costavano molto di più. Ma lei era fatta così, era testarda e solo in quel momento stava desiderando di avergli dato retta; aveva pagato, nonostante tutto, e si era presa le sue Lucky Strike, accendendosene una appena fuori dal negozio. Ne aveva proprio bisogno.
Gemma Sian Brigstocke camminava per le strade che avevano visto l'avanzare ed il progredire della sua vita; viveva a New York da due anni, ormai, ed era la prima volta che tornava in Inghilterra: guardava quelle vie, ed era come risentire le parole e le risate, colonna sonora di momenti che le tornavano in mente quasi mai.
La città era tappezzata di poster promozionali di un concerto dei McFly, era tornata da soli due giorni e ne aveva già visti a miliardi: ne avevano fatta di strada, avevano talento, e nessuno ci avrebbe scommesso, all'inizio, su quei quattro scalmanati. L'idea di andare a quel concerto le era balenata in testa subito, si era fermata ad osservare quella loro gigantografia, studiando i loro volti, i cambiamenti, e la curiosità si era fatta avanti, spavalda, temeraria. Tornata a casa di Haley, dove avrebbe alloggiato per tutto il tempo che avrebbe trascorso in città, aveva cercato il numero della Wembley Arena, e aveva domandato se i biglietti fossero ancora disponibili. Si era resa realmente conto di quanto fossero diventati famosi, di quanto il loro talento fosse apprezzato, quando la donna che le aveva risposto al telefono l'aveva informata, con voce piatta ed incolore, che il concerto era sold-out. Non sapeva se fosse positivo o meno. Ci aveva messo poco ad immaginare di rivederli, ed in quei due giorni era stato il suo pensiero fisso. Non sapeva se se la sentisse di incontrarli tutti, tutti e quattro. Ma per tre di loro era pronta, voleva vederli. Poi Haley Johnson, sua storica compagna di banco, di vita e di emozioni, l'unica londinese con cui aveva mantenuto i contatti, non le era certamente stata d'aiuto nel rimuovere quell'idea: aveva ripescato delle vecchie polaroid, tenute nascoste chissà dove, ed in quei giorni i ricordi non avevano fatto altro che tornare a galla, come fosse una gara per eleggere il migliore in assoluto, o il più divertente, o il più assurdo.
Fu in quell'istante, girovagando per le strade di un'incredibilmente calda Londra, che capì di doversi togliere quel sassolino dalla scarpa, quel peso dallo stomaco. Era fatta così, se le veniva un'idea in mente ci rimaneva finché non riusciva a farla diventare realtà, e l'idea di vederli era grande, era forte e scalpitava per diventare tangibile.
Con una serie di giri di telefonate, lei ed Haley erano riuscite a trovare quell'indirizzo di cui aveva bisogno, ci avevano messo una buona mezz'ora e non sapeva neanche se ne valesse la pena. Era nei pressi di casa di Tom, ebbe un attimo d'esitazione. Cosa voleva fare? Tornare nella loro vita? Cosa pretendeva, dopo poco meno di tre anni che non avevano una conversazione normale e due che non si vedevano? Si fece forza, voleva soltanto rivederli, non era un peccato capitale. Non vedeva nient'altro, dopo quell'incontro, non ci sarebbe stato nient'altro.
Fece un respiro profondo, percorse gli ultimi metri che la separavano da casa Fletcher, poi suonò il campanello.
Tom ci mise un attimo prima di realizzare che qualcuno stava aspettando davanti la sua porta, il suono del campanello si confondeva con la musica che stava ascoltando: Dookie dei Green Day continuò a girare nell'ipertecnologico lettore cd, regolato a volume più basso dal ragazzo, mentre si avvicinava a grandi passi all'entrata della villetta. Girò la chiave ed aprì la porta, trovandosi piuttosto confuso dopo aver messo a fuoco chi realmente aveva davanti. Le labbra erano distese in un sorriso timido, gli occhi scuri, appena illuminati dal sole, erano sempre gli stessi, così tanto specchi della sua anima; dal sopracciglio destro, dal lato sinistro del labbro inferiore e del naso erano spariti i piercings, dai capelli erano stati lavati via una volta per tutte quei colori assurdi di cui amava tingerli quando si erano conosciuti, la riga era a sinistra, dal ciuffo partiva una ciocca intrecciata, fermata al lato con una forcina, che poi si rituffava nei capelli mossi, lunghi, del loro colore naturale, castano ramato; il corpo esile era fasciato da un vestito semplice, mezze maniche, fantasia floreale, sui toni del beige, faceva risaltare quella sua pelle lievemente abbronzata, ai piedi aveva degli stivaletti senza tacco, dello stesso color cuoio della cintura e della borsa che portava a tracolla. Era cambiata, quello era ovvio, era cresciuta; ma il suo sguardo, il suo sorriso, i suoi lineamenti delicati rimanevano gli stessi.
Gemma era tornata. Era a Londra. Danny aveva ragione, l'aveva vista. Periodi semplici, pensieri veloci, quelli nella mente di Tom.
Lo salutò con un "ciao" sicuro, che contrastava decisamente con il gesto timido che accompagnò quella parola.
Le labbra del ragazzo si allargarono in un sorriso, dopotutto era contento di vederla. Quel sorriso fu prontamente ricambiato, Tom fece un passo in avanti, la strinse a sé per un attimo: fu la prima volta, in quei due giorni, in cui Gemma si sentì davvero a casa. Era grata a Fletcher per averle regalato quell'accoglienza, per non averla respinta. Le fece cenno di entrare, ed una volta dentro, chiuse la porta alle loro spalle.
"Quindi...sei tornata."
Disse il ragazzo, dopo aver fatto accomodare Gemma in salotto.
"Solo per l'estate. Ci sono molte cose che stanno andando avanti a New York, se vogliamo dire così."
Ammise lei, con un altro sorriso.
"Ok; presumo che vada tutto piuttosto bene, allora."
Si accertò lui, sempre premuroso e pieno di attenzioni per chiunque.
"Si, va tutto bene. Voi come state? Ho visto i poster per tutta Londra e, beh, essendo sold-out il concerto non ho potuto fare a meno di venire qui."
"Eh, sì, siamo abbastanza famosi."
Scherzò Tom, fingendo di vantarsi. Gemma rise con lui, poi gli chiese di Giovanna, la sua ragazza, nonché convivente da un pò, ormai.
"Lei sta bene, per ora è in tour con la compagnia di teatro, tornerà la prossima settimana."
La ragazza annuì, guardandosi attorno per un istante.
"Pensi di incontrare anche gli altri?"
Chiese, poi, il chitarrista e cantante della band. Avrebbe voluto rispondere che non ci aveva pensato, ma si trovò a rispondere altro.
"Magari Harry e Doug."
Tom capiva che evidentemente non si sentiva ancora troppo pronta per Danny. Non era finita bene, tra loro.
Il silenzio si fece di nuovo spazio tra i due ragazzi, Gemma captò la musica, suonava ad un volume molto basso, sorrise, non appena riconobbe la canzone.
"When I Come Around, eh?"
Sorrise, rivolgendosi a Tom.
"Si, stamattina mi sono svegliato e avevo voglia di sentire qualcosa dei Green Day."
Neanche fosse stata una premonizione. Dookie era stato uno degli album che aveva fatto da colonna sonora all'adolescenza di entrambi, uno dei punti di contatto tra loro che avevano scoperto non appena fatta la conoscenza l'uno dell'altra.
"Senti, stasera Dougie viene qui, dovevamo guardare un film, che ne dici di stare con noi? Harry lo puoi vedere un altro giorno, se venisse anche lui Dan s'insospettirebbe."
Anche perché gli era già sembrato di averti vista, avrebbe voluto aggiungere.
"Perché no?"
Rispose, sorridendo. Un pò la intimoriva, quel ritorno alle vecchie abitudini, i film, gli inviti dell'ultimo minuto, ma glielo doveva, dopo quell'incursione inaspettata. Ormai che aveva fatto trenta, cosa le costava fare trentuno?
  
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