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Autore: depy91    28/11/2009    1 recensioni
Ecco gli avvenimenti immediatamente antecedenti alla partecipazione di Sergei Dragunov al quinto torneo. Uno strano ritrovamento cela infiniti misteri...
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il contenuto del libro mi rimbalzava nella testa e non potevo fare a meno di pensare che cosa fosse accaduto se solo davvero il demone si fosse ridestato dal suo torpore indotto. Rabbrividii all’idea, soprattutto associando a tale disastrosa possibilità al ricordo dei bassorilievi del sarcofago, dai quali traspariva l’epoca di terrore che li aveva ispirati. Immerso nelle mie riflessioni, non diedi peso alle lunghe ore di viaggio, che per tale ragione trascorsero veloci e placidamente. Quando atterrammo, però, ci accolse un gruppo di guardie armate dall’aria minacciosa. Temetti per la mia incolumità, ma non ero io a dovermi preoccupare. I soldati infatti, non appena la scaletta fu calata a terra, salirono sull’aereo e placcarono il mio accompagnatore, puntandogli un fucile contro la schiena. Atterrito domandai spiegazione, ma nessuno mi accontentò, bensì intimarono al prigioniero di avanzare. Egli obbedì ancora una volta in silenzio. Fu l’ultima occasione in cui lo vidi, non idea di quale sia stato il suo destino. Ancora scosso da quel trambusto, scesi i gradini e fui accolto da un altro membro della SPETSNAZ, il quale mi informò che il caporale mi stava attendendo nel suo ufficio. Seduto sulla sua sedia rivestita di pelle nocciola, Zarkovskij aspettava il mio ingresso fumando un sigaro. Quando entrai nella stanza e mi vide, scattò in piedi e mi venne incontro, assetato di novità sul caso. Di certo gli avrei raccontato ogni cosa, ma prima mi preoccupai di comprendere le ragioni dell’imboscata a cui assistetti. Il caporale mi spiegò che il soldato che mi aveva scortato sino in Inghilterra era in realtà una spia, infiltratasi tra le SPETSNAZ per carpirne dati e obiettivi. L’organizzazione per cui lavorava sarebbe rimasta, a suo parere, segreta ancora per poco, poiché confidava molto nei metodi di persuasione adottati dai suoi sottoposti. Notai una vena sadica in quello che mi stava dicendo e la cosa non mi piaceva affatto. Tornò sull’argomento di maggiore interesse ed io presi ad esporgli quanto ero stato in grado di scoprire. Dopo aver ascoltato attentamente, Zarkovskij iniziò a passeggiare in tondo, strofinandosi il mento barbuto con le dita. Il suo volto si fece serio, mi ringraziò e si congedò, aggiungendo che mi era concesso il resto della giornata libero, ma vigeva il divieto categorico di allontanarsi dalla zona degli scavi. Percepivo ormai che la faccenda in cui mi ero immesso, avrebbe finito per divenire la mia costrizione. Salutai il caporale e mi ritirai nella mia stanza. Provai a riposare qualche ora a letto. La branda scricchiolava ad ogni mio movimento causato dal mio sonno inquieto. La spaventosa creatura demoniaca mi apparve in sogno nel pieno di una delle sue sanguinose scorrerie ed io non potevo fare nulla per fermarla. Sudavo copiosamente quando quella orribile visione onirica scomparve ed io mi ritrovai davanti agli occhi sbarrati il soffitto della stanza. Il soggetto dei miei studi stava diventando la mia ossessione. Guardai attraverso il vetro della finestra: il pallido chiarore della luna filtrava attraverso le nuvole cariche di neve candida. Si era fatto tardi, ma ormai mi era difficile riaddormentarmi, decisi dunque di dar sfogo a quei maledetti sogni e tornare nell’area dove era conservato l’essere diabolico. I miei passi affondavano nella morbida neve fresca che aveva ricoperto il sentiero per il laboratorio. Giunto ad una certa distanza dall’entrata, scorsi delle guardie a difesa dell’edificio. La cosa mi insospettì ed udendo qualcuno che discuteva animatamente all’interno, mi acquattai dietro i cespugli e mi diressi senza manifestare la mia presenza verso la finestra che dava sulla sala del cadavere, da cui peraltro proveniva quel vocio. Protesi il mio sguardo oltre la vetrata e fui in grado di riconoscere due membri dell’equipe scientifica e la ben nota sagoma del caporale. Egli fissava il tavolo operatorio immobile, mentre gli studiosi sedevano su degli sgabelli. Uno di questi ultimi stava accennando ad un particolare macchinario, che Zarkovskij avrebbe commissionato alla squadra di ricerca per la realizzazione di un progetto a me ignoto. Purtroppo l’argomento della discussione si fece via via più chiaro, quando il caporale, riferendosi al corpo senza vita del demone, dichiarò con tono deciso che l’avrebbe reso l’arma perfetta, a cui nessun esercito poteva resistere e con cui alcun moderno strumento bellico poteva competere. Un brivido mi percorse la schiena, e non già a causa del freddo pungente che penetrava sin dentro le ossa. Da quanto risultava dal mio ascolto, le SPETSNAZ avevano in mente la terribile idea di trasformare quella mostruosa entità venuta da un lontanissimo passato, nella più distruttiva delle armi odierne. Non potei fare a meno di ipotizzare cosa sarebbe accaduto nel triste caso in cui le forze speciali non fossero stati in grado di tenere a freno gli istinti infernali di quella creatura. Come pensavano di controllare un simile potere? Per la prima volta riuscii a distinguere il vero volto della SPETSNAZ, e di certo non mi piaceva affatto. Conoscevo il livello bio-medico e tecnologico di cui disponeva l’organizzazione, ma non potevo credere che fosse sufficiente a riportare in vita quel mostro, a meno che non mi sfuggisse ancora qualche dettaglio di fondamentale importanza. Per quella sera avevo tentato fin troppo la sorte ed appena un attimo prima che le guardie battessero durante il giro di ronda la zona in cui mi nascondevo, sparii tra il fogliame e mi diressi di nuovo verso la mia stanza. Nei giorni successivi l’area del laboratorio divenne sempre più sorvegliata e i miei appostamenti troppo rischiosi. Pensai di dover denunciare quanto avevo ascoltato, ma la richiesta di lasciare la Siberia mi veniva negata quotidianamente. Una mattina qualcuno bussò alla mia porta e mi invitò a seguirlo nell’ala scientifica della struttura. Il caporale Zarkovskij mi aveva fatto chiamare per mostrarmi gli ultimi risvolti dele ricerche affrontate dai potenti mezzi di cui era a disposizione il suo corpo militare. La mia guida mi condusse in un’aula alla quale sino ad allora non mi era stato consentito l’ingresso. L’atmosfera era cupa e carica di tensione, la sala era colma di marchingegni tecnologicamente avanzati, di cui non conoscevo la funzione, mentre il caporale, parte dell’equipe di studio e alcuni soldati erano disposti di fronte ad una parete tappezzata di monitor accesi, i quali diffondevano una tenue luce soffusa sui volti dei loro osservatore.  Zarkovskij si voltò, mi vide e mi diede il benvenuto. Mi informò che aveva intenzione di illustrarmi alcune fotografie molto interessanti, rinvenute negli archivi della polizia giapponese. Ero preoccupato, ma non potevo nascondere la mia curiosità, rimasi in silenzio e ascoltai la sua spiegazione. Il caporale continuò dichiarando che la sua squadra era stata capace di rintracciare delle segnalazioni vecchie di circa venticinque anni, di alcuni testimoni che avrebbero assistito ad eventi giudicati paranormali dalla polizia. Sugli schermi scorrevano le foto di un essere terribilmente somigliante al corpo emerso dai ghiacci siberiani, la sua pelle era di un viola intenso, i suoi occhi purpurei ed un terzo gli occupava il centro della fronte, la sua schiena terminava con una coda dalle movenze di serpente, dalla folta capigliatura mora aggettavano due lunghe corna ondulate, spessi artigli ornavano le sue dita, infine le sue robuste ali di pipistrello gli permettevano di librarsi in volo. Il battito del mio cuore accelerò vertiginosamente, se le immagini fossero state attendibili, allora nel mondo esisteva almeno un’altra creatura infernale. Il caporale proseguì e riferì che il mostro immortalato nelle immagini era stato avvistato per l’ultima volta nei pressi di un edificio appartenente alla Mishima Zaibatsu, una grossa società giapponese di proprietà del ricco magnate ed esperto di arti marziali Heihachi Mishima. Le ricerche confermavano che la scomparsa del demone coincidevano esattamente con l’improvvisa morte del figlio dell’industriale, un certo Kazuya, i cui tratti somatici, secondo l’analisi virtuale realizzata dal computer sul suo viso, corrispondevano per il 93% a quelli dell’essere raffigurato nelle fotografie. Nuovamente le parole mi rimasero bloccate in gola, incredibilmente il contenuto dell’antico manoscritto rispondeva a verità. Da quanto mi era possibile dedurre, lo spirito vendicativo, estirpato dal petto del demone vissuto oltre nove secoli orsono, aveva trovato nuova dimora nel corpo di un umano ospitante. Tutto ciò era davvero terribile, ma purtroppo c’era dell’altro: le indagini avevano rivelato che quelle non erano le sole segnalazioni di questo tipo. Altre fonti infatti si pronunciavano riguardo ad un episodio avvenuto soltanto a qualche mese fa. Un’intera foresta era stata devastata da un enorme incendio, delle persone avevano depositato in commissariato la loro testimonianza, in cui ammettevano di aver avvistato qualcosa di simile ad un uomo alato scagliare distruttivi raggi luminosi dalla fronte. Anche questo dossier era corredato da fotografie, che mostravano un essere umano, poco più di un ragazzo, dal capo adorno di corna appuntite, gli occhi spiritati, sospeso in aria da grandi ali di corvo. Il dettaglio che maggiormente mi inquietò furono i simboli che gli decoravano il petto e la fronte, del tutto simili a quelli che avevo già osservato sul cadavere dell’antica entità demoniaca. Gli avvistamenti si concentravano senza esclusioni in un’area situata a breve distanza da un tempio ligneo, anch’esso appartenente alla famiglia Mishima. A quanto pareva il diavolo aveva stretto un patto di sangue con quella stirpe asiatica. Incredulo e attonito, rimasi immobilizzato dal vortice di sensazioni che mi travolgeva l’animo.
  
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