Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
Segui la storia  |       
Autore: Black_Eyeliner    28/11/2009    4 recensioni
***Vincitrice del concorso "Quell'INFERNO di Contest", indetto da DarkRose86***
***Vincitrice inoltre del Premio Speciale "Miglior Trattazione del Pairing"***
“La menzogna sporca l’anima, la rende impura: lentamente la conduce all’inferno. E’ impossibile per chi ha rinnegato la fede aspirare al Paradiso; è impossibile cancellare dalla pelle un marchio a fuoco. Non si può cancellare l’odio, né il dolore. Ed è impossibile elidere dal corpo il seme del male inoculato da un demone…”
SebastianxCiel
Dedicata a tutte le ragazze che hanno partecipato al contest e a chiunque ami la coppia SebastianxCiel.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa: ecco a voi il quarto e penultimo capitolo di questa mia lunga storia; il titolo, che a sua volta riprende quello dell’intera fic, è tratto dall’omonima canzone del Reverendo, Devour, dolcissima, provare per credere -à     Devour

 

Inoltre ho dovuto censurare questo capitolo, capirete voi stessi dove; molto probabilmente posterò altrove la versione non censurata, apponendo il link nel prossimo ed ultimo capitolo.

 

Detto questo, buona lettura ^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Interlude # 3:

“Devour”

 

 

 

 

“You're the one that I should never take
But I can't sleep until I devour you
I can't sleep until I devour you
You're a flower that's withering
I can't feel your thorns in my head

Pain's not ashamed to repeat itself

I can't sleep until I devour you!
I can't sleep until I devour you!
I can't sleep until I devour you!”

 

Marilyn Manson

“Devour”

 

 

 

 

 

La diabolica essenza del loro legame era stata stravolta dall’incommensurabile voluttà di cui le loro labbra si erano impregnate quella sera; l’eros traviante del bacio, consumato nell’estrema ingordigia di lingue intrecciate e poi sciolte solo per intrecciarsi nuovamente, continuava a ripetersi dinnanzi alle iridi azzurre del giovane Phantomhive, impenetrabili custodi dell’anima cui le stelle ballerine, che avevano solcato il cielo di quella notte, avevano carpito l’osceno e perverso desiderio.

Nella sua coscienza, schiacciata dal peso della sua stessa febbricitante smania di possesso, le immagini del godimento quasi sadico che Ciel aveva provato nel reclamare la bocca e il cuore di un demone continuavano a susseguirsi imperterrite, annientandola, annichilendola poco a poco.

 

Uno squarcio di luce perlacea graffiò le tenebre che si erano addensate come nubi di fumo scuro, compattando l’atmosfera rarefatta della stanza e creando un iridescente riverbero sulle coperte trapuntate d’oro e d’argento; attraverso le arcate delle ampie finestre piombate, la luna piena già alta nel cielo rassomigliava ad una lanterna semitrasparente di luce candida, sospesa da un filo invisibile nella turpe vacuità del Cosmo, infinito oltre ogni umana cogitazione.

L’astro solitario nel cielo d’ossidiana, con il suo ambiguo splendore, reclamava nella notte occhi curiosi ad ammirarne la bellezza intrinseca e ingannatrice; e pretendeva la turpe libidine di sogni proibiti, sussurrati da labbra impudiche, disperdendoli come polvere di stelle nel nero assoluto dell’Universo.

 

Sulla pelle eburnea piccole stille di un piacere liquido e appena compreso scintillavano innocentemente al chiaro di luna, colando lentamente sulle lenzuola di seta e sporcandole del frutto colto troppo precocemente dall’albero della Conoscenza1: pareva che solo l’effimera ebbrezza di lasciarsi andare all’orgasmo, strappato con foga alle sue viscere bollenti, fosse in grado di stravolgergli completamente i sensi, rubando all’anima la sua inconfessabile e immorale aspirazione e stemprando la concupiscenza che aveva infine soggiogato il suo cuore indomito.

Difatti solo alla luna all’acme, spruzzando di luce immacolata l’indecoroso palcoscenico della lussuria, era concesso di celarne il vituperio nella foschia della notte: unica testimone di fatti e misfatti destinati a svanire, come impalpabile ombra nella rosea luce dell’alba, essa vegliava benevola il quieto riposo di uomini casti e il sonno senza sogni di vedove stanche; baciava, con le sue labbra d’argento, la fronte tenera di fanciulli illibati e di giovani donzelle vergini languidamente assopiti, chiudendo loro le palpebre per preservare la purezza delle loro anime.

E nondimeno solo alla luna era permesso assistere all’ineffabile goduria di cosce allargate e seme viscoso colato sull’addome, di tradimenti e segreti malati consumati nelle caliginose e decadenti bettole lungo il Tamigi, di labbra tumide e brame taciute, del pungente olezzo del sesso di bassa lega miscelato al narcotico e muschiato effluvio dell’oppio e dell’hashish; a poco serviva che le depravate bramosie degli uomini trovassero sfogo nei vicoli bui dei sobborghi, in leziose camere da letto di nobili corrotti o in polverosi bordelli di periferia: il limpido riflesso del plenilunio sempre riportava a galla l’infamia ed il peccato dai torbidi flutti della perdizione, restituendo alle tenebre, cui appartenevano di diritto, il godimento di mucose riarse dai fumi del papaver somniferum2, di menti annacquate da illusorie gioie artificiali, di pelle squarciata dalle poderose sferzate di borchie e fruste schioccate con forza, di cera bollente colata sulla lingua, di invocazioni e gemiti blasfemi, di corpi sfatti venduti sui cigli delle strade, di anime volgarmente svendute all’inferno in nome di una fallace sete di vendetta.

 

Comodamente adagiato tra soffici guanciali, Ciel attese pazientemente che il suo respiro ansimante tornasse regolare; voltando lentamente la testa di lato, lasciò che il bagliore della luna facesse riverbero sulla punta del suo naso e sulle lunghe ciglia scure, dalle quali grossi lucciconi di piacere si erano finalmente districati, solcando lentamente le sue guance arrossate: tuttavia si rifiutò di scrollarsi di dosso il senso di torpore che era seguito ai piccoli gemiti a stento trattenuti e alla tensione spasmodica che aveva contratto le sue membra, crogiolandosi nella sua posizione supina sul materasso.

Fuori dalla finestra le costellazioni come perle di luce macchiavano l’ordito nero del cielo, sfregiandolo di luce; un pipistrello, rapace libellula notturna, piroettava solitario tra i tralci fioriti di un caprifoglio, disegnando anelli immaginari nell’aria frizzante e, in lontananza, la mesta litania di una civetta, appollaiata tra i rami nodosi di una quercia, fendeva il silenzio della sera.

 

Ciel deprecò l’indolenza che lo aveva di colpo pervaso, appellandosi alle forze rimaste per tirare in basso il bordo della veste da notte a coprire le inequivocabili tracce di piacere che opacizzavano il pallore della sua pelle; si mise lentamente a sedere e il campanello d’ottone riposto sul comodino catturò immediatamente il suo sguardo, offuscato da una fastidiosa nebbiolina che andava dissipandosi progressivamente: la malsana tentazione di allungare la mano e pretendere accanto a sé la presenza del suo maggiordomo si palesò nella mano tesa verso il tavolo da notte, subito ritratta  nell’ostinata volontà di dissimulare ogni comportamento, scioccamente infantile, che avesse lasciato presagire una qualunque forma di debolezza.

 

Chissà se la solerte luna aveva colto la sua esitazione… Il solo pensiero bastò a riscuoterlo dalla trascinante fiumana delle sue riflessioni, portandolo a scalciare nervosamente da sé le coperte stropicciate e ormai inesorabilmente imbrattate dagli strascichi brillanti della sua solitaria passione: difatti non v’erano né candore né lustro che potessero sciacquare via da quel piccolo corpo marchiato a fuoco il dolore delle lame che lo avevano trafitto; e, per quanto  comodamente adagiato nel lindore di coperte lavate e profumate di rose selvatiche, sempre la sua pelle finiva per sporcare le pregiate lenzuola di seta avorio, che fosse di sudore, di saliva, di sangue, di sperma o di lacrime.

Tanto era divenuto assuefatto alla corruzione ineluttabile cui la sua anima convergeva giorno dopo giorno che Ciel neanche s’accorse della forma in cui il gemito, sfuggito in un rantolo tracimante di vogliosa cupidigia, venne articolato dalle sue labbra; il nome proferito nella notte come un’empia ingiunzione riecheggiò come un mantra, oscenamente profano, licenziosamente sacrilego.

Mai e poi mai Ciel avrebbe rinunciato alle abiette virtù di cui il solo evocare il nome di Sebastian si faceva portavoce; il sentirlo bruciare come lava rovente sulla lingua, il sillabarlo in una voluttuosa movenza labiale, l’essere consapevole di poter impartire qualsiasi ordine solamente sussurrandolo, aveva, sin dalla prima volta, suscitato nel suo corpo una sensazione d’ambigua libidine.

Per quanto il giovane Phantomhive, per la stessa natura del titolo nobiliare ereditato, fosse avvezzo alla cieca obbedienza che la servitù sempre gli riservava, sapeva che con Sebastian quel gioco di ruolo inverso e riverso poteva assumere delle sfaccettature estremamente più interessanti; dopotutto, ad esacerbare l’esclusività del loro rapporto, non era tanto la sua posizione privilegiata nonostante l’età, quanto la carica lasciva, velatamente erotica, sicuramente sadica di  avere un demone al suo fianco, incline ad accondiscendere ad ogni suo capriccio, di stregua anche infima rispetto al vero scopo di vendetta per il quale il loro patto era stato stipulato.

 

Eppure a dissuadere Ciel fu l’imbarazzo di poter essere sorpreso nella umiliante flagranza del circolo vizioso in cui si era cacciato; s’avvolse seccato nella leggera veste da camera riposta ai piedi del letto, strofinando alla meglio l’equivoca macchiolina che faceva bella mostra di sé sul fronte della camicia da notte: folle del suo stesso trasgredire ogni rigore imposto dalla posizione che ricopriva, il piccolo conte s’incamminò con fare guardingo verso il battente, dischiudendolo lentamente per evitare che i cardini stridessero troppo nella silente quiete notturna.

Avanzò  a tentoni nel buio, sorreggendosi al corrimano in legno cerato della scalinata che conduceva ai piani inferiori, non senza che i suoi minuti piedi scalzi inciampassero nelle frange dorate del tappeto scarlatto steso sul parquet; si maledì tra i denti digrignati, imboccando il labirinto di corridoi tetri che conducevano alle cucine: tastò il terreno, poggiando le mani sull’uscio e sospingendolo in una fluida e repentina movenza, ma quando realizzò che le lampade ad olio erano accese, rimase impietrito.

Sussultò e poi trattenne il respiro per svariati attimi.

Come facessero gli altri dimoranti nella residenza a non percepire l’aura sinistra e distintamente inumana di quella creatura era un fatto di per sé inspiegabile: o forse erano semplicemente le scintille che scricchiolavano sulla sua pelle ogni qualvolta le pelle di Sebastian sfiorava la propria, per attrito e per fatale attrazione insieme, a rammentare a Ciel che oltre le fasulle apparenze, la lugubre essenza di un demone teneva d’occhio ogni istante della sua vita mortale, in una subdola e concupiscente veglia funebre sulla sua anima.

 

-Mi perdoni, ma temo che sia alquanto sconveniente per un giovane nobile come lei avventurarsi a quest’ora della notte negli umili alloggi della servitù, ed in cucina per giunta…

Il tono ossequioso, eppure vagamente allusivo di Sebastian, lo travolse insieme al pesante aroma dello zenzero e del cumino3 che colmava l’ambiente concentrato della cucina.

Seppur frastornato dalla presenza del suo remissivo servitore, Ciel riacquistò tracotanza, investendo il suo incedere verso il tavolo di una nuova sicurezza.

-Vedo che sei ancora impegnato per il concorso di dopodomani, Sebastian.

La mano del ragazzino si lasciò andare ad una languida movenza, affondando le dita nella salsa ambrata lasciata a riposo nei tegami di ceramica; la lingua sgusciò tra le piccole labbra, arricciate da un sorriso immancabilmente licenzioso.

-Dopotutto il signorino mi ha impartito molti ordini ultimamente e ho ben pensato di sfruttare le ore notturne pur di accondiscendere alla sua brama di vittoria.

Ciel si biasimò per non avere pronta una replica immediata; sicuramente aveva vagliato la possibilità che assistere ad una sconfitta di Sebastian sarebbe stato molto più intrigante rispetto alla solita routine; con una breve scrollata di spalle, azzardò, rigirando il discorso.

-Oh, certo. Ad ogni modo non sono certo sceso fin qui per fare conversazione. Avevo solo voglia di qualcosa di dolce da mangiare.

-Sono spiacente, ma ho paura di dover declinare la sua richiesta.

Sebastian inarcò le sopracciglia, assumendo l’aria grave di chi è ben conscio delle proprie parole.

-Suvvia, Sebastian. Fallo. Qualcosa che sia perfetto, come solo tu sai fare.

Un mezzo sorriso adulante increspò i tratti armoniosi del ragazzino, intento a leccare via dalle dita la densa salsa giallognola; nonostante l’invito fin troppo esplicito del giovane, Sebastian rimase impassibile, rimarcando la sua precedente constatazione.

-Mi dispiace enormemente, ma non posso permetterle di infrangere così l’etichetta, bocchan. Con il dovuto rispetto, trovo sia meglio torni nelle sue stanze e si riposi. La luna è già così alta e l’agenda di domani è colma… Non vedo alcuna ragione plausibile per cancellare i suoi impegni.

-Tu, razza di…

Non proferì altro verbo, ogni replica gli morì sulla lingua arrovellata dal sapore piccante del curry nella sua bocca. In ritardo, riprese:

-… Non credo tu sia nella posizione di poterti rifiutare.

Sebastian si pulì velocemente le mani, non senza rivolgere al suo tronfio signore uno sguardo servile e al contempo ambiguamente ammiccante; con passo deliberatamente lento, quasi giocoso, superò il lungo tavolo, avvicinandosi al giovane: le narici strette ed eleganti del demone fremettero e Ciel fu certo che Sebastian si fosse appropinquato così tanto solo per poter annusare la sua pelle, affidandosi al suo olfatto inumano pur di cogliere, oltre ai residui lascivi sulla sua veste e sulla sua carne, anche il sentore dell’anima e della lusinghiera tentazione di cui essa si faceva allettante messaggera.

-Sa, lo credo anche io. Così come credo, se me lo concede, che rubare tempo al suo fine per attardarsi nelle attrattive di piaceri così effimeri, non sia propriamente nel suo stile, bocchan.

-Non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando, Sebastian!

Null’altro che una tagliente esclamazione sferzò  il teso distacco, accorciandolo; l’incomprensibile pudore di quella vicinanza, tanto improvvisa e tanto seducente, gli tolse il respiro: quasi il suo folle, malato desiderio d’essere domato e dominato per una sola notte da quell’esistenza distorta, creatura dolcemente oscura, fosse un letale e inodore veleno effuso nell’aria, le sue ginocchia divennero molli, le gambe tremarono e il cuore saltò diversi battiti, arrestandosi nel suo petto.

-Non vi è alcun bisogno di mentire, mio signore.

Sebastian gli scoccò una breve occhiata perspicace; sorridendo sarcastico, gli si avvicinò ulteriormente: eluse inutili e riguardose distanze, godette intimamente dell’amabile tergiversare di Ciel, attendendo una replica che tuttavia non giunse, soffocata dalla mancanza improvvisa di prezioso ossigeno.

-Crede forse che io non abbia colto l’insolito turbamento che le toglie il sonno… ?

Le fiammelle delle lampade vibrarono, quasi per un fugace istante si spensero; la luce fioca ombreggiò momentaneamente l’ambiente, per poi tornare a risplendere di rosso, giallo e arancio facendo riverbero nelle iridi furbescamente immobili e vermiglie del maggiordomo.

Ciel si ritrasse disgustato; affilò lo sguardo mordace su Sebastian, indietreggiò di qualche passo per sfuggire al suo fascino perverso e rimbrottò sprezzante.

-Non credere di sapere ogni cosa!

-… Non ho la presunzione di conoscere ciò che non vedo. Eppure gli occhi talvolta posso incappare in visioni assolutamente deliziose, da cui è difficile distogliersi.

Da diabolica creatura qual era, Sebastian sorrise affabilmente, dolcemente ingannevole; abbassò il capo, e proseguì importuno, accrescendo l’enfasi viziosa delle proprie parole, in netto contrasto con il tono riverente con cui esse furono pronunciate.

-E devo dirle, con il dovuto rispetto mio signore, che in un simile frangente ho trovato il suo aspetto oltremodo interessante.

Ciel reagì quasi immediatamente, sottraendosi con un sobbalzo all’aura puramente tendenziosa che lo aveva circuito.

-Sta zitto, Sebastian. Non provarci…

Ululò inviperito; la morsa micidiale che lo aveva avvinto alla malia del demone gli rendeva impossibile la fuga, condannandolo al respiro infernale che gli solleticava le gote arrossate, come lingue di fuoco in procinto di arderne la pelle morbida, così irresistibilmente fanciullesca.

-Oh, non sa signorino, quanto possa essere stato incantevole per me vederla a quel modo. E’ ben diverso dal vederla legato e sanguinante in balia di un qualunque malfattore…

Nelle iridi di Sebastian un nuovo fervore fece riverbero, accentuandone lo sfavillio scarlatto, ipnotico.

Quanto sarebbe valso il rimorso di non aver atteso che il tempo opportuno fosse giunto a rendergli la dovuta ricompensa?

Non lo sapeva; non lo avrebbe mai saputo, tanto simili e deleteri, sciocchi sentimenti erano estranei alla sua natura ultraterrena, malvagia, iniqua, squisitamente perversa.

L’anima del signorino.

Sublime.

Focosa, impaziente, logorata dall’estenuante attesa.

E che continuasse ad attendere… Ancora… E ancora…

Ancora un po’.

La sentiva quell’anima, oscura e limpida, sporca e pura al contempo.

La percepiva dibattersi violentemente negli esili confini di quella pelle di miele, fremere nell’anticipazione di essere strappata, imbrigliata, posseduta: divorata, dolcemente, teneramente, con peccaminoso ardore.

E ne annusava il sentore libertino, gustosamente immorale, assolutamente appetitoso; dimenticò sciocchi ruoli da interpretare, si scordò d’osservare servili distanze nel momento in cui le dita, prive dei consueti guanti, scostarono una ciocca dispettosa, ancora umida incollata al collo tenero di Ciel, così facile da corrompere, così invitante da mordere e far sanguinare, accesso delizioso all’anima che lo aveva irretito, che lo aveva innamorato di un amore così distante da quello flemmatico ed effimero degli uomini: quell’amore vorace, ferino, sovrannaturale, nella sua essenza più pura, potente quanto l’odio nella perpetua dicotomia di cui erano poli immutabili, statici, eterni.

 

-Smettila, Sebastian. Si può sapere cosa stai cercando di insinuare?

La tipica sfumatura arrogante nel tono di voce di Ciel vacillò per un istante; quella dannata esitazione finale lo tradì e Sebastian ne approfittò, inchinandosi e sillabando al suo orecchio proteso.

-Perdoni la mia franchezza, ma devo confessarle che è anche diverso dal vederla fallire nell’allacciarsi le scarpe… Non oserei mai insinuare nulla, piuttosto direi che ho apprezzato il suo aspetto, così inquietante, distorto dal piacere, scabroso ma pur sempre elegante. Si confà ad uno come lei, così minuto, così estremamente fragile.

Quell’alito profumato di Inferno, esalato con ogni salace verbo, era per Ciel uno spasimo di piacere che giammai lo avrebbe stancato.

-Razza di idiota… !

Ciel inveì contro l’uomo irto dinnanzi a lui, maledicendo la propria, inopportuna debolezza; indietreggiò, strizzando i pugni, poi tuonò aspro, con un’espressione contrita e sdegnata dipinta sul volto.

-Non dirmi che mi hai spiato… ?!

Si morse il labbro, nevrotico attese una replica che, gelida e pungente, non tardò ad arrivare.

-Non credevo che vederla indulgere a tali diletti fosse così interessante. E sì, ho seguito i movimenti delle sue mani e ciascuno degli spasmi delle sue gambe, ho contato ogni suo brivido… E ho ascoltato ciò che la sue deliziose labbra gemevano e sussurravano, piagnucolavano quasi… Ricorda, bocchan? Lo specchio dell’anima…

Sebastian trasalì; si massaggiò basito la parte lesa, cercando di lenire il bruciore per l’improvviso schiaffo assestato con forza sulla sua gota sinistra.

-Tieni a freno la lingua, o hai scordato con chi stai parlando, servo!

Sebastian tacque per un istante, sgomento; sgranò gli occhi e sbatté le palpebre, prima che un sorriso beffardo si accennasse appena sulle sue labbra, appena incurvate all’insù.

-Le chiedo scusa, signorino.

Si pose una mano sul petto con fare riverente, gli occhi desolati obbedientemente rivolti a terra.

-Sono profondamente mortificato.

Lo sbeffeggiò in maniera subdola, il freddo scherno sapientemente camuffato dal tono pacato e cortese della sua voce.

Ciel lo guardò allibito, le iridi brillanti di rabbia e le sopracciglia aggrottate; non si era neanche accorto di come le sue scapole fossero premute dolorosamente contro la parete priva di intonaco dietro di lui: ogni passo in avanti del demone, tardo e suadente, lo aveva alla fine inchiodato al muro, come una ingenua e debole preda braccata da una belva feroce.

Dal parte sua, Sebastian era rimasto in piedi davanti a lui, contemplando il laconico silenzio del suo signore, indispettito, spettinato e con un lieve rossore ad imporporargli le guance e il dorso del piccolo naso all’insù; l’odore acre del seme che ancora gli impregnava la pelle e la camicia da notte era una piacevole distrazione, un dolce profumo afrodisiaco, deviante quanto bastava ad accrescere la sua voglia di irretire quel ragazzino orgoglioso, costringerlo alla resa, farlo capitolare e gustarne, per una sola, eccitante volta, la lasciva disfatta.

Solo perché era lui, Ciel Phantomhive.

Una candida rosa dalle irte, sanguinarie spine.

E gli apparteneva.

Immensamente, all’infinito, in eterno.

Per omnia saecula saeculorum.4

 

-Avrebbe solo dovuto ordinarmelo.

Sebastian sogghignò, leccandosi avidamente le labbra secche. Proseguì imperterrito, deliberatamente sensuale.

-Io l’avrei fatto.

Si chinò in avanti, sussurrando a ridosso delle rosse e accattivanti labbra, sporte in un provocante broncio stizzito; senza preavviso si dischiusero, vibrando nell’infernale tormento di cedere al bacio che, oltre al suo corpo, gli avrebbe concesso il suo cuore, la sua anima, di nuovo, ancora.

-E allora fallo.

-Lo dica, signorino. Pronunci il mio nome… Me lo ordini.

Una carezza pudica lambì il ventre teso attraverso la stoffa di seta leggera della veste corta, scendendo in basso in una movenza improvvisa, sconcia e triviale, dolcemente contrastante con le parole, colme d’adorazione, di Sebastian.

-Prendimi, Sebastian. E’ un ordine.

 

 

 

-Yes, my lord.

 

 

 

 

 

 

 

 

*   *   *

 

 

 

 

 

 

La salsa ambrata del curry scivolò densa sulla pelle nuda, mescolandosi agli umori agrodolci del rapporto appena consumato.

Le dita vi si mescolarono avide, premendo contro le labbra gonfie e chiedendo riverenti l’accesso a quella bocca zuccherata, così tenera e corrotta, che mai si sarebbe stancata di cedere alle lusinghe di quei baci voraci e accaldati, frementi e asfissianti.

-Ne gradisce ancora, bocchan?

Il tacito rifiuto fu accentuato dal capo prontamente girato di lato, le palpebre strizzate spasmodicamente quando le dita scesero a contornare, con brevi movimenti concentrici e lussuriosi, il marchio scarlatto sulla sua pelle; Sebastian vezzeggiò con una premura insolita, quasi commossa quei segni rossastri, quasi volesse imprimerne ogni rilievo nella propria memoria, prima di risalire sul viso di Ciel, carezzandolo nel vano tentativo di calmare gli ansimi che ancora non si erano spenti del tutto.

 

-Dio…

L’aria tronfia, tipicamente altezzosa di Ciel, aveva lasciato il posto ad una mai tanto visibilmente indifesa, terribilmente ingenua.

E gli piacque immensamente, come quell’ultima invocazione, proferita a fior di labbra; non esitò a raccoglierla e stravolgerla, sovvertendola come era solito fare, con tono provocatoriamente compiaciuto.

-Mi perdoni, signorino, ma non credo che Dio sarebbe molto soddisfatto nel vederla in questo stato.

Sentenziò spietato, circuendogli le spalle con le braccia e sollevandolo dallo scomodo tavolo dove ancora le tracce opalescenti del misfatto, mescolate alle spezie del curry, erano lì a rammentare la fuggevole frenesia dell’umido amplesso che, simile a un sacrificio divino, si era appena compiuto.

Ogni gesto di Sebastian pareva contrastare con la malvagità implicita nelle sue parole rivolte a Ciel, ormai stremato; con un balzo elegante e repentino, lo prese delicatamente in braccio, fingendo di ignorare il sussulto che scosse quel corpo acerbo, appena contaminato dal seme di un demone.

Ed era proprio l’ingenua sensualità di quel corpo gracile e meraviglioso, la purezza stuprata dalle tenebre di quell’anima tanto invitante ad inoculare in lui quel senso di perversa adulazione e tenerezza che mai avrebbe cessato di usare nei confronti del suo capriccioso, preziosissimo signorino.

Lo cullò mordacemente tra le sue braccia, rimembrando ogni singola unghia conficcata nella sua schiena, le gambe strenuamente allacciate al bacino, il manrovescio assestato sulla sua guancia nel momento in cui l’aveva preso con tanto ardore, i singhiozzi smorzati dalle labbra premute contro il suo polso e il suo nome, gemuto, sillabato, evocato in preda al tormento nella notte, urlato alle tenebre, mentore di una fede rinnegata e di un Paradiso proibito.

-Sebastian… ?

Il fazzoletto imbevuto d’acqua e sapone che stava facendo scorrere lungo le gambe tuttora scosse dai tremiti del ragazzino, si fermò di colpo.

-… Dimmi che anche allora… Che allora… Mi farai male come hai fatto adesso.

Quel signorino, così perfido e così dolce, mai avrebbe smesso di provocargli quei brividi, del tutto ignoti eppur piacevolissimi, a serpeggiargli sotto la pelle con ogni sorpresa che le sue improvvise parole gli riservavano.

Lo scrutò curioso, percorrendo con le iridi illanguidite dalla brama di divorarlo ancora, di più, fino in fondo alle viscere, le forme delicate del suo corpo finito: gli sorrise amabilmente, con dolcezza quasi commossa a quel tono flebile di voce che mai prima d’allora aveva ascoltato, intervallato dagli ansimi che andavano lentamente scemando.

-Tipico di lei, signorino…

-Così come hai scolpito il mio dolore nella mia carne… Giurami che allo stesso modo lo scolpirai nella mia anima…

Ciel si voltò a guardarlo, sollevò il viso e dischiuse la bocca per poter parlare ancora, prima che venisse rapita da un nuovo, famelico bacio.

-Si, mio signore.

Gli leccò un’ultima volta il labbro inferiore, sollevandolo di nuovo da terra e conducendolo nelle sue stanze ai piani superiori.

-Non lasciarmi, stanotte, Sebastian.

Il sorriso che increspò le labbra di Sebastian si incupì al chiaro di luna che filtrava dalle tende, venandosi di un’ineffabile, esagitata, beffarda malinconia.

-Finché lo desidera, le starò accanto e non abbandonerò il suo fianco. Le apparterrò e rimarrò con lei. Fino alla fine.

 

Lo guardò un’ultima volta, vegliando il sonno che non tardò a giungere.

Avrebbe adorato quel ragazzino fino in ultimo.

Avrebbe accettato tutto ciò che quell’esile corpo aveva da offrirgli.

Avrebbe avviluppato al suo cuore il filo spinato del possesso per impedire alla tentazione di altri baci che non fossero i suoi di sottrarne i piccoli, infantili e veloci battiti.

Lo avrebbe tenuto stretto al suo petto qualora gliel’avesse chiesto.

 

Purché non l’avrebbe reso troppo affamato.

Almeno fino al giorno in cui gli avrebbe preso –divorato- l’anima.

 

-Riposi adesso, bocchan.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note al testo.

 

1L’albero proibito del giardino dell’Eden: mangiandone, Adamo ed Eva disobbedirono a Dio cedendo alle lusinghe di Satana, discernendo così il Bene e il Male.

 

2Nome scientifico dell’oppio, uno stupefacente ottenuto appunto incidendo le capsule immature del papaver somniferum, raccogliendone il lattice che emana un odore vagamente dolce e che ha un gusto profondamente amaro.

 

3E’ una pianta erbacea che si coltiva principalmente nelle aree del Mediterraneo. Si usa per il curry.

 

4Espressione latina tradotta come “nei secoli dei secoli”.

 

 

 

 

 

 

Nda: severe nosebleed, direbbero le colleghe americane *ç*. Parecchia gente ultimamente sta attentando alla mia vita, a cominciare dall’Autrice di SebxCiel Cat in My Fridge per finire a Hisae Fujikawa che da Sapporo mi ha spedito due doujinshi ancora incellophanate SebastianxCiel R18 da sala di rianimazione… A proposito, se qualcuno è disposto a tradurmele, me lo faccia sapere, che non esiterò a scannerizzarle… Anche solo vederle… *ç* My, oh, my…

 

 

Ma bando ad ogni ulteriore delirio, ringrazio tutte le ragazze che mi sostengono e mi commentano, in particolare:

 

Saruwatari_Asuka :  oh, salve! Innanzitutto ti ringrazio per aver commentato anche le mie altre storie, non sai quanto mi ha fatto piacere sapere che anche questa fiction ti sia piaciuta! E sì, verissimo, per quanto mi piaccia l’anime di Kuroshitsuji, il manga è qualcosa di terribile, splendido, perverso e affascinante e come fare a non adorarlo, specie in alcune parti, come quando Sebastian cerca di imboccare Ciel… Esilarante XD E non preoccuparti per la recensione infinita, oltre a farmi un piacere immenso, è sempre bello condividere le proprie passioni. Spero che questo capitolo non ti deluda ^*^

 

Owarinai yume: Adoro Edgar! Infatti quando ho visto che Ciel nel manga lo legge, sono quasi impazzitaXD E anche io adoro questi due e le loro frecciatine: Sebastian è un co***one, Ciel anche… COME NON AMARLI??  Sono davvero contenta d’essere riuscita a rendere la coppia, e grazie mille ancora per i complimenti ^*^  ^*^

 

DEVILKRIS: Mi fa piacere ti sia piaciuta, in fondo l’intento di scegliere uno stile di scrittura piuttosto che un altro è proprio quello di tener vivo l’interesse di chi legge. Mi fa piacere sapere d’esserci riuscita almeno in parte e mi auguro che anche questo capitolo ti piaccia. **

 

 

 Grazie mille ai Preferiti che aumentano e alle Seguite, con la speranza che questo capitolo non sia molto deludente.

 

 

Kiss.

 

Stè.^^

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler / Vai alla pagina dell'autore: Black_Eyeliner