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Autore: depy91    01/12/2009    2 recensioni
Ecco gli avvenimenti immediatamente antecedenti alla partecipazione di Sergei Dragunov al quinto torneo. Uno strano ritrovamento cela infiniti misteri...
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno degli hacker al servizio delle truppe di Zarkovskij interruppe improvvisamente il suo discorso, per esporre le ultime utili notizie trapelate dalla sua opera di pirateria informatica. Egli era riuscito a superare le difese di sistema di una nota società di biotecnologie, la G-Corporation, e si era impossessato di dati top-secret raccolti in occasione di uno dei loro studi sperimentali della massima importanza. Il file riguardava il lavoro compiuto dagli scienziati della corporation sulla salma di un giovane rinvenuto un ventennio prima nella bocca di un vulcano. Sofisticati esami avevano permesso di rintracciare nel suo DNA una molecola davvero unica, la quale si attivava solo in seguito a specifici stimoli bioelettrici provenienti dal cervello del soggetto. L’attivazione di queste particelle provocava nell’organismo ospitante un’immediata metamorfosi in un essere del tutto nuovo. I biologi della G-Corporation avevano denominato tale molecola come Devil gene. Inoltre un’altra sconcertante verità veniva rivelata da quella banca dati: il cadavere della cavia esaminata era stato identificato e si trattava proprio di Kazuya Mishima. La pista da seguire per i segugi della SPETSNAZ era ormai tracciata e il ghigno soddisfatto sul volto del caporale non concedeva dubbi, sapevo esattamente cosa gli passava per la mente, ma per non destare troppi sospetti, mi vidi costretto a domandare per quale ragione esattamente ero stato convocato al suo cospetto. Egli mi pose una mano sulla spalla e posando il suo sguardo fermo sui miei occhi, mi chiese se, in base a quanto avevo scoperto finora, esistesse la possibilità di trovare una relazione tra le due creature appena analizzate e quella che giaceva nei loro laboratori. Non potevo mentire e fui obbligato ad ammettere che il manoscritto medioevale raccontava che lo spirito del demone avrebbe comunque potuto reincarnarsi nel corpo di chiunque, nonostante fosse stato privato del proprio. Tanto bastò all’ufficiale per confermare ai suoi sottoposti l’ordine di proseguire nelle indagini con maggiore lena, poiché l’obiettivo stava per essere raggiunto. A questo punto   Zarkovskij mi invitò a collaborare alle ricerche di nuove informazioni e dunque a rimanere nella sala dei computer per offrire il mio apporto, mentre egli si sarebbe trasferito nel suo ufficio in attesa di altri esaltanti aggiornamenti. Dovetti accettare, perlomeno così facendo, avrei potuto ricavare maggiori dettagli sul suo piano ed avrei trovato un modo per porvi rimedio. Fu allora che mi venne in mente l’idea del diario, intuendo che questa faccenda si era oltremodo complicata per permettermi di abbandonare il progetto liberamente, sapevo ormai di conoscere troppe cose, ma per fortuna dalla mia avevo ancora la fiducia del caporale.
L’indagine si spostò allora sulla famiglia Mishima, per scovare i suoi legami con il Devil gene. Dopo un minuzioso lavoro sui dati, diverse ore più tardi si scoprì che periodicamente era uso di questa stirpe, indire un grande torneo di arti marziali, il Tekken, a cui partecipavano prontamente tutti i migliori combattenti del mondo, per raggiungere l’ambito titolo di Re del Pugno di Ferro. Sino ad ora si era giunti alla quarta edizione. I rapporti della G-Corporation informavano che Heihachi Mishima era rimasto ucciso nella tremenda esplosione che aveva coinvolto il tempio in cui si era da poco svolta la finale. Nonostante questo però qualcuno, di cui la fonte non conosceva l’identità, aveva preso il controllo della Zaibatsu ed aveva annunciato l’imminente inizio del quinto Tekken. Al torneo era stato invitato, tra gli altri, anche un altro componente della famiglia Mishima, un tale di nome Jin Kazama, figlio di Kazuya e vincitore delle due precedenti edizioni. Il confronto tra questo individuo e le foto del demone che aveva cancellato un’intera foresta non lasciava dubbi a riguardo, si trattava della stessa persona. Dunque anche Jin deteneva il Devil gene e di certo avrebbe partecipato al torneo. Uno degli scienziati alle mie spalle pronunciò una frase che da tempo ormai temevo di sentire. Egli ipotizzava di poter ripristinare il corpo senza vita del mostruoso essere se la SPETSNAZ fosse stata in possesso di quel prezioso lembo di DNA. Maledissi il giorno in cui accettai di collaborare a questo insano progetto, mi ero reso conto troppo tardi dei rischi a cui stavo esponendo centinaia di persone. Mi odiai profondamente per tale ragione. L’ultimo tassello per la rievocazione della micidiale piaga dal passato era stato trovato, non restava che acquisirlo e combinarlo con i restanti. Afflitto e impotente sentii le forze abbandonarmi e le gambe cedere, mi lasciai cade su di una sedia in attesa che il peggio si compiesse. Un emissario corse a chiamare il caporale, affinché fosse messo al corrente degli ultimi risvolti della ricerca.  Passarono soltanto pochi minuti, poi lo vidi entrare. Entusiasta si complimentò con i fautori delle recenti scoperte e chiese maggiori informazioni, sulle quali aveva ascoltato solo un breve accenno dall’emissario. Prese la parola lo scienziato che per primo aveva ammesso la possibilità di riportare in vita la creatura sfruttando le strabilianti potenzialità del Devil gene, egli espose la sua teoria, riscuotendo grande successo tra i presenti. Ammutolito e incapace di qual si voglia reazione, io rimanevo seduto e contratto in un’espressione spenta e imperscrutabile. Nell’entusiasmo generale, nessuno badava al mio pallore o alla mia espressione di profonda perplessità, ma anche se fosse avvenuto il contrario, chi avrebbe mai voluto ascoltarmi? Probabilmente se qualcuno si fosse reso conto del mio parere contrastante con quello degli altri membri dell’equipe scientifica, sarei apparso come un peso da eliminare, una scomoda spina nel fianco, e non escludo che avrebbe potuto toccarmi una sorte non dissimile da quella della spia infiltrata, di cui nessuna ulteriore notizia era trapelata. Fu resa nota a Zarkovskij l’esistenza del grande torneo di arti marziali e della partecipazione del obiettivo chiave, detentore del gene agognato. Il caporale poggiò i pugni sulla scrivania su cui erano posate le tastiere dei computer, il suo sguardo si fece più fermo e penetrante del solito, fissandosi sulle foto di Jin Kazama, che scorrevano sullo schermo. Rimase in silenzio per un tempo che mi parve illimitato, infine espose il suo comando: il suo piano consisteva nell’infiltrare un combattente al servizio delle SPETSNAZ tra gli iscritti al Tekken, il suo obiettivo sarebbe stato quello di catturare Kazama e portarlo al quartier generale siberiano, dove gli scienziati nel frattempo avrebbero già ultimato la costruzione dei macchinari necessari all’operazione di estirpazione e trasferimento del Devil gene. Tutto era ormai stabilito, restava soltanto un unico dettaglio da definire, ossia la selezione di colui che avrebbe preso parte al torneo. Gli angoli delle labbra del caporale Zarkovskij si sollevarono in un ghigno inquietante ai miei occhi. Egli sapeva esattamente su chi sarebbe ricaduta la sua scelta. Si voltò di scatto verso uno dei soldati posti di guardia all’ingresso, gli ordinò di avvicinarsi, poi bisbigliò qualcosa al suo orecchio e appena ebbe concluso, il militare scattò sull’attenti e uscì di corsa dalla stanza. Mi guardai attorno, notai che tutti i soldati in sala sorridevano alla stessa maniera del loro superiore, come se avessero tutti la certezza di conoscere cosa il caporale avesse confabulato all’orecchio del loro compagno d’armi. Ancora divorato dal rimorso, riuscii tuttavia a rimettermi in piedi e compiere qualche passo verso una delle guardie. A voce sommessa domandai al soldato se fosse stato in grado di offrirmi delle delucidazioni sul prescelto di Zarkovskij. Egli mi rispose che con assoluta sicurezza l’uomo perfetto per la missione corrispondeva ad un membro delle SPETSNAZ, che aveva raggiunto una notevolissima fama tra i suoi colleghi e soprattutto tra gli ufficiali, per la sua totale mancanza di scrupoli e il suo completo asservimento alle cause del reparto delle forze speciali. Veterano di infinite battaglie, questo militare dalle indubbie qualità era noto per la sua profonda conoscenza del Sambo, un tipico stile di combattimento russo. I suoi colpi precisi e letali come un proiettile ed il suo aspetto austero ed impassibile, persino di fronte all’ultimo respiro degli avversari, lo avevano trasformato in una leggenda tra le SPETSNAZ, ottenendo il suo terrificante soprannome di Angelo Bianco della Morte, una definizione che ben rendeva il suo spirito combattivo ed i modi silenziosi e solenni. Alcuni giuravano che fosse stato privato della lingua, poiché non amava parlare e preferiva dimostrare il suo valore con le azioni. C’era persino chi provava timore semplicemente a guardarlo negli occhi, i quali incutevano, secondo il mio conversatore, profonda soggezione. Da quanto mi era appena stato spiegato, un simile individuo, la cui intera vita era devota alla guerra, non avrebbe di certo rifiutato la missione che il caporale aveva stabilito di affidargli, e così anche la mia ultima speranza di prendere qualche altro giorno di tempo per trovare un modo di evadere da questo carcere di ghiaccio e divulgare le intenzioni dell’organizzazione, andava miseramente in fumo.
Percepii un rumore, un crescente calpestio nella soffice neve, poi la pesante porta d’ingresso al laboratorio che cigolava mentre veniva aperta, ancora dei passi, qualcuno si stava avvicinando. La maniglia ruotò emettendo un sottile stridio, la spessa imposta blindata fu scostata, un flebile alito di vento precedette l’entrata dell’emissario di ritorno dal suo incarico. Appena un istante dopo, un altro soldato in uniforme fece il suo ingresso in sala, procedendo lentamente, circondato dal silenzio dei presenti, che ammutolirono aspettandosi delle presentazioni. Tuttavia egli non aprì bocca, come se la cicatrice, che gli deturpava le labbra ed il volto pallido, fosse una sorta di sigillo per la sua voce, sebbene i suoi occhi vitrei comunicassero molto più di prolissi discorsi. Fu il caporale ad introdurlo a tutti noi come Sergei Dragunov, milite di indubbio valore e raro acume, nonché perfetto esecutore di ardue imprese, di certo il migliore elemento della SPETSNAZ. Riconobbi immediatamente quello sguardo, si trattava proprio del soldato che aveva attirato la mia attenzione tempo addietro, ma nonostante ciò, incuteva in me le stesse particolari sensazioni di allora. Non disse nulla, nemmeno quando il caporale Zarkovskij lo accolse dandogli il benvenuto, né quando il responsabile dell’equipe scientifica premise che quanto avevano da proporgli avrebbe potuto costituire serio pericolo per la sua stessa incolumità e neppure quando iniziarono ad illustrargli la missione nei minimi dettagli. Brevi cenni del capo sostituivano ogni parola e a spiegazione ultimata, non un briciolo di incertezza o timore attraversò i suoi occhi, bensì dimostrò di accettare di buon grado la difficile mansione che gli era stata affidata, posizionandosi sull’attenti, con visibile soddisfazione del suo superiore, che avendo ottenuto quanto sperato, congedò l’agente scelto, consegnandogli una fotografia del target. Precisò che Jin Kazama doveva assolutamente giungere vivo al quartier generale e tale frase mi sconvolse almeno quanto l’aria del tutto naturale con cui l’Angelo Bianco della Morte apprendeva quell’inquietante restrizione al suo operato, ma evidentemente si trattava di un appunto necessario, che forse non sempre era stato rispettato, con mio grande orrore. Infine Zarkovskij gli consigliò di iniziare a preparare l’occorrente per la missione, un lungo viaggio verso l’Oriente lo attendeva. Dragunov annuì e silenzioso come un felino in agguato sulla preda, lasciò la sala senza degnare di uno sguardo nessuno dei presenti. Mi ripresi dalla mia momentanea distrazione, causata dal tentativo di scrutare nell’animo di quell’uomo misterioso, e constatai che avevo già fatto tutto ciò che era in mio potere per ostacolare i piani della SPETSNAZ, ma un semplice archeologo non poteva certo pretendere di riuscire in un simile obiettivo. Un ultima cosa tuttavia mi restava ancora da fare. Mi scusai col caporale e gli chiesi il permesso di ritirarmi nel mio alloggiamento, adducendo come motivazione un’improvvisa emicrania che non mi avrebbe permesso comunque di lavorare serenamente. Egli accettò con qualche esitazione, così potei allontanarmi dal laboratorio e chiudermi nella mia stanza, avendo avuto premura di controllare che nessuno mi seguisse. Tirai fuori da un cassetto un taccuino, afferrai la penna dal mio taschino e confidando nel sostegno della mia memoria, presi a scrivere questo diario, augurandomi che qualcuno possa leggerlo in tempo utile per evitare un tremendo disastro. Termino qui la rievocazione della mia esperienza e delle mie colpe, ribadendo che quanto riportato su queste pagine corrisponde purtroppo al vero. Quell’essere diabolico risorto dalle viscere della terra deve restare un segreto, come lo è stato per tutti questi secoli, affinché non piombi su tutti noi un’era di tenebre e sangue, da cui difficilmente potremmo emanciparci.

Prof. Philip K. Harrison
  
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