Giochi Pericolosi.
2- Our passion-play has now, at last, begun . . .
Past the point
of no return -
no backward glances:
the games we've played
till now are at
an end . . .
Tre Colpi.
La maniglia che si apriva.
Lee Chaolan si concesse un sospiro di sollievo,
mentre si voltava verso di lei, precedendo i passi che li separavano. “Ti
sembra l’ora di arrivare? E’ l’una passata!”
Anna si scosse il cappotto scuro e il berretto di
pelliccia, bagnati di pioggia. “Hai visto che tempaccio c’è fuori? C’era il
traffico bloccato. Pensavo che il ragazzo di là ti avesse avvisato.”
“No, non lo ha fatto.” L’aiutò a sfilarsi la giacca
come sempre, cercando di frenare un tremito di nervosismo nelle mani. “Ormai
iniziavo a pensar male.”
La ragazza lo fissò, un sopracciglio alzato,
appoggiando la borsetta con noncuranza su una poltroncina. “Stai calmino, Honey.
Deve ancora nascere l’uomo che frega Anna Williams.”
Le porse il bicchiere di vino storcendo la bocca
sarcastico. A volte l’incuranza di Anna per certe cose lo infastidiva. Avrebbe
dovuto stare più attenta, cercare di stare lontano da guai, ed invece non solo
si gettava in mezzo all’occhio del ciclone, ma peggiorava la situazione
intrattenendo dei brandelli di relazione con il diretto avversario del suo
pericolosissimo capo.
Comprendeva appieno il suo desiderio di rivalsa e il
suo rancore nei confronti di sua sorella Nina, come avrebbe potuto non farlo,
ma la sua spasmodica ricerca di guai gli era incomprensibile.
Uno di quei giorni l’avrebbero scoperta e, credendo
che facesse da spia anziché da amante, l’avrebbero fatta fuori.
Esternò il pensiero a lei, ricevendo uno sbuffo
irritato come risposta. “Non accetto ramanzine da te.”
“Non accetti suggerimenti da nessuno, Anna. Per
questo sei una banderuola al vento.”
“Ma come ti permetti!” strillò sdegnata come se
avesse ricevuto uno schiaffo. Appoggiò il calice con forza sul tavolino,
girando i tacchi per andarsene. Lee riuscì a scattare tra lei e la porta,
bloccandola. “Aspetta. Non intendevo offenderti. Scusa.” Disse, trattenendola
per le spalle. “Quello che voglio dire è che sono preoccupato per quello che
potrebbe accaderti. Non sarebbe meglio che…”
“…Che terminassimo qui le nostre uscite?” Lo sguardo
di Anna era penetrante, duro, le braccia conserte al petto per darsi sicurezza
ed allontanarlo, erigendo una barriera che la rinforzasse.
“Non era quello che intendevo dire, ma non puoi
negare che se Kazuya ti scoprisse, tu correresti un grosso rischio. Lo hai
valutato bene? Ti sei domandata se ne vale davvero la pena?” Anna fece di nuovo
il moto di andarsene, ma lui la trattenne per le braccia.
“Non parlo per me. Guardami quando ti parlo, per
favore. Io non corro alcun rischio. Eppure mi sono premurato di costruire un
piano per vederci, di farti trovare sempre uno dei miei stretti collaboratori
al locale che frequenti, che dia l’impressione che veniate in un hotel per
spassarvela tra di voi, tutto questo per cercare di farti correre meno pericoli
continui. Fosse stato per te ci saremmo frequentati alla luce del sole. Sai
quanto saresti durata?”
La donna fu costretta ad annuire debolmente.
Sospirò, allontanandosi da lui, voltandogli le spalle. La sua voce era stanca.
“Mi dispiace di non riuscire a calcolare tutto alla perfezione come Nina.”
Le braccia dell’uomo le cinsero la vita, le labbra
si posarono su una spalla. “Non volevo dire questo, Principessa. Dico solo che
dobbiamo stare estremamente attenti
nei nostri incontri. Anna, stasera hai tardato ad arrivare e io ho sinceramente
temuto che ti fosse capitato qualcosa.”
Rimasero in silenzio, a fissare i vetri della
finestra che venivano graffiati dall’acqua. “Non sono venuta qui per litigare.”
Ricordò lei, voltandosi. Gli premette l’indice laccato di rosso sulle labbra.
“Quindi è meglio se stiamo zitti entrambi, ok?”
“Dormi qui, stanotte.”
“Non eri tu quello che parlava di sicurezza?”
Questa volta fu Lee ad essere costretto ad annuire.
“Ma non mi piace che tu te ne vada come una ladra senza nemmeno salutarmi. Mi
piace svegliarmi con te.”
Anna rimase immobile per qualche istante, per poi
scivolare dal suo abbraccio ed allontanarsi di qualche passo da lui. Pareva improvvisamente
a disagio. Riprese in mano il bicchiere di vino, sorseggiandolo. Sembrò
riacquistare il controllo, voltandosi verso di lui con il suo solito,
smagliante e provocante sorriso. “Cosa stai aspettando?” lo invitò,
avvicinandosi e giocherellando con la cravatta, guidandolo verso la sua bocca.
Lee sentì le sue dita fresche infilarsi tra i bottoni della camicia,
slacciandogli uno ad uno. Lasciò che facesse scivolare la giacca via dalle sue
spalle larghe, che sganciasse la cintura dei pantaloni, prima di spingerlo
indietro, facendolo cadere sul materasso. Si mise a cavalcioni su di lui,
bloccandolo tra le sue gambe e le sue labbra, stuzzicandolo come solo lei,
esperta ammaliatrice, sapeva fare.
Lee chiuse gli occhi, lasciandola giocare con lui.
“Io avrei un’idea.”
“Quale?”
“Goderci un weekend in montagna. Posso trovare una
casa isolata, in una zona tranquilla, e potremmo passare insieme un paio di
giorni; solo tu, io e il caminetto acceso.”
“Lee… da quando in qua hai queste uscite
romantiche?” Nel buio della notte, Anna alzò la testa dal suo petto, aprendo
gli occhi, una punta di amarezza e sarcasmo nella voce. “Mi spaventi, sinceramente.”
“Sciocchina. Dicevo sul serio.” Lee incrociò le
braccia dietro alla testa, pensieroso. “Potrebbe essere rilassante, non trovi?”
“Lo sarebbe sicuramente, ma è una cosa totalmente
infattibile, per quanto mi riguarda.” La donna si voltò dall’altra parte,
mostrandogli la schiena nuda. Le luci della città penetravano tra le tende mal
tirate, gettando la stanza in una penombra bluastra.
“Potrei trovare un modo per…”
“Smettila” sibilò lei, un piccolo singhiozzo che le
scosse la schiena. “Lee, prima parli di stare attenti, di non fare passi falsi, e poi te ne esci con questa stronzata, perdona il francesismo.” Si
alzò a sedere, accendendo l’abat-jour con un gesto stizzoso. “Dove vuoi
arrivare? Credi davvero di riuscire ad illudermi? Ti piacerebbe farlo?”
Lee rimase a bocca aperta, seguendola con lo sguardo
mentre andava in bagno, uscendone qualche minuto dopo, truccata e pettinata, pronta
a rivestirsi e ad andarsene.
“Io non volevo…”
“Non sopporto essere presa in giro.”
“Ti giuro, Anna, io non intendevo…”
“Risparmiati i tuoi giuramenti da quattro soldi.
Prima fingi di essere preoccupato a morte per la mia incolumità, poi mi chiedi
di fuggire su due piedi per un weekend romantico tra la neve. Cosa ti aspetti,
che faccia armi e bagagli e venga con te? Lee, questo è tutto il relax che
posso permettermi, tutto il tempo libero che posso ottenere. E le tue stronzate
me lo avvelenano.”
L’uomo Riuscì ad afferrarle un polso e a condurla a
sé, ancora seduto sul letto. “Mi sono lasciato andare, scusami. Non volevo
innervosirti.” Disse baciandola. “Mi perdoni?”
Anna sembrò pensarci qualche secondo. Una parte di
lei urlava di gettargli le braccia al collo e tornare sotto le coperte con lui,
mentre l’altra le suggeriva di lasciarlo lì, nudo sul letto disfatto e di uscire
dalla porta, per non entrarci più. Non era la prima volta che si rivestiva e se
ne andava, senza interessarsi ulteriormente a chi aveva condiviso la serata con
lei.
Era come una valvola di sfogo, le donava sicurezza
sapere che riusciva ad avere il controllo sulle proprie emozioni e sugli
uomini.
Peccato che davanti agli occhi di Lee Chaolan (il
più grande donnaiolo che avesse mai conosciuto) questo suo controllo vacillava
e cedeva.
Ecco qual’era il pericolo reale del gioco, per lei.
Non venire uccisa da Kazuya o uno dei suoi, ma di cedere a Lee e di spezzarsi
alle sue lusinghe, di credere alle sue illusioni e di aver fiducia nelle sue
parole sussurrate tra quelle lenzuola spiegazzate. Il suo istinto di auto
conservazione era abbastanza sviluppato da non lasciarla cadere in quella
trappola.
Quante volte Mr Chaolan aveva ripetuto quel copione
di uomo interessato e protettivo, di fronte ad una donna?
“Devo andare.” Sussurrò infine. Le dita di Lee
lasciarono la presa e l’uomo sospirò. “Ci vediamo la settimana prossima?”
“Vedremo.”
Mormorò, prima di trovare la forza di uscire da quella stanza d’albergo.
Lee si lasciò cadere sul materasso, le braccia incrociate
dietro alla testa.
Le donne per lui non erano mai state un mistero.
Sapeva toccare i punti giusti (sia fisici che sentimentali) e la sua fama di tombeur di femmes era ben nota e
meritata.
Ma Anna Williams non era di certo come tutte le altre.
Quella strega riusciva ad entrare in
lui, a venire assorbita dalla sua
pelle, attraverso i graffi che lei creava, come segni magici, sulla sua
schiena. Anna non si faceva dimenticare.
Avrebbe
potuto giurarci che le prime volte che condivideva le sue serata con lei,
allora diciottenne disinibita ed impudica, avesse avuto in mano il suo cuore.
Forse non era davvero amore, il suo, ma qualcosa di molto simile, che le faceva
brillare gli occhi. Lo vedeva, lo percepiva.
Ma poi aveva scelto di seguire la sorella in un limbo di gelo.
Dal suo canto, Anna aveva sempre avuto su di lui
l’effetto di una calamita. Era attratto da una donna pericolosa ed infingarda,
che mischiava sapientemente la magia della seduzione e il fascino del mistero.
Un istante prima languida sirena, un minuto dopo terribile arpia. Si lasciava
andare quanto bastava per non essere considerata l’algido iceberg che era la
sorella, ma non abbastanza per far capire realmente le sue intenzioni, i suoi
pensieri.
Le sue debolezze.
Anna aveva paura di mostrarsi debole e patetica agli
occhi di qualcuno. Era una delle poche cose di cui lui ne era sicuro.
L’importante era che questo non le risultasse
fatale.
Ahi
ahi ahi… si stanno invischiando nel gioco… riusciranno ad uscirci?
Grazie,
Grazie Grazie per le recensioni!
Farò
del mio meglio per non deludervi.
Il
titolo (e l’intro) sono tratti dalla canzone “Point of No Return” del Fantasma
dell’Opera di Andrew Lloydd Webber… uno dei miei musical preferiti.
E
ditemi se non lo trovate adatto a questi due…
EC