Arte
Ma
quanto più penso ai sentimenti delle persone,
tanto
più mi paralizzo,
e
non riesco a muovermi.
Un silenzio irritante era
caduto e continuava ad aleggiare da quando Sirjan li aveva guidati alla stanza
in cui Oz era già stato altre volte, la stessa in cui il biondo si era
ritrovato a chiacchierare con Alyster a quegli assurdi orari notturni in cui si
incontravano.
Aedan lo aveva sorretto per
un po', i muscoli dell'addome doloranti per i colpi ricevuti da Cheshire:
Sirjan, di qualche passo avanti a loro, non si era mai voltato e li aveva
semplicemente preceduti.
Entrando, nella stanza
avevano trovato Alyster: aveva detto di essersi preoccupata, non trovando
Sirjan in camera e che per questo aveva controllato se non fosse tornato lì per
terminare qualche documento da consegnare il giorno dopo alla presidenza.
Dopo quello, però, non
avevano più aperto bocca: Aedan, già naturalmente silenzioso, si era sistemato
vicino alla finestra, guardando fuori per tutto il tempo benché non ci fosse
nulla da vedere.
Oz, stanco e dolorante era
stato fatto accomodare sul divano, mentre Alyster gli aveva disinfettato più
che altro i punti colpiti sul viso.
Sirjan, infine, si era
seduto dietro la scrivania e non aveva proferito parola.
Erano quindi in quella
situazione di stallo da abbastanza tempo ormai perché il cielo iniziasse a
schiarirsi, fuori, lasciando pian piano sopraggiungere l'alba.
Oz stava per alzarsi deciso
ad andarsene - stanco abbastanza da convincersi di poter rischiare di
addormentarsi anche in piedi e contro una colonna dell'atrio della scuola -
quando Sirjan si sistemò sulla sedia attirando la sua attenzione.
Assunse un'aria pensierosa,
l'indice che sfiorava il labbro inferiore per abitudine: «Aedan.» chiamò, lo
sguardo dorato che si spostava sulla figura del moro che distoglieva in quel
momento, per la prima volta, l'attenzione dall'esterno.
«Torna pure alla tua stanza
in dormitorio. Io e Alyster penseremo ad eventuali provvedimenti per la
sicurezza e te lo faremo sapere.» assicurò, concedendosi solo dopo l'annuire di
Aedan di incurvare le labbra in sorriso lieve ma cortese: «Scusami per averti
tenuto in piedi finora, e scusami con il tuo compagno di stanza per tutto il
lavoro che ti affido.» aggiunse e Oz fu quasi stupito di quanto palese fosse
stato il cambiamento d'espressione, considerando l'umore che sembrava essere
pessimo da quando lo aveva sentito rivolgersi a Cheshire.
Semplicemente, lo sguardo e
il tono gelido di prima che avevano reso Sirjan un'altra persona, sembravano
completamente scomparsi in favore della solita espressione cortese anche se
distante.
Aedan si limitò ad annuire
una seconda volta, prima di uscire dalla stanza.
Quando ebbe richiuso la
porta alle proprie spalle, Sirjan portò lo sguardo su Oz che avvertì su di sé
anche l'occhiata di Alyster, sebbene più discreta. Il più grande sospirò
appena, stancamente: «Preferirei di gran lunga rimandare le spiegazioni a
domani, trattandosi di un discorso complesso e vista l'ora e la stanchezza.
Tuttavia, ho idea che non ne saresti contento.» osservò, rimanendo in silenzio
e in attesa di una conferma da parte di Oz.
Il biondo abbassò per un
attimo lo sguardo, le mani che stringevano appena il tessuto dei pantaloni.
Quando rialzò gli occhi verdi, fu per portarli al proprio fianco, cogliendo la
mano di Alyster sfiorargli con gentilezza la spalla. Incrociò lo sguardo della
ragazza, notando che gli stava sorridendo seppur lievemente: «Puoi chiedere, ti
diremo tutto quello che possiamo dirti.»
«Che, in ogni caso,
significa che non possiamo rivelarti tutto.» fece subito eco Sirjan.
Alyster portò lo sguardo su
di lui, l'espressione tra il preoccupato e il dispiaciuto: «Ma fratello...»
tentò, interrotta dal gemello.
«Ci sono cose che nemmeno
noi conosciamo di Oz Bezarius.» disse Sirjan, lo sguardo che dalla sorella si
spostava sul biondo: «E ci sono cose che lui non può sapere di noi.» decretò,
alzandosi e avvicinandosi alla poltrona di fronte a quella su cui sedeva Oz.
Una volta preso posto lì,
focalizzò la sua attenzione proprio sul biondo: «Questo non ti vieta di fare
domande. Dico soltanto che ad alcune sarò costretto a rispondere in maniera
vaga, o che ad altre non potrò affatto fornirti una spiegazione.» concluse,
tacendo e lasciando il tempo ad Oz di pensare.
Quest'ultimo tacque a sua
volta, ma non parve ragionarci troppo su in realtà: di domande ne aveva, non
aveva bisogno di formularne ora.
«Quel tipo, quello con le
orecchie da gatto... non è umano, giusto? E allora cos'è?» chiese per iniziare,
puntando le iridi chiare in quelle di Sirjan, deciso ad ottenere finalmente
delle spiegazioni - sperando di fare le domande giuste.
Notò lo sguardo di Sirjan
indurirsi appena, o così parve: sembrava davvero che quel tipo, chiunque fosse,
non gli andasse a genio.
«Quello è Cheshire.»
esordì, pronunciandone il nome, il tono di voce che malgrado la palese
antipatia per il felino manteneva un'inaspettata inclinazione neutra: «Credo
che la spiegazione più semplice su cosa sia preveda come risposta
"spirito".» aggiunse, Oz che era in parte sorpreso e in parte no; che
Cheshire non fosse umano era stato piuttosto chiaro dall'aspetto fin
dall'inizio.
Sirjan riprese: «Ci sono
spiriti e spiriti, ma credo che affrontare questa spiegazione alle cinque del
mattino, dopo una notte insonne e un'esperienza come la tua non sarebbe né
utile, né salutare. Dunque, a meno che non sia un punto focale per le
spiegazioni che vuoi, eviterei di approfondire.» spiegò.
Oz tacque, lasciando cadere
il silenzio tra loro. Alyster non aveva aperto bocca se non all’inizio e Sirjan
sembrava per una volta davvero intenzionato a rimanere a sua completa
disposizione. Il biondo sospirò appena, alzando nuovamente lo sguardo su
Sirjan: «Perché ce l’ha con noi di Latowidge?» domandò, serio.
Sirjan sospirò a sua volta,
ed Oz ebbe la sensazione di aver fatto una domanda scomoda; tuttavia, l’altro
rispose ugualmente: «Non è una questione di studenti della scuola, in realtà. O
almeno, non reputo Cheshire qualcuno che apprezzo particolarmente, ma devo
dargli atto del fatto che non è mai stato violento finora.» premesse.
Oz, per ovvi motivi,
faticava a crederlo: «Il problema» riprese Sirjan «credo sia nella singola
persona. Tu, per essere completamente sinceri.» ammise.
Oz assunse un’aria
sorpresa: «Ma non lo avevo mai incontrato prima!» obiettò.
Sirjan lo osservò qualche
istante in silenzio, per poi portare lo sguardo verso la finestra: «Non è
esattamente di quel che hai fatto a Cheshire che dovresti preoccuparti.»
consigliò.
«Ma ti dico che non gli ho
fatto niente!»
«Appunto.» confermò Sirjan,
spiazzando il più giovane: «Quello che cerco di dirti è che Cheshire è solo un
custode. Probabile, pertanto, che in quanto tale esegua ordini più che prendere
iniziative proprie.» osservò in quello che, a giudicare dall’espressione
stupita di Alyster in quel momento, era un pensiero involontariamente espresso
ad alta voce che normalmente Sirjan avrebbe tenuto per sé.
«E questa persona chi è?»
domandò – prevedibilmente – Oz.
Sirjan alzò lo sguardo su
di lui: «Non posso dirtelo.» replicò, ed Oz parve risvegliarsi a quella risposta
che non ammetteva repliche. Per un attimo, gli era passato di mente
l’ammonimento iniziale di Sirjan e aveva di conseguenza dimenticato che c’erano
domande alle quali il capo dormitorio non avrebbe risposto.
Rimase in silenzio, di
nuovo: con ogni probabilità, Sirjan non avrebbe risposto nemmeno se avesse
domandato a cosa o chi Cheshire faceva da custode.
Optò quindi per un’altra
richiesta: «Quella ragazza… non era Alice, vero?» chiese, lo sguardo non più su
Sirjan che, invece, aveva portato gli occhi dorati quasi a studiarlo.
«No, non era Alice Lewis.»
replicò, Oz che si rilassava impercettibilmente senza rendersene conto lui
stesso. Almeno fino a quando non si rese conto di cosa la risposta potesse
effettivamente significare.
Se Cheshire era uno spirito,
era probabile che anche quella ragazza così simile ad Alice lo fosse; inoltre,
non aveva negato nemmeno di chiamarsi proprio “Alice”, e lo aveva definito
addirittura un nome nostalgico.
«Quella ragazza cos’è?»
domandò quindi, trattenendo impercettibilmente il respiro: se Sirjan avesse
risposto con “spirito” a quella domanda, avrebbe significato che Alice – che
fosse o meno il suo nome non era importante ora – doveva necessariamente essere
morta.
«Non posso risponderti.»
«Perché no?!» sbottò Oz,
alzandosi in piedi istintivamente e senza preavviso; Alyster gli posò
gentilmente una mano sul braccio, guidandolo a sedersi di nuovo: «La signorina
Lewis sta bene.» assicurò «E la sua salute non dipende dalla ragazza che hai
incontrato.» lo rassicurò, intuendone la preoccupazione.
Oz si sedette nuovamente,
calmandosi e sentendosi in un certo senso a disagio: non capiva come ci
riuscisse, ma Alyster sembrava leggere con facilità ogni sua espressione.
Al di là di un suo
probabile – ed ormai innegabile – intuito, però, Oz temeva che fosse dovuta
anche al fatto che con lei si ritrovava ad abbassare inevitabilmente la
guardia.
Scacciò quel pensiero,
concentrandosi nuovamente su Sirjan, scoprendo che sembrava non aver mai
distolto lo sguardo da lui.
«Hai altre domande?» chiese
il più grande, ancora tranquillo; Oz ci pensò su, come se trovare domande che
il capo dormitorio non potesse eludere fosse divenuta una vera e propria sfida.
Parve trovarla, o almeno
essere convinto di averlo fatto: «Prima hai detto a Cheshire che non volevi più
sentire di studenti che avevano avuto a che fare con lui… a chi è successo?»
chiese, osservandolo deciso ad ottenere una risposta, non importava quanto vaga
sarebbe stata.
Meglio del silenzio,
comunque.
Non gli sfuggì l’occhiata
che Sirjan rivolse ad Alyster prima di rispondere, ma si impose di mantenere
l’attenzione sull’altro: «Non hai saputo tu stesso di un’aggressione avvenuta
ultimamente?» fu la semplice ed incalzante risposta che gli fornì.
Oz per un attimo fu
spaesato da quelle parole che non si era aspettato; poi, fu colto da un
collegamento improvviso che, una volta formulato gli parve così ovvio da
sentirsi uno stupido a non averci pensato da solo.
«Vincent?!» esclamò
incredulo, notando Sirjan annuire. Ancora sorpreso Oz parve riflettere quasi
febbrilmente: «Ma tu mi avevi detto che c’entrava Glen Baskerville.» gli fece
presente.
Il silenzio cadde nella
stanza, come se Sirjan stesse cercando le parole più adatte per fare chiarezza
su quel punto; contrariamente a quanto Oz si aspettava, però, non fu la voce di
Sirjan a riempire il silenzio della stanza. Al contrario, furono gli inattesi
rintocchi del pendolo all’angolo, al primo dei quali Oz sobbalzò appena, non
aspettandoselo.
Sirjan sospirò, portandosi
una mano a massaggiare le tempie; si rivolse quindi al biondo: «E’ una
questione lunga ed estremamente delicata» esordì «che non è il momento di
affrontare ancora. Men che meno alle sei del mattino, dopo una notte come
quella passata.» spiegò, il tono pacato ma palesemente stanco.
«Oltretutto» riprese «non
ho l’autorità per decidere se dirtelo o meno.» ammise, rivolgendo di nuovo
un’occhiata alla sorella. Questa volta ad Oz venne spontaneo girarsi a
guardarla, ma non vide altro che il solito sorriso gentile che la ragazza gli
aveva rivolto dal primo istante in cui si erano visti: «Sirjan ha ragione.
Abbiamo tutti bisogno di riposare.» consigliò con dolcezza.
Oz annuì – era così
familiare la sensazione che provava nei confronti di Alyster, da non riuscire a
fare a meno di fidarsi di lei – riportando l’attenzione su Sirjan quando questi
parlò.
«La prima volta che te l’ho
accennato, l’avevo detto nella prospettiva con cui si dà un consiglio.» iniziò,
l’espressione seria: «Te lo dico nuovamente, come un ammonimento stavolta.»
chiarì, alzandosi ed avvicinandosi alla scrivania e poggiandosi al bordo.
Portò lo sguardo su Oz:
«Stai lontano da quell’area della scuola, Oz Bezarius.» pronunciò. Oz, alzatosi
a sua volta per avviarsi alla porta, abbassò istintivamente lo sguardo pur
annuendo.
Aprì l'uscio,
oltrepassandone la soglia e facendo per richiuderselo alle spalle, quando sentì
qualcosa tenerlo aperto. Voltandosi, notò che Sirjan teneva la maniglia
dall’altra parte, tirando leggermente verso di sé.
Oz lo guardò
interrogativamente senza capire, lasciando la maniglia dal proprio lato;
Sirjan, dall’altro, la socchiuse di poco: «Volevo solo consigliarti di farti
una bella dormita e di riprendere le lezioni dopodomani. Buonanotte.» disse, Oz
che sorrise appena augurandogli la buonanotte a sua volta.
Si stava voltando per
andarsene, quando la voce di Sirjan lo raggiunse di nuovo: «Ah, signor
Bezarius» disse «se mi costringerà a farle di nuovo presente quel divieto, la
prossima volta il mio sarà un ordine.»
Dire che lo spostamento
dalla stanza in cui aveva parlato con i fratelli Kolstoj al dormitorio era
avvenuto per pura forza di inerzia sarebbe stato dire poco. Inspiegabilmente,
aveva sentito la stanchezza arrivare tutta insieme e aveva tirato un sospiro di
sollievo quando – il sole appena sorto – aveva messo finalmente piede in
camera.
Aveva aperto e richiuso la
porta piano, in modo da non svegliare Noah – era ancora presto, ancora più se
si considerava il personalissimo fuso orario dell’altro.
Date queste considerazioni,
quindi, non poté non stupirsi di trovare il diretto interessato sveglio e
seduto alla scrivania.
In divisa.
Con un libro e l’aria di
uno che sta studiando.
Il primo pensiero fu di
avere le allucinazioni, e il secondo di aver dimenticato un compito in classe
fissato per quel giorno – unico motivo di disperazione che poteva indurre Noah
a studiare a quell’ora.
Per la terza ipotesi era
troppo stanco, quindi rinunciò a formularla.
Avanzò fino a raggiungere
il letto, sedendovi e godendosi una leggera ed iniziale sensazione di benessere
nella zona degli arti inferiori. Si voltò quindi ad osservare Noah di spalle:
«Noah, sei sveglio?» chiese, il dubbio lecito; Noah dormiva ovunque e
nelle posizioni più astruse.
«Sì che sono sveglio.»
replicò, il tono abbastanza reattivo. Oz si tolse le ciabatte con le quali
aveva vagato per tutta la notte: «Sono le sei.» osservò, ancora perplesso.
«Lo so, ho l’orologio sulla
scrivania.» disse l’altro senza muoversi più di tanto dalla propria posizione.
Oz abbozzò un sorrisetto
dei suoi – forse, complice la stanchezza, se Noah si fosse voltato avrebbe
riconosciuto senza sforzo una sfumatura incerta in quell’incurvarsi di labbra.
Nel mentre, spostandosi sul
letto, Oz raggiunse il comodino sul quale depositò l’orologio da taschino:
«Come mai studi a quest’ora?» chiese, riuscendo ad imprimere una nota divertita
nel tono. Vide le spalle di Noah alzarsi e abbassarsi appena più lentamente e
dedusse che si fosse trattato di un sospiro: «Perché alle quattro e mezza di
notte ho rinunciato a cercare di addormentarmi.» replicò, chiudendo il libro e
sostituendolo ad un quaderno.
Oz inclinò appena la testa
di lato, senza capire: era chiaro comunque che Noah avesse notato la sua
assenza, se era sveglio da tanto. Vedendolo rimanere ancora di spalle, Oz
immaginò che stesse leggendo appunti sul quaderno: si tolse quindi la felpa,
deciso a saltare le lezioni in favore di una bella dormita.
Si stava infilando sotto le
coperte quando il compagno si rivolse a lui, senza guardarlo: «Reo Nightray
aveva qualcosaa di così improrogabile da dire di non poter aspettare di vederti
oggi a mensa?» chiese, il tono poco curioso - e per questo così poco da Noah.
Oz sbatté un paio di volte
le palpebre, sorpreso dalla domanda: «Scusa, ti abbiamo svegliato?» chiese,
senza rispondere a quella che gli era sembrata una domanda piuttosto retorica.
Solo allora Noah si voltò,
rivelando un'espressione fredda che non gli si addiceva affatto: «Sì.» disse
semplicemente, come se ormai non gli importasse comunque. Oz, al contrario, ne
fu dispiaciuto: non voleva che il suo continuo uscire di notte creasse problemi
a Noah.
«Scusami.» esordì dunque,
sorridendogli: «Non mi ero accorto di fare tanta confusione. Ci starò più
attento.» promise, e se aveva voglia di aggiungere qualcos'altro non gli fu
possibile.
«Io ci ho pensato.» se ne
uscì Noah «Mi sono davvero impegnato a capire che bisogno hai di uscire quasi
ogni notte e perché i Nightray sembrano essere diventati la tua ossessione.»
spiegò, fissandolo. Oz sgranò gli occhi, incredulo.
Non solo Noah non era mai
stato tipo da fare domande riguardo quello che faceva, ma non era mai sembrato
così... infastidito.
«I Nightray non sono la mia
ossessione.» rimbeccò, in qualche modo scosso dall'atteggiamento del compagno
di stanza. Noah, per contro, gli rivolse un'occhiata che sembrava sottolineare
la completa assenza di fiducia in quelle parole, consci entrambi del fatto che
non si trattava della verità.
«Esci la notte per spiare
Elliot Nightray. Direi che posso permettermi di chiamarla ossessione. Quando
sei a pranzo con noi, spesso finiamo a parlare di Vincent. Hai persino discusso
con Alice per questo. Se mi sbaglio, smentiscimi.» lo sfidò senza scostare lo
sguardo dal biondo, sempre più confuso.
Qual'era il punto della
questione? Cosa voleva che dicesse, Noah?
«Io... ho solo bisogno di
sapere una cosa da Elliot Nightray, tutto qui. E con Vincent ho parlato solo
qualche volta.» obiettò Oz sulla difensiva.
Noah tacque qualche
istante, quasi studiandolo: «E devi chiederglielo di notte.» sottolineò,
palesemente ironico. Oz colse quella sfumatura e si accigliò: «Che problema
c'è, si può sapere?» tagliò corto.
Notò - ne fu certo - che
Noah si era accigliato a sua volta e che quello sguardo distaccato così
inadatto a lui aveva vacillato per un istante: «Il problema è che non capisco
se ti stai impegnando a diventare un animale notturno o se ti comporti da
stupido rischiando di ficcarti nei guai e collassare di nuovo nel corridoio per
un motivo che non sia il masochismo!» sbottò, la calma innaturale ostentata
fino a quel momento che sfumava velocemente dal suo viso e dal tono di voce.
«Beh, beato te, ok?» sbottò
Oz di rimando: «Almeno c'è una sola cosa che non capisci ed è una cosa senza
importanza!»
«Non è affatto senza
importanza!»
«E comunque non sono affari
tuoi, se è per quello!» aggiunse Oz.
«Come se tu fossi capace di
distinguere le cose importanti degli altri. Non riconosci nemmeno le tue!»
sputò fuori Noah.
Oz rimase senza parole, non
sapendo davvero cosa rispondere; quella non era forse una frase pronunciata con
il preciso intento di ferire o - comunque - insinuare qualcosa?
Noah scostò lo sguardo
lateralmente, ma Oz non pensò minimamente ad analizzarlo per capire se il
compagno di stanza avesse capito di aver esagerato o meno. Noah si morse il
labbro inferiore, alzandosi poi dalla sedia.
Raccattò malamente libri e
quaderni, mettendoli confusamente nella cartella e sistemandosela in spalla:
«Sai cosa? Hai ragione.» se ne uscì, portando Oz a spostare lo sguardo - e
l'attenzione - su di lui.
Noah, avvicinatosi alla
porta, indugiò con la mano sulla maniglia: «Non sono affari miei. Tu sei Oz
Bezarius, dopotutto. Sei una celebrità, no? Ti conoscevano già tutti, quindi
sicuramente i Nightray o chi diavolo per loro sono molto più adatti ad essere
la tua compagnia. Addirittura potranno permettersi il lusso di preoccuparsi.»
osservò sarcasticamente.
Oz strinse i pugni,
l'istinto impellente quanto improvviso di mollarne uno a Noah: che diamine si
era messo in testa quello stupido tutto ad un tratto?!
Come conseguenza
prevedibile di quelle parole e dell'assenza di una replica qualsiasi di Oz,
Noah non aggiunse altro. Semplicemente interpretò il silenzio come la presa di
coscienza da parte del biondo del fatto che a pensarci bene quella era la
verità.
Si chiuse la porta alle
spalle, senza che Oz muovesse un muscolo.
Era riuscito a prendere
sonno quasi subito: non per menefreghismo ma perché probabilmente - ed era
comprensibile - il suo corpo si rifiutava di rimanere sveglio a pensare ancora.
Di conseguenza, dopo
l'uscita di Noah dalla stanza, Oz aveva impiegato poco a cadere in un sonno che
si era rivelato profondo fin da subito.
Quando si era poi
risvegliato, la sveglia sul comodino indicava le cinque del pomeriggio; non se
ne stupì particolarmente, considerando le premesse con le quali aveva chiuso
gli occhi.
Con tutta calma era andato
al bagno, dandosi una rinfrescata e indossando abiti semplici, quasi smessi. Di
quelli che usava per casa, e puntualmente rischiavano di fargli guadagnare
un'occhiata di disappunto o un richiamo.
Aveva tentato di leggere,
pensando che poteva non essere male recuperare le cose che aveva perso e che
poteva ritrovare sul libro di testo, ma il tentativo non aveva avuto grande
successo quando si era reso conto di avere la mente occupata da troppe altre
cose per poter sperare che il pensiero potesse focalizzarsi anche su una
qualsiasi materia.
L'idea di mangiare gli
aveva sfiorato la mente, ma era effettivamente poco intelligente: se si dava
malato e poi gironzolava per la scuola, qualcuno avrebbe avuto da ridire
probabilmente.
Perciò si era detto che la
cosa migliore da fare era aspettare la cena; come conseguenza, si ritrovava a
rimuginare da almeno mezz'ora sugli avvenimenti dell'ultima notte.
Prima lo scambio con Elliot
che sapeva - era così ovvio che fosse così - qualcosa a proposito della
melodia dell'orologio ma che non voleva dirgliela.
Poi l'incontro con Break e
la conversazione che era stata strana e spiazzante, per certi versi; le parole
di Sirjan e la sua strana predisposizione a non tacergli almeno le cose che
aveva il permesso - o la voglia - di dirgli.
Ed in infine il litigio con
Noah - ed era bene che a tutto ciò non aggiungesse il pessimo incontro con
quella presunta Alice e Cheshire, o non ne sarebbe più uscito.
E, per contro, non che
rimuginare sul resto fosse molto più sensato.
I due o tre colpetti alla
porta che lo distrassero certamente – non ci voleva un grosso sforzo ad
intuirlo – non appartenevano a Noah, che non era nemmeno sicuro sarebbe tornato
lì a dormire. Si alzò dal letto senza fretta, raggiungendo la porta con un
atono “eccomi” e aprendo.
Nel riconoscere Gilbert,
l’espressione imbronciata che Oz ormai classificava come quella imbarazzata o a
disagio di un tempo, assunse un’aria stupita: non si era aspettato la visita e
– doveva ammetterlo – pur trattandosi dell’unico membro dei Nightray che
davvero conosceva, era quello con cui aveva finito con l’interagire meno per un
motivo o per l’altro.
Non che si aspettasse
Elliot, per carità – e qualcosa gli diceva che non aspettarsi Vincent fosse un
bene.
Aprì maggiormente la porta
per permettergli di entrare e quando Gilbert varcò la soglia, Oz notò che aveva
un vassoio della mensa con sé; il più piccolo richiuse l’uscio, raggiungendo
Gilbert prima e il letto poi, sedendo sul bordo: «Tutto bene?» domandò, facendo
cenno al moro di sedersi.
Gilbert con un sospiro
leggero poggiò il vassoio sul comodino replicando un: «Non dovrei chiederlo io,
visto che eri tu ad essere assente?»
Oz ridacchiò appena:
«Giusto. Sto bene, avevo solo bisogno di una dormita.» assicurò.
«Lo so.» ammise Gilbert
«Sirjan mi ha detto che ha fatto le sei del mattino a parlare con te e
Alyster.» concluse.
Oz lo osservò – non senza
un minimo di stupore: pensava che Sirjan non lo avrebbe detto ad anima viva,
fingendo che non ci fosse mai stata alcuna chiacchierata. Anche se era
probabile che Gil non avesse la minima idea di quale fosse stato l’oggetto del
discorso.
Abbozzò un sorriso leggero
e mesto, senza quasi rendersene conto: «Vuoi chiedermi qualcosa, vero?» domandò
con semplicità come se fosse decisamente ovvio e, contrariamente a quanto ci si
aspetterebbe, la cosa lo lasciasse indifferente. Per contro, invece, lo
irritava: sembrava come se ultimamente – o almeno nelle ultime ventiquattro ore
– tutti avessero qualcosa da domandare e pretendessero delle risposte da lui
che era, per assurdo, quello che ne sapeva meno di tutti.
«Sì, in effetti.» confermò
Gilbert – non poteva aspettarsi nulla di diverso, no? – scoprendo il vassoio
rimasto fino a quel momento celato da un panno bianco che rivelò una merenda
abbondante.
«Hai fame?» fu la domanda
che Gilbert gli rivolse: l’unica, alla quale seguì un lieve e gentile
incurvarsi di labbra. Non poté non stupirsi, Oz, mentre ricambiava
istintivamente quel sorriso con uno di sincera gratitudine.
Gil era diverso: lui –
inspiegabilmente, a volte – capiva sempre e comunque in un modo che stupiva Oz
ancora a distanza di anni, e che faceva venir voglia di comunicare un “grazie”
anche senza bisogno di pronunciarlo.
Annuì, quindi: «Sì, un
sacco.» ammise il biondo e, quasi a confermarlo, il brontolio dello stomaco
arrivò puntuale; Gilbert sorrise più ampiamente, una sfumatura divertita mentre
passava il piatto con qualche sandwich ad Oz.
Il biondo lo prese dopo
essersi sistemato meglio e lo poggiò sulle proprie gambe: afferrò quindi uno
dei panini e lo addentò, affamato.
«…che nostalgia.» mormorò
senza un apparente senso logico; Gilbert lo osservò infatti confuso, senza
capire. Oz parve accorgersene, mentre mandava giù il boccone: «Era tanto che
non succedeva. Tu che mi porti il vassoio con la merenda, intendo. È un po’
nostalgico pensare a quando eri a casa.» ammise, chiarendo anche la propria
precedente affermazione.
Gilbert si prese qualche
attimo, forse per studiare il minore o per ponderare una risposta esatta – se
c’era. Infine sospirò appena, impercettibilmente quasi: «Ti manca Jack?» chiese
a bruciapelo, leggendo fra le righe; non per ferire, ma perché sapeva bene che
dare ad Oz la possibilità di mentire era stupido. Con una domanda secca, era
più facile che l’erede dei Bezarius si arrendesse a parlare altrettanto
chiaramente.
Da parte sua, a quella
domanda inaspettata Oz aveva sussultato leggermente, senza portare inizialmente
lo sguardo su Gilbert; cosa che poi fece, l’espressione imbronciata e quasi
offesa: «Io stavo dicendo che ho nostalgia di te.» puntualizzò, come se Gilbert
avesse peccato di disattenzione.
Il più grande lo osservò –
un lievissimo rossore, perché era pur sempre Gil: «E del periodo in cui c’ero
io.» fece notare; quando era ancora a casa Bezarius, Jack era vivo. E per
quanto ricordasse, era già stato adottato dai Nightray quando Jack aveva
iniziato ad ammalarsi o a stare così male da essere costretto al letto.
Oz portò il sandwich tenuto
fermo a mezz’aria sul piatto: «Sì.» mormorò «Ora possiamo cambiare discorso?
Per favore, Gil.» aggiunse, l’espressione concentrata sui panini. Gilbert
tacque, portando poi una mano a raggiungere il piatto allontanandolo dal biondo
e riponendolo sul vassoio sotto lo sguardo perplesso di Oz.
Quindi, sebbene un po’
titubante si sdraiò sul letto orizzontalmente, le gambe piegate e i piedi che
toccavano comodamente terra. Infine, lo sguardo che puntava ostinatamente il
soffitto, prese la mano del minore intrecciando appena le proprie dita con le
sue. Allo sguardo sorpreso di Oz, rispose con un burbero: «Era così, no? Che
facevamo una volta.» borbottò.
Capì a cosa si riferiva, e
sorrise ampiamente imitandolo e stendendosi al suo fianco: come quando il
Gilbert fifone di una volta si spaventava e capitava che dormissero insieme;
era stato un gioco da bambini e una bugia a fin di bene dire a Gilbert che quel
semplice contatto bastava perché andasse tutto bene, e non ci fosse nulla di
cui aver paura.
Che bastava così poco a
dare molto più coraggio di quanto non si possedesse nella realtà.
Di certo non risolveva i
problemi, ora quanto in passato, ma… non era così male.
«Vincent sta bene ora?»
domandò Oz, piegando il viso lateralmente per guardarlo; Gilbert rimase con lo
sguardo puntato verso il soffitto – probabilmente ancora imbarazzato – e annuì:
«Sta bene, oggi è tornato a lezione, ma se l’è presa più comoda di quanto
davvero servisse.» assicurò, nel tono una nota di rimprovero tipica di un
fratello maggiore che fece sorridere Oz.
Un sorriso che si spense,
lasciando spazio ad un'espressione più seria prima che chiedesse: «Gil, tu cosa
ricordi di Glen Baskerville?»
Gilbert portò lo sguardo
stupito su Oz, non aspettandosi la domanda; parve pensarci su, ma Oz non
avrebbe saputo dire se l'altro stesse riordinando le idee o se stesse valutando
se rispondere o meno.
«Non ricordo granché, per
la verità. So di... averlo incontrato quando ero ancora al servizio dei
Bezarius. Ricordo che... c'era anche Vincent, o almeno mi sembra. Ma è tutto
confuso. Se mi sforzo, per assurdo ricordo anche meno.» pronunciò, una nota
infastidita per quella situazione scomoda. Oz si sentì colpevole: ricordava che
Gilbert aveva avuto un'amnesia - non conosceva i particolari, sapeva solo che
era stata la conseguenza di un incidente - ma egoisticamente quando era bambino
per lui si era risolto tutto nel sapere che il moro si ricordava ancora di lui.
Tuttavia, non aveva mai
pensato al fatto che ci fossero ricordi che Gilbert poteva non aver ancora
recuperato.
«Comunque» riprese Gilbert
distogliendolo dal suo flusso di pensieri: «vediamo se quel poco che ricordo
può esserti utile.» aggiunse, con quella gentilezza tipica di lui.
Oz tacque, soppesando la
cosa: non poteva davvero fargli domande troppo dirette, come "sai che sembra Glen abbia preso il vizio di aggredire
studenti servendosi di un gatto umano?".
«Glen era... un compositore
famoso?» domandò invece. Almeno poteva avere una certezza riguardo le poche
spiegazioni che Elliot si era degnato di fornirgli.
Glbert lo guardò perplesso,
ma non fece domanda: «No. Non si occupava di musica, al di fuori della sua
formazione da ragazzo, credo. Se ha composto qualcosa, probabilmente fu per
passatempo personale, ma non per lavoro.» replicò.
Oz tacque, stringendo
inconsciamente la mano di Gilbert che ancora teneva nella propria; quali
risposte erano bugie e quali verità?
Si stiracchiò, allungando
le braccia verso l'alto e alzandosi per sgranchirsi un po' le gambe:
«L'esecuzione è migliorata.» commentò Reo, mentre Elliot spostava lo sguardo
dal pianoforte a lui, l'espressione pensierosa.
«Sì, ma non è ancora
perfetta.» rimbeccò il castano, puntiglioso. Reo sorrise divertito, senza darsi
troppo la pena di passare inosservato all'altro; e, da parte sua, Elliot lo
notò senza sforzo assumendo un'aria seccata - che Reo interpretava a modo suo,
senza prenderla come il monito che probabilmente avrebbe dovuto scorgervi.
«Che c'è di così
divertente?» chiese infatti Elliot, il tono fra lo spazientito e il burbero.
Reo scosse la testa: «Notavo che ricerchi la perfezione in maniera piuttosto
determinata.» affermò. Elliot sbuffò appena, portando lo sguardo sul
pianoforte: «La musica è perfezione.» commentò - una di quelle cose
profonde che, visto il carattere un po' rozzo del ragazzo, non ti saresti
aspettato.
«Capisco. Tutto lo sforzo
per la perfezione nella musica va a discapito del buon carattere.» osservò Reo
con fare interessato e con naturalezza - come se non avesse sottolineato che
Elliot lasciava a desiderare dal punto di vista del modo di porsi.
«Eh?!» protestò infatti il
castano: «E' così che dovrebbe parlare un servitore al suo padrone?!» ribatté,
fissandolo indignato.
Reo ricambiò lo sguardo,
pacato: «Capisco. Sono un fallimento e preferisci che qualcuno al mio posto si
occupi di tutto assecondandoti. Ti auguro buona fort–»
«Va bene, va bene, scusa!»
lo interruppe Elliot - era sempre così con Reo.
«Ci sono cose che davvero
non cambiano mai.» sentirono commentare, voltandosi verso l'ingresso ed
incrociando con lo sguardo la figura di Alyster avanzare verso di loro, le mani
che con gesti fluidi e meccanici guidavano la sedia a rottelle dove sedeva.
Reo le sorrise, chinando
appena il capo in sua direzione, mentre Elliot la osservò per un attimo
sorpreso: «E' raro vederti qui se non per le ronde.» commentò. Alyster sorrise:
«Non è male esercitarsi di tanto in tanto anche nelle aule come questa,
giusto?» replicò pacatamente.
Elliot tacque, osservandola
come se sapesse che c'era qualcos'altro che la ragazza avrebbe voluto dire.
Alyster tuttavia si dirigeva semplicemente al pianoforte vicino al quale stava
ancora il castano: quando la ragazza raggiunse lo strumento allungò la mano a
sfiorare i tasti bianchi delicatamente, pur senza esercitare su di essi
abbastanza pressione perché emettessero qualche suono.
Elliot sospirò, accomodandosi
al suo fianco sedendo sull'apposito sgabello, senza dare spiegazioni; e,
malgrado ciò, Alyster parve capire lo stesso a giudicare dal sorriso dolce che
gli rivolse.
«E' un po' che non suoniamo
a quattro mani, non è vero?» chiese, nel tono una nota nostalgica.
Elliot mantenne lo sguardo
sui tasti , pur avendo colto perfettamente le sue parole: «Incrociarti da sola,
qui e con del tempo a disposizione è diventato praticamente impossibile da
quando sei capo dormitorio del settore femminile.» le fece presente, ma aveva
più il tono di una constatazione che non di un rimprovero.
E, d'altra parte, lei non
parve prendersela; spinse un tasto bianco, lasciando che il suono emesso
vibrasse nell'aria: «E' vero.» disse quando il Sol suonato venne inglobato
totalmente dal silenzio.
Suonò un altro paio di
tasti, senza dare comunque l'attacco di un brano vero e proprio.
Se Elliot era stato confuso
dalla cosa, non fece in tempo a chiedere che la ragazza stessa gli fornì la
spiegazione che probabilmente cercava: «Mi sono sorpresa quando ho trovato la
prima volta il signor Bezarius ad osservarti a quell'ora notturna.» ammise, il
tono era inconfutabilmente divertito.
Reo pareva condividere
quello stato d'animo, al contrario del castano: «Perché mai gli hai permesso di
rimanere?» chiese, palesemente infastidito.
Alyster abbandonò lo
strumento con lo sguardo per poterlo portare sul ragazzo: «La prima volta ci
avevo pensato. Ma converrai con me che la cosa era interessante: nessuno gira
per la scuola a quell'ora, e non davanti all'aula di musica. Anche ammesso che
fosse stato attirato qui dalla musica, doveva essere sveglio già da prima. E
certamente non faceva una passeggiata di piacere: quando si soffre d'insonnia,
penso si rimanga comunque nella propria stanza nella speranza di dormire prima
o poi, non credi?» concluse quella lunga spiegazione.
Elliot, tuttavia, non
pareva granché convinto e con un gesto a metà tra la stizza e lo scetticismo la
esortò a continuare.
«Ho deciso di aspettare. Se
si fosse trattato di un caso isolato, era inutile metterlo sotto pressione con
l'ipotesi di una punizione. Poi, però, ho notato che continuava a venire: mi ha
colpita, tanta dedizione. Specie considerando gli orari a cui solitamente
suoni, e specie se consideriamo che non ti aveva mai parlato e che la maggior
parte delle volte il giorno dopo era presente nonostante la sicura mancanza di
sonno.» concluse.
Sorrise, fissandolo ancor
più divertita: «Potremmo anche dire che l'ho trovato affascinante. Dovresti
essere felice come musicista, di avere una persona che perde il sonno pur di
sentirti suonare, no?» aggiunse.
Elliot scostò lo sguardo,
imbarazzato probabilmente da quella evenienza a cui non aveva affatto pensato,
lasciandosi prendere troppo la mano dalla sua antipatia verso il casato
Bezarius.
Alyster ridacchiò e,
sebbene attento a non farsi notare per evitare inutili discussioni, Reo le fece
eco. La ragazza suonò una nota, senza proseguire, quasi avesse toccato un tasto
affidandosi alla pura casualità: «Pensai che forse, Oz Bezarius aveva tentato
di riaddormentarsi. Ma che qualcosa, che aveva a che fare con te o con la tua
musica, lo avesse tormentato al punto tale da farlo arrivare fin qui solo per
ascoltarti, o forse anche per parlare.» spiegò, anche se Elliot non aveva
effettivamente chiesto nulla.
«Quando l’ho visto la prima
volta lì, davanti alla porta socchiusa… sembrava un ragazzino terrorizzato,
sai? Forse lo metti in soggezione. Anche se quello che vorrebbe sapere da te
gli sta molto a cuore.» concluse, criptica.
Reo aveva prestato particolare
attenzione alle sue ultime parole e lo stesso Elliot non aveva potuto farne a
meno, sebbene sorpreso: Oz Bezarius gli era sembrato nulla più che un ragazzino
probabilmente viziato e comunque parecchio saccente. Il tipo di persona che –
casato a parte – non sopportava e basta.
Non riusciva proprio a
pensarlo come qualcuno che potesse trovarsi in soggezione in presenza di
un’altra persona, anzi.
Spostò lo sguardo sul
pianoforte: «E cosa dovrebbe stargli così a cuore di una melodia che suono al
pianoforte?» borbottò, ancora non del tutto convinto.
Alyster, tuttavia, pareva
già soddisfatta da quella semplice reazione: «Forse nulla. Ma potrebbe stargli
a cuore una melodia che suona in un carillon della sua famiglia, e che sente
suonare da un completo estraneo.» concluse.
Elliot la osservò
stupefatto, ma Alyster aveva già iniziato a suonare.
Scostò lo sguardo dalla
finestra, una sfumatura seccata quasi impercettibile nello sguardo.
Portò gli occhi scuri a
studiare la stanza, come se non fosse costantemente rinchiuso lì dentro; non
impiegò molto ad individuare la figura di Cheshire, che in un angolo buio –
come al solito – restava indipendente e per i fatti suoi. Doveva ammettere che
dare nell’occhio come il felino aveva fatto non era una cosa che gli andasse a
genio, né tanto meno era il suo modo di agire solito.
Tuttavia, doveva anche
considerare che – in qualche modo – l’approccio di Cheshire, per quanto privo
di discrezione, sicuramente aveva fatto sì che almeno per un po’ al giovane dei
Bezarius passasse la fantasia di avvicinarsi a quel luogo.
Accavallò le gambe,
voltandosi completamente verso di lui: l’altro parve notarlo senza sforzo e lo
scrutò, guardingo.
«Non ascolti più?» lo
interrogò il felino, sulla difensiva. Glen mantenne un’aria piuttosto apatica,
senza spostare lo sguardo nuovamente fuori dalla finestra, in direzione
dell’ala dell’edificio dove sapeva essere l’aula con gli strumenti musicali.
«La persona che sta
suonando adesso non mi interessa.» commentò semplicemente, Cheshire che assunse
un’aria indispettita: «Nessun umano dovrebbe.» sottolineò perentorio e con
disprezzo nel tono di voce.
Glen gli lanciò uno sguardo
distaccato: «Elliot Nightray conosce più cose di me della maggior parte degli
umani che vivono in questa scuola. Forse anche più del dovuto. E tuttavia,
proprio per questo, è una pedina estremamente facile da manovrare.» sottolineò
quasi casualmente.
Ma il lieve incurvarsi di
labbra, al quale corrispose un sogghignare leggero anche da parte di Cheshire,
avrebbe potuto lasciar intendere – se solo ci fossero stati spettatori oltre
agli spiriti, in quella stanza – che non c’era nulla di casuale in quelle
parole.
Come aveva ipotizzato, la
sera precedente Noah non era tornato in stanza a dormire.
Era indubbio che fosse
rientrato, ma era altrettanto probabile che lo avesse fatto dopo la mezzanotte
o prima dell’alba: la sua divisa e l’occorrente per le lezioni di quel giorno
non era più in stanza e, tuttavia, Oz non lo aveva sentito entrare per
prenderle.
Deduceva quindi che l’altro
avesse approfittato di un momento in cui di sicuro il biondo dormiva.
Durante il giorno lo aveva
incrociato solamente in mensa e non al tavolo dove si solito sedevano con Alice
e, a volte, Ada. Noah era distante, ad un tavolo occupato solo da lui e Marcus:
quest’ultimo aveva osservato Oz al suo ingresso in mensa, ma non aveva detto
nulla né fatto cenni particolari.
Era indubbio che sapesse
della discussione, così come era ovvio che Noah avesse chiesto a lui di
ospitarlo. Ed era probabile, conoscendo Marcus, che avesse deciso fin
dall’inizio di tenersene fuori visto che non erano affari suoi.
Noah non aveva alzato
nemmeno lo sguardo dal piatto, e un moto d’irritazione per quel comportamento
di cui ancora non capiva la causa aveva spinto Oz ad allontanarsi per raggiungere
il tavolo dove era Ada.
Di Alice nemmeno l’ombra;
né lì, né dove sedevano i Nightray.
Aveva evitato per scelta di
lamentarsi con la sorella, anche perché sarebbe stato di ben poca utilità:
aveva seguito quindi le lezioni di Miranda Barma nel pomeriggio, sedendo
accanto a Sharon.
E se all’uscita da
quell’ultima lezione giornaliera non aveva subito uno shock, avrebbe potuto
resistere a tutto in futuro: Elliot Nightray, schiena poggiata al muro e
braccia incrociate al petto, senza Reo nei paraggi a quanto pareva, si era
diretto verso di lui appena l’aveva visto uscire.
«Possiamo parlare?» aveva
chiesto – cioè… da quando Elliot Nightray lo aspettava all’uscita da una
lezione come se fossero amici di vecchia data che non vedevano l’ora di passare
del tempo assieme?
Perciò, colto appena e per
pura fortuna il saluto educato di Sharon che si congedava, si era ritrovato a
seguire Elliot, cosa che continuava a fare nel completo silenzio anche in quel
momento.
Non senza essere ancora
piuttosto perplesso.
Oz occhieggiò il corridoio,
praticamente deserto, decidendosi a parlare: supponeva che non servisse girarsi
tutta la scuola prima di poter chiedere di cosa volesse l’altro da lui.
Si fermò, dunque, alzando
lo sguardo sulla schiena di Elliot, che sembrava non essersi accorto di non
essere più seguito dal più giovane: «Di cosa devi parlarmi?» chiese Oz, vedendo
l’altro fermarsi e voltarsi a quella domanda.
Non sembrava entusiasmato
dall’idea di parlare lì, a giudicare dall’occhiata che rivolse al corridoio:
tuttavia si voltò, tornando sui suoi passi fino ad essere ad una distanza
abbastanza esigua perché non dovesse alzare troppo la voce.
«Non eri tu che volevi
parlare con me?» gli fece notare, e ad Oz parve che Elliot si stesse tenendo
sulla difensiva, come se nemmeno lui fosse così certo di voler davvero
affrontare quella conversazione che cercavano – senza risultati decenti, per
ora – di instaurare.
Il biondo sospirò. Visto
che l’altro pareva tenerci tanto a fare il pignolo, allora lo avrebbe
assecondato: «Vero. Ma se hai la stessa voglia di rispondermi dell’ultima
volta, posso anche evitare di fare domande.» replicò – non era il massimo
sprizzare arroganza da ogni gesto e parola, visto l’apparente buona fede di
Elliot nell’andare lì e mettersi a disposizione delle sue domande. Ma stiamo
pur sempre parlando di Oz Bezarius: gli veniva naturale, quell’atteggiamento.
Elliot si accigliò appena,
ma fu palese il suo sforzo di volontà di non rispondergli subito a tono e
portare pazienza – chissà quante ore aveva passato Reo a prepararlo
psicologicamente per portarlo ad una mansuetudine così poco tipica di lui.
«Tenta la fortuna.» lo
rimbeccò ironicamente – insomma, Reo non poteva fare miracoli a quanto pareva –
lasciando a lui la parola. Oz lo fissò
in maniera eloquente, con un sorrisetto sfacciato ad incurvargli le labbra.
Stava per aprire bocca
quando Elliot spostò lo sguardo verso la finestra del corridoio: «Non ho
scritto io Lacie. Anche se è la versione ufficiale, in effetti.» ammise.
Oz, tralasciando il fatto
che il castano facesse tutto da solo, si ritrovò a sospirare: in parte quella
conferma era confortante, in parte aveva la sensazione che ci fosse qualcosa
che non volesse davvero sapere di tutto quello.
Rimanere nell’ignoranza gli
avrebbe certamente permesso di credere quello che più gli faceva comodo: come,
ad esempio, che l’avesse ascoltata da Glen in persona quand’era bambino o
chissà quale altra congettura che avrebbe potuto fare.
«Non posso comunque
aiutarti più di tanto.» riprese, burbero – probabilmente la scelta della parola
“aiutare” non lo metteva esattamente a suo agio – lo sguardo chiaro ancora
insistentemente puntato verso la finestra: «Conosco quello spartito da che ho
memoria. Lo suono con la stessa attenzione che si utilizza per camminare, praticamente.»
spiegò.
«…Quindi quasi nulla.»
«Quindi,
meccanicamente.» lo corresse, come se l’ipotesi di non fare attenzione a come
suonava la reputasse un’offesa o una provocazione – anche se in effetti,
ridotto ai minimi termini, il senso era quello.
Oz non commentò oltre – lo
avrebbe fatto in casi normali, ma si era probabilmente reso conto del fatto che
la pazienza dell’altro non avrebbe avuto la meglio ancora a lungo.
«Non ricordo affatto di
averla scritta.» riprese: «Ma so anche per certo che non mi è stata insegnata dalla stessa persona
che mi ha fatto da maestro per il pianoforte.» asserì, improvvisamente serio.
Lo notò anche il biondo, tant’è che l’espressione arrogante di poco prima era
sfumata velocemente, lasciando il posto ad una attenta.
«Forse l’hai sentita da
qualche parte.» tentò Oz. Che l’avesse imparata da solo e dal nulla era
l’ultima opzione – e quella che faceva acqua da tutte le parti, oltretutto.
Era semplicemente assurda.
«Impossibile. Io e Reo non
siamo certo rimasti nell’ignoranza senza fare niente, che credi?» lo interrogò,
decidendosi finalmente a riportare lo sguardo su di lui: «Abbiamo cercato in
tutti i modi possibili. Abbiamo guardato su ogni documento o libro che
riportasse dati sui compositori e le loro melodie. Non c’era niente.»
disse, nel tono una sfumatura della stessa frustrazione che doveva aver provato
già più di una volta.
Fu Oz ad abbassare lo
sguardo: a quanto pareva, la melodia di Lacie era un argomento che nessuno dei
due trattava volentieri, sebbene per motivi diversi.
«Ad ogni modo, ho poi
scoperto di chi fosse.» se ne uscì, quando Oz non si aspettava più nient’altro.
Alzò infatti repentinamente lo sguardo, sorpreso.
Nemmeno il loro fosse stato
un gioco, fu Elliot a puntare il proprio altrove: «So che è stata composta da
Glen Baskerville. Lui era l’unico che avrebbe potuto verosimilmente
insegnarmela. Però…» indugiò, puntando con decisione gli occhi azzurri sul
biondo.
«Però io Glen Baskerville
l’ho–– »
Non seppe precisamente come
fosse possibile, ma Elliot sarebbe stato pronto a giurare che nella sua testa
c’era una voce. Famigliare, sicuramente già sentita, eppure troppo estranea
ancora per essere facilmente collegata ad un volto.
Gelida e superba: non
c’erano altri aggettivi per descriverla che calzassero quando quelli.
Taci, ragazzino.
«Elliot?» chiamò Oz,
fissandolo perplesso. Il castano non rispose, l’espressione che solo per un
istante era stata dolorante, come quando per un motivo o per l’altro hai una
fitta da qualche parte del corpo.
Forse fu sciocco, da parte
sua, ma ad Oz venne istintivo guardarsi intorno: non avrebbe saputo dire chi si
aspettasse – quel Cheshire, oppure Aedan o Sirjan che sembravano apparire dal
nulla in situazioni come quella – ma il corridoio era deserto.
E ad ogni modo, se anche ci
fosse stato qualcuno, Oz non avrebbe potuto prestarvi troppa attenzione
distratto dall’impatto – improvviso e anche piuttosto brusco – della sua
schiena contro il muro.
Emettendo un gemito sia di
sorpresa che per il contraccolpo aveva istintivamente chiuso gli occhi. Li
riaprì, avvertendo una presa sulle sue spalle, non faticando ad ipotizzare che
appartenesse ad Elliot e trovando conferma nell’individuarlo proprio di fronte
a sé.
«Si può sapere che ti è
preso?!» sbottò, e non a torto. Non gli sembrava di aver detto qualcosa che
giustificasse quella reazione; vide Elliot alzare la testa, tenuta inizialmente
chinata. Incrociò gli occhi azzurri, lo sguardo superbo di chi ti guarda come
se tu non valessi niente.
«Elliot…?» tentò di nuovo
Oz, mentre le labbra del castano si incurvavano in un sorrisetto arrogante:
«Più sciocco di quanto credessi.» sentì mormorare all’altro, il tono diverso da
quello usato fino a quel momento per parlare con lui. Sembrava più profondo e
più… freddo.
Oz sentì la stretta sulle
spalle intensificarsi appena, iniziando quasi a far male.
«Per quanto questo
ragazzino sia facile da controllare, non ho interesse nel parlare a lungo con
te.» esordì, quasi annoiato. E la prima frase confermò ad Oz che qualcosa non
andava.
«Stai diventando seccante.»
continuò Elliot – no, non Elliot. Chiunque fosse quel tizio – mantenendo lo
sguardo su di lui: «Non amo le persone che mettono il naso nei miei affari. Non
le ho mai amate.» ammise.
Oz lo guardò di rimando, ma
l’altro anticipò qualsiasi sua negazione: «Resta fuori da questa questione. Un
vecchio spartito non cambierà nulla. Per quanto la curiosità che non porta da
nessuna parte sia prerogativa di voi Bezarius» riprese, e Oz avrebbe potuto
giurare di aver colto una sfumatura diversa nel tono a quelle parole «se
continuerai a metterti in mezzo, dovrò farlo anche io.»
Oz deglutì a vuoto, senza
sapere bene nemmeno lui perché: era solo che quelle parole, e quel tono di voce
che sembrava non appartenere affatto ad Elliot, facevano venire i brividi.
Erano una minaccia palese, e al tempo stesso un avvertimento.
Non osava pensare che,
chiunque fosse, quella persona stesse cercando di proteggerlo. Tuttavia, era
chiaro che preferisse evitare qualsiasi altro futuro contatto con lui.
«Chi sei?» chiese – la cosa
più sciocca ed insensata, quando la sua preoccupazione avrebbe dovuto essere
niente più che annuire per farsi lasciare, e andarsene da lì.
Vide l’altro tacere, in un
primo momento – forse sorpreso da una richiesta così stupida.
La presa su una delle
spalle si fece più leggera, fino a sparire totalmente, la mano che si poggiava
contro il muro: il viso di Elliot si fece più vicino, spostandosi lateralmente
con la chiara intenzione di raggiungere il suo orecchio.
«Tu chi pensi io sia?» lo
sentì chiedere, le labbra che avevano appena sfiorato il lobo. Rabbrividì, per
un motivo che non aveva ben chiaro e che non voleva nemmeno conoscere al
momento. Avrebbe perso di vista quello che davvero voleva sapere.
«Sei… Glen?» azzardò. Non
sapeva dire perché avesse pensato proprio a quel nome: forse glielo aveva
suggerito il suo accennare allo spartito – anche se avrebbe potuto evincerlo
dalla coscienza di Elliot che stava palesemente controllando senza sforzo – o
per l’apparente familiarità che sembrava avere per lui l’atteggiamento dei
Bezarius.
Sentì il respiro dell’altro
solleticargli il collo, ma nessuna risposta. Ed un sibilo, poi.
«Non costringermi a farti
del male.» fu l’ultima cosa che gli sentì dire.
Almeno prima che un Elliot
piuttosto perplesso rientrasse nel suo campo visivo, confuso dalla vicinanza
che probabilmente non ricordava come fosse stata raggiunta.
«…che diavolo succede?!»
sbottò, allontanandosi – il viso che stava prendendo una colorazione rossastra.
Oz lo fissò perplesso dal cambiamento repentino.
Sembrava che tutto in
Latowidge cercasse di dimostrargli che la sua considerazione quando era appena
arrivato riguardo un anno scolastico che si prospettava normale fosse stata
totalmente errata.
Lo notò portarsi una mano
alla tempia, ma non seppe dire se per la confusione o per un possibile mal di
testa.
«Cosa ho fatto?» chiese,
nel tono era palese l’irritazione e di nuovo Elliot sembrava sulla difensiva.
Oz tacque, vagliando bene cosa fosse il caso di dire; specialmente, cosa
potesse effettivamente raccontargli che gli evitasse di essere considerato dal
castano completamente fuori di testa.
E sì, il “mi hai parlato di
argomenti mistici” non era proprio da persone sane probabilmente.
A quel punto sorrise:
perché di mentire era ancora capace. Non c’era nulla di difficile, per lui.
Doveva solo fare quello che
faceva sempre.
«Mi stavi dicendo di Lacie.
Hai avuto un giramento di testa?» chiese, facendo lui per primo il finto tonto,
come se davvero non sapesse che altro pensare.
Elliot lo osservò, cercando
probabilmente di capire se fidarsi o meno, ed Oz ebbe di nuovo la pessima
sensazione che le sue bugie non funzionassero più. Invece, il castano lo smentì
nel momento stesso in cui sospirò: «Non so altro, a parte quello che ti ho
detto.» borbottò.
Oz lo imitò, sospirando –
supponeva di non poter pretendere di più.
Annuì, dunque,
allontanandosi dal muro ora che aveva possibilità di movimento per potersene
andare. Con un “grazie” gli aveva voltato le spalle per avviarsi, quando si
sentì chiamare proprio da Elliot.
Voltò appena solo la testa,
osservandolo da sopra la spalla: il castano lo fissava come se dovesse
rimproverarlo di qualcosa.
«E ringrazia Alyster! Fosse
dipeso da me, non ci sarei venuto da un Bezarius.» sbottò, antipatico quasi per
propria scelta. Oz rise, facendogli poi la linguaccia prima di scappare via
voltando l’angolo.
Era ridicolo.
Lo sapeva anche da solo,
non serviva che lo sottolineasse nessuno, va bene?
Si rendeva conto di aver
fatto una sfuriata contro Oz senza motivo – d’altra parte il biondo non era certo
obbligato a fare rapporto stile soldato per tutto ciò che faceva.
E per la cronaca, non era
stata colpa sua nemmeno se la sfiga lo amava da quando aveva messo piede a
Latowidge ed era nato il nuovo sport del “pestiamo Noah”. Né se i soliti che lo
prendevano di mira – e che lui aveva abilmente imparato ad evitare il più
possibile – lo avevano incrociato proprio quando a lui girava male.
Solitamente lui non
reagiva: aveva imparato che quando non lo faceva durava meno e che picchiare
con i soli calci non era male, parava abbastanza e dava a loro la soddisfazione
di sottometterlo.
Quanto bastava perché se ne
andassero senza causargli mai danni tali da spedirlo in infermeria come
avrebbero potuto benissimo fare.
Non subiva a quel modo per
paura; non per la paura degli altri, almeno. Né per il timore dei pugni, o dei
calci – e perché no, a volte anche delle ginocchiate, perché in rissa valeva
tutto davvero.
«Cos’è, Keynes, il fegato
t’è uscito tutto insieme?» domandò beffardo un ragazzo, la divisa che lo identificava
come uno del quarto anno.
Ora, analizziamo la
situazione: erano quattro e l’avevano preso un pessimo momento. E aveva fatto
per questo la cazzata di reagire – dandosi del mentecatto l’attimo dopo, perché
lui era così: lui pensava sempre dopo.
E no, vedere uno dei loro
cadere a terra quando normalmente il loro massimo era sporcarsi le suole delle
scarpe non doveva aver fatto molto piacere agli altri tre.
Ci aveva impiegato quanto,
a ritrovarsi tenuto fermo da due e picchiato dall’altro, una manciata di
secondi?
Al momento, ad ogni modo,
lo avevano mollato lì per terra, sfottendolo come al solito.
Aveva il respiro affannato
e aveva la sensazione che stavolta le sue costole qualcosina l’avessero sentita
arrivare con i colpi. Gli pareva di distinguere anche il sapore del ferro
tipico del sangue in bocca.
Alzò gli occhi sul ragazzo
che aveva parlato, cercando di metterlo a fuoco magari.
«Impara a stare al tuo
posto, Keynes. Non vedi che è più doloroso, quando ti ribelli?» continuò,
ironico.
«Dai, Chad, poveretto.
Quello se non ha una tela e un pennello non sa fare altro!»
«E che ti aspetti da uno
che entra solo perché il fratello è ricco? Keynes, non è che la prossima volta
ci combatti con i colori a tempera?» lo sfotté.
Si alzò da terra, non senza
un leggero sforzo – di magie e robaccia dell’occulto che facessero recuperare
le forze come nei libri di fantasia non ne conosceva ancora, anche se ci stava
lavorando su, eh? – lasciando che un sorrisetto gli incurvasse le labbra.
Mosse qualche passo, seppur
barcollante, verso uno dei tre: «Deve essere… divertente.» mormorò piano,
l’avanzare davvero poco stabile. Il più vicino, verso il quale Noah si stava
dirigendo, lo guardò stranito: «Cos’è, non t’è bastata Keynes?» sbottò
irritato.
«Deve essere… proprio divertente.»
ripeté, osservandolo in piedi, di fronte a lui: «Pestare il povero plebeo che
si abbassa a fare una cosa squallida come dipingere.» chiarì di cosa stesse
parlando.
I tre si lanciarono
un’occhiata piuttosto confusa.
«Dimmi un po’, fottuto
stronzo» riprese, caricando il pugno e dandogli un cazzotto in pieno viso,
colpendo il bersaglio senza difficoltà a causa della sorpresa dell’altro: «fa
male il pugno di un plebeo che dipinge?!» sbottò, il tono alto e rabbioso.
Non era da Noah,
arrabbiarsi, alzare il tono della voce.
Non era da Noah picchiare
con i pugni, quelli che aveva sempre evitato di usare a costo di avere la
peggio anche quando a prenderlo di mira era uno solo.
Non era da Noah sfogare la
frustrazione e tutto quello che aveva con sé contro una persona, a quel modo.
Picchiando con i pugni,
facendo cadere a terra e dando calci, su calci, senza badare a dove colpisse o
ai gemiti di dolore. Nemmeno agli altri due immobili, nemmeno alla propria voce
che gridava chissà cosa, senza senso.
«Fa male, pezzo di merda,
fa male vero?! E quant’è umiliante, eh?! Quanto cazzo è umiliante che proprio
io ti stia riducendo uno schifo, quanto?!» gli urlò contro, l’ennesimo calcio
che centrava l’altro in pieno stomaco.
Uno degli altri due si fece
avanti nel tentativo di fermarlo, ma quello che ottenne non fu altro che un
pugno – già il secondo – mentre Noah lo fissava con la stessa rabbia mal celata
di poco prima.
«Questa è la mia arte,
quella che prendete tanto per il culo. Non è più divertente, ora?!» sputò
fuori, mentre il tizio appena colpito e l’altro ancora in piedi cercavano di
recuperare l’amico dolorante a terra per svignarsela.
Non gli sarebbe stato
facile, se soltanto Noah non si fosse sentito chiamare e voltandosi non si
fosse ritrovato Oz che veniva verso di lui.
Sbatté appena le palpebre –
udiva i passi dietro di sé allontanarsi, ma all’improvviso sentiva addosso così
tanta stanchezza e parti doloranti che davvero non aveva la forza di andargli
dietro.
Se raggiunse il muro fu
solo per la possibilità di poggiarsi contro di esso che sicuramente invogliava
a muovere qualche passo in più nonostante le gambe gli stessero imprecando
contro.
Vi poggiò la schiena,
rilassandosi completamente fino a scivolare seduto, stanco. Oz lo aveva
seguito, l'espressione preoccupata, dimentico della discussione avuta perché
davvero, lo aveva visto una sola volta tornare da una rissa, ma non così
malridotto.
Si chinò di fronte a lui,
osservandolo inizialmente in silenzio: «Vado a chiamare qualcuno.» decretò, per
sua scelta - sembrava quasi una replica di quando lo aveva sorpreso in stanza.
Noah allungò una mano,
raggiungendo per un soffio la sua manica mentre Oz faceva per alzarsi: «Nh...
lascia stare.» mormorò stanco e sebbene Oz ritenesse folle non portarlo in
infermeria o chiamare qualcuno, lo assecondò ugualmente.
Si sedette dunque al suo
fianco, in silenzio, cogliendo la mano di Noah lasciare la sua manica; sospirò
piano, la preoccupazione ancora evidente nello sguardo che gli rivolse: «Che...
è successo, per farti arrabbiare così?» chiese, incerto.
Era raro che Oz fosse
titubante - e che lo fosse proprio con il compagno di stanza - tuttavia la
discussione non era stata affatto chiarita e un Noah come quello che aveva
visto non invogliava affatto a fingere che nulla fosse accaduto e che avessero
semplicemente avuto un dibattito su cose banali.
Osservandolo, notò che
l’altro aveva socchiuso gli occhi, rilassandosi appena.
«Tutto. Ero nervoso già...
da prima.» mormorò in risposta, una piccola pausa causata da un fitta leggera
in zona costole: «Perché abbiamo discusso, perché ero nel torto... almeno penso
di esserlo stato almeno in parte. E questa cosa della pittura... non sopporto
quando la deridono. Non lo sopporto davvero.» concluse quella sorta di
spiegazione, resa più lenta da sospiri leggeri e piccole pause nel parlare.
Per Oz fu istintivo
abbassare lo sguardo, cercando col proprio le mani del ragazzo: le nocche erano
arrossate e sbucciate in un punto con cui aveva visto Noah colpire più di una
volta uno dei tre ragazzi di prima.
«Di solito le tue mani non
sono mai nemmeno arrossate.» fece notare, parlando quasi sottovoce come se
dovesse regolarsi in base al tono di Noah. Quest'ultimo aprì gli occhi,
spostando lo sguardo sulle mani per qualche breve istante: «Perché non ho mai picchiato
con le mani.» replicò.
Oz parve confuso: aveva
capito che Noah in qualche modo le dava, oltre che prenderle, ed istintivamente
aveva immaginato che colpisse con i pugni come facevano tutti. Era invece
evidente a questo punto che l'altro colpisse più che altro con i piedi.
Non capiva perché. Da
qualsiasi punto di vista lo osservasse, sembrava solo uno svantaggio, salvo che
l'altro avesse qualche abilità innata - cosa che supponeva non fosse in
possesso di qualcuno che si professava pacifista per natura.
Forse Noah intuì la sua
confusione dal silenzio, visto che non poteva averlo fatto dallo sguardo avendo
gli occhi chiusi. Oz lo vide sorridere leggermente, di qualcosa che somigliava
molto all’autocommiserazione.
Qualcosa che Oz avrebbe
riconosciuto sempre fin troppo facilmente – era sua compagna da un po’, a ben
pensarci, e probabilmente proprio per questo non sapeva ignorarla più, quando
la vedeva.
«Vuoi ascoltare una storia
patetica, Oz?» sentì chiedere a Noah in un mormorio, annuendo piano ed accompagnando
quel cenno ad un “sì” semplice, senza altre aggiunte.
E ascoltò in silenzio,
mentre Noah parlava di nuovo di sua madre, non tanto di come se ne era andata
quanto di quello che gli aveva lasciato e che lui fin dall’inizio si era
imposto di non volere.
Quell’odore di colori ad
olio che lo rilassava, quella tela su cui lasciava scivolare la mano in un
abbozzo che poi – sebbene inizialmente senza senso – sarebbe divenuto qualcosa;
che non era importante cosa sarebbe diventato, perché la sola idea di creare
lo elettrizzava e lo calmava al tempo stesso.
Oz ascoltò in silenzio i
pensieri di un bambino che erano stati custoditi gelosamente, mai detti a
nessuno, mai al padre per non ferire, mai a Marcus per non sembrare debole. Il
senso di impotenza e quello di abbandono, quello di rabbia e frustrazione. E la
paura, la presa di coscienza: il timore che tutto quello che odiava –
quell’arte che lui non aveva chiesto, né mai desiderato in vita sua e che
invece gli era capitata tra capo e collo – potesse scivolargli dalle mani.
La consapevolezza che
bastava poco, bastava farsi male alle mani seriamente abbastanza perché la
conformazione delle stesse cambiasse al punto che il suo tratto avrebbe fatto
altrettanto.
Oz ascoltò come Noah aveva
capito che avrebbe potuto sfogare la rabbia contro un muro, rompendosi le mani
o colpendo fino a farle sanguinare; di come avrebbe potuto liberarsi di quello
che tanti chiamavano dono e di come il compagno non avesse mai avuto il
coraggio di fare davvero.
«Patetico davvero, ne?» riprese
dopo qualche minuto di silenzio seguito alle sue ultime parole e dopo il quale
Oz non aveva saputo esattamente cosa dire.
Il biondo spostò lo sguardo
su di lui: «Non lo trovo patetico.» disse, il tono sincero.
Non pensava affatto a Noah
come ad una persona debole o degna di compassione, nemmeno ora che lo vedeva
fare un gesto come quello di alzare appena la mano che sembrava più malconcia
delle due, portandola vicina al viso quasi a controllare i danni.
«Io probabilmente… mi sono
nascosto dietro all’odio per la pittura. Forse cercavo solo… di odiare mia
madre più che potevo. E’ stata una vendetta davvero stupida, la mia. Alla fine,
non ho mai avuto davvero il coraggio di smettere di dipingere.» mormorò, il
tono un misto di troppe cose perché ci si potesse concentrare nel riconoscerne
una in particolare.
«Penso che sia normale. In
fondo a te piace quello che fai, no?» tentò Oz; non era proprio il tipo di
persona capace di consolare, né nella posizione più adatta per farlo. Eppure
che altro avrebbe dovuto dire, o come altro avrebbe dovuto comportarsi in quel
momento per fare “la cosa giusta”?
Noah, lo sguardo ancora
sulla mano portata vicino al viso, strinse quest’ultima in un pugno.
«Forse è solo perché mi
sono convinto di non valere niente senza la capacità di disegnare.» replicò,
asciutto.
E Oz si alzò in piedi,
fissandolo arrabbiato – con quell’espressione testarda che aveva sempre assunto
da che si avesse memoria di lui – e aspettando che l’altro alzasse lo sguardo
su di lui.
«Tu sei Noah anche senza
disegnare o dipingere! Sei il Noah che mi ha tirato fuori dai guai, quello che
lascia in giro i calzini con cui presto lo strozzerò durante il sonno! Sei
quello che si arrabbia con me, sei lo stupido che mi copre a lezione quando
dormo, sei… sei soltanto lo stupido Noah Keynes di sempre e non certo perché
sai sporcare un foglio col carboncino!» sbottò, lasciando sorpreso il compagno
che malgrado tutto non poté non ridacchiare.
Anche quando Oz lo guardò
male.
Noah tossicchiò appena –
ridere nelle sue condizioni non era proprio granché – osservandolo: «Non
pensavo si consolassero così le persone.» lo prese bonariamente in giro –
apparentemente di nuovo il solito Noah di sempre.
Oz sorrise divertito a sua
volta, senza riuscire a tenergli più di tanto il muso: «Per quelli come te
basta e avanza.» ribatté, falsamente arrogante.
«Ah già.» riprese Noah,
come se avesse ricordato qualcosa solo in quel momento: «Scusami. Per la
sfuriata dico.» chiarì.
Oz voleva dirgli che in
fondo non importava, convinto del fatto che lo sfogo di Noah fosse stato
causato dal nervosismo provocato da quei ragazzi e dalla frustrazione di non
poter reagire per i motivi di cui lo stesso Noah gli aveva parlato. Tuttavia,
proprio il compagno di stanza lo precedette nel parlare: «Non erano davvero
affari miei.» iniziò «e ti assicuro che normalmente non sono ficcanaso.
Solo...» indugiò, come se gli costasse fatica o dovesse dire qualcosa di
particolarmente difficile.
Portò una mano a
scompigliare i propri capelli, che già da soli erano tutto tranne che in
ordine: «Insomma. Io non ho proprio tanta esperienza con le amicizie, ecco.» se
ne uscì, e suonava così assurdo visto il carattere solitamente amichevole del
ragazzo.
Oz lo guardò stranito
infatti: «Eh?» pronunciò perplesso.
Noah sbuffò: «Io non ho mai
avuto mezze misure, ecco. O sono conoscenti, oppure c'è Marcus.» bofonchiò, ed
Oz si chiese se il rossore che intravedeva sul viso dell'altro fosse dovuto ai
colpi ricevuti o all'imbarazzo. Per il bene dello stesso Noah, evitò di
chiedere, lasciando che proseguisse: «Sono uno che non ha amici stretti, detta
proprio in soldoni. Quindi sono un tantino iperprotettivo mi sa. Tipo fratello
maggiore non richiesto.» proseguì.
Non guardava Oz, mentre parlava, ma un punto imprecisato di fronte a sé. Non c’era nulla lì, solo alberi, eppur sembrava quasi che Noah vi leggesse le parole da pronunciare.
«Non
si tratta di… intransigenza da parte mia.» mormorò, riprendendo il discorso:
«Solo che… non ci riesco. Quando le persone si attaccano alle altre, è quasi inevitabile
farle stare male. Anche se non vuoi, giusto? Vorrei essere completamente
sincero con loro. Vorrei essere maturo abbastanza da saper instaurare
un’amicizia facilmente. Una di quelle… una di quelle dove tu per gli altri ci
sei sempre, e viceversa. È solo che quando si tratta di me, o dei sentimenti
delle altre persone… non ci riesco. Sembra quasi che mi blocchino, e non riesco
a fare più passi avanti. E ho iniziato a pensare che forse era meglio lasciar
stare. Che anche solo conoscenti andassero bene. Per questo, ora che ho
qualcosa di più simile a un amico… faccio un casino.» concluse quella che probabilmente, secondo lui, era
una spiegazione esaustiva.
E malgrado la situazione,
le condizioni non proprio ottimali di Noah, quanto avvenuto con Elliot e i
pensieri quasi pressanti che riconducevano ormai sempre più spesso alla melodia
"Lacie", Oz rise. Divertito, come se non avesse un solo problema al
mondo al momento.
E Noah s'imbronciò,
incrociando le braccia al petto - con un po' troppa foga a giudicare dalla
faccia che fece - offeso: «Ma certo, ridi pure, prenditi gioco di me mentre ti
dico cose che non ho mai confessato a nessuno approfittando del mio
agonizzare!» fece la vittima, fissando il biondo di sottecchi.
«E la domanda corretta
sarebbe come ha fatto a ridursi così signor Keynes.» sentirono chiedere,
voltandosi entrambi - per quanto possibile - verso la voce.
Probabilmente dei due fu
Noah ad imprecare mentalmente quando riconobbe la figura di Rufus Barma -
altrettanto possibile era che Noah lo facesse più per riflesso verso il cognome
Barma che non per la presenza dell'uomo in sé.
Lo videro entrambi
avvicinarsi, l'espressione apatica di sempre nemmeno fosse il suo carattere
distintivo, il passo calmo nonostante col diminuire della distanza le condizioni
di Noah apparissero chiare. Si limitò a fissarlo, anche quando gli fu a pochi
passi.
Il ragazzo alzò lo sguardo,
abbozzando il solito sorrisetto colpevole: «Se le dico che giocando a mosca
cieca ho sbattuto contro un albero mi crede?» tentò, e Oz si chiese perché
mandare un tentativo nel cesso di propria iniziativa con una scusa così irreale
- anche se magari, trattandosi di Noah...
Oz vide Rufus sorridere, un
sorrisetto fra il sarcastico e qualcosa di così vicino al sadico che quasi
quasi l'idea di una lezione con Miss Barma non era male.
«Non nego che la tentazione
di fingere di crederle solo per vedere se è capace anche di esultarne mi
dilania.» commentò, l'ironia palese anche per i muri: «Tuttavia, essendo qui
già da un po' e sapendo perfettamente come sono andate le cose, lo reputerei
un'ingiusta offesa alla sua intelligenza signor Keynes.» continuò.
Noah non disse nulla, e lo
stesso Oz; Rufus, passato lo sguardo dall'uno all'altro, parlò di nuovo: «Sarà
dunque il caso di dirigersi in infermeria?» esortò gli altri due.
I compagni si lanciarono
una semplice occhiata: no, nessuno dei due teneva particolarmente a scoprire il
livello massimo di pericolosità di Rufus Barma quando qualcuno osava obiettare.
Avevano accompagnato Noah
in infermeria, Oz che - nonostante Noah lo superasse in altezza tanto da
rendere la posizione scomoda - l'aveva sostenuto lungo il tragitto. Muoversi
con Rufus che camminava davanti a loro si era rivelato provvidenziale: gli
studenti che si erano fatti di lato in corridoio, fissandoli sorpresi o
preoccupati, si sarebbero certamente fermati a chiedere. Almeno nel caso dei
più sfacciati ed impiccioni. Invece, complice la presenza del docente di
Storia, avevano raggiunto l'infermeria senza essere fermati o tartassati di
domande.
Lo avevano lasciato alle
cure dell'infermiera - Oz aveva sentito qualcosa muoversi all'altezza dello
stomaco, quando la donna aveva delicatamente poggiato la mano sulla spalla di
Noah, guidandolo ad uno dei letti più riparati da occhi indiscreti, mormorando
gentilmente un «Signor Keynes, non può farmi visita troppo spesso...»,
comprensiva.
Quante volte Noah finiva
lì, magari da solo?
Nel momento stesso in cui
il compagno gli faceva segno di andare tranquillo, Oz sentì la mano del docente
posarsi sulla sua spalla, facendogli intendere che era il caso di uscire. Anche
se non del tutto convinto, lo seguì.
Una volta fuori
dall'infermeria e lontani da essa, quasi vicini al corridoio che portava poi
agli alloggi dei docenti, Rufus si voltò ad osservarlo. Oz inizialmente non
disse nulla, osservandolo a sua volta incuriosito: aveva interagito ben poco
col docente e non si era fatto ancora un'idea precisa.
«Il signor Nightray ha un
interesse particolare per lei, ho notato.» se ne uscì, in qualche modo
pungente. Lì per lì Oz non capì a cosa si riferisse, almeno finché l'altro non
aggiunse: «Oppure oggi è il giorno dedicato alle risse e il signor Nightray
aveva un conto in sospeso con lei.» sottolineò.
Oz assunse un'aria
infastidita: colta l'allusione, gli sembrava decisamente fuori luogo che
venisse da un docente.
«Ha l'abitudine di
controllare da vicino alcuni studenti o si limita a seguirli indistintamente?»
ribatté, arrogante e ironico. Non gli piaceva quel modo di fare.
Rufus, quando normalmente
un docente si sarebbe risentito di quell'uscita, sorrise: un incurvarsi di
labbra sarcastico e di superiorità, di chi ha la situazione completamente sotto
controllo e ne ha piena coscienza.
«Che ragazzino
insopportabile.» commentò Rufus: «E dire che potrebbe tornarti utile, l'essere
stato seguito.» ironizzò. Oz stava prendendo in considerazione di congedarsi
quando Rufus, ancora il sorriso sulle labbra, mantenne lo sguardo in quello
dello studente.
«Non eri tu, a voler sapere
di Glen Baskerville?» chiese a bruciapelo.
Oz sgranò appena gli occhi,
sorpreso; non rispose subito, mordendosi istintivamente il labbro inferiore.
Rufus sembrò non essersi aspettato alcuna risposta, perché proseguì senza che
Oz avesse confermato o smentito le sue parole: «C'è qualcosa di Glen Baskerville
che può interessarti, e che non sai. Vuoi ascoltare?» domandò.
Oz parve riscuotersi a
quelle parole e lo fissò guardingo: «Mi aspetto che ci sia qualcosa da dare in
cambio, no?» insinuò lui stavolta, ancora senza preoccuparsi di poter risultare
poco rispettoso.
E il sorriso appena più
ampio di Rufus gli confermò di non essere nel torto.
«Mi piace chiamarlo scambio
di informazioni.» replicò, avvicinandosi di qualche passo: «Io ti dirò cose di
Glen Baskerville che non sai. Tu farai lo stesso.» spiegò.
Oz si sentì confuso: lui
non sapeva praticamente nulla di Glen.
«Voglio sapere della sua
morte.» specificò Rufus, e Oz abbassò lo sguardo: non che di quello sapesse
molto di più, però...
«L'unica cosa che so della
sua morte, è che fu...»
«Un suicidio, questo lo so.»
lo interruppe Rufus quasi annoiato: «Quello che voglio sapere è cosa c'è
dietro. Perché mai uno come Glen Baskerville avrebbe dovuto suicidarsi?»
Note
...un parto, veramente.
In estremo ritardo perché
lezioni e esami non vanno mai d'accordo con la velocità di aggiornamento di una
fanfiction.
Sta diventando poi davvero
difficile dosare le informazioni da mettere in ogni capitolo ç_ç"
Che altro dire, spero che
la lunghezza del capitolo non sia di disturbo per nessuno: nel caso, chiedo
venia é_è
Come accennato, ho cambiato
rating (da arancione a giallo) e avvisi (da Yaoi a shonen-ai, perché scrivere
di quei due a manina mi ha fatto capire che non arriverò mai ad una lemon...
nun ce la posso fa XD).
A tutti coloro che vorranno
continuare a seguirmi, grazie di cuore <3
E un ringraziamento
speciale a bakasaru, per avermi spiegato da artista quale è l’importanza della
conformazione delle mani nel tratto di chi disegna, così da aver potuto
approfondire Noah <3
Infine, la frase ad inizio
capitolo è di Full Moon wo Sagashite di Arina Tanemura; mi scuso inoltre
per un errore nei disclaimer del precedente capitolo. In quel caso la frase d’apertura
era di Shinshi Doumei Cross y_y” *pignola*
Makotochan: se Sirjan ti ha fatto paura, mi chiedo se ti avrà
inquietata anche Noah o meno X°D *si diverte* Rufus e Break credo ancora di
essere l’unica che abbia avuto cuore, fegato e neuroni di accozzarli insieme ma
ehi, per una volta voglio abusare del mio potere di ficwriter! XD Per quanto
riguarda Vincent, ora almeno puoi stare tranquilla: come hai letto, sta benone
u.u (quello non muore manco se lo ammazzi! [cit.] XD)
Per la sua apparizione
dovrai ancora pazientare, ma ritornerà sulle scene più str… più vincent
che mai XD
Gioielle: visto, donna di poca fede? Questo capitolo è persino
più lungo XD
Ti ringrazio per i vari
complimenti sull’IC (Oz, Alice e Reo), perché ammetto che io continuo a non
saperli giudicare da me, quindi un riscontro da parte di chi legge è sempre
apprezzato ù.ù E che dire… ho paura a chiederti se ora la tua confusione sul
“MonnaOzElliot” è peggiorata o no XD
Break è un personaggio che
adoro muovere: lui parla senza fregarsene molto di ferire o no le persone, e
non se ne pente. Lo trovo divertente ma no, non ho idea di come faccio a
muoverlo, lo ammetto x°
Felice che anche a te sia
piaciuta la parentesi RufusBreak *-* Riguardo l’apparizione della Volontà
dell’Abisso, beh… mi ero ripromessa o no di far almeno apparire tutti? XD E sì,
il masochismo è mia prerogativa.
Come hai potuto vedere (o
almeno spero si sia capito dalla mia narrazione °-°”), la porta non collega
all’Abisso e non ci sono Chain qui XP
Infine, ti ringrazio per il
giudizio su Sirjan <3 E lo so: Break in quell’abbigliamento è il sogno
proibito di molti v_v
Yoko891: guarda, io ormai ringrazio il cielo che pensiamo e ci
piacciono le stesse cose. Ho bisogno di fan della RufusBreak *-*/ Per i periodi alla Shichan tremo un po’ in
questo capitolo: ahimé, lo scrivere a spezzoni fra treni e lezioni non è
granché visto che già di mio tendo a periodi scritti un po’ così ^^”
Felice di riuscire a
mantenere l’IC, e mi spiace per Volontà dell’Abisso e felino connesso *muore*
Per l’apparizione di Glen,
sto andando per gradi: dai che prima o poi ve lo faccio vedere come si deve! XD
AliceOfAbyss: grazie dei complimenti e grazie di seguirmi
innanzitutto <3
E direi che è normalissimo
non vedersi facilmente la RufusBreak, non essendo affatto una coppia canon XD
Si può dire che io abbia scelto volutamente di azzardare, nello scrivere di
loro, ma sono contenta di aver avuto riscontri positivi da chi legge x3
Lieta – come detto alle
altre – di mantenere l’IC, cosa che spero di continuare a fare! Un po’ in
ritardo ma il seguito c’è, spero quindi di leggerti ancora fra le recensioni ^^
Un grazie anche a LitaChan,
che ha commentato in separata sede per problemi con le recensioni xD