-“James, sta
attento!”
Le voce
di Ron mi giunge attutita, quasi soffocata dal fumo spesso ed acre che ha
invaso l’edificio. Il suo tentativo, però, è sufficiente ad
avvertirmi del pericolo: mi getto sotto un’arcata e porto le mani alla
testa, aspettando che termini la pioggia di intonaco e calcinacci.
-“Stai bene?” grida
dopo un po’.
-“Alla grande”
ribatto, ironico. “Tu resta dove sei, amico, ché con
quest’ultimo colpo di fortuna il pavimento ce lo siamo giocato.”
-“Già, per questo ci
avevano detto di aspettare i rinforzi…” incomincia.
Ecco, questo sì che mi
è d’aiuto.
Esco dal mio riparo, dirigendomi
verso la stanza alla fine del corridoio. Non c’è tempo da perdere:
c’è un motivo per cui ho disobbedito agli ordini ed ha smesso di
piangere cinque minuti fa.
Ti prego, tieni duro. Sto
arrivando.
-“James, portalo fuori
più in fretta che puoi, qui sta crollando tutto!”
Un altro consiglio
illuminante…
Avanzo tenendomi sempre lungo il
muro, dove le assi sono più solide. Scricchiolano inquietantemente, ma
dovrebbero reggere. Devono.
Nella nursery tiro un sospiro di
sollievo: la culla è circondata dalle fiamme, ma lei e il suo occupante
sono ancora illesi.
Faccio un passo in avanti. Un
brivido mi percorre la schiena, mentre lancio uno sguardo allarmato al
soffitto. Piccole lingue di fuoco lambiscono il lampadario e la carta da parati
un tempo azzurra, ma non era questo che mi aspettavo di vedere. Già, e
cosa? La fatina dei pompieri?
Scuoto la testa, imponendomi di restare
concentrato. Mi chino sul bambino, poggiando l’orecchio contro le sue
labbra. Merda, non respira più.
Gli spingo delicatamente la testa
all’indietro e gli apro la bocca, cercando di liberare le vie
respiratorie. Poi comincio la rianimazione. Lo prendo fra le braccia,
voltandolo verso il pavimento. Do quattro rapidi colpetti fra le sue scapole,
lo rigiro e poggiandolo contro le gambe, faccio lo stesso al livello del
diaframma. Vengo ricompensato da un acuto strillo, seguito da urla indignate.
Direi che i suoi polmoni sono di nuovo perfettamente in funzione.
-“Bravo,
campione. Pronto per l’ultimo sforzo?” gli
domando.
Qualcosa nella mia voce deve
tranquillizzarlo, perché smette di singhiozzare.
Lo porto al petto, nascondendolo,
per quanto possibile, contro la tuta ignifuga.
Ripercorro la strada a ritroso, ma arrivato al salone, sono costretto a fermarmi:
il pavimento ha definitivamente ceduto. Siamo fottuti.
-“Ron, il bambino sta bene,
ma…”
-“Già.
Resisti, John e Chris stanno arrivando con delle pertiche.”
-“Pertiche?
Vuoi che faccia il funambolo a sei metri d’altezza con
un neonato fra le braccia?” grido, sconvolto.
-“Beh, potresti
lanciarmelo, ma non sono mai stato bravo come ricevitore” risponde,
tranquillo.
Sto per ribattere qualcosa,
quando parte del soffitto crolla, solo per essere immediatamente inghiottita
nell’inferno sottostante.
Passano altri minuti. Il legno
sotto le mie scarpe comincia a sfrigolare, l’aria si fa più densa.
Dove cazzo sono quei due?
-“Sempre contrario a quel
lancio?” chiedo, combattendo la nausea.
-“Tieni duro,
ragazzo. Presto ti tireremo fuori.”
-“Oh, che dolce, sei
preoccupato per me…” dico, stuzzicandolo.
-“Mi preoccupa che il fuoco
bruci il tuo culo, prima che possa prenderlo a calci!”
-“Già”
sospiro, lasciandomi scivolare a terra, dove l’aria è più
respirabile. “Sei ancora con me, piccolo?” sussurro poi al fagotto
stretto contro di me.
Ha nuovamente perso conoscenza,
ma respira ancora. Grazie a Dio, non so se riuscirei a rianimarlo in queste
condizioni.
-“Ron,
sbrigati!”urlo, ormai in preda alla disperazione.
-“Tranquilla,
principessa. I cavalieri sono arrivati.”
John?!
-“Alla
buon ora, coglioni!”
-“Aurora non aveva questa
boccaccia” sbuffa Chris, spingendo le tavole verso di me.
-“Chi?!”
-“Zitto e
muoviti a fissarle a qualcosa, James. Dopo potrai
farti una cultura sui film Disney” taglia corto Ron.
Mi do una rapida occhiata in
giro, ma non c’è niente che possa fare al caso mio. Niente che non
sia divorato dalle fiamme, almeno.
-“Qui non
c’è niente, Ron. Vi toccherà tenerle ferme voi. Non fatemi cadere di sotto, tornerei a perseguitarvi”
concludo, minaccioso.
Poggio un piede sulla tavola.
Comincio a saggiarne la resistenza, esitante: -“Reggerà il mio
peso, vero, ragazzi?”
-“Se hai
smesso di strafogarti di panini nella pausa pranzo, sì! Datti una mossa, idiota, che qui sta per andare tutto a
puttane” ringhia John.
Chiudo per un attimo gli occhi e
mi sposto del tutto sul legno scricchiolante. Cerco di mantenere il baricentro
basso e di guardare esclusivamente davanti a me. Sembra davvero di essere sulla
soglia dell’Inferno: un abisso in costante attività che vomita
fuoco, fiamme e volute di fumo nauseabondo.
Qualche altro passo e il respiro
viene a mancarmi. Una crisi di tosse mi costringe ad inginocchiarmi. Provo a
trattenerla, ma si trasforma ben presto in spasmi incontrollabili. Mi si chiude
la gola, mentre osservo sgomento le oscillazioni della tavola. Si
spaccherà…
-“James,
non fermarti. Manca pochissimo, figliolo” mi
incoraggia Ron.
Mi rimetto in piedi e avanzo un
altro po’. È vero, fra poco potrò consegnare loro il
piccolo.
-“Sta pronto a prend…”
Il legno cede con uno schiocco
sonoro, inghiottendomi la gamba sinistra in una tagliola di schegge e frammenti
incandescenti. Il dolore resta però al livello dell’inconscio,
sopraffatto dal cieco terrore che mi assale alla totale perdita
dell’equilibrio. Mi getto in avanti, facendo da scudo al bambino con le
braccia. Atterro pesantemente sulla tavola, che miracolosamente tiene.
-“Tirateci verso di
voi” grido, mentre il mio mondo comincia a sfumare nel grigio…
-“James,
James resta sveglio! Una volta raggiunto il bordo, l’asse si
inclinerà e dovrai tenerti… Mi hai capito, ragazzo?”
Fanno scivolare la tavola in
avanti. Provo a ghermirla con un braccio, ma la mia presa è debole.
La gamba oscilla nel vuoto, una
sorta di pendolo sincronizzato con gli spostamenti del legno. Peccato che i
suoi dong
risuonino forte e chiaro nelle mie tempie e che al minimo movimento scariche e
fitte mi risalgano lungo il corpo. Uno scossone improvviso e tutto oscilla sul
suo asse. E dire che ho sempre evitato persino le montagne russe…
Mi gira la testa, vomito. Tremo
con violenza, forse sono già in shock, ma la morsa con cui stringo il
piccolo non viene mai meno. È l’unica cosa su cui riesca ancora a
concentrarmi.
Sento le voci concitate dei
ragazzi, mi sfugge il senso delle loro parole
però. È qualcosa di simile a “tienilo” o
“tieniti”, poi qualcuno urla “adesso”.
Un rumore assordante,
dopodiché la tavola si inclina e la forza di gravità comincia a
trascinarmi velocemente verso il basso. Chiudo gli occhi, cercando di tenere
fuori le fiamme più a lungo possibile, quando
la mia caduta si arresta, di colpo.
Vengo sbalzato in avanti e
colpisco il muro con forza.
-“Ce
l’ho. Tieni duro, Aurora, poi ti porto al
ballo” dice una voce sopra di me.
Sollevo lo sguardo, confuso.
Chris?
Cazzo, pensavo di essere fottuto
stavolta…
Due paia di braccia mi tirano su
in tutta fretta. Per poi distendermi sul pavimento sporco.
-“Sei ancora con noi,
James?” chiede Ron.
Non riesco a metterli a fuoco, un sordo ronzio mi trapana il cervello. Sto per
perdere conoscenza.
-“Mi sa che vi
toccherà portarmi in braccio fuori dal castello…” blatero.
La risposta di Chris è
l’ultima cosa che sento prima di sprofondare nel buio: -“Io di
certo non lo bacio, ragazzi.”
* * *
Un forte odore di disinfettante
permea l’aria, mascherando almeno in parte qualcosa di più dolce e
sgradevole: il tanfo della malattia, quello del sangue e delle sostanze
chimiche che si usano qui. Sono in ospedale.
Provo ad aprire gli occhi, ma
sento le palpebre pesanti. Cerco di sollevarmi, ma riesco soltanto a spostare
di pochissimo la mano lungo il ruvido lenzuolo. Il mio gesto, però,
attira l’attenzione di qualcuno. Delle dita mi stringono il braccio
appena al di sopra del polso. Sono calde e si spostano con lentezza sulla mia
pelle, descrivendo piccoli cerchi. Sono rassicuranti.
So a chi appartengono. Mi lascio
andare contro il guanciale, improvvisamente tranquillo.
-“Non farmi mai più
prendere un simile spavento, altrimenti...”
Al suono della sua voce il cuore
mi si ferma per un attimo, come a darsi una spinta per la corsa sfrenata che
intraprende subito dopo. Chi diavolo ha parlato?
Spalanco gli occhi, in preda al
panico, finché questi si posano su Lucy. Ovviamente, era stata lei a
parlare. Chi mi aspettavo di trovare al mio capezzale, se non la mia ragazza?
-“Ssshh,
calmati, James. L’infermiera sta arrivando con dell’altra
morfina.”
Annuisco stancamente.
-“Altrimenti cosa?”
chiedo poi con un ghigno.
Lucy mi sorride di rimando:
-“Ne parliamo dopo, non posso minacciarti in queste condizioni.”
Esplodo in un sonoro sbadiglio:
-“Quindi mi converrebbe più spesso… ehm, come sono finito
qui?” chiedo, cercando di colmare il buco nei miei ricordi.
Avverto un leggero pizzico al
braccio. Abbasso lo sguardo e vedo
l’infermiera armeggiare con una flebo. Quando
è arrivata?
Vi inietta qualcosa, poi si china
su di me: -“Non era lei che ti aspettavi di vedere, vero, Dean?” mi
sussurra all’orecchio.
Dean, e chi sarebbe? E chi altri
avrei dovuto aspettarmi?
L’osservo interrogativo, ma
la stanza ha già cominciato a girare. Dev’essere
l’effetto della morfina comunque, adesso mi pare addirittura che i suoi
occhi siano bianchi…
Quando mi risveglio,
la qualità della luce è cambiata. Entra dalla finestra in tenui
raggi rossastri, respinti con forza dalle ombre che si allungano intorno a me.
La camera è ormai quasi completamente buia.
Sono solo. L’unico suono
è il costante bip dei monitor cardiaci, che fa da
contrappunto al mio respiro affrettato.
Mi guardo in giro, cercando di
scorgere qualcosa, convinto che ci sia una minaccia in agguato.
-“Già, sarà
probabilmente il babau” mi dico, cercando di allentare la tensione e di
razionalizzare questo terrore insensato. La mia voce però peggiora
soltanto le cose, aumentando il mio stato d’allerta. Mi sembra di sentire
le mie grida, distorte dal dolore e dalla paura; la mia risata, piena di sdegno
e derisione, sadica, animalesca.
Le prime gocce di sudore mi
imperlano la fronte, mentre altre mi scivolano gelide lungo la schiena.
Mi tiro su, facendo leva sulle
braccia. Le lenzuola sono madide. Una patina acquosa mi ricopre la pelle, che
il tramonto tinge di riflessi purpurei. Non è sangue, nonostante ne
abbia il colore… e l’odore. Non è sangue, non è
sangue.
La nausea mi assale. Mi gira la
testa, ma non posso distendermi, non in questa pozza rossa. Vorrei lanciarmi
fuori dal letto, ma ho una gamba in trazione. Sono confinato qui, da
solo…
Un allarme comincia a suonare,
ossessivo. Qualche istante e la porta si spalanca. Un infermiere fa il suo
ingresso, illuminando
la stanza.
I suoi occhi si posano su di me e
mi ritraggo istintivamente.
-“Tutto bene,
signore?” mi chiede con cautela.
Scuoto la testa, insicuro su come
proseguire. Osservo con attenzione le mie mani, ma sono immacolate.
“Non potrai mai lavare via il loro sangue, Dean.”
-“Cosa?” domando, sgomento.
-“Le ho
chiesto se le occorre qualcosa, signore. Non potrò darle altra
morfina nella prossime ore, però.”
Mi lascio sfuggire un piccolo sospiro di sollievo: una frattura
dall’aspetto per nulla rassicurante, morfina e chissà che altro
schifo ed ecco spiegato tutto. Il sonno della ragione genera i mostri, no?
Fortunatamente ci pensa la luce elettrica a dissiparli.
-“Non ho bisogno di
niente” lo tranquillizzo. “Solo un incubo, ma non diciamolo in
giro” concludo, sorridendo.
-“Il suo
segreto è al sicuro. Anche perché dovrei passare sul corpo
di una dozzina di infermiere, pronte a difenderlo.”
Sollevo un sopracciglio,
interrogativo.
-“Non lo
sa ancora? È la star del nostro reparto, il pompiere eroe. Infatti credevo che la sua fidanzata non avrebbe mai
lasciato il territorio incustodito” dice con una punta di invidia.
“Ma forse ha pensato che in certe condizioni…”
-“Spero non sia andata a
comprare una cintura di castità” sussurro, con una smorfia.
Scoppiamo a ridere insieme, come
due vecchi amici.
Si avvicina ai macchinari,
mettendo a tacere l’allarme. Studia i vari tracciati, analizzandone
l’andamento. La sua espressione muta radicalmente; adesso è
attento, professionale: -“Qui abbiamo avuto un bel picco” mormora.
“Anche la saturazione dell’ossigeno nel sangue era molto
alta.”
-“L’incubo di cui le
parlavo” ribatto, a disagio.
-“Sì,
certo. Si tratta di una reazione più che normale, considerando lo
stress cui è stato sottoposto. Se sentisse il bisogno di parlarne con
qualcuno, in quest’ospedale ci sono medici più che
qualificati…”
Vuole che parli con uno
strizzacervelli?
-“Non ne sento il bisogno,
grazie” lo interrompo, brusco. “Mi scusi, sono un po’
stanco…”
Stavolta il suo
sorriso è decisamente forzato: -“Capisco. Buona notte.”
Fa scattare gli interruttori; per
qualche secondo la sua sagoma risalta sulla soglia contro il corridoio
illuminato, poi si chiude l’uscio alle spalle e la mia camera ripiomba
nell’oscurità.
Poggio la testa sul cuscino
umidiccio e mi impongo di chiudere gli occhi. È tutto ok. Sono al
sicuro.
Mentre scivolo nuovamente nel
sonno, mi sembra di risentire l’odore del sangue e lo stridore delle
grida, pronti a stringermi nel loro sudicio abbraccio.
Note: Grazie mille per il commento, Jo <3 Spero ti piaccia anche questo capitolo con James!
Il prossimo aggiornamento sarà fra una settimana, perché starò via qualche giorno. Ci sentiamo. Mi raccomando, fatemi sapere ^^