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Autore: kiku77    12/12/2009    5 recensioni
Sanae e Tsubasa si sono sposati e vivono a Barcellona con i loro due gemellini. Sembra una favola, ma forse c'è qualcuno che ancora sta cercando se stesso...... Ce l'ho fatta........!!buona lettura!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tsubasa non poteva credere di aver perso palla di nuovo e nel tentativo di riprendersela, fece un fallo da dietro a Ishizaki, che, gridando, ricadde a terra dolorante.

“ Ma dico sei impazzito, Tsubasa?” gridò Hikaru.

L’arbitro della partita d’allenamento corse verso il capitano e lo invitò ad uscire.

“Vuole scherzare? Volevo prendere la palla, figuriamoci se volevo far male a Ryo…. Dai Ryo… non fare il morente….tirati su!”

Ryo era a terra e non riusciva a muovere la gamba. L’intervento era stato veramente da cartellino rosso.

“Avanti Tsubasa, esci e non discutere. Sei il capitano, e devi dare il buon esempio”, gli ordinò Genzo da dietro, con le mani sui fianchi, senza nemmeno guardarlo. Tsubasa si sentì tutti gli occhi addosso e a quel punto uscì dal campo. L’allenatore, per punizione, gli chiese di fare 30 giri di campo e di fare un doppia seduta in palestra. Tutti si erano accorti di quanto fosse nervoso. Non sembrava neanche lui.

Jun si rese conto che aveva sbagliato a riferirgli di quella conversazione proprio prima delle amichevoli. Avrebbe dovuto aspettare, ma ormai era troppo tardi.

La sera,  alla vigilia della partita con L’Uruguay, Tsubasa si mise fuori in terrazzo, seduto a guardare il buio.

Taro gli si avvicinò. Voleva capire se fosse il caso di parlargli o di lasciarlo stare.

“Cosa stai facendo?”

“ Niente di speciale… a quest’ora mi prende sempre un po’ di malinconia….mi mancano i bambini…..mi manca lei……” Non riusciva neanche a dire il suo nome. In quelle lettere si raccoglieva un groviglio talmente complesso di pensieri e sensazioni, che non poteva pronunciarle.

“Sente ancora dolore Ryo?”

Taro gli sorrise… “no sta benissimo, domani farà bella figura, vedrai. Sai, è migliorato molto.”

“Ho visto! Ho provato a saltarlo due volte e per due volte non ci sono riuscito. Ho fatto veramente schifo, oggi”

“Senti Tsubasa, so che ieri non è stata una bella giornata, ma non voglio essere invadente…. Se vuoi parlare però sono qui.”

Lui apprezzò il gesto dell’amico. Taro conosceva bene sia Tsubasa che Sanae; chi meglio di lui poteva capire la situazione?

“Grazie…. Ma non mi va molto di parlare… per parlare ci vogliono le parole e io di parole non ne ho…….sono troppo amareggiato. E poi sto anche ripensando a come ho giocato oggi….. accidenti… non voglio essere così, capisci, non voglio che quello che succede fuori dal campo, incida sul mio modo di giocare…. Non è mai successo e deve continuare a non succedere. Non voglio sbagliare. Al Barcellona, sbagli una partita e sei fuori…e prima di partire l’allenatore mi ha esplicitamente detto che le partite con la nazionale le avrebbe seguite…“

Non era cambiato per niente. Il calcio era tutta la sua vita: il resto ci doveva ruotare attorno, si doveva incastrare perfettamente, senza lasciare strascichi o polvere. Il che, ora che era marito e genitore, cominciava a diventare abbastanza difficile. Doveva ancora maturare molto.

“E Sanae questo lo sa?” chiese Taro

“Non ho fatto in tempo a dirglielo. Non abbiamo mai tempo di parlare….”

“Taro, ma anche tu che domande fai? Quando hanno un po’ di tempo, Tsubasa preferisce fare altro con Sanae…..”

Genzo era spuntato all’improvviso e aveva cercato di portare un po’ di umorismo in quella discussione che stava prendendo una piega troppo seria. Diede una pacca sulla spalla a Tsubasa e andò a sedersi vicino a loro.

“Sei sempre il solito….. per te le donne sono solo sesso……” disse Taro.

“Cosa ci volete fare… tra un mucchio di ragazzi posati, quello Bello e Dannato ci deve pur essere, no?”

Tsubasa sorrise: “ Ah io pensavo che il bello e dannato fosse Hyuga, e non tu!”

“Ma figurati… Hyuga è un bruto… io invece sono un dannato che ha classe….”

 

I tre rimasero ancora un po’ fuori a scherzare e  poi naturalmente il discorso cadde sulla partita imminente, ripassando mentalmente le tattiche e gli schemi preparati durante gli allenamenti.

Dopo un po’ rientrarono  e andarono a dormire.

Quando salì in camera, Tsubasa trovò Ishizaki intento ad inviare messaggi a Yukari col  telefonino.

“Ehi… come stai?”

“Bene, Tsubasa… tutto ok. E tu?”

“Beh a parte che mi sento un idiota per il fallo che ti ho fatto… mi sento bene…. Scusami”

“Ti dovresti sentire idiota per quello che hai detto a Sanae…..” Ryo fece una pausa e poi, vedendo il volto sconsolato dell’amico aggiunse: “ dai che domani dopo la partita le parli e si rimette tutto a posto. La prossima amichevole sarà con la Francia: devi essere al top.”

“Già……”

 

 

Il giorno seguente Sanae decise finalmente di disfare i bagagli e cominciò anche a pensare a come organizzarsi. Seduta a terra, si guardò alla specchio ed inarcando la schiena, alzò la maglietta per vedere che effetto le faceva prendere coscienza del suo basso ventre. Non era più come prima; riusciva a scorgere che una piccola sporgenza, forse agli altri impercettibile, si stava disegnando.

Ripensò al giorno in cui aveva scoperto di aspettare i suoi bambini: era stato così sorprendente, senz’altro uno dei momenti più belli della sua vita. Aveva passeggiato per le strade del centro di Barcellona, tutta sola, e aveva comprato dei fiori. Che ridere poi a fare la visita dal dottore che parlava spagnolo e lei che ancora non capiva niente….

Ora era tutto diverso. L’incantesimo sembrava essersi spezzato. E mentre la solitudine della prima gravidanza era qualcosa che in fondo si era un po’ cercata anche lei, per potersi godere secondo dopo secondo quell’esperienza così speciale, adesso sapeva che essere sola aveva tutto un altro significato.

La Signora Nakazawa salì in camera sua e la vide intenta a piegare magliette e altre cose dentro i cassetti.

“Guarda che se non ti sbrighi, faremo tardi… I Signori Ozora sono di sotto con Daichi e i bambini. Aspettano solo noi….lo sai che viene anche tuo padre? Ma cosa gli hai detto per convincerlo  a venire a vedere la partita?”

Sanae sorrise.

“Io non vengo. Ho da fare.”

“Come non vieni? “

“Te l’ho detto, non vengo.”

Sua madre non sapeva che dire…..

“E cosa dico a Tsubasa quando me lo chiede……”

“Lui non ti chiederà niente, vedrai… lo conosco troppo bene ormai.“

“Sanae, guarda che ti stai comportando molto male… cosa pensi di risolvere così? Lui ha bisogno di te…. Ha bisogno di sapere che ci sei, che lui potrà sempre contare su di te.”

“E io? Io posso contare su di lui? Non mi sembra proprio visto che quasi avrebbe voluto mettermi  le mani addosso solo per aver detto un semplice frase ad un’amica. Sai cosa ti dico, mamma? Mi sono stancata di esserci. Di esserci sempre. Per cosa, poi? Per passare per una strega, per una che se ne è approfittata?........  Vai, vai alla partita…. Io ho da fare.”

 

Dopo qualche minuto il Signor Nakazawa salì in camera.

“Adesso io conto fino a dieci e tu durante questi dieci secondi ti alzi e sei di sotto.”

Lei lo fissò.

“Mi dovrai spostare con la forza perché io non vengo.”

“Vuoi fare un dispetto a tuo marito? O stai scappando? Uno, due…..”

Ecco cosa pensavano i suoi genitori. Che stesse scappando. Che volesse fare un dispetto a Tsubasa. Cosa ne sapevano loro? Loro non c’erano stati in quei due anni nella sua vita. Non potevano sapere cosa fosse stato crescere i suoi figli da sola, non poter parlare con nessuno perché non si conosce la lingua del paese dove si vive. Non sapevano cos’era nascondersi dietro un sorriso perché tuo marito deve pensare che è tutto a posto e sei la ragazza più felice del mondo. Loro non avrebbero potuto capire. Non potevano ascoltarla.

La verità era quella: lei era completamente in trappola. Nessuno era lì, pronto ad aiutarla. Tutti pensavano solo a Tsubasa, a quanto la sua eventuale assenza avesse potuto incidere sul risultato, sulla sua prestazione.

“Nove…..Dieci…Bene….sappi che non approvo per niente il tuo comportamento. Ed io che pensavo che fossi una donna ormai…. Forse hai ragione tu, Sanae… è meglio che butti via la tua bambina…..come potrai crescere un altro figlio se ti perdi per così poco……?”

 

Non poteva credere a quello che suo padre le aveva detto. Era stato molto peggio di uno schiaffo. Molto peggio di tutto il litigio con Tsubasa. Peggio di qualsiasi cosa.

Si sentì il cuore scoppiare dalla rabbia e dal dolore. Non riusciva a vedere niente: gli occhi erano pieni zeppi d’ umido.

 

 

Quando i giocatori entrarono, ci fu un fragore immenso. Era pieno in ogni angolo: non si riusciva a distinguere niente perché era un’ esplosione di cori  e di colori.

Tsubasa guardò la tribuna riservata ai parenti ed amici dei giocatori. C’ erano tutti tranne Sanae. Pensò che forse, piccola com’era, era rimasta nascosta da qualcuno e senza farsi troppo vedere, provò a scrutare in qua e in là.

In quel preciso momento i rumori si spensero, i colori sparirono.

Lui riusciva solo  a sentire il battito del suo cuore. Il ritmo era accelerato e ogni volta che il sangue pulsava, avvertiva una specie di tonfo, giù, fino in fondo allo stomaco. Guardò di nuovo, ma Sanae non c’era. Non riusciva a trovare il suo corpo. Le sue mani. Non riusciva  a scorgere i suoi occhi. I suoi occhi erano la sua strada. Senza quegli occhi non poteva vedere niente. Senza di lei,  gli mancava il respiro.

Ripensò alla cena dai suoi genitori quando  l’aveva vista, tutta rossa in volto, piena di vergogna, come quando l’aveva spogliata, l’aveva toccata per la prima volta...

“Tsuabasa, dobbiamo andare!” gridò Ryo.

 

Cominciò la partita.

Giocò abbastanza bene. E vinsero. Fece due goal e due assist. Accese il cervello e pensò solo a non sbagliare perché era il capitano e tutti contavano su di lui. Il cuore l’aveva spento, però. Non aveva neanche esultato. Tanto per lui, era come giocare da solo. Tutta quella gente, quei rumori, quei colori erano spariti. Aveva giocato in uno stadio vuoto. 

 

 

   
 
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