Malik
scrutò il volto rabbuiato del Priore. Era
abituato, ogniqualvolta si trovava al suo cospetto, a sentirsi
inferiore:
Altaïr sprigionava un’aura di manifesta
superiorità, di surreale indifferenza,
di forza tangibile che ogni Assassino ambiva a eguagliare. Con scarso
successo,
tuttavia. Quanto invidiava quell’uomo! Benché
fosse anch’egli un esperto
Assassino, Malik sapeva perfettamente in cuor suo di non possedere
nemmeno un
decimo del portentoso talento del pupillo di Al Mualim.
«Mi
hai dunque svegliato nel cuore della notte
per questo? Non potevi attendere le luci
dell’alba?» domandò Altaïr,
visibilmente innervosito.
«Certo
che no, poiché l’ordine di informarti mi
è
stato affidato direttamente dal maestro! Egli desidera parlarti,
adesso!»
Altaïr
alzò lo sguardo. Per la prima volta, sulle
sue labbra si dipinse la lieve ombra di un sorriso.
«E
così il maestro ora ti utilizza come
galoppino. Bene, finalmente un impiego all’altezza delle tue
capacità. La
fratellanza ne trarrà certamente maggior beneficio che dalle
tue abilità di Assassino»
mormorò Altaïr, a voce sufficientemente alta
perché Malik afferrasse ogni
sillaba.
Malik,
visibilmente offeso, tacque. Comprendeva
il motivo di tanta ostilità nei suoi confronti.
L’ultimo incarico che gli era
stato affidato, disgraziatamente, si era concluso con un grave
fallimento.
Nonostante la colpa della disfatta non fosse stata interamente sua, la
responsabilità della missione gravava su di lui, e
ciò lo rendeva colpevole.
«So
che mi disprezzi, Altaïr. Disprezzi la mia
devozione al Credo, ma sono fermo nella mia convinzione che questo non
faccia
di me un debole. Io sono fedele alla fratellanza, non al sangue.
Tienilo a
mente» rispose Malik, mentre Altaïr, con passo lento
ma deciso, si allontanava
dal corridoio.
Il
silenzio continuò a regnare sovrano. L’Aquila
in Volo di Masyaf non aveva ritenuto il suo interlocutore degno di
risposta.