Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Pluma    24/12/2009    1 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

XIV° CAPITOLO

TRAPPOLA

 

Tra uomo e donna vince chi fugge…

Ma anche chi ingabbia

 

 

 

 Camille Rolland interruppe il suo racconto. Era difficile capire se fosse concluso o, se invece, ci fosse dell’altro; qualche cosa in più per cui l’anziana signora doveva prendere fiato, prima di proseguire. Tutto questo, però, non fu colto dal suo uditorio. Jack, con le braccia incrociate al petto, si guardava le ginocchia, mentre Savannah giocava distrattamente con le punte dei capelli del ragazzo. Del trio era impossibile stabilire chi e quanto stava ascoltando realmente; Satine era estremamente irritata dal trattamento che Camille stava ricevendo dai Predators. Con il sopraciglio destro alzato fulminò con i suoi occhi cristallini Richard, attirando la sua attenzione con una veloce ma insistente schiarimento di gola. Heart le sorrise con la sua solita espressione beffarda ma alla fine cambiò atteggiamento, annuendole accondiscendente:

“Mi dica signora, cosa fece quando aprì la porta?” chiese Richard.

La francese si portò una mano fremente alla fronte, se la accarezzò per un istante, come per togliersi un pensiero, ma non recuperò la serenità quando tornò ad alzare il volto.

“Quando aprii la porta mi ritrovai davanti al corpo appeso e senza vita della mia piccola Doriane.”

Savannah ebbe un sussulto nel sentire quelle parole. Camille si era interrotta nuovamente senza aggiungere altro; non disse che cosa le passò nel cuore e nella testa quando vide la sorella minore. Probabilmente solo Savannah poteva raggiungere una piena empatia con l’anziana signora, ma se anche gli altri avessero potuto comprendere completamente l’importanza di ciò che stavano ascoltando, sarebbe cambiato qualche cosa? Presumibilmente no.

Ci fu qualche attimo di silenzio, in cui i Predators si guardarono, immergendosi in una silenziosa discussione riguardante il da farsi con la statuetta. Dopo aver raccolto le mute opinioni di ciascun componente della sua squadra, Richard annuì.

“Che cosa ci chiede, signora?”

“Vorrei che consegnaste a me la Sainte Vierge du Pardon.”

“Gratis!” aggiunse Satine, sottolineando una cosa ovvia, ma che doveva essere precisata.

“E magari vorrebbe anche che la portassimo indietro nel tempo, per impedire il suicidio di Doriane” la schernì Asriel accentuando, il più possibile, l’accento tedesco.

“Tieni a bada i tuoi bastardi” ammonì Satine, rivolgendosi a Richard.

“Hei signorina” la interruppe Asriel. “Prima di pretendere rispetto, dovrebbe darne. Sono sempre e comunque più anziano di lei.”

Satine stava per rispondergli per le rime quando fu bloccata da un gesto della mano di Camille che le chiedeva silenzio.

“Allora signor Heart” disse la signora Rolland con una voce nuovamente posata e controllata. “Che cosa mi risponde?”

“Le dico che mi dispiace molto per tutto ciò che ha dovuto passare, ma non possiamo farci proprio nulla. Abbiamo una sola parola; forse è l’unico pregio che hanno i Predators, ma lo abbiamo: sono legato al mio impegno con il signore che mi ha commissionato il lavoro.”

Non aveva senso fermarsi ulteriormente in quella stanza, solo per dare a Satine la possibilità di fare una scenata e aggravare il dolore di Camille. Detto ciò che doveva dire, quindi, Richard si alzò dal divano dirigendosi verso l’uscita senza voltarsi, seguito dai suoi silenziosi sottoposti. Satine Chabrol, però, non fu molto d’accordo; dopo aver controllato che la sua cliente stesse bene seguì, con passo veloce ed energico, i Predators, raggiungendoli in strada. Satine non era una donna bassa, ma Richard la superava di una ventina di centimetri, nonostante questo, però, la francese era abbastanza infuriata da superare qualsiasi differenza di misura.

“Avevi promesso” lo accusò, urlandogli in faccia.

“Non credo proprio mia cara. Io avevo promesso che avrei ascoltato e, per giunta, avevo premesso che non sarebbe servito a niente.”

“Lei ha voluto far perdere tempo a tutti. A lei alla sua Camille Rolland e cosa ben peggiore a noi” si intromise Asriel. “Pensava veramente che fossimo dei pivelli e che sarebbe bastata una storiellina da quattro soldi strappa lacrime?”

Satine scoppiò, cominciando a gridare come un’ossessa contro il tedesco, fino a quando Richard non si parò in mezzo ai due. La donna, infuriata, alzò il pugno ingioiellato, pronta a picchiarlo contro il petto del Gallese. Si bloccò immediatamente, però, nel momento in cui vide gli altri quattro Predators circondare Richard, pronti a proteggere lui e fare del male a lei. Ma chi comanda i Predators non ha certo bisogno di essere difeso, per lo meno non da un avversario come Satine; veloce come un fulmine, Richard afferrò il polso rimasto alzato di Satine, facendo poi roteare il braccio dietro la schiena e intrappolando la donna tra le sue braccia in una morsa che non aveva nulla di affettuoso.

“Ragazzi, andate a farvi un giro, ok?” Non era tanto una domanda, anche se ne aveva la forma.

 

Come spesso accadeva i Predators trascorsero la serata separati. Richard la trascorse, non si sa dove, insieme a Satine. Savannah e Jack decisero di rimanere in hotel.

“E voi due che cosa fate?” chiese Jack, in realtà poco interessato alla risposta.

Asriel si girò verso Sheril.

“Io vado a bermi un aperitivo, poi deciderò. Vuoi venire con me?”

“No, grazie comunque dell’invito” rispose il tedesco. “Dopo oggi pomeriggio ho solo bisogno di una bella doccia per togliermi la puzza di vittimismo.”

 

Dopo essersi chiusa nella sua camera, Sheril ringraziò mentalmente che Asriel avesse rifiutato l’invito. Era troppo tempo che non stava un po’ da sola; la sua intenzione era quella di prepararsi per benino, fermarsi in un bar carino e vedere se riusciva a trovare un po’ di divertimento. Quando erano arrivati a Montpellier, esattamente come era sua abitudine fare, aveva disfatto la valigia riponendo tutta la sua robe dentro l’armadio. Con l’asciugamano che le avvolgeva il corpo ancora profumato dal bagno che aveva appena fatto, aprì le ante e dopo aver guardato un po’ in giro prese dei pantaloni di velluto nero, stretti in vita e a zampa d’elefante sulle gambe; al posto della cintura c’era un filo d’oro che dava un po’ di colore. Il top prescelto era dello stesso tessuto e dello stesso colore del pantalone, sagomato sul seno le fasciava morbidamente le curve invidiabili.

Tra le tante paia di scarpe che si era portata dietro, optò per un paio di decolté nere con la punta chiusa e il tacco a spillo dei soliti sei centimetri in oro. Per ornare il collo si allacciò un girocollo dal filo trasparente con un ciondolo di vetro nero che rappresentava lo stesso caduceo di Ermes che aveva tatuato sulla scapola destra. Alle orecchie lasciò le anelline in oro che aveva portato tutta la giornata, non aveva voglia di portare niente di più pesante ed elaborato.

Dopo essersi vestita andò in bagno dove accese le luci abbaglianti dello specchio che le illuminarono il viso, si guardò per un po’ controllando che nessuna imperfezione si fosse aggiunta sulla sua pelle, poi cominciò a truccarsi. Con l’eyeliner nero si tracciò una riga intorno agli occhi, pronunciandola un po’ di più sulla palpebra, aggiungendovi sopra una linea sottile di eyeliner oro per dare maggiore luce all’occhio. Per il resto della palpebra scelse la sfumatura del blu, arrabbiandosi, dopo un po’, perché l’occhio destro non era venuto come quello sinistro.

“Va bè” si disse tra sé e sé. “Io lo vedo perché lo so.”

Rossetto rosso e un po’ di phard sulle guance completarono l’opera.

Sheril si guardò studiandosi poi, soddisfatta, si fece l’occhiolino maliziosamente per poi ridere di gusto del suo gesto, mentre con la mano si tirò dietro l’orecchio il ciuffo dei capelli. Prima di uscire prese la sua pochette di paillettes nere e, finalmente si avviò verso l’inizio della sua serata. Alla reception si fece chiamare un taxi e, tanto che c’era, si fece consigliare un bel locale in cui una donna non accompagnata poteva divertirsi, senza, però, andare incontro a fastidiose scocciature.

 

Quando Sheril entrò nel locale, la prima cosa che fece fu quella di guardarsi intorno, scandagliando l’ambiente e le persone che lo occupavano. Non percepiva nulla di particolarmente negativo, ma nemmeno positivo. Questo significava che non c’era nessuno che si era alzato la mattina con l’intento di piantare grane, ma non vedeva nessun uomo di qualche significato. Con un sospiro si diresse al bancone; chissà, magari era solo troppo presto. Forse, dopo un aperitivo, sarebbe entrato dalla porta un’opportunità di divertimento.

“Cosa le posso servire?” le chiese una delle tante bariste a disposizione nel locale, una volta che Sheril si fu seduta su uno sgabello.

“Che cosa mi propone?” rispose Sheril.

“Vuole affidarsi a me?”

La donna si portò la mano alla bocca per coprire la risata.

“Non esageriamo” disse poi.

La barista sorrise, si voltò verso la bottiglia e, dopo un po’ di indecisione prese in mano una bottiglia.

“Noilly Prat. Ha una storia carina alle spalle. Potrebbe piacerle solo per questo.”

“Racconti” la incitò.

“All’inizio del XIX secolo padre e figlio, Joseph e Louis Noilly, cominciarono a produrre e vendere il primo vermouth dry francese. Louis aveva una figlia molto bella, dagli occhi scuri molto corteggiata dalla gioventù locale. Noilly, però, sospettava che i corteggiatori erano più interessati al denaro che alla figlia, così decise di mettere in giro la voce che chiunque desiderasse sposare la figlia, doveva prima lavorare nella sua agenzia vinicola. Qual’ era il problema, dirà lei: Louis Noilly si presentò come un datore di lavoro molto tosto. Ben presto la ragazza si ritrovò senza spasimanti .

“Un giorno, un viaggiatore di nome Claudius Prat arrivò a Marseillan, il piccolo paese portuale dove vivevano i Noilly, incontrò la pupilla della famiglia e se ne innamorò. Accettò le condizioni del padre di lei, dopo due anni i giovani si sposarono e, alla fine, suocero e genero fondarono una società.”

“Ritenta, sarai più fortunata” si limitò a commentare Sheril.

Non furono tanto le parole della cliente a deprimere la barista quanto la sua faccia inorridita.

“Non le piacciono le storie d’amore, signora?”

“Signorina. No, da almeno una quindicina di anni.”

“E’ rimasta scottata?”

“Già” disse sorridendo Sheril. “Ma tutto ciò che sono è merito di quella delusione. Non credo che mi sia rimasta tanto male, tutto sommato” affermò vanitosamente l’inglese indicandosi il busto con una mano.

“Ma non crede più nell’amore” tentò la barista.

Sheril guardò la ragazza. Non era arrabbiata con lei, in fondo era giovane e, nonostante la sua esperienza e il modo in cui vedeva il mondo maschile, non augurava tutto ciò a nessuno. Si limitò, quindi, a ripetere perentoria:

“Ritenta, sarai più fortunata!”

La barista prese il Noilly Prat e lo ripose al suo posto. La sua seconda scelta fu più veloce:

“Guignolet.”

“C’è una storia anche qui?” chiese beffarda Sheril.

“Non che io sappia” rispose cupa la barista.

“Così non mi convince a prenderlo.”

Con mosse stizzite la giovane donna prese un libro da sotto il bancone; lo sfogliò e si mise a leggere:

“Il Guignolet Marie Brizard, dal luminoso colore rosso ciliegia, ha un bouquet fresco e fruttato; il gusto è deliziosamente dolceamaro, il finale poco dolce è piuttosto persistente” concluse la barista con un sorrisetto finto dipinto sul volto.

“Aggiudicato” affermò Sheril, scimmiottando un venditore d’aste.

La ragazza prese un bicchiere, versò il Guignolet aggiungendovi, poi, del ghiaccio. Servì Sheril allontanandosi subito dopo, contenta di poter allontanarsi da quella scomoda cliente. Sorridente, Sheril cominciò ad assaporare l’aperitivo. Un paio di uomini le si avvicinarono ma, un po’ non era in vena, un po’ nessuno si dimostrò veramente interessante.

Stava per alzarsi e andarsene scoraggiata, quando un ragazza si appoggiò al bancone. Era giovane e bello; guardandolo Sheril aveva la sensazione di averlo già visto, ma non riuscì a capire fino a quando la barista, che l’aveva servita, non gli si avvicinò. Erano gemelli, o se non lo erano sicuramente fratello e sorella. Non riusciva a smettere di guardarlo tanto che lui se ne accorse e, voltandosi verso di lei, le sorrise.

“Michel, stai attento. E’ una donna senza amore” lo avvertì la sorella, provocando la risata di Sheril, per nulla infastidita da tanta impudenza.

“Ma cosa mi dici Jeanne? Non ci sono donne senza amore.”  

Michel e Sheril continuarono a guardarsi, contenti della piega che stava prendendo la serata.

“Questo perché non ne hai mai vista una.”

“E ora ne ho una davanti?”

“Puoi scommetterci.” Gli fece l’occhiolino.

“Davvero? Accetto, Jeanne che cosa hai servito alla signorina?”

“Guignolet.”

“Ne potresti portare altri due? Grazie sorella.”

Non furono solo due, nemmeno a testa. I due sconosciuti parlarono, risero, scherzarono. Lui la stuzzicava, a volte, anche ingenuamente e lei rispondeva senza farsi troppi problemi.

“Credo di aver bevuto abbastanza” disse ad un certo punto Sheril.

“Dici? Credo proprio che questo valga anche per me.”

“Scusa Jeanne, non è che mi chiameresti un taxi?”

All’inizio della serata Sheril non avrebbe mai potuto chiedere un favore alla barista, ma mentre le ore passavano la ragazza sembrava avesse recuperato un po’ di simpatia per l’inglese.

“Un taxi? Che brutta cosa” disse Michel. “Ti accompagno io.”

“Anche tu hai bevuto troppo” rispose Sheril con un sorriso, accarezzandogli con i polpastrelli la pelle del petto lasciata scoperta dalla camicia sbottonata.

“Ma Jeanne no, e fra un pochino finisce il turno.”

Sheril e Michel si girarono verso la francese, intenta a lucidare i calici.

“Va bene” disse semplicemente, alzando le mani.

“Andiamo fuori ad aspettarla, l’aria non potrà che farci bene” propose Michel alzandosi dallo sgabello e porgendo la mano alla compagnia della serata.

L’aria era piacevolmente fresca; Sheril sentiva le guance pizzicarle e, per proteggersi, si alzò il bavero del giubbino. Nonostante il venticello, la donna continuò a sentirsi strana: le girava la testa e anche le gambe minacciavano di cedere. Preoccupata che Michel se ne accorgesse e la trovasse sciocca e imbarazzante, lo guardò. Altro che accorgersi del suo stato, non la guardava nemmeno; era come se, tutto d’un tratto, lui non fosse più interessato. Non faceva altro che spostare lo sguardo intorno, improvvisamente serio e…per nulla ubriaco. Eppure avevano bevuto, più o meno, lo stesso numero di bicchieri, e lei non era Savannah. Lei l’alcool lo reggeva discretamente bene.

“Strano” affermò Sheril strizzando gli occhi nel tentativo di schiarirsi la vista.

“Cosa?”

“Pensandoci non ho bevuto così tanto.”

Michel si voltò verso la donna; il suo nuovo sorriso era inquietante. Non come quello che Sheril era abituata a vedere sul volto di Jack, ma molto simile. Una sola parola le balenò nella mente: assassino. Non era lucida e, ora lo sapeva per certo, non era dovuto a quanto aveva bevuto. Se fosse stato quello il motivo, avrebbe avuto un certo senso reagire e tentare di scappare, ma drogata senza sapere quale sostanza le avessero dato, non era molto furbo.

“Comunque non più di te” continuò.

Il corpo ciondolò tanto che Michel dovette prenderla tra le braccia per sostenerla.

“Per avermi non avevi bisogno di arrivare a tanto.”

“Lo so.”

Bene, almeno ora poteva togliere uno delle mille motivazioni plausibili.

“Posso almeno sapere come hai fatto?”

Non ci fu bisogno di una risposta perché in quel momento comparve Jeanne che la salutò:

“Salve donna senza amore.” Aveva la stessa espressione di Michel, erano decisamente gemelli.

Fu l’ultima cosa che sentì e che vide, prima di perdere i sensi.

 

Sheril sentì le palpebre pesanti come macigni; si concentrò sui suoi arti, accorgendosi che erano liberi.

“Grosso, grosso errore” disse fra sé ridendosela fra i baffi per la negligenza commessa dai suoi rapitori.

Si sfregò gli occhi con le dita, infastidita al pensiero del trucco sbavato:

“MI pagheranno anche questa” giurò a sé stessa con un ringhio.

Fu un brutto colpo accorgersi, una volta aperti gli occhi, che nessuno aveva commesso la stupidata di sottovalutarla. L’avevano rinchiusa. Guardò in alto infuriandosi maggiormente nel constatare che era stata imprigionata in una gabbia alta appena un metro; in questo modo le impedivano la gran parte dei movimenti e tolto una qualsiasi possibilità di fuga. Non è che poteva escogitare molto gattonando di qua e di là come una tigre inferocita:

“Suppongo che, ora, daresti tutta te stessa per un principe azzurro che ti salvi.”

Sheril si voltò e vide Michel appoggiato al muro, il bel volto estremamente divertito.

La donna lo fulminò. Tese i muscoli come se volesse balzare addosso all’uomo, cosa che avrebbe fatto molto volentieri se non ci fossero state le sbarre a proteggerlo.

“Appena esco di qui, ti strapperò quel tuo cuore ricolmo d’amore.”

 

 

Dracontessa: ecco la mia crucca mancata preferita!!! J Sono contenta che ti sia piaciuto il cap. precedente; effettivamente pensavo un po’ a te mentre lo scrivevo. All’inizio Eber (come lo hai chiamato tu…bello cinghialone mio) doveva essere molto più simile a Wilhelm, nel senso che avevo previsto una violenza poi, però, ho pensato alla mia visione dei tedeschi. Io credo che una parte facevano il loro dovere, non erano tutti dei sadici mostri…

Leuconoe:partendo dalla piccola sfida che ti ho lanciato ci hai azzeccato in pieno! Come ho scritto nella risposta precedente avevo programmato una violenza sessuale ad opera del bel tedesco, poi, mentre scrivevo Eberwolf mi ha parlato (sì, lo ammetto i miei personaggi mi parlano di tanto in tanto…sono un po’ matta lo so J ) “ma perché devo essere un animale…io sono un soldato dell’esercito regolare tedesco, non uno stupratore” Aveva ragione. Almeno così la penso io

Come sempre le tue recensioni mi fanno un gran piacere e mi danno la carica giusta ogni volta, quindi spero che la storia continui a piacerti. Ritornando un attimino alla sfida: l’ho fatto perché mi piace avere un dialogo con chi legge le mie ff, soprattutto se si dimostrano aperte come te, quindi ANCORA GRAZIE!!!

 

PER TUTTI I LETTORI DI “PREDATORS”: GRAZIE A TUTTI, BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO  

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Pluma