Annotazione: Probabilmente non sarebbe necessario dirvelo, ma l'italiano non è la mia lingua
materna. Ma siccome ho trovato una beta grandiosa (mille grazie, Alchimista!!!) e siccome adesso lei ha anche corretto questo primo capitolo, potete veramente capire le mie storie. Almeno, la lingua non dovrebbe essere più un problema.
«Ehi,
Charlie, c’è un problema con il tuo algoritmo di
ricerca. Potresti venire qui per favore?»
Algoritmo? Che algoritmo? Ah, questo.
«Che problema?» chiese Charlie via cellulare mentre
lasciava frettolosamente scivolare i suoi occhi nel suo ufficio.
Dov’era quel dannato libro?
«In realtà non ci è chiaro tutto il
sistema» rispose Don e Charlie levò i suoi occhi
al cielo. Facendolo, i suoi occhi beccarono
il dorso di una dissertazione matematica. Col cavolo che il suo ufficio
era in disordine.
Tirò verso di sé il libro che cercava posizionato
sotto una pila di altri libri, quaderni e fogli spaiati che
naturalmente cominciò immediatamente a slittare
distribuendosi trasversalmente sulla scrivania che era già
strapiena.
«Charlie?»
«Sì… un attimo…»
Uno sguardo all’ora gli rivelò che aveva ancora
trenta secondi precisi prima di essere in ritardo. Siccome la pila era
comunque immobile sulla scrivania, la forza d’attrito
l’avrebbe mantenuta tale per i seguenti novanta minuti
finché Charlie non fosse ritornato. Allora prese il suo
laptop e i suoi documenti con una mano ma questi ovviamente caddero
subito a terra con sinuosi movimenti e si distribuirono dappertutto
nella stanza.
«Accidenti!» imprecò Charlie e
cominciò a raccoglierli spazientito.
«Ma cosa stai facendo?» chiese Don con un
po’ di impazienza nella voce che non sparì quando
non ricevette una risposta. «Allora vieni?»
«Ma ve l’ho già spiegato una
volta!» si ribellò Charlie con impazienza.
«Ma non è logico. Forse hai fatto un
errore».
Per un attimo, Charlie fermò la sua rapida raccolta.
«Tu mi dici che io ho fatto un errore?!»
«Beh è possibile, no?»
Charlie avrebbe preferito rispondere che no, non sarebbe stato
possibile in nessun caso. Ma sapeva che uomini commettevano errori e
che lui era un uomo. Deduzione logica: era possibile. «Va
bene» gemette scocciato «Dovrei riuscire a essere
da voi fra circa due ore, se mi sbrigo».
Don credette di aver sentito male. «Due ore?!
Perché non adesso?»
«Perché adesso
ho una lezione. Col tempo potresti almeno cercare di conoscere il mio
orario».
«Non puoi lasciar perdere la tua lezione?»
«Ma ti manca
qualche rotella? Io ti ho, forse, mai chiesto di lasciar perdere un
caso?»
«Sono due cose completamente diverse!»
«Ah, sì?»
«Si. Perché qui ci sono vite in gioco!»
Don si fermò per lasciare che le sue parole avessero
effetto, ma Charlie semplicemente levò gli occhi al cielo.
Don veniva sempre con lo stesso argomento, se lo diceva lui o se
Charlie se lo diceva a sé stesso.
«…ma se preferisci dare più importanza
alle tue lezioni…» continuò Don, ma non
concluse la sua frase che ne aggiunse un’altra abbastanza
cinica: «Sai, potresti farlo tu, parlare con la
vedova o il vedovo o i semi-orfani di una vittima»
«Devo andare adesso» rispose Charlie, in parte
perché non gli venne in mente una replica appropriata, in
parte perché era la verità
«Ciao».
«Va bene, ma…»
Charlie non sentì il resto. Aveva già chiuso il
suo cellulare e lo aveva poggiato sulla sua scrivania.
Agguantò il suo portatile e i suoi documenti e
uscì dall’ufficio.
La porta
sbatté dietro di lui, forse con un po' troppa forza.
Naturalmente, era tardi. Ma la sensazione che si agitava nel suo
stomaco aveva probabilmente avuto la sua parte nell’energia
con cui aveva quasi scheggiato la porta dell’ufficio. Peccato
che non si fosse rotta. Avrebbe potuto mandare il conto a suo fratello.
A cosa diavolo stava pensando Don? Come se Charlie non avesse niente di
meglio da fare che essere sempre pronto ogni qualvolta l’FBI
avrebbe bisogno delle sue consulenze!
Poco dopo, si trovava dietro il tavolo del professore
nell’aula. Per fortuna, ce l’aveva fatta a arrivare
con un ritardo di soli quattro minuti e mezzo. Era accettabile. E la
prossima volta sarebbe stato puntuale. E avrebbe preparato la lezione
con straordinaria accuratezza. Non c’era niente che non si
potesse leo.orfare.
La coscienza sporca aveva forzato un sorriso sul suo volto. Almeno i
suoi studenti non avrebbero dovuto sopportare un professore burbero per
i prossimi ottantacinque minuti e mezzo. Con la smorfia che poco a poco
diventava un sorriso vero e proprio, un pensiero era entrato nel
cervello di Charlie. Sembrava aver appena deciso di cambiare la sua
introduzione all’odierna lezione.
«Che cos’è questo?» volle
sapere dagli studenti quando sparpagliò i suoi documenti
davanti a loro sul tavolo. Si poteva facilmente intuire che erano stati
sul pavimento del suo ufficio.
«Un caos, direi io» disse una studentessa della
seconda fila sottovoce, sogghignando.
Anche Charlie sogghignò: funzionava.
«Esatto. E com’è nato questo
caos?»
Guardò direttamente la studentessa, Elizabeth
O’Rien, che adesso, a causa dell’interesse del suo
professore per la sua risposta sconsiderata, sembrava piuttosto confusa.
«Dunque… penso che…» Esitava
e, ad un tratto, a giudicare dalla sua espressione, cominciò
a capire.
«Ah!» gemé «Teoria del
caos!»
Il ghigno di Charlie divenne più grande quando anche il
resto del la classe cominciò a gemere.
«La signorina O’Rien ha ragione, anche se il
concetto è poco scientifico. Oggi parleremo un po’
dell’aspetto matematico dei sistemi complessi. Dunque, per
cominciare controlliamo le nozioni basilari. Cosa intendiamo per
“comportamento caotico”?»
Mentre Charlie prendeva il gesso, già si levò
qualche mano.
«Sì?»
«Si parla di comportamento caotico se il comportamento
dinamico di un solido presenta differenze sostanziali con le sue
condizioni iniziali cambiate in un momento specifico nella limitazione
dell’osservazione»
«Corretto» disse Charlie, con un sorriso, allo
studente della terza fila e scrisse i punti più importanti
alla lavagna.
«Vuol dire» ripeté ancora una volta per
tutti «che questo non tratta del caos colloquiale, ma del
comportamento temporaneo di oggetti. Qui, infatti, cambiamenti molto
piccoli delle condizioni iniziali possono creare differenze
considerevoli nella dinamica. Ma prima di parlare del calcolo, vorrei
chiedervi in quali campi viene usata la teoria del caos»
Mentre chiamava gli studenti singolarmente e scarabocchiava le loro
risposte alla lavagna, sentì il suo malumore scomparire. I
suoi studenti lavoravano ed erano molto concentrati.
Va
bene, pensò
Charlie, forse questo è anche merito del fatto che
hanno scoperto che ci sono solo poche settimane prima degli esami
finali. Ma credo proprio che ce la faranno.
A parte una o due eccezioni, i suoi studenti avevano lavorato proprio
bene durante il semestre scorso, e se gli altri si mettevano con
impegno, anche loro avrebbero passato l’esame. E poi, un
giorno o l’altro, sarebbero stati indipendenti e avrebbero
cambiato il mondo con le loro cognizioni. Ah sì, Charlie
amava il suo lavoro.
In piena lezione, però, la porta dell’auditorio
venne spalancata con forza e una voce suonò verso di lui.
Charlie si voltò. Poi, i colpi esplosero.