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Autore: y3llowsoul    25/12/2009    3 recensioni
Don e Charlie litigano, ma il loro argomento diventa piuttosto marginale quando un folle omicida entra nel CalSci. Corta storia, solo quattro capitoli.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caos 1_1 Disclaimer: Numb3rs e i suoi caratteri non appartengono a me. Peccato.
Annotazione: Probabilmente non sarebbe necessario dirvelo, ma l'italiano non è la mia lingua
materna. Ma siccome ho trovato una beta grandiosa (mille grazie, Alchimista!!!) e siccome adesso lei ha anche corretto questo primo capitolo, potete veramente capire le mie storie. Almeno, la lingua non dovrebbe essere più un problema.

0 = 1 - 2 + 3 - 4 + 5 - 6 + 7 - 8 + 9 - 9 + 8 - 7 + 6 - 5 + 4 - 3 + 2 - 1 = 0

«Ehi, Charlie, c’è un problema con il tuo algoritmo di ricerca. Potresti venire qui per favore?»
Algoritmo? Che algoritmo? Ah, questo.
«Che problema?» chiese Charlie via cellulare mentre lasciava frettolosamente scivolare i suoi occhi nel suo ufficio. Dov’era quel dannato libro?
«In realtà non ci è chiaro tutto il sistema» rispose Don e Charlie levò i suoi occhi al cielo. Facendolo, i suoi occhi  beccarono il dorso di una dissertazione matematica. Col cavolo che il suo ufficio era in disordine.
Tirò verso di sé il libro che cercava posizionato sotto una pila di altri libri, quaderni e fogli spaiati che naturalmente cominciò immediatamente a slittare distribuendosi trasversalmente sulla scrivania che era già strapiena.
«Charlie?»
«Sì… un attimo…»
Uno sguardo all’ora gli rivelò che aveva ancora trenta secondi precisi prima di essere in ritardo. Siccome la pila era comunque immobile sulla scrivania, la forza d’attrito l’avrebbe mantenuta tale per i seguenti novanta minuti finché Charlie non fosse ritornato. Allora prese il suo laptop e i suoi documenti con una mano ma questi ovviamente caddero subito a terra con sinuosi movimenti e si distribuirono dappertutto nella stanza.
«Accidenti!» imprecò Charlie e cominciò a raccoglierli spazientito.
«Ma cosa stai facendo?» chiese Don con un po’ di impazienza nella voce che non sparì quando non ricevette una risposta. «Allora vieni?»
«Ma ve l’ho già spiegato una volta!» si ribellò Charlie con impazienza.
«Ma non è logico. Forse hai fatto un errore».
Per un attimo, Charlie fermò la sua rapida raccolta.
«Tu mi dici che io ho fatto un errore?!»
«Beh è possibile, no?»
Charlie avrebbe preferito rispondere che no, non sarebbe stato possibile in nessun caso. Ma sapeva che uomini commettevano errori e che lui era un uomo. Deduzione logica: era possibile. «Va bene» gemette scocciato «Dovrei riuscire a essere da voi fra circa due ore, se mi sbrigo».
Don credette di aver sentito male. «Due ore?! Perché non adesso?»
«Perché adesso ho una lezione. Col tempo potresti almeno cercare di conoscere il mio orario».
«Non puoi lasciar perdere la tua lezione?»
«Ma ti manca qualche rotella? Io ti ho, forse, mai chiesto di lasciar perdere un caso?»
«Sono due cose completamente diverse!»
«Ah, sì?»
«Si. Perché qui ci sono vite in gioco!»
Don si fermò per lasciare che le sue parole avessero effetto, ma Charlie semplicemente levò gli occhi al cielo. Don veniva sempre con lo stesso argomento, se lo diceva lui o se Charlie se lo diceva a sé stesso.
«…ma se preferisci dare più importanza alle tue lezioni…» continuò Don, ma non concluse la sua frase che ne aggiunse un’altra abbastanza cinica: «Sai, potresti farlo tu, parlare con la vedova o il vedovo o i semi-orfani di una vittima»
«Devo andare adesso» rispose Charlie, in parte perché non gli venne in mente una replica appropriata, in parte perché era la verità «Ciao».
«Va bene, ma…»
Charlie non sentì il resto. Aveva già chiuso il suo cellulare e lo aveva poggiato sulla sua scrivania. Agguantò il suo portatile e i suoi documenti e uscì dall’ufficio.

La porta sbatté dietro di lui, forse con un po' troppa forza. Naturalmente, era tardi. Ma la sensazione che si agitava nel suo stomaco aveva probabilmente avuto la sua parte nell’energia con cui aveva quasi scheggiato la porta dell’ufficio. Peccato che non si fosse rotta. Avrebbe potuto mandare il conto a suo fratello.
A cosa diavolo stava pensando Don? Come se Charlie non avesse niente di meglio da fare che essere sempre pronto ogni qualvolta l’FBI avrebbe bisogno delle sue consulenze!

Poco dopo, si trovava dietro il tavolo del professore nell’aula. Per fortuna, ce l’aveva fatta a arrivare con un ritardo di soli quattro minuti e mezzo. Era accettabile. E la prossima volta sarebbe stato puntuale. E avrebbe preparato la lezione con straordinaria accuratezza. Non c’era niente che non si potesse leo.orfare.
La coscienza sporca aveva forzato un sorriso sul suo volto. Almeno i suoi studenti non avrebbero dovuto sopportare un professore burbero per i prossimi ottantacinque minuti e mezzo. Con la smorfia che poco a poco diventava un sorriso vero e proprio, un pensiero era entrato nel cervello di Charlie. Sembrava aver appena deciso di cambiare la sua introduzione all’odierna lezione.
«Che cos’è questo?» volle sapere dagli studenti quando sparpagliò i suoi documenti davanti a loro sul tavolo. Si poteva facilmente intuire che erano stati sul pavimento del suo ufficio.
«Un caos, direi io» disse una studentessa della seconda fila sottovoce, sogghignando.
Anche Charlie sogghignò: funzionava.
«Esatto. E com’è nato questo caos?»
Guardò direttamente la studentessa, Elizabeth O’Rien, che adesso, a causa dell’interesse del suo professore per la sua risposta sconsiderata, sembrava piuttosto confusa.
«Dunque… penso che…» Esitava e, ad un tratto, a giudicare dalla sua espressione, cominciò a capire.
«Ah!» gemé «Teoria del caos!»
Il ghigno di Charlie divenne più grande quando anche il resto del la classe cominciò a gemere.
«La signorina O’Rien ha ragione, anche se il concetto è poco scientifico. Oggi parleremo un po’ dell’aspetto matematico dei sistemi complessi. Dunque, per cominciare controlliamo le nozioni basilari. Cosa intendiamo per “comportamento caotico”?»
Mentre Charlie prendeva il gesso, già si levò qualche mano.
«Sì?»
«Si parla di comportamento caotico se il comportamento dinamico di un solido presenta differenze sostanziali con le sue condizioni iniziali cambiate in un momento specifico nella limitazione dell’osservazione»
«Corretto» disse Charlie, con un sorriso, allo studente della terza fila e scrisse i punti più importanti alla lavagna.
«Vuol dire» ripeté ancora una volta per tutti «che questo non tratta del caos colloquiale, ma del comportamento temporaneo di oggetti. Qui, infatti, cambiamenti molto piccoli delle condizioni iniziali possono creare differenze considerevoli nella dinamica. Ma prima di parlare del calcolo, vorrei chiedervi in quali campi viene usata la teoria del caos»
Mentre chiamava gli studenti singolarmente e scarabocchiava le loro risposte alla lavagna, sentì il suo malumore scomparire. I suoi studenti lavoravano ed erano molto concentrati.

Va bene, pensò Charlie, forse questo è anche merito del fatto che hanno scoperto che ci sono solo poche settimane prima degli esami finali. Ma credo proprio che ce la faranno.
A parte una o due eccezioni, i suoi studenti avevano lavorato proprio bene durante il semestre scorso, e se gli altri si mettevano con impegno, anche loro avrebbero passato l’esame. E poi, un giorno o l’altro, sarebbero stati indipendenti e avrebbero cambiato il mondo con le loro cognizioni. Ah sì, Charlie amava il suo lavoro.
In piena lezione, però, la porta dell’auditorio venne spalancata con forza e una voce suonò verso di lui.

«Buongiorno, Professor Eppes!»
Charlie si voltò. Poi, i colpi esplosero.


  
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