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Autore: Freedert    28/12/2009    2 recensioni
"Voglio essere libero. E quella lettera mi appare come la chiave di quella porta tanto bramata. Sarà per il mio comportamento abituale, ammetto di non essere molto incline alle pubbliche relazioni, ma diamine! Tutti mi guardano dall’alto in basso, ripetendo sotto voce ‘E’ fuori di senno.’ E allontanano chiunque dall’ingresso della mia gabbia composta da quattro ridicole mura. Pigro, saccente ed estremamente asociale. Così mi descrive quel rincoglionito del mio psicologo. Grazie, ti adoro pure io. Meglio essere me che te, questo è poco ma sicuro. Socchiudo le palpebre, inspirando, calmo, mentre la coda sferza l’aria agitandosi. Sono nervoso, forse un po’ eccitato, e di certo sono pronto alla delusione che mi prospetta il futuro immediato. D’altronde chi vuole un folle nella propria scuola? Nessuno." Mi sono deciso a pubblicarla finalmente, è la prima che scrivo, perciò le critiche sono molto gradite...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Mi chiamano Blake. Perché sono come un fantasma, inesistente agli occhi di un mondo sin troppo vero.
 Ho un volto pallido, dai lineamenti affilati che pare possano eludere qualsiasi gesto, qualsiasi tocco, come se fossi incorporeo.  Le iridi, così inusuali da non sembrare nemmeno di questo mondo: occhi rossi, un colore che mi ricorda costantemente d'essere figlio di quel qualcuno che nessuno conosce, scomparso troppo in fretta dopo avermi abbandonato in quella clinica per pazzi.
Fisico secco, magro, di chi non ha mai messo naso fuori di casa, e pelle di carta, che all’apparenza basterebbe un soffio per poterla disintegrare. E tuttavia non è così, e tuttavia continuo a perdere il controllo, a trasformarmi.
E non mi riconosco.
Sono abituato ad esser solo, abitante di questa buia stanza, che rappresenta tutto il mio mondo. L’unica variante in queste quattro pareti bianche? Solo la stretta finestra incantata, ce mi proietta in un cielo plumbeo, pieno di nubi cariche di pioggia. Come quelle che albergano nel mio cuore. Sogno, immerso perennemente nella speranza di poter essere libero da queste catene. Ira, rabbia, timore. In una frazione d'istante il mio corpo ribolle, e sono la bestia. Raziocinio che si tramuta in puro istinto, quiete che diviene tempesta. Sono perennemente diviso in due entità che non desidero. Voglio essere normale, voglio semplicemente essere me stesso. Eppure, c'è il mio riflesso che ogni volta mi ricorda, che se uscissi dalle barriere impostomi, potrei solamente essere un pericolo per gli altri. E tuttavia è arrivata quella lettera.

Tic. Tac. Tic. Tac.
 L’orologio segna ormai le tre passate, no, non c’è verso che io riesca a dormire stanotte. Mi rigiro nel letto, tentando d’assuefarmi al sonno. Niente.
Volgo la parte superiore del petto verso l’alto, dunque. E anche in questa notte non riesco a prender sonno. Tuttavia il motivo è diverso dal solito, è un altro: è per lei, quella fottuta lettera che mi è arrivata. E’ così, quando si mostra una novità non riesco ad abbandonare l’inquietudine.
 …Sono sempre stato troppo attaccato alle mie abitudini...
“Blake, comincia a preparare i bagagli”
Perché non posso fare a meno di guardare quella dannata lettera abbandonata sul pavimento bianco come i muri? La guardo e la riguardo come se in essa vi fosse dipinto il mio futuro, quando invece c’è solamente una nuova delusione. Probabilmente hanno sbagliato indirizzo.
Vecchio matto, in fondo chi vuole un pazzo nella propria scuola? Dentro di me conosco la risposta, ma non la voglio ammettere. Nessuno.
E così ripiombo nell’oblio, indirizzando spasmodicamente lo sguardo verso quella stretta fessura che risponde al nome di finestra. Perché non posso uscire? Perché io sono il risultato di quello. Mi fa schifo solamente l’idea d’essere un incantesimo fallito. Un incrocio tra cosa, poi? Qualche frammento di dna ignoto ed un essere umano? Facciamoci il favore. Ma si, cerchiamo di fare una chimera e vediamo cosa ne nasce, se muore pace se vive… beh, se avrà vita condanniamolo ad un’esistenza praticamente impossibile.
Giusto? Giusto.
La mia vita? E chi ne ha mai avuta una? Fin dal principio sono stato chiuso tra queste quattro pareti spoglie. Ovvio, non che mi disgusti questo trattamento ma, diciamocelo non sono effettivamente portatore di alcun Handicap, sono semplicemente anormale anche nell’”anormale” mondo magico.
Certe volte vorrei mettermi ad urlare, altre semplicemente chiudermi a chiave in me stesso, lontano dagli altri.
Uno come me si chiama “Esperimento Fallito”.
Ed ecco che il respiro s’aizza di nuovo nel petto come una morsa, di nuovo, da cui non c’è scampo. Sono dannatamente nervoso, sento ogni muscolo, ogni singola fibra del corpo agitarsi feroce in cerca di uscita.
E siamo esseri pericolosi, perché in noi circola sangue infetto. Perché generiamo solamente male e siamo solo esperimenti di laboratorio. ‘Cavie’. Piccoli embrioni che alla nascita sembrano bambini, ma che crescendo svelano il proprio essere. E devo controllarmi ogni volta che m’arrabbio per non lasciarmi andare all'ira. Devo tentare in ogni modo di non innervosirmi per non far del male a nessuno.
“Sei strano, il colore dei tuoi occhi. I tuoi ,capelli ma… sei davvero umano?”
No. Non lo sono, non voglio nemmeno esserlo forse. Mi sono stufato di non poter essere né una cosa né un’altra. Cos’è una via di mezzo? Una strada più facile per dirmi che sono strano?
Per questo sono come sono. Poi vengo rimproverato perché faccio danni.
Vengo tenuto sotto chiave come un animale addomesticato ma io, il modo di farlo lo trovo sempre. Non possono relegarmi a quindici anni compiuti in una stanzetta, non a me.
Qui sono e devo essere quello che loro vogliono.
Fuori, posso e sono quello che voglio essere io.
Voglio essere libero. E quella lettera mi appare come la chiave di quella porta tanto bramata.
Sarà per il mio comportamento abituale, ammetto di non essere molto incline alle pubbliche relazioni, ma diamine! Tutti mi guardano dall’alto in basso, ripetendo sotto voce ‘E’ fuori di senno.’ E allontanano chiunque dall’ingresso della mia gabbia composta da quattro ridicole mura.
Ma poi, cosa ne sanno loro?
Com’è bello il pregiudizio. Me ne frego altamente, tanto, peggio di così non potrebbe andare no? Giro e rigiro la posizione sul letto. Maledetta insonnia.
Non ho voglia di alzarmi dal letto. Pigro, saccente ed estremamente asociale. Così mi descrive quel rincoglionito del mio psicologo. Grazie, ti adoro pure io. Meglio essere me che te, questo è poco ma sicuro.
Incrocio le braccia dietro il capo, ora vanno a fungere da cuscino. Se fossi stato qualsiasi altra persona sulla faccia della terra, non sarei stato migliore di ora.
“Blake. Sei ancora sveglio?” il silenzio, quel sacrosanto barlume d’intimità che posso concedermi viene interrotto dall’atonale voce dell’infermiera. Entra, ed eccola che prende ad osservarmi silente. Con lei basta uno scambio d’occhiate, e lei capisce molto di cosa mi turba.
“è per la lettera d’ammissione, vero?” mi chiede, tirandola su dal pavimento e stirandola col palmo della mano. Rimane in piedi, distante. Ovvio, sono un pazzo furioso per la comunità.
Borbotto un paio di parole d’assenso, e solo a lei sento che posso parlare delle mie ansie. Almeno finché sono in quell’inferno d’ospedale.
Muove qualche passo, giusto quelli necessari per impormi dinanzi a lei.
“deve aver sbagliato, il vecchio rimbambito” dico, gelido, mentre un timido raggio lunare attraversa il vetro e illumina di pallidi rilessi argentei i miei capelli neri come la pece, tra i quali spuntano ora un paio di orecchie feline. Perché sono una chimera, un futile incrocio fallimentare.
non bisogna parlare così di lui, in fondo è un mago molto potente, e non si è mai sbagliato” mi dice, forse tentandomi di confortare. Poi esce, dopo aver posato il foglio nel vecchio baule vicino alla porta, quel baule che tuttavia è già pronto per partire.
Socchiudo le palpebre, inspirando, calmo, mentre la coda sferza l’aria agitandosi. Sono nervoso, forse un po’ eccitato, e di certo sono pronto alla delusione che mi prospetta il futuro immediato.
D’altronde chi vuole un folle nella propria scuola? Nessuno.
Corrugo la fronte stringendo forte il pugno destro. Il sangue comincia ad aumentare il circolo nel petto, il muscolo cardiaco accelera a dismisura e sento una terribile nausea venirmi incontro.
Controllati.
Non ci riesco, sono troppo irrequieto stanotte.
Sono in grado di sentire distintamente i suoni dell’ospedale di notte, sento i battiti cardiaci delle due guardie fuori dalla mia porta. Ed eccolo, sento le zanne crescere nella mia bocca, pronte a mordere qualcuno, sento i sensi acuirsi sempre di più, sento l’odore del sangue fuori dalla mia stanza. Un dolore repentino che parte dalla base della colonna vertebrale s’espande in un nano secondo, comincio a contorcermi come una foglia sulla fiamma. Porto entrambe le mani alla testa che comincia a farmi un male atroce, basta. Basta. Basta. Dannazione, devo controllarmi!
E per un istante Il Rosso diviene predominante a tutto il resto, sento correre sulle labbra il sapore del mio stesso sangue. Sbattono le porte, al sentore di un mio strepito. Non riesco a sentire nient’altro che la furia invadermi i sensi.
Riesco a scorgere la presenza di troppe persone attorno a me, andatevene! Lasciatemi in pace! I rumori scompaiono, tutto s’avviluppa lesto. Poi, il nero.
Riapro gli occhi, sono le cinque ormai. Domani la mia vita cambierà di nuovo, sono stupido perché in tutto questo riesco a trovare sempre qualcosa che mi vada storto.
Sono un emerito cretino perché penso di scappare di nuovo non appena metterò piede fuori da questa stanza, dal mio mondo insomma. Non vedo l’ora di essere libero, eppure ho paura di ciò che incontrerò la fuori.
Chiudo gli occhi, e tutto ritorna nero.

♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦

“Ti senti bene?”
Schiudo le palpebre, e vedo un gruppetto di figure umane.
Chi sono? Dove mi trovo?
Sento il rumore di un treno che viaggia, vedo il paesaggio sfumare velocemente fuori dal finestrino.
E’ vero, sto andando a scuola, mi dico, ricordando il viaggio in macchina. Eppure chi sono queste facce sconosciute? Me lo chiedo, sono entrate nel mio scompartimento senza chiedere, infondo. Oppure hanno chiesto e non le ho ascoltate? Non me ne frega, basta che mi lasciano assaporare il piacere della libertà finché dura.
Aggrotto le sopracciglia.
“Perché me lo chiedi?” rispondo alla ragazza davanti a me, una massa di capelli ricci e castani, mentre il ragazzo rosso e quello moro si siedono di fronte a me.
beh, non rispondevi…” commenta poi una seconda ragazza, dai capelli biondo cenere, mentre legge una rivista al contrario.
Sollevo appena gli occhi, guardando in faccia uno a uno i presenti. Beh, loro non conoscono ancora la mia vera natura, non sanno chi sono, e possono conoscermi per ciò che sono interiormente, non per come mi presentano i dottori.
Sogno, dottore di merda, sogno animato dalla speranza di non svegliarmi, ed è per questo che proverò a crogiolarmi in questa assurda fantasia: d’altronde cosa mi rimane da perderci? La faccia? Beh, quella l’ho già persa tempo fa…
E così comincio, sperimentando per la prima volta quella cosa detta “conoscenza”.
“piacere, mi chiamo Blake. E’ il mio primo anno a hogwarts questo, sebbene abbia già ricevuto un’adeguata istruzione…” dico, mentendo nella seconda parte. E’ vero, ho già una buona istruzione magica, ma quella è solamente un effetto collaterale della mia mutazione, ciò che ho realmente imparato finora è il trattenere gli impulsi del mostro che alberga in me.
Già, perché io sono una chimera.

  
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