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Autore: kiku77    31/12/2009    4 recensioni
Sanae e Tsubasa si sono sposati e vivono a Barcellona con i loro due gemellini. Sembra una favola, ma forse c'è qualcuno che ancora sta cercando se stesso...... Ce l'ho fatta........!!buona lettura!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno scritto una recensione a questa storia: e’ sempre bello ricevere un riscontro da parte di chi legge, ognuno diverso, con le proprie riflessioni, aspettative, osservazioni. Per questo naturalmente un ringraziamento particolare va a Hikarisan e Elisadi80, che hanno sempre lasciato un loro pensiero e sinceramente non mi hanno fatta mai sentire sola.

Grazie alle persone che hanno messo questa storia fa i preferiti o fra le storie da seguire.

Vorrei anche ringraziare la mia amica Paola; ti voglio proprio citare, perché ti voglio bene e sai quanto le tue opinioni sul mio modo di scrivere siano importanti per me: grazie di esserci sempre e di avermi dedicato il tuo tempo.

Grazie anche a tutti coloro che hanno letto, senza recensire, a tutti quelli che sono passati su questa storia e si sono fermati, magari  anche solo un momento a vedere di cosa si trattasse….

Buon anno!

________________________________

Ce ne misero otto di ore a tornare. Con i bambini a bordo, aveva dovuto guidare più lentamente e si erano dovuti fermare spesso.

Alla fine Ryo spense il motore davanti  a casa Nakazawa.

Erano già le dieci di sera. Ma le luci erano ancora accese.

Sanae fissò il piccolo cortile, il cancello e il grande portone. Sembrava enorme visto dalla sua prospettiva. Scese dall’auto e cominciò a svegliare delicatamente i gemelli. Poi prese in braccio la piccola Michiko, mentre Ryo aveva tirato fuori le valige.

“Come stai?” le chiese lui dolcemente.

“Ho un po’ di paura…ti andrebbe di entrare con me….?”

“Certo….cosa pensi che ti lasci qui in mezzo alla strada?” disse lui per alleggerire la tensione.

Si avvicinarono e  lei suonò il campanello.

Andò ad aprire il Signor Nakazawa, con la sigaretta in bocca e l’aria un po’ scocciata.

Immaginava che fosse uno dei suoi clienti, preso dalla domanda o dal dubbio dell’ultimo minuto.

Era già capitato altre volte.

Se la vide di fronte.

Era buio, a parte la piccola luce che proveniva dal faro sulla parete esterna della casa. Ma sembrava giorno, perché lei, pur essendo così piccola, illuminava i suoi occhi.

Non riusciva a parlare dall’emozione. Non poteva credere che fosse lei.

Il suo ritorno era totalmente inaspettato.

“Ma si può sapere chi è?” chiese la signora Nakazawa, mentre si avvicinava al marito, incuriosita.

“Sono io….. sono Sanae….”

Sua madre cominciò a singhiozzare mentre guardava i piccoli storditi e mezzi appisolati. Si accovacciò e li abbracciò teneramente.

Ma anche lei non riuscì a parlare.

“Sarà meglio che entriamo altrimenti i bambini prenderanno freddo…” disse Ryo, cercando di invitare il Signor Nakazawa a spostarsi.

Una volta dentro, suo padre buttò la sigaretta e corse ad aprire la finestra per cambiare aria nella stanza.

Poi tornò verso di lei e le prese Michiko dalle braccia.

La osservò con dolcezza.

“Te l’avevo detto che era una bambina….ti ricordi Sanae?” chiese suo padre, con un mezzo sorriso sulla faccia

“Sì mi ricordo, papà….come potrei dimenticarlo……non l’ho buttata, hai visto?….”

“Hai fatto bene…..le donne non si buttano via… loro sono l’altra metà del cielo, ricordi?”

Sanae ricordava anche quello.

Aveva trattenuto tutte le parole di quella lunga e intensa conversazione con suo padre. Ed aveva provato a lottare. Aveva lottato.

Ryo si sentiva un po’ di troppo: era un estraneo in mezzo a tutte quelle emozioni …. Però…..nessun abbraccio, nessuna carezza da parte dei suoi genitori. Se fosse capitato  a lui, sua madre l’avrebbe soffocato di baci, come minimo.

Pensò che fosse ora di andare. Eppure aveva anche voglia di restare. Aveva voglia di abbracciarla. Almeno lui.

Ma in tutta la loro vita non si erano mai abbracciati.

“Credo che sia ora di andare.. chissà quante cose avrai da raccontare ai tuoi…” fece lui.

“No, ti prego Ryo… non andare….resti con me stanotte? “ chiese Sanae davanti ai suoi, nel modo più naturale del mondo.

“Restare qui?...ma non so..ecco….io…”

“Non riuscirei a chiudere occhio da sola…..mi terresti la mano?” chiese ancora lei.

Ryo guardò i genitori di Sanae e vide che a loro non importava se fosse sconveniente o meno. Loro erano solo felici che lei fosse tornata dopo tutto quel tempo.

“Sì…. te la terrei volentieri…ma….”...lei lo interruppe subito:“Non preoccuparti: sarà il nostro segreto.”

 

 

 

Quando Ryo si svegliò con le prime luci del mattino che filtravano dalla finestra, si accorse che Sanae non gli stava tenendo la mano, ma che con la testa era letteralmente sul suo torace. I capelli le nascondevano il viso e se si sporgeva un po’ riusciva solamente a vedere le spalle della ragazza.

Dormiva profondamente.

Ricadde sul cuscino e provò un po’ d’imbarazzo, a pensare di essere lì con lei in quel momento.

Chissà quanto volte Tsubasa si era svegliato, di primo mattino per poter andare a correre, e se l’era ritrovata sul suo petto……

Chissà cosa avrebbe pensato Yukari, se solo un ladro di notte fosse andato a raccontare quel segreto.

In fondo non era successo niente: era solo rimasto a dormire accanto a lei, come avrebbe potuto fare un fratello, un’amica.

Non c’era niente di male. Ma Ryo si sentiva completamente rapito dal profumo di quei capelli, dalla poesia che Sanae riusciva a portare in tutto quello che faceva. In un attimo, tutti gli anni in cui avevano vissuto a distanza, si erano annullati: l’aveva vista allattare, l’aveva tenuta sul suo petto, l’aveva protetta……lei l’aveva fatto sentire indispensabile. E non gli capitava da tanto….Le era profondamente grato.

Dopo un po’ lei si svegliò: alzò la testa e gli sorrise.

“Scusami… sarai tutto indolenzito…..”

“No… non sono indolenzito per niente….. Anego la tua testa non è che pesi tanto….” Disse lui, come sempre, per provare a stemperare quel momento con una battuta.

Lei gli sorrise di nuovo. Non se la prendeva più come quando era una ragazzina. Era una donna e se un ragazzo voleva giocare….lei lo lasciava fare….

“Beh…. allora non ti dispiacerà se ti abbraccio ancora un po’…..è da tanto che non tocco un uomo……”

Ryo deglutì e fece un sorrisino di circostanza. Questa non se l’aspettava: si era fatta furba.

Non solo lo disse, ma lo fece. L’abbracciò con tenerezza ed innocenza per qualche minuto.

Poi si alzò e si sedette al bordo del letto.

L’incanto della notte era finito.

“Cosa c’è Sanae? Non sei felice di essere a casa?”

Lei si voltò e con una mano strinse forte il lenzuolo.

“Sì….credo di sì….ma sai io la felicità l’ho talmente cercata che forse adesso mi fa quasi un po’ paura.”

Anche Ryo si alzò e si mise a sedere esattamente dall’altro lato del letto.

“Qualsiasi cosa succeda, potrai sempre contare su di me. Ricordatelo”

Non si voltarono  per guardarsi. Non ce ne fu bisogno.

 

 

 

 

In cucina, dopo che Ryo se n’era andato, Sanae prese finalmente coscienza di essere tornata a casa.

Osservò la stanza con scrupolo. Le parve che tutto fosse rimasto al suo posto.

“Hai chiamato Tsubasa?” chiese suo padre, entrando con passo sicuro e voce severa.

Ormai non aveva più paura di lui: lo amava molto, lo amava disperatamente, come Kumiko amava il suo, anche se le aveva detto che lo odiava. Ma non gli sembrava più inarrivabile, invincibile, indiscutibile. Gli sembrò invecchiato e terribilmente imperfetto, così come tutte le altre persone.

“Non ancora….mi ci vuole tempo…..”

“Hai avuto il tempo di generare un figlio….mi sembra che sia abbastanza no? Sanae, non ha sofferto abbastanza quel ragazzo?”

“Non sono andata via per farlo soffrire. Sono andata via perché ci eravamo smarriti. Per ritrovarsi la strada è lunga: ma come lo è stato per lui, lo è stato anche per me. Anch’io ho sofferto molto, cosa credi?”

Suo padre la guardò…” Sei così….. tu non sembra proprio che abbia sofferto. Sembra che tu sia felice…..lui invece è uno straccio….”

“Sai papà, nell’altra metà del cielo…come mi insegni tu, la vita è parecchio dura….non c’è tempo di crogiolarsi nel dolore e nello struggimento….devi essere forte….ed io sono molto forte….noi…noi siamo molto forti….siete voi che….siete deboli…eppure vi facciamo noi…..vi teniamo noi al caldo dentro il nostro corpo…non dovreste crollare come polvere…..spero che i miei figli maschi l’abbiano ricevuta un po’ di questa mia forza…Michiko….Michiko non c’è bisogno di sperarlo, glielo si legge già in faccia che non avrà paura di niente…. “

Era cambiata; gli rispondeva: l’affrontava senza temere il suo giudizio, senza aspettare la sua reazione. Non le importava più.

Il Signor Nakazawa provò un sentimento di fierezza misto a tristezza. Fierezza perché le sue parole erano sintomo di maturità e di intelligenza; tristezza perché sentiva che ormai…non avrebbe più avuto un gran ascendente su di lei.

 

 

 

Sanae guardò fuori dalla finestra mentre suo padre prendeva la sua borsa e se ne andava.

Tornò di sopra per svegliare i bambini. Allattò la piccola e si fece un bagno.

Sua madre intanto si era preparata e aveva fatto il tè.

“Ne vuoi?” le chiese.

“No grazie, andiamo fuori….devo incontrare una persona…..”

La signora Nakazawa, non fece altre domande. Ormai Sanae era lontanissima da lei. Lo sentiva.

Andò alla stazione dei taxi e si fece portare da Kumiko.

Quando si ritrovò di fronte alla pasticceria, per un secondo le sembrò di rivivere quel terribile giorno in cui era scappata e si era ritrovata lì, sola, disperata.

Prese un respiro per l’emozione. Osservò la vetrina, piena di decorazioni primaverili, con fiori di ciliegio e zucchero a velo su montagne di carta arricciata.

“Che mondo stupendo c’è dentro di te, Kumiko…” pensò.

Lei, sempre in carne, sempre vestita di bianco, era scura in volto mentre controllava come avessero disposto i dolci in una vetrinetta-frigo.

“Ikeda, forse non ci siamo capiti, …ormai tanto non mi capisce più nessuno… ti avevo detto che il dolce di loto va sempre davanti…..sempre in bella vista…..mi sembra di parlare al vento….tu non mi ascolti, ma guarda che quando poi mi sono stufata, ti lascio a casa….”

“Kumiko….io aspetto ancora lo stipendio dello scorso mese…. È già tanto che non me ne sono stato a casa io…..”

Lei lo fulminò con gli occhi… lo sapeva bene che doveva pagarlo; non c’era bisogno di rammentarglielo. Mai mischiare il denaro, che lei disprezzava, con l’ arte pasticcera, il suo amore: era una cosa che la mandava in bestia.

“Se ti ho detto che ti pago, vuol dire che ti pago… lo sai bene che sono di parola… ti chiedo solo di avere ancora un po’ di pazienza…..sai come sono messa no?”

Si sentiva umiliata e sola. Avevano parlato piano ma Sanae si era avvicinata a tal punto che aveva sentito tutte le parole.

Kumiko era voltata di spalle e vide Ikeda che fissava qualcuno dietro di sé.

“Ikeda? Guarda che sto parlando con te….!”

“Lei….lei è … Sanae….bambini….” disse Ikeda, sorpreso.

Kumiko si girò lentamente: non sapeva se Ikeda si stesse confondendo e stesse dicendo sul serio.

Poi se la vide di fronte. Era così bella, che Kumiko non sapeva cosa dire….le sembrava di essere tornata alla cena all’Hilton e di rivedere la stessa bellezza che aveva riconosciuto in Genzo. Solo che in Sanae era ancora più lucente, più devastante, più decifrabile…

Sanae la osservò sorridendo e si accorse subito di quanto fosse stanca, triste e sola.

“Sono tornata….”

Kumiko scoppiò a piangere. Scoppiò a piangere davanti a tutti e si fece abbracciare e coccolare, perché la sua amica le sembrava l’unica cosa bella in tanti mesi di problemi e fallimenti.

Sanae non chiedeva altro che tenerla a sé, perché le era così riconoscente… Kumiko l’aveva salvata e l’aveva capita.

Rimasero così per un po’, fregandosene altamente di quello che potessero pensare gli altri.

Poi Kumiko allungò la testa sulla carrozzina per vedere Michiko.

“Hai ragione, Sanae, somiglia proprio al mio fiore di loto….”

 

 

 

   
 
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