Grazie,
grazie, grazie a tutte per la vostra bella accoglienza alla mia nuova
storia ed
un particolare benvenuto a Badkaty che si è aggiunta alle
mie carissime
lettrici di sempre. Vi confesserò che questo romanzone
avrebbe potuto intitolarsi
“La fifa nell’anima” per quanto mi
preoccupava! In effetti mi preoccupa ancora
perché la strada che abbiamo da percorrere è
ancora lunga. Già me le sento le
mie nanette che s’ incazzano con questo o con quella e la
dolce Cricri che
perde la pazienza per la perfidia con la quale farò soffrire
qualcuno … In
compenso, ne sono certa, le passioni, le
emozioni, la personalità che ho cercato di dare ai
personaggi e le loro complicate
vicende finiranno per intrigarvi. Per quanto riguarda gli
aggiornamenti,
tranquille, salute permettendo, li farò spessissimo tanto
è mia abitudine
pubblicare solo storie finite che hanno bisogno unicamente di una
revisione
(quelle non mancano mai dato che scrivo senza beta!). Anzi, visto che
come vi
dicevo è una fiction
è molto lunga, per
farvi entrare meglio nello spirito della storia, stasera vi
posterò sia
il secondo che il terzo capitolo.
Incrocio le dita sperando che questo romanzo che
ho avuto l’ambizione di scribacchiare
sperando di avvicinarmi a quelli classici continui
a piacervi e che magari possa attirare
anche nuove lettrici.
Un bacio a
tutte.
Quel
colloquio era avvenuto nel mese di giugno e fino a settembre il
fratello e la cognata
non avevano fatto altro che ripetere ogni giorno a Barbara quanto
avesse
sbagliato a rifiutare la proposta dell’ingegnere. Lei non ce la faceva
più a sopportare i loro
continui rimbrotti, ma doveva farlo perché non sapeva dove
andare. Tra pochi
giorni, esattamente il 19 settembre del 1902,
avrebbe compiuto trent’anni
ed il
destino di una donna rimasta ancora zitella a
quell’età era irrimediabilmente
segnato. Sarebbe dovuta rimanere per tutto il resto
dell’esistenza in casa di
Alfredo come un’intrusa, sopportando il carattere infernale
di sua moglie ed
accontentandosi del po’ d’amore
riservatole dai quattro nipoti, senza alcun diritto, senza
alcuna
pretesa.
I genitori non le avevano lasciato nulla e se dopo la loro morte non ci
fosse
stato il fratello, non avrebbe avuto neanche da mangiare o da vestirsi
e tanto
meno un tetto sulla testa. Più volte aveva cercato di
convincerlo a lasciarle
trovare un lavoro, magari come governante, ma nel piccolo ambiente
della loro
cittadina, per lui sarebbe stata una vergogna permetterle di servire in
casa di
estranei. E poi Alfredo preferiva non suscitare altre chiacchiere
perché tutti
conoscevano bene lo sciagurato passato della sorella. Un passato che
solo
tredici anni di condotta irreprensibile e di abnegazione accanto ai
genitori
erano bastati a far dimenticare a qualcuno, ma nemmeno a tutti.
Barbara sapeva che soltanto se si fosse maritata avrebbe potuto
lasciare quella
prigione, ma nonostante fosse ancora molto bella, nessuno
l’aveva chiesta in
moglie. Con il passare degli anni, aveva ormai perso ogni speranza di
potersi
creare una famiglia propria e allontanarsi da un luogo così
pieno di ricordi
dolorosi. Però non aveva rimpianti, aveva potuto dedicarsi
ai genitori e la
loro amorosa presenza era riuscita per molti anni a
colmare il vuoto della sua vita.
Durante la lunga malattia della mamma, nelle notti insonni passate al
suo
capezzale a tenerle la mano o a bagnarle la fronte cocente di febbre,
si era
detta che forse la propria esistenza non era stata inutile
perché negli occhi
della moribonda aveva visto più volte un’enorme
gratitudine. Anche quando la
mamma era finita ed era restata con il padre, occuparsi di lui le aveva
dato un
enorme conforto. Tra loro c’era sempre stata
un’intesa perfetta che niente aveva
mai potuto spezzare. A volte, nelle sere d’inverno, mentre
sedevano vicini nel
salotto e lui le leggeva qualche bel libro mentre le fiamme crepitavano
nel
camino ed il vento faceva vibrare i vetri, si era sentita persino
felice e la
tranquillità così faticosamente conquistata, le
era sembrata la ricompensa a
tutte le sofferenze passate.
Purtroppo anche il vecchio dottor Rispoli se n’era andato
dopo qualche anno. Già
nei giorni successivi al funerale, quando ancora le lacrime per la
perdita
dell’adorato genitore le scorrevano sul volto, Barbara aveva
intuito dalle
parole del fratello che il suo destino sarebbe stato ancora
più amaro.
- Papà non ha lasciato nulla – le aveva detto
senza mezzi termini - ed io non posso consentirmi la spesa
di mantenere te
e questa casa. Vuol dire che verrai a stare da noi.
-
Sei impazzito?
Dove la mettiamo? – aveva obiettato la cognata che mal la
sopportava e non
aveva nemmeno mai amato i suoceri.
-
Federico tra poco partirà per il servizio militare. La
metteremo nella sua
stanza, poi si vedrà.
-
La
voleva Luigino quella stanza!
-
Luigino ha solo otto anni, può continuare a dormire con noi.
E poi vedrai che
Barbara ti sarà anche molto utile, potrà darti
una mano in casa e con i bambini.
Non è vero, mia cara?
Lei
lo
aveva guardato stralunata perché aveva intuito che da quel
momento in poi doveva
dire addio alla dignità ed alla sua vita privata per
diventare la vecchia zia
zitella, quella che si tiene in casa solo per pietà, quella
che deve lavorare,
silenziosa e muta, per guadagnarsi quanto le viene dato.
Però non aveva altra
scelta. Annuendo tra le lacrime, aveva risposto:
-
Sì,
certo.
Da
allora erano passati due anni e tutte le più nere previsioni
si erano avverate
in pieno. Nonostante cercasse di rendersi utile, la cognata la
considerava
sempre un peso e talvolta doveva farsi forza per non risponderle a
puntino.
Una mattina di settembre, parlando dell’imminente rientro a
casa di Federico che
aveva terminato la leva militare, Luisa le aveva annunciato che i figli
maschi
avevano anch’essi bisogno di una stanza per cui lei si
sarebbe dovuta adattare
a dormire su di una
brandina in salotto.
Timidamente Alfredo aveva obiettato che la sorella avrebbe potuto
dormire nella
stanza delle ragazze, ma la moglie lo aveva guardato storto,
zittendolo. Più
tardi, mentre portava i piatti i cucina, Barbara l’aveva
sentita dire al marito
senza neanche avere
la creanza di non
farsi udire:
-
Non
voglio che quella stia troppo a contatto
con le mie figlie, non è certo una buona compagnia per due
ragazze che tra poco
dovranno trovare marito!
La
giovane donna aveva inghiottito amaro. Ricacciando indietro le lacrime,
si era augurata che
almeno arrivasse presto la
sera.
Era il tardo pomeriggio, infatti, l’unico momento bello della
sua giornata. Andava
in chiesa ad ascoltare i Vespri, poi proseguiva la passeggiata fino ai
Bastioni
e si sedeva lì, a guardare il mare. Se ne stava a fissare il
disco del sole che
lentamente calava all’orizzonte cercando di far scendere
nella propria anima il
silenzio e la calma.
Quasi sempre rimaneva da sola, a volte veniva a sederle accanto Gavino,
un
vecchio che era stato pescatore di coralli, solido e scuro come una
spranga di
ferro, con il quale scambiava qualche parola. Lo conosceva sin da
piccola
perché era stato molto amico di
suo
padre. Le era sempre piaciuto
per la sua
saggezza e per i modi gentili e rispettosi. Anche se era un estraneo,
le
ispirava fiducia più di chiunque altro, e così un
giorno aveva trovato persino il
coraggio di parlargli brevemente della strana proposta di matrimonio
ricevuta e
subito rifiutata con tanto sdegno.
Il vecchio non aveva commentato mai nulla, ma quella sera di settembre,
quando
in un momento di sconforto gli aveva confidato le proprie pene, le
aveva detto:
-
Avete
fatto male a non accettare il matrimonio con quel forestiero, signorina
mia. Se
vi foste sposata, ora non dovreste fare la serva in casa di vostra
cognata.
-
Già,
farei la serva in casa di mister Forrest! –
mormorò, amara.
-
Lui
vi aveva offerto di essere sua moglie e a meno che non consideriate
tutte le
mogli delle serve…
-
No,
certo. Come si fa a considerarsi serve quando ciò che si fa
è per il proprio
uomo e per i propri figli? Ma
un
matrimonio combinato, fatto solo per
opportunità…no, è una cosa orribile,
non è
per me!
-
Forse
con il tempo
avreste potuto conoscervi
meglio ed allora … chissà! Però, se
non vi piaceva e trovavate disgustosa persino
l’idea di dovergli stare vicino, avete fatto bene a rifiutare.
Barbara
non trovava il coraggio di parlare perché temeva di apparire
una sfacciata.
Però voleva bene a Gavino e poi il vecchio pescatore
conosceva la sua storia,
non c’era pericolo di essere fraintesa. Aveva troppo bisogno
di una parola
amica così decise di confidarsi.
-
È stato
proprio perché mi piaceva moltissimo che non ho voluto
accettare. Ho avuto
paura, in realtà. Lo sapete, amico mio, non posso
più mettere la mia vita nelle
mani di un uomo, il lusso di innamorarmi non me lo posso più
concedere.
-
E
perché? Il vostro padrino gli avrà sicuramente
parlato della vostra vicenda e
se l’ingegnere ha deciso lo stesso di chiedervi in moglie,
vuol dire che non
gliene importa poi tanto. Forse nel loro paese a certe cose non ci
tengono. E
poi, credetemi, per sposarsi non sempre l’amore è
essenziale.
-
Ma come
può funzionare un’unione se non
c’è
l’amore?
-
Quello che conta è essere sinceri, desiderare di aiutarsi
l’uno con l’altra,
affrontare insieme la vita, crescere i figli con affetto. È
questo quello che
conta davvero, ragazza mia, quello
che
fa diventare un uomo e una donna una famiglia, non l’amore
che può anche ardere
come un fuoco, ma bruciare troppo in fretta.
-
Proprio a me lo dite? Forse avete ragione, ma oramai è
troppo tardi.
L’ingegnere avrà di certo trovato qualcuna
disposta a sposarlo ed a seguirlo in
quel posto sperduto. Pazienza! Vuol dire che mi rassegnerò a
prepararmi il
lettuccio nel salotto tutte le sere e a sperare che i miei nipoti si
sposino
presto, così potrò riavere finalmente una stanza
per me – concluse lei con un
amaro sorriso, ma decisa a convincersi di prendere la cosa con
filosofia.