Ed ecco il secondo capitolo. Stavolta, ho scelto un ambientazione storica, ponendo la vicenda nel 1922. Tema che mi stava molto a cuore, con un OC altrettanto sentito, Irlanda (e di sfondo, menzionata ma non presente, Irlanda del Nord), per questo capitolo le immagini sono due. una, essendo una presa aerea, rende bene il paesaggio nel suo complesso; la seconda, scattata sul posto, ritrae lo spuntone di roccia su cui siedono le due nazioni **.
Apparato di note a fondo pagina XD
De Hetaliana
Geographia
2] Divorce – {ma dicembre sa ancora di sangue }
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Riparandosi il viso dall’aria gelida e dal sole tiepido mattutino, oltrepassa la stretta apertura incuneata tra le due pareti di pietre erette a secco che costituiva il perimetro più interno dei resti dell’antico forte, barcollando poi sulla piana ricoperta di un sottile manto erboso. L’aria profuma di salsedine, di oceano e d’erba fresca; un odore che Inghilterra ha sempre adorato, sin dai tempi in cui Elisabetta gli aveva dato il permesso di salpare sul mare, sin dai tempi delle prime conquiste con Enrico II.
Si concede qualche minuto per riprendere fiato, dopo quella che gli pare sempre più una scalata più che una camminata, prima di lasciar correre lo sguardo all’intorno con deferenza: sa bene cosa rappresenta quel luogo e cosa simboleggia, così come sa che non ha nulla da invidiare ai luoghi ricchi di ricordi e magia della sua isola. A dirla tutta, se non fosse lì per un motivo tanto angoscioso, si godrebbe maggiormente la visita.
I suoi occhi ci mettono solo pochi secondi a percorrere febbrilmente il profilo frastagliato del pendio, là dove termina il piano e inizia lo strapiombo, prima di trovare ciò che cerca, ciò per cui ha fatto tanta strada col cuore in gola.
Seduto lì sul bordo, accoccolato sullo sperone di roccia che più degli altri si slancia verso il vuoto, le gambe tranquillamente penzoloni nell’aria e nel vento, incurante delle onde e dei mulinelli creati dalle correnti, c’è seduto un ragazzo. Un ragazzo che conosce perfettamente, in ogni suo piccolo dettaglio, da quei capelli rosso vivo che garriscono come uno stendardo nella brezza, a quegli occhi verde intenso persi nel nulla dell’orizzonte, dai lineamenti delicati e quasi efebici che gli ricordano tanto una delle sue fate, a quel sorriso malinconico che schiude le labbra pallide. Lo conosce da anni, da secoli, a volte crede pure siano millenni: e vorrebbe dimenticare che è pure il ragazzo che gli ha appena aperto un altro buco nel cuore, anche se non può, assunto nel suo ruolo di nazione come può esserlo in quella circostanza. Però, di arrabbiarsi, Arthur non ne ha la forza: è stanco, provato dall’intera faccenda, esausto dalla guerriglia, spossato dalle trattative, e vorrebbe soltanto chiudere in fretta le negoziazioni per tornare a seppellirsi a casa a leccarsi le ferite; dannato sia il prossimo che gli rinfaccia l’essere stato sempre da solo: ci sono momenti in cui vorrebbe davvero esserlo rimasto, e non aver iniziato a mettere in piedi un Impero tanto mal orchestrato. Sospira, ingoia il dolore, e si costringe a capitolare: avanza lentamente, lottando contro le folate che paiono volerlo ricacciare da dove è venuto; evita i massi più infidi, quelli che nelle ere sono stati ricoperti di licheni; poi si ferma, alle spalle del ragazzo –del suo ragazzo-, piantando larghe le gambe al suolo e incrociando le braccia al petto per cercare di darsi maggior sicurezza.
-Irlanda- esala, la voce appena più alta di un sussurro perché non si perda nel mugghiare dell’Atlantico.
-Eire, per te….fratello-.
La risposta, l’unica che ottiene, ha una voce meccanica, fredda, distante, quasi gelida, e combacia tremendamente poco con quella che, nella sua mente, apparteneva al fratello che conosceva. Non ha il tono allegro dei giorni di Beltaine, né quello solenne insegnatogli da Patrizio. Ma forse quello scambio di battute così ostico ha ormai raggiunto il limite, ormai se lo sono urlati addosso tante, troppe volte; si sono insultati in ogni modo possibile, si sono combattuti per secoli, nel fango, nelle strade, tra i ranghi e tra i campi, e per secoli hanno rimesso insieme una pace che sapeva soltanto di sangue. Non sono mai stati in grado di parlare, Inghilterra ed Irlanda, e forse il momento delle parole, delle recriminazioni e delle spiegazioni, non giungerà mai completamente: possono discutere un trattato, forse, ma riconciliarsi tra loro, quello mai.
Arthur indugia qualche secondo, lì impalato come uno stoccafisso; si riempie gli occhi del blu cupo del mare, del bianco della spuma della risacca, del grigio spento delle rocce adunche; rincorre le onde che s’infrangono tra le insenature, il fragore degli scrosci nelle orecchie. Poi, con un sospiro, compie l’ultimo passo e con estrema cautela, lui che è abituato solo a Dover e non a quegli scogli famelici e ingannevoli, si accovaccia sulla roccia sporgente, sedendosi malamente accanto all’altra nazione, cercando di mantenere un’aria noncurante.
Perché è davvero stanco, Inghilterra. Non ha dovuto solamente ricevere il Parlamento di due stati e sottoporsi a un’interminabile contrattazione cercando di valutare dove poteva concedere e dove invece doveva mantenere salda la presa. Non solo ha dovuto ritirare le truppe, cercando di placare in ogni sua forma la ribellione intestina che tanto sangue ha versato negli ultimi anni. Ha dovuto imbarcarsi in piena notte sulla prima nave in partenza per arrivare a Dublino, si è dovuto attraversare l’intera isola su un treno scalcinato per giungere a Galway e una volta lì è salito sul minuscolo traghetto turistico che l’ha portato, rollando sul braccio di mare che congiunge la città alla maggiore delle Aran, al porto di Inishmore. Poi si è dovuto armare di santa pazienza e camminare, infossandosi nel proprio cappotto per proteggersi dalle folate di vento, fermandosi talvolta a parlare con i pochi abitanti incontrati lungo il tragitto, rispolverando il suo gaelico arrugginito.
Sa dove va Irlanda, quando le cose vanno male. Non può biasimarlo, ma è stanco, di farsi tutta quella strada solo per ottenere una maledetta firma. È stanco, di arrivare ansante e sudato a implorare la sua approvazione, come se fosse lui quello che ha dichiarato guerra all’altro. È stanco, maledettamente stanco, di doverlo costantemente rincorrere, di dover inghiottire orgoglio e frustrazione per andare a concedergli quello che vuole sentendosi al contempo in colpa, passando per il fratello sfuggente e irritabile. Oddio, forse lo è anche, ma è più che sicuro che non ha mai dovuto correr dietro a nessuno, nell’arco della sua esistenza. Forse ha mal digerito l’indipendenza di America, e gli avrà anche tentato di fermarlo con le armi, ma non ha dovuto attraversarsi il continente dall’Arkansas all’Oregon per dargli il suo fottuto trattato.
-Irlanda- e lo ripete, cocciuto, perché sarà stanco ma di arrendersi non ne vuole comunque sapere. Anche se probabilmente ha sbagliato tutto fin dall’inizio, anche se a ben vedere loro nemmeno sono fratelli davvero, forse cugini o qualcosa di vagamente simile, anche se spesso quel suo modo di comportarsi gli ricorda quel citrullo di Francia – come adesso, i capelli sparsi nel vento ad incorniciare il cielo plumbeo- e la cosa lo fa innervosire e prudere le mani, Celti o non Celti. Anche se probabilmente sa di avergli fatto più male lui che qualunque altro stato sulla faccia del pianeta, di aver altrettanto sofferto per quella situazione di perpetuo scontro, non si abbasserà mai ad ammettere, in prima persona, l’esistenza di un qualcosa chiamato Eire.
Irlanda è qualcosa di diverso da tutto il resto. Irlanda è sempre stato più di una colonia o di un dominio, è sempre stato tutto ed è stato niente. Se lo ricorda, quel giorno in cui l’ha visto la prima volta, si ricorda cos’ha provato nel guardare a fondo in quelle iridi di smeraldo prima che fuggissero via terrorizzati. Irlanda c’era, c’è sempre stato, a pochi passi da lui, al di là dello stretto. C’era quando si faceva sconfiggere da Francia, c’era quando iniziava a crescere, c’era quando America se n’è andato, c’era quando sono arrivati India, Canada, Australia, Sud Africa e tutti gli altri. Irlanda è quello coi capelli rossi del sangue dei suoi patrioti, e quello con gli occhi verdi dei prati incolti, è quello che è al suo fianco da più di sette secoli, è quello che è ancora vagamente scheletrico dall’ultima carestia, è quello che rende Regno Unito un regno che unito non lo è mai stato. Irlanda litiga con lui quasi ogni santo giorno, urla e magari piange anche; Irlanda si ubriaca al suo fianco quando nessuno vede; Irlanda giura di non scorgere nessuna fata da quando Patrizio gli ha detto che è blasfemia, anche se Inghilterra sa che ne vede quante lui, se non di più; Irlanda sa essere così schifosamente cristiano -e diavolo quanto gli manca l’allegria di Beltaine- e in quasi centovent’anni di matrimonio forzato avranno dormito sotto lo stesso tetto sì e no un paio di volte; in compenso, però, si sono pestati a sangue almeno un centinaio. Irlanda è quello che lo odia più di tutti, tra le varie nazioni, perché è quello che lo conosce meglio e gli somiglia di più.
Irlanda è stato tutto. Ed è stato niente.
Forse è anche giusto che le cose terminino così, con una guerra combattuta nelle strade e un trattato che riconosce l’ennesimo dominium – un divorzio in grande stile.
-Ho terminato di trattare con il Daìl Éireann, e siamo giunti a un accordo. Vi riconosciamo lo status di dominio all’interno del Commonwealth. Avrai un governatore generale, un parlamento bicamerale, un gabinetto esecutivo e un primo ministro, anche se dovrai continuare a riconoscere il Re-.
Irlanda apre la bocca, come se dovesse dire qualcosa. Pare deve sputargli addosso il suo livore in una sfilza inconsulta di insulti, ma scuote il capo e tace, con un sorriso amaro che fa più male di cento parole.
-Perfetto- dice soltanto, tornando a fissare il mare con sguardo spento e lontano.
Inghilterra si agita, a disagio. È sempre così, tra loro: lui parla, quel poco che lo fa, comunicandogli le decisioni prese, le alleanze, le guerre, i provvedimenti; Irlanda ascolta e tace, salvo poi scendere nelle strade a urlare e predicar guerra. E ad essere sinceri, in tutti quegli anni non ha mai capito perché diamine lo faccia: potrebbero intavolare delle discussioni civili, parlare dei problemi, cercare delle soluzioni assieme; magari lui non ascolterebbe, calato nel ruolo della madrepatria incompresa che deve provvedere a tutto e tutti e mantenere un certo status quo anche quando non dovrebbe, ma non comprende perché suo fratello non provi nemmeno, a parlargli. Cerca di rimanere concentrato sul discorso avviato, per non rischiare di mettersi ad urlare – di nuovo – cosa pensa in realtà.
-Perfetto, sì. A gennaio ci sarà una seconda ratificazione, vedi di esserci, stavolta. Per quanto riguarda l’Ulster…-
-Starà con te – lo zittisce immediatamente, tirando improvvisamente fuori le unghie all’argomento spinoso – Qualunque cosa abbiate deciso, starà con te: non ho alcuna intenzione di trascinarla via, se con me non vuole stare. Non ha senso parlarne-
Già, forse non ha davvero senso, perché Irlanda del Nord ha colto al volo l’opportunità e ha già deciso per entrambi, ma Inghilterra invece vorrebbe che ne continuassero a discutere, vorrebbero che arrivassero a un accordo vero, vorrebbe magari arrivare a fare a pugni per l’ennesima volta e continuare ad urlare fino allo sfinimento, ma poi essere finalmente in pace tra loro. Vorrebbe soltanto riuscire a dire scusa e sentirsi rispondere un grazie, ma è un desiderio che dura un istante. Il tempo che ci mette a ricordarsi di essere inglese e di non dover inginocchiarsi davanti a nessuno, il tempo che ci mette Irlanda a tornare a guardare il mare.
-Bene- sibila allora, irritato, e si ripromette di mandarlo definitivamente al diavolo il suo maledetto boss, che venga lui a farsi tutto il viaggio per scontrarsi con quello zuccone; si ripromette anche di parlare a sua sorella, per una volta, ma questo è un pensiero che la sua mente accarezza solo inconsciamente. Incrocia le dita tra loro, quelle dita che hanno perso i calli della spada e hanno assunto quelli dei fucili, e nasconde il tremito che gli attanaglia il cuore.
-Bene. Allora siamo d’accordo-
Al suo fianco, suo fratello sbuffa, sputando a terra.
-Dio, Arthur! Davvero, non cambierai mai. Non riesci proprio a vedere al di là del tuo naso, nemmeno se ti c’infilassi su una pallottola -.
Inghilterra sussulta, a quelle parole, e si volta a fissare il profilo aggrottato di quel volto pallido e smunto come un lenzuolo liso.
-Cosa vorresti dire, Niall?-
-Credi davvero che sia finita?-
-Non lo è? Avete accettato le condizioni, avete firmato la pace, avete…-
-Siamo divorziati?-
La domanda coglie
-Non…non completamente. Tecnicamente…-
-Allora non è finita, Arthur. Collins sarà soddisfatto di quel che ha ottenuto, ma de Valera non s’accontenterà di un riconoscimento di dominio, credimi-.
Cala di nuovo il silenzio, tra i due. Kirkland alza appena lo sguardo, adocchiando i dispettosi ciuffi sanguigni che volteggiano scomposti, a metà strada tra la risposta rancorosa che gli è naturale e una minaccia isterica da madrepatria offesa, ma non ribatte. Dal canto suo, Niall continua ad osservare la distesa oceanica, mentre la sua mente si diletta – o si angoscia con chissà quali pensieri. Probabilmente ricordi, più o meno aspri, di quella vita a due che è sempre andata stretta ad entrambi. Ricordi di giorni passati insieme, nel lento scorrere dei decenni; giorni trascorsi a correre nei pascoli col tenue sole primaverile sul viso; giorni trascorsi chiusi in una stanza a migliorare la postura e a studiare per farsi una cultura; giorni trascorsi su navi odorose di resina a solcare i mari in cerca del nemico; giorni trascorsi far funzionare macchine e a far ripartire l’economia in crisi… giorni trascorsi a crescere in vista di un fine.
E improvvisamente, la consapevolezza di ritrovarsi, per l’ennesima volta, fianco a fianco lontani dal mondo, crolla sulle spalle inglesi con la furia di una valanga, tanto che avverte la necessità di colmare immediatamente quel vuoto carico soltanto di vento e salsedine.
-Niall… perché sei venuto qui? Perché vieni sempre qui?-
Il ragazzo non risponde subito. Non è nel suo carattere, non è nel suo modo di fare. Si prende il tempo di cercare le parole, trovare le emozioni che vuole esprimere, di costruire nella sua mente il discorso che vuole pronunciare: come quando compone una delle sue ballate, Irlanda non parla mai senza calibrare il tutto.
-Kilmainham Gaol è ancora sporca di sangue. Le strade, i porti, le case… in tutta Dublino, vi sono tracce di sangue. Ci sono stati più di mille morti, stavolta, l’intero paese è in subbuglio, la mia economia è praticamente in ginocchio e a stento riesco a restare in piedi. Ho…abbiamo dato tutto, l’IRA, la popolazione, io stesso, abbiamo dato tutto per arrivare fin qui. Sono stati gli anni più crudi e infernali della mia esistenza. Domani, forse, sarò pronto, inizierò la mia storia di dominium – e le sue labbra s’increspano in una smorfia di disgusto, mentre lo dice –Però oggi, solo oggi, voglio tornare ad essere quella sperduta isoletta in cui nemmeno Roma era arrivato, stare a guardare il mare come allora, senza sapere che al di là di esso ci fosse qualcosa, e immaginare che l’Atlantico fosse libertà e indipendenza. Quindi, Arthur, per favore… vattene. Vattene, perché altrimenti potrei cacciarti il tuo maledetto trattato su per la gola e fare qualcosa di cui potrei pentirmi-.
Inghilterra
tace, annichilito, e
lo guarda solamente, ricordandosi di quando in quando di respirare. Si
ricorda
di aver pensato più o meno le stesse cose, qualche secolo
prima, e non riesce
davvero a ribattere. Può solo restare a guardare mentre suo
fratello si alza in
uno scatto atletico e si allontana lungo la linea della scogliera, un
piede
dopo l’altro sul ciglio dell’abisso – un
piede dopo l’altro lontano da lui- e ricordarsi
che, dannazione, se
quell’ingrato vuol fare di testa sua faccia pure,
può anche farne a meno e, per
Guarda
di nuovo il mare, avvertendo
la struggente malinconia dell’abbraccio del Dún
Aonghasa, e si ricorda perché, alla fin della fiera,
arrivare fin
lì non gli è mai dispiaciuto molto: anche lui
adora quel posto.
Profuma di salsedine, di oceano e di erba fresca.
Profuma di casa.
Note:
Dicembre: il
trattato Anglo-Irlandese che pose definitivamente fine alla Guerra
d’Indipendenza venne
ratificato la prima volta nel dicembre
del 1921 e successivamente nel gennaio del 1922.
Elisabetta,
Enrico II: Elisabetta
I, in linea con la politica contro
Eire: Nome
gaelico dell’Irlanda. A causa della confusione derivata dalla
divisione
dell’isola, il nome ufficiale sarebbe Repubblica
d’Irlanda (Poblacht na
hÉireann in gaelico) per la parte sud e Irlanda
del Nord per quella
settentrionale. Ho optato per sottolineare il contrasto tra i due
fratelli
evidenziando la differenza: Eire è il nome che riconosce
l’indipendenza della
nazione, Irlanda come stato ancora suddito del Commonwealth (il nome
dello
stato, dopo il Trattato, sarebbe Stato libero d’Irlanda).
Beltaine: una
delle
tante feste celtiche, celebrata tutt’ora a maggio. Intende
quindi il periodo
pre-cristiano.
Patrizio: santo
patrono d’Irlanda, primo grande predicatore
dell’Isola.
Aran: isole
della costa occidentale irlandese, composta da Inishmore, Inishmaan ed
Inisheer
(indicate con la dicitura inglese). Queste isole sono assai
caratteristiche, in
quanto, oltre a manifestare l’erosione delle correnti
oceaniche con delle
imponenti scogliere, ed essere abitate solo da pescatori e filatori di
lana,
sono uno degli ultimi baluardi della lingua gaelica. Attualmente, per
percorrere
le strade di Inishmore ci sono dei pulmini, delle carrozze a cavallo o
un
noleggio di biciclette, che però sono mezzi disponibili solo
dagli ultimi
cinquant’anni. Andare a piedi è possibile,
credetemi XD.
Francia,
Celti: le
popolazioni celtiche sono originarie di una zona compresa tra
Regno
Unito, matrimonio forzato: a partire
dal 1 gennaio 1801, l’Irlanda entrò a far parte
del cosiddetto Regno Unito per
rafforzare il predominio inglese sui suoi territori (dove invece
altrove si
iniziavano a creare domini autonomi) in seguito all’ennesima
ribellione; ne
uscì ufficialmente con il Trattato del
Daìl
Éireann: parlamento
irlandese.
Ulster,
Irlanda del nord : l’Ulster,
la sesta provincia dell’Irlanda (oggi nota come Irlanda del
Nord), era composta
da una maggioranza protestante, e non prese parte alla guerra. Al
momento del Trattato,
al suo parlamento venne lasciata la libertà di decidere
sulla sua sorte, e
decise di restare a far parte del regno unito. Considerando la frase
che ho
trovato (“il Trattato consentiva all'Irlanda del Nord, di
chiamarsi fuori dello
Stato libero. Come tutti si aspettavano, il governo nordirlandese, a
maggioranza protestante, approfittò senza indugio della
possibilità che gli era
stata offerta”- da Wiki XD), ho pensato di rappresentare a
sua volta l’Irlanda
del Nord nei panni di una ragazza.
Collins,
De Valera: Micheal
Collins ed Eamon de Valera furono due dei principali capi della Guerra
d’indipendenza. Dopo il trattato, tuttavia, sorsero contrasti
tra la fazione a
favore del trattato (capeggiata da Collins) e una indipendentista
(capeggiata
da De Valera) che portò alla guerra civile del 1923.
Kilmainham
Gaol: la più
grande prigione di Dublino, dove vennero giustiziati i capi della
Easter Rising
del 1916 , e dove molti indipendentisti vennero tenuti prigionieri .
IRA: Irish
Republican
Army (anche nota come Old IRA), corpo paramilitare nata dai Volontari
Irlandesi, riconosciuta in seguito come esercito della Repubblica. Si
distingue
tuttavia dall’IRA moderna
in
cui nemmeno Roma era arrivato: come
si sa, il dominio dell'imprero Romano era giunto fino all'inghilterra,
ma sembra che non riuscì ad estendersi fino alle coste
irlandesi, considerate pericolose e "abitate da barbari". Alcuni resti
testimoniano sì l'influenza dovuta alla cultura romana, ma
si
è propensi a credere che siano determinati solamente da
rapporti
commerciali.
Dún Aonghasa: uno
dei forti celtici i cui resti sono visibili su Inishmore (quello
visibile nella foto)
Sokew86: sono contenta ce ti sia piaciuta ^^ oh, Vaticano, quanti ricordi ** Non vedo l'ora di leggere, sembra intrigante
Gracy110: figurati, cherie, te lo dovevo. Ormai i tuoi mi detesteranno XD
Prof: purtroppo nel mio caso la casinara sono io, non hai la benchè minima idea di quante figuracce ho già fatto XD Da quel punto di vista, assomiglio anche troppo a Veneziano, tesoro lui XD comunque, sì, San marino sarà la mia comparsa ufficiale, quello che sta sempre sul fondo a fare le gag col telefonino (Ehi! come sarebbe a dire? n.d.SM). trattami bene Niall, che mi serve, neh XD va bene così com'è <3
see you next time ^^
wolvie