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Autore: Elanor89    21/01/2010    3 recensioni
Elena Dumont è una bella vampira, una donna in carriera e di successo, ma la sua diffidenza l'ha sempre condotta per strade solitarie, lontana dai suoi simili nei quali non riesce più a riporre fiducia... Accadrà tutto in una notte: il destino mescolerà le carte in gioco e lei dovrà imparare a fidarsi di nuovo per sopravvivere... Ma quando la fiducia non sarà più sufficiente, quando ogni segreto verrà svelato, riuscirà a fuggire da un passato terribile che torna sempre a bussare alla sua porta?
Genere: Generale, Romantico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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A Earendil,

senza la quale questa storia non sarebbe  mai stata scritta.

Sei e sarai sempre la mia migliore amica...

 

 

 

Prologo


Elena si guardò intorno con i sensi all’erta, i muscoli del corpo tesi nello sforzo di percepire anche il minimo movimento.

Annusò l’aria satura di odori: smog, polline, profumi… ogni cosa rimaneva distinta nella sua mente lucida. Poteva distinguere le sensazioni con precisione nonostante un odore ben più intenso le colpisse le narici. Dopo anni passati a mimetizzarsi tra le sue prede non si era ancora assuefatta al profumo del loro sangue. Si sentì bruciare la gola, mentre l'istinto di cacciatrice si faceva largo tra l'ostinazione e l'autocontrollo, imperioso come un comando.

Trattenne il respiro, privandosi della fonte di quel tormento. Era un bene che fosse tanto allenata a sopportare la sete... il bisogno di sangue la coglieva sempre impreparata… ma doveva resistere. Ce la poteva fare. Il rumore delle auto che correvano sull’asfalto bagnato la assordava, ogni singola goccia di pioggia risuonava come una cascata al suo orecchio. Passi, risa sguaiate… Strinse i pugni: era stata seguita. Se fosse stata una semplice umana sarebbe sopravvissuta, ma lei non poteva morire… non poteva sopravvivere… poteva solo tentare di sfuggire alla propria natura, cercare di dare alla propria esistenza un senso che non aveva, fingere la normalità… finché non avesse trovato una ragione per essere quello che era. Per smettere di negare se stessa, il suo passato. Imboccare quel vicolo per seminarli era stato un errore imperdonabile, ma adesso era tardi per cambiare idea o pentirsene. Si era lasciata spingere fuori dal proprio appartamento più dal desiderio di vedere qualche volto che dalla reale necessità di cacciare, ma il suo aspetto era troppo vistoso per gli umani. Tra i suoi simili non era altro che una ragazza qualsiasi, magari carina, ma tra gli umani diveniva l’essere più desiderabile a distanza di chilometri: persino il suo profumo li attraeva. Era uno strumento di morte confinato in una magnifica confezione.

Il suo riflesso era agitato e angosciato, non voleva essere costretta a fare loro del male… Ma il suo istinto era più forte… poteva tenere a bada la sete, ma non l'istinto di autoconservazione. Sapeva che per quanto potesse provarci il suo corpo avrebbe agito per proteggerla… nessuna mano avrebbe mai potuto sfiorarla senza che lei lo volesse. I tre le furono addosso in un attimo. Le loro risa aumentarono mentre bevevano le loro birre e si scambiavano battute volgari. La ragazza indietreggiò, pronta al peggio… sperava solo di non doverlo fare ancora…Era in forte svantaggio numerico, ma se solo lo avesse voluto avrebbe potuto liberarsi di loro in poco più di qualche istante. Avrebbe dovuto gridare, tentare di scappare… Invece rimase inchiodata sul lastricato, la schiena contro i mattoni del retro di un locale notturno. Chiuse gli occhi per un istante, cercando la forza per resistere. Poi li riaprì.

- Guardate, ragazzi… la nostra amica si è persa!- disse l’uomo più vicino a lei. Provò ribrezzo al primo sguardo: vestiva abiti malandati e il suo alito sapeva di alcol.

- Come ti chiami, dolcezza?- fece il secondo. Era più giovane, portava la fede alla mano sinistra. Elena lo guardò con intensità: era un uomo sposato, aveva una famiglia, dei figli forse…

- La ragazza è timida, Ben! Perché non le offriamo da bere?- chiese il primo all’unico che non aveva ancora parlato.

- Lasciatemi andare!- disse lei. La sua voce risuonò cristallina a confronto con il loro tono rauco.

- Allora sai parlare! Forza, bambolina, non fare storie…- il primo uomo le si avvicinò pericolosamente, stordendola con il suo respiro. Le sfiorò una guancia mentre lei rabbrividiva per il disgusto.

- Toglimi le mani di dosso…- ringhiò. Scoprì i denti, senza volerlo si preparò all’attacco.

- Non fare la schizzinosa, non vogliamo farti male… A meno che tu non ci costringa…-

- Andate via!- intimò lei, cercando di trattenersi. Uno dei tre le strinse il polso e glielo rivoltò dietro la schiena.

- Devi fare la carina con noi…- la minacciò, poi le scostò i capelli con una mano e tentò di baciarla. Elena gli assestò una gomitata, voltandosi appena in tempo per schivare uno schiaffo.

- Fai la difficile, eh??- la derise il più vicino, cercando di immobilizzarla.

- Non ti hanno insegnato che non è prudente vagare per i vicoli da sola a quest'ora della notte?- aggiunse l'altro. - Ti riportiamo noi a casa, bambolina. Subito dopo aver finito...-

Il suo corpo agì senza bisogno di alcun comando: le sue unghia curate divennero artigli pronti a graffiare, i suoi denti bianchi armi affilate capaci di ferire. Sentì il veleno invaderle la bocca, dolce come una lusinga. La superiorità numerica dei suoi aggressori era sostenuta dalla sua ostinata intenzione di non fare loro del male... Ma doveva anche salvarsi la pelle e quello era un bisogno primario, imprescindibile. L'istinto prese il controllo del suo corpo… dei suoi movimenti che si susseguivano precisi come passi di danza. Non c'era spazio per l'improvvisazione: doveva solo lasciarsi guidare dalla propria natura, spegnere la coscienza e non farsi sopraffare dalla mente. Ma si era negata quel lusso per troppo tempo e la sua mente sapeva come riemergere dal baratro di quella ferinità.

La nausea la colse improvvisa quando si ritrovò con i denti affondati nella carne di uno dei suoi assalitori. Non ci fu piacere per lei mentre l’uomo cessava di agitarsi e il suo cuore smetteva di battere. Si pulì le labbra con il dorso della mano, poi improvvisamente un dolore lancinante la invase. L’uomo di nome Ben l’aveva colpita alla testa con un vecchio specchio abbandonato dietro ai cassonetti, mentre indietreggiava orripilato e fuggiva via correndo. Lei barcollò per un istante, poi cadde sul lastricato tra le schegge d’argento e i frammenti di cornice sparsi intorno, intontita dall’alcol e dal dolore. Una luce colpì il suo viso, mentre attendeva la fine. Si strinse su se stessa mentre il suo sangue cominciava a ricoprire la pietra e a inzupparle i capelli. Dunque era quella la morte per quelli come lei… Nebbia, silenzio… Sarebbe stato un azzardo chiamarla pace, c’era troppo dolore… Eppure si stava lentamente riappropriando di se stessa, scossa dai brividi e dagli spasmi, ma nuovamente in grado di sentire passi sulla pietra affrettarsi verso di lei, di percepire ogni parte del suo corpo.

Il terzo uomo dunque era tornato per finire ciò che aveva iniziato. Cercò di sollevare le palpebre per guardarlo in viso, ma rimase sorpresa, confusa. Un viso nuovo e familiare invase il suo campo visivo, le ci volle tempo per metterlo a fuoco. Non era affatto chi si aspettava. Le sue labbra si muovevano, ma non capiva le sue parole, le sentiva sempre più lontane mentre un’espressione preoccupata si dipingeva nei suoi occhi. Rimanere vigile divenne un’impresa impossibile e mentre si sentiva improvvisamente sollevata da terra e inspiegabilmente sospesa per aria perse i sensi.


Ragazzi, che ne pensate? chi è il nostro uomo misterioso?

lo saprete prestissimo...


  
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