Lentamente, sbiadisce
È così che funziona? […]
persino noi che dovremmo esserci fatti una promessa,
ci passiamo accanto senza notarci.
«Perché mai uno come Glen Baskerville avrebbe dovuto
suicidarsi?»
Mentre quella domanda si perdeva nel corridoio, Oz non
avrebbe saputo dire quale sensazione provasse con precisione.
Sicuramente fastidio, perché era stanco di persone che
continuavano a fare domande su domande; in più, la cosa si acuiva nel momento
stesso in cui a porre quei quesiti era Barma. All’inizio l’apatia di quell’uomo
mista al quasi totale disinteresse verso tutti lo aveva incuriosito e quasi
divertito; almeno finché non si era accorto che quell’aria neutra che veniva
meno solo con Xerxes – che avrebbe esaurito anche la pazienza di più santi
insieme – non era indice di pacatezza o riservatezza, quanto di uno sprezzante
e sarcastico menefreghismo che apparentemente nessuno riusciva a far venire
meno.
Oltre a quello, però, c’era dell’altro: qualcosa, in
quella domanda, che lo confondeva più profondamente di quanto sarebbe stato
normale aspettarsi.
La prima cosa pensata era stata cosa cavolo doveva
saperne lui del perché Glen Baskerville avesse deciso di suicidarsi.
D’altra parte, però, nella sua mente si era fatto
prepotentemente avanti un dubbio quasi sicuramente immotivato eppure pressante;
un dubbio suscitato dal riaffiorare di un ricordo. L’immagine di una lapide con
il nome di Jack Bezarius e, non troppo distante, quella di Glen Baskerville.
Maggio suo fratello, marzo il suo migliore amico.
Lo stesso anno e la sciocca sensazione che le morti
fossero collegate.
Scosse la testa: un suicidio e una morte per malattia
– seconda all’altra cronologicamente – non avevano di certo nulla a che
spartire.
Strinse appena i pugni: «Che vuole che ne sappia io.»
borbottò all’indirizzo di Rufus che inarcò appena un sopracciglio fissandolo.
Oz dedusse che, a quel punto, lui potesse andarsene; fece quindi per girarsi ed
avviarsi.
«Non così in fretta, Bezarius.» lo richiamò il docente
affiancandolo in breve.
Oz mantenne lo sguardo di fronte a sé, testardamente,
continuando ad avanzare nel corridoio.
«Ha parlato di scambio e io non ho l’informazione che
vuole, perciò non c’è altro, no?» parlò chiaro, senza fermarsi. E ad un certo
punto, poco prima di raggiungere l’angolo che lo avrebbe portato all’atrio, gli
parve di vedere distintamente Rufus Barma sparire dal suo campo visivo,
rimanendo indietro come se avesse effettivamente deciso di lasciar perdere e si
fosse fermato.
«Se non ti interessa il diario di Jack» insinuò,
infame e sarcastico, la mano sinistra che teneva il libricino vicino al volto
fissandolo con noncuranza: «allora no, non c’è altro.» concluse.
Nello stesso istante in cui, istintivamente, Oz si era
voltato verso di lui; l’espressione stupita e confusa – per l’ennesima volta
nel poco tempo trascorso da quando avevano lasciato Noah in infermeria –
alternando lo sguardo da Rufus al presunto diario.
«Il diario di… mio fratello?» mormorò piano,
incredulo.
E non c’era da biasimarlo, se gli risultava difficile
immaginare che Rufus fosse un amichetto
del bosco di Jack al punto che quest’ultimo gli desse in custodia il suo
diario.
Vide Rufus sorridere: un incurvarsi di labbra
arrogante e soddisfatto che non gli piacque per niente.
«Sono una persona che non ama particolarmente scendere
a patti, ma quando ho un interesse particolare per qualcosa posso anche fare
un’eccezione.» disse, muovendo qualche passo in avanti per raggiungere Oz, ora
immobile nel corridoio.
«Ovviamente non sono di natura magnanima al punto tale
da dirti cosa so e sospetto di Glen Baskerville senza nulla in cambio, ma…»
lasciò in sospeso, porgendogli il libricino: «Prendilo e leggilo. Di sicuro
qualcosa che voglio sapere ti verrà in mente.» assicurò.
Attese che Oz prendesse l’oggetto tra le mani per
poterlo superare avanzando nel corridoio, il biondo che fissava la copertina
verde scuro che in basso a destra recava le iniziali J.B. dorate e appena
scolorite.
Le domande erano tante, nella sua testa: perché
proprio in mano a Rufus e come, tanto per cominciare.
Perché ora, perché dopo lo strano comportamento di
Elliot, perché non prima.
Perché un diario, tragicamente simile ad una presenza
costante del fratello che però, materialmente, non c’era più.
Perché proprio legato a Glen Baskerville e alla sua
morte.
«E quando ti verrà in mente, sentiti pure libero di
passare nel mio ufficio.» aggiunse la voce di Barma, poco prima che il docente
voltasse l’angolo.
Perché proprio a lui, che di Jack sentiva la mancanza,
la presenza, il ricordo.
Perché, e basta.
Aveva lasciato passare dei giorni interi da quanto
Rufus Barma gli aveva consegnato il diario: rientrando in stanza lo aveva
sistemato dapprima sul comodino, lanciandogli occhiate ogni due minuti fino ad
apostrofarsi da solo come paranoico. A quel punto si era deciso a chiudere l’oggetto
nel cassetto del comodino, dove lo aveva poi lasciato per giorni rimandandone
la lettura con le scuse più assurde.
Fra esse, probabilmente una delle più nobili era stata
andare a trovare Noah; ci era andato per la prima volta il giorno dopo averlo accompagnato
in infermeria, per informarsi sulle sue condizioni.
Com’era prevedibile, lo aveva trovato imbronciato e
soprattutto annoiato: Noah non era proprio il tipo di persona che amasse stare
ferma, men che meno in un letto dell’infermeria. Quando era entrato aveva visto
il compagno di stanza guardarlo come l’unica salvezza nel mezzo del compiersi
dell’Apocalisse e per quante preoccupazioni Oz avesse avuto prima di andarlo a
trovare, un ridacchiare sommesso era stato quasi d’obbligo.
Malgrado l’occhiata quasi assassina che gli aveva
rivolto Marcus quando aveva oltrepassato la soglia dell’infermeria, salvo poi
abbassare la guardia un minimo nel riconoscerlo – ma Oz ne era certo: almeno
una delle prossime vite l’aveva già persa così.
Come aveva appreso, Noah non era proprio grave per
fortuna, ma una settimana in infermeria non gliel’avrebbe tolta nessuno a causa
di un paio di costole incrinate – con enorme disappunto del ragazzo.
Oz non gli aveva parlato del diario un po’ per scelta,
un po’ per la presenza di Marcus con il quale non era in confidenza a tal
punto; gli aveva fatto compagnia, chiacchierando del più e del meno, dopodiché
era ritornato in stanza ogni volta che gli aveva fatto visita, compresa la
prima.
Oltre il tempo passato con Noah, comunque, aveva
trovato un certo numero di scuse abbastanza valide – a suo dire – per rimandare
la lettura: stare con sua sorella per esempio, passando il tempo libero di
entrambi a chiacchierare placidamente degli argomenti più blandi e disparati.
Era capitato spesso che incrociasse Alice, ma la
castana sembrava essere ancora arrabbiata con lui, motivo per il quale se anche
incontrava lo sguardo di Oz portava il proprio altrove con gesti ed espressioni
di stizza.
Ne aveva parlato anche con Gilbert, quando chiedendo al
moro aveva saputo che per quel week-end Alice sarebbe tornata a casa e che
forse vi si sarebbe trattenuta per parte della settimana in via del tutto
eccezionale.
«Come mai, è successo qualcosa?» aveva chiesto,
preoccupato nonostante la discussione, consapevole di essere in parte in torto
come era stato per il litigio con Noah.
Probabilmente anche Alice, sebbene a modo suo, era
preoccupata per lui.
Gilbert, con un sospiro, aveva assicurato ad Oz che
non era successo nulla di eclatante. Solo – aveva aggiunto – la famiglia di
Alice aveva qualche problema.
Oz non aveva fatto domande, ripromettendosi di
chiarire con la ragazza non appena fosse tornata a Latowidge.
Di motivi per non tirar fuori quel libricino dal
cassetto del comodino ne aveva trovati tanti – addirittura studiare… - ma ora,
in stanza senza far niente da almeno mezz’ora, sembrava averli esauriti.
Forse per questo con uno sbuffo si decise ad
allungarsi verso il cassetto, aprendolo e tirando fuori il diario.
Tornando seduto, di nuovo la prima cosa che catturò la
sua attenzione furono le iniziali in basso a destra; il carattere corsivo in
cui erano scritte era semplice e chiaro, tanto che sebbene consumate dal tempo
risultavano ancora leggibili.
Se lo rigirò un paio di volte fra le mani, decidendosi
infine ad aprirlo in un punto abbastanza casuale delle pagine un po’ ingiallite
in corrispondenza dei bordi.
Nel portare lo sguardo su di esse, ebbe la sensazione
spiacevole di vuoto allo stomaco: Rufus non aveva mentito, quella era senza
alcun dubbio la scrittura di Jack. La riconosceva non solo perché ricordava
perfettamente la calligrafia del fratello, ma perché rispetto all’indole di chi
scriveva era sempre stata particolare.
Jack era vivace, spensierato, chiacchierone e a volte
un po’ casinista; la sua grafia invece era pulita e ordinata, perfettamente
leggibile come se vi avesse dedicato particolare cura e attenzione.
Gettò un’occhiata alla data sulla pagina aperta
casualmente, in alto a sinistra: 13 Gennaio dell’anno in cui era morto. A
quell’epoca Jack sapeva di essere malato, e probabilmente anche che… non
sarebbe vissuto ancora a lungo.
Oz rabbrividì, stringendo appena la presa sul diario.
Ammetto che il
dolore si è fatto non indifferente.
Soprattutto in
alcune parti del corpo che probabilmente sono le più malate,
a volte le fitte
sono acute abbastanza da zittirmi.
La mia fortuna è
che non solo Ada e Oz ma anche Gilbert e Vincent,
anche se figli
adottivi dei Nightray, vengono a trovarmi.
Non c’è proprio
alcuna possibilità che io possa deprimermi,
finché ci sono
loro.
Se poteva scommettere di ricordarsi di Gilbert,
altrettanto non poteva dire di Vincent.
Non che fosse davvero importante, comunque: era
normale, essendo fratelli, che a volte anche Vincent si fosse recato alla
tenuta dei Bezarius. Magari persino Elliot, o Reo, o entrambi ci erano stati.
Chissà, forse anche Alice.
Chissà Jack quanto dolore sentiva, mentre sorrideva
davanti a loro assicurando di stare bene.
Fece scorrere diverse pagine, voltandole casualmente e
più per volta; 24 Febbraio.
Ho detto a Glen che
il dottore mi ha comunicato chiaramente
che la malattia è
ad uno stadio tale che non esiste alcuna possibilità di guarigione ormai.
Non lo ha dato a
vedere, ma credo che… fosse triste.
Sono troppo
presuntuoso a credere una cosa simile?
Oz sbatté un paio di volte le palpebre: lui di Glen
aveva ricordi piuttosto vaghi, un po’ per l’averlo incontrato da bambino, un
po’ per il fatto che Glen passava il tempo con suo fratello Jack e non con lui
e Ada.
Eppure, lui ricordava Jack felice e un Glen se non
proprio sorridente quantomeno tranquillo, di quella calma che si ha in presenza
di una piacevole compagnia, ancor più se fidata come il tuo migliore amico.
Dunque non faticava a credere che Glen potesse aver provato tristezza nel
sapere una cosa simile.
Però Jack… sembrava temere di sbagliare.
E – a giudicare da quello che continuava a leggere dal
diario – suo fratello temeva per il dispiacere che avrebbe provato il padre,
per la tristezza di Ada e per i pesi che sarebbero gravati sulle spalle sue, di
Oz.
Ma la morte, quella sembrava quasi passare in secondo
piano.
Faceva male tutto quello: il diario, le parole di Jack
e la consapevolezza di quali sentimenti si celassero dietro il suo “guarirò
sicuramente!”.
15 Marzo.
Io ho ucciso il mio
migliore amico…
Passi, porta che venne aperta e richiusa sbattendo.
Fretta di scappare, e il diario gettato sul letto.
Si era chiuso nella biblioteca dell’istituto,
prendendo un paio di libri e sistemandosi ad un tavolo; la speranza era stata
quella di distrarsi leggendo.
Certo, sicuramente andare da Noah sarebbe stato più
costruttivo e parlare molto più d’aiuto, ma non solo era fermamente convinto
che vi avrebbe trovato di nuovo Marcus – praticamente si allontanava solo per
le lezioni e nemmeno per tutte in realtà – ma era anche certo di avere una
faccia tale che Noah si sarebbe preoccupato o peggio, avrebbe fatto domande.
E, per lo stesso motivo, aveva preferito non andare
nemmeno da Gilbert o Ada.
Anche l’attrattiva della biblioteca però non era
durata a lungo: quando si era reso conto di aver riletto per la sesta volta la
battuta clou di Edgar, aveva deciso di arrendersi chiudendo il libro e
registrandolo come preso in prestito.
Era quindi uscito dalla biblioteca con il libro in
borsa, senza un’idea precisa di cosa fare.
Contro ogni logica, si era diretto verso l’aula di
musica dove la notte aveva trovato Elliot a suonare; non aveva alcun senso,
dopo quanto accaduto proprio in presenza del minore dei Nightray, ma quando il
suo cervello aveva elaborato questa considerazione, i suoi piedi lo avevano già
condotto davanti all’aula in questione.
Non sbirciò subito dentro, quasi temesse di essere
scoperto e perdere quindi l’occasione di tornare sui propri passi come ogni
persona sana di mente probabilmente avrebbe fatto.
Tuttavia non lo fece, rimanendo fermo in mezzo al
corridoio, non sapendo esattamente cosa fare: quello che lo convinse più o meno
in maniera decisiva, fu la melodia per pianoforte che sentì grazie alla porta
socchiusa e non chiusa completamente.
Era bella, ma qualcosa gli suggeriva che non fosse
Elliot a suonare: il minore dei Nightray suonava senza alcuna imperfezione,
almeno a livello tecnico, proprio come gli arrivava la melodia in quel momento.
Però si fermava mille volte, per un errore che vedeva solo lui molto spesso,
nella costante ricerca della perfezione assoluta.
Invece il suono che gli arrivava in quel momento era
fluido, senza la minima interruzione come se l’esecutore stesse suonando senza
alcun pensiero ad influenzarlo, per il solo ed unico piacere della musica in sé
che dalle proprie mani si diffondeva per la stanza e giungeva – sebbene più
attutita – fino al corridoio.
Forse anche questo lo spinse ad avanzare quei pochi
passi che servivano a raggiungere la porta e sbirciare all’interno dell’aula.
Quasi gli venne da sorridere, nel riconoscere Alyster
seduta al piano, le mani che sapientemente sfioravano i tasti suonando, gli
occhi che seguivano lo spartito posto sul leggio senza alcuna difficoltà
apparente.
Notò comunque che, effettivamente, la musica non era
eccessivamente complessa: la composizione che Alyster suonava era semplice, di
andamento moderato.
Più che la difficoltà che si poteva incontrare
nell’eseguirla, attirava l’attenzione per il tipo di musica di cui si trattava;
Oz era certo di aver sentito poche melodie che potessero vantare al tempo
stesso forza, speranza e tristezza.
Eppure, mentre l’andamento e le mani di Alyster sui
tasti rallentavano, il biondo – ormai quasi del tutto nell’aula – dovette
ammettere che di quelle poche, quella suonata dalla ragazza era sicuramente
degna di farne parte.
Accolse il silenzio come se non se lo fosse aspettato,
quasi infantilmente avesse pensato che quella composizione non avesse una fine;
rimpianse di aver probabilmente sentito solo la parte finale di uno spartito
sicuramente più ampio.
Vide dalla sua posizione le spalle di Alyster alzarsi
e ad abbassarsi in un sospiro lento e profondo, dopo il quale si voltò per
osservare chissà cosa incontrando inevitabilmente lo sguardo di Oz.
Lui abbozzò un sorrisetto imbarazzato, portando la
mano a grattare leggermente la nuca in un gesto impacciato dall’essere stato
colto in flagrante – con un’espressione anche un po’ persa probabilmente.
La vide sorridergli e ricambiò con uno più ampio,
avanzando di qualche passo verso di lei.
«Non ti avevo mai sentita suonare.» ammise.
Alyster spostò lo sguardo per qualche breve istante
sul pianoforte, per poi tornare su di lui: «Elliot monopolizza l’aula.» scherzò
su, il tono divertito a palesarlo. Oz fece uno sbuffo divertito, e lei portò
una mano a sfiorare lo spartito.
«Come mai passavi di qui? Cercavi Elliot?» domandò,
tornando a guardarlo; Oz gettò un’occhiata generale all’aula, sebbene non fosse
certo la prima volta che la vedeva, e dissentì col capo.
Fece tuttavia una pausa, prima di aggiungere una
qualsiasi risposta verbale.
«Non lo so, ma non credo.» disse.
Vide Alyster inclinare appena il capo lateralmente,
come se stesse osservando meglio qualcosa che ad un primo sguardo non aveva
riconosciuto. Oz, accortosene, preferì per una volta non dover rispondere ad
una sua domanda – che, considerando gli standard della ragazza, sarebbe
sicuramente andata a parare su qualcosa di cui non voleva parlare.
«Tu invece, ti esercitavi?» domandò quindi,
anticipandola.
Lei sorrise con gentilezza, indicandogli con un cenno
leggero del capo una porta più piccola rispetto a quella d’ingresso dell’aula,
situata in un angolo e che Oz non aveva mai notato prima.
La fissò infatti incuriosito: «Cosa c’è lì?» chiese
quasi subito.
«È una stanza insonorizzata. Serve quando qualcuno
vuole esercitarsi da solo e l’aula è occupata.» spiegò: «Di solito lì si
esercitano i violinisti, o chi suona strumenti a fiato come flauto e
clarinetto. Raramente il violoncello.» aggiunse.
Oz guardò con interesse la porta anonima, ovviamente
senza riuscire a carpire alcun suono dall’interno.
Non era davvero necessario chiederle chi vi fosse, e
comunque Alyster lo disse senza che lui lo domandasse: «Sirjan si sta
esercitando, allora ho pensato di suonare un po’ mentre aspettavo.» concluse.
Forse non avrebbe dovuto stupirsene e farlo dava quasi
l’impressione che pensasse a Sirjan come un essere strano che non faceva le
cose che abitualmente occupavano la giornata degli altri studenti, ma lo
sguardo del biondo sembrava un po’ sorpreso, un po’ incredulo.
E, a quanto pareva, la cosa suscitava l’ilarità di
Alyster che portò una mano a coprire le labbra mentre ridacchiava sommessamente
dell’espressione del più piccolo.
Oz la imitò, prima di occhieggiare nuovamente la porta:
«Come mai si esercita? Deve esibirsi da qualche parte o è solo un compito della
Barma?» domandò, recuperando una sedia poco distante per sistemarsi accanto
alla ragazza.
Non che avesse dimenticato quali pensieri lo avessero
obbligato a rinunciare alla lettura, ma forse chiacchierare era la soluzione.
«Oh, è vero, forse tu non ne sei al corrente perché è
il tuo prima anno a Latowidge.» osservò Alyster, sistemandosi leggermente sullo
sgabello del pianoforte: «Ogni anno festeggiamo la fondazione della scuola, che
ormai risale ad almeno un secolo e mezzo fa.» spiegò, catturando quasi subito
l’attenzione di Oz.
«In occasione di questo anniversario le lezioni sono
sospese e tutta la scuola si riunisce nell’aula magna per assistere ad
un’esecuzione musicale. Ogni anno vengono scelti dalla professoressa Barma gli
studenti di musica più talentuosi e loro si esibiscono per tutta la scuola in
memoria del fondatore.» concluse, con un sorriso.
Oz assunse un’aria interessata e vivace – cosa che
probabilmente non era stato negli ultimi giorni.
«Tu e Sirjan siete stati scelti?» chiese entusiasta,
nemmeno la cosa riguardasse lui sul personale anziché i due fratelli. Alyster
scosse leggermente la testa: «Solo Sirjan. Per il pianoforte c’è uno studente
molto più bravo di me che conosciamo entrambi, non credi?» chiese con una nota
divertita nel tono di voce, riferendosi palesemente ad Elliot.
Il biondo si imbronciò appena, ma non durò a lungo:
«Quindi Elliot suonerà il pianoforte. E gli altri strumenti?» domandò,
accennando con lo sguardo alla porticina oltre la quale era Sirjan.
«Mio fratello suonerà il flauto traverso.» rivelò:
«Per il violino credo si tratterà di Karin Hamilton del quarto anno.» aggiunse,
mentre Oz focalizzava nella propria mente il viso della compagna di stanza di
sua sorella che aveva conosciuto e di cui anche Noah gli aveva parlato qualche
volta.
«Ci sarà anche una cantante solista, Keira Nightingale
del quinto anno, una mia compagna.» concluse.
Oz tacque qualche istante; ripensando al minore dei
Nightray, gli tornarono in mente le parole di saluto – era un saluto quello,
più o meno, no? – di Elliot di qualche giorno prima.
«Grazie.» se ne uscì infatti senza un motivo
apparente, tanto che Alyster lo guardò interrogativamente. Oz le sorrise
apertamente: «Per aver convinto Elliot a parlare con me.» chiarì quindi.
E lei rise, una risata leggera senza alcuna intenzione
di prenderlo in giro ma di semplice e puro divertimento: «Oh, credo che sarebbe
venuto ugualmente. Ho solo velocizzato i tempi.» ammise, addolcendo lo sguardo
nel posarlo su Oz: «Ad ogni modo prego, se ti è stato utile.» aggiunse.
Mentre il più giovane taceva, sbirciando lo spartito
sul leggio, Alyster allungò una mano verso la sedia a rotelle lì di fianco al
pianoforte; gesto che attirò l’attenzione di Oz, inizialmente senza che potesse
capire il motivo di quel movimento.
Almeno fin quando la ragazza non ebbe accostato la
sedia allo sgabello dove era, facendo leva con le mani sui punti dove poggiava
solitamente le braccia per issarsi dallo sgabello quel minimo che serviva a
muoversi poi lateralmente, per passare su quel mezzo che le permetteva di
avanzare pur senza camminare.
Oz fece per allungare una mano verso di lei, per
aiutarla, ma lei si limitò a sorridergli aggiungendo un semplice e pacato: «Non
preoccuparti, ce la faccio.»
E allora Oz l’aveva guardata meglio in quel movimento
che probabilmente per l’altra era qualcosa di quotidiano e usuale. Aveva
guardato il corpo esile issarsi poggiando solo sulle braccia che sembravano
fragili come tutto il corpo della ragazza davanti a lui.
E gli occhi chiari erano inevitabilmente scesi sulle
gambe e aveva provato una sensazione strana e spiacevole; una sorta di tuffo al
cuore, qualcosa che si agitava all’altezza dello stomaco e un profondo
dispiacere, forte tanto da attanagliare le viscere.
Quelle gambe, che in un movimento di tutto il corpo
avrebbero dovuto quantomeno oscillare per lo spostamento del busto, erano
rimaste completamente e orribilmente immobili.
La vide sedersi compostamente, concludendo quello
spostamento e deglutì; lei lo osservò, quasi studiandolo, forse intuendo
qualcosa o forse no.
«C’è qualcosa che vuoi chiedermi?» domandò, quasi
incalzante.
Oz mosse le labbra, come per pronunciare qualcosa, ma
non uscì alcun suono; e abbassò lo sguardo, incapace di dare voce ad una
domanda che persino lui nel massimo picco di superficialità che poteva
raggiungere avrebbe ritenuto crudele.
Da quanto le tue gambe sono così?
«Ecco con chi parlavi, Alyster.» sentirono pronunciare poco distante, voltandosi entrambi nella stessa direzione e riconoscendo Sirjan che usciva dalla saletta, il flauto traverso fra le mani.
Oz gli rivolse un sorriso leggero – probabilmente
perché gli era grato: l’atmosfera in presenza di Alyster era sempre
estremamente rilassata e serena, ma prima era stata tesa e pesante.
Stonava così tanto che era tranquillizzato ora
dall’aggiunta di Sirjan, di cui apprezzava l’inconsapevole tempismo.
La ragazza, da parte sua, aveva ridacchiato appena:
«Pensavi parlassi da sola?» chiese divertita, mentre il gemello si accostava
alla sedia a rotelle.
Lo vide rivolgerle un sorriso gentile, non senza
stupirsene un minimo: non che Sirjan riuscisse ad arrivare ai livelli di apatia
di Aedan ad esempio, ma anche lui era stato spesso in grado di mantenere un’espressione
distaccata e neutra in situazioni dove – secondo Oz – davvero era impossibile.
Non gli era quindi capitato spesso di vederlo
sorridere a quel modo, nemmeno ad Alyster.
Oz vide il capo dormitorio spostare quindi lo sguardo
dalla sorella a lui e inclinò appena la testa lateralmente, in attesa. La voce
di Sirjan non tardò ad arrivare: «Dovevi esercitarti al piano?» chiese
accennando allo strumento che fino a poco prima aveva suonato la gemella.
Oz scosse la testa: «No, stavo solo… vagando.» replicò,
senza entrare troppo nello specifico.
In realtà, sebbene l’intento iniziale non fosse
quello, ora che aveva i fratelli Kolstoj lì l’idea di chiedere a loro dello
strano fenomeno avvenuto con Elliot gli sfiorava la mente, ripetendosi in
maniera anche fastidiosa.
Ma non era sicuro di poter prendere il discorso, né
che Sirjan si sarebbe di nuovo detto disponibile a rispondere alle sue domande
– sempre che l’altro le avesse, delle risposte. Supponeva che non fosse
infallibile e che ci fossero cose che nemmeno lui poteva sapere.
«Come va lo studio dello spartito?» sentì chiedere ad
Alyster nel contempo, lo sguardo sullo strumento musicale in questione. Sirjan
iniziò a riporlo accuratamente nella custodia con l’interno di velluto blu
scuro.
«C’è ancora un’imperfezione che non ho trovato il modo
di correggere. Probabilmente nel pomeriggio chiederò ad Elliot di provare
insieme.» pronunciò lui, controllando con precisione maniacale che il flauto
fosse riposto correttamente per poi richiuderne la custodia.
Alyster aveva semplicemente annuito ed ora aveva
riportato lo sguardo su Oz: «Tornando al discorso di prima, sono contenta che
tu abbia avuto risposte da Elliot e che abbia chiarito almeno parte dei tuoi
dubbi.» disse, sincera.
Oz abbozzò un sorriso: non aveva voglia né la capacità
di dirle che non era chiarito granché. E che, anzi, forse la situazione si era
persino complicata rispetto a prima, per l’intromissione di quel qualcuno che
sembrava Glen ma che pensare nel corpo di Elliot come uno spirito maligno era qualcosa
di assurdo da ogni punto di vista.
«Recentemente hai parlato con Elliot Nightray?»
domandò Sirjan, il tono tornato serio come era abituale coglierlo, l’attenzione
totalmente su Oz.
Come se… sapesse.
Istintivamente sulla difensiva, il biondo annuì senza
aggiungere nulla verbalmente. E in quella pausa che sembrò in qualche modo
forzata, ad Oz sembrò che Sirjan stesse valutando qualcosa; almeno a giudicare
dallo sguardo che, pur non essendosi scostato dalla figura del più piccolo,
sembrava non guardarlo davvero.
Sirjan sospirò, visibilmente: e quella fu l’ennesima
prova per Oz.
I gesti del capo dormitorio non erano mai palesi:
analogamente alla sorpresa di poco prima nel vedere chiaramente il sorriso e la
dolcezza rivolti alla sorella, lo stesso si poteva dire per l’aria che il più
grande aveva ora.
Come se si fosse rassegnato a dover dire qualcosa che
avrebbe gradito tenere per sé ancora per un bel po’.
«Hai l’aria sperduta, più che altro.» fu il commento
diretto e conciso di Sirjan, al quale Oz sgranò appena gli occhi. Si aspettava
qualcosa di diverso – anche se cosa non lo sapeva nemmeno lui – ma non che
l’altro cercasse di leggere le sue espressioni o i suoi atteggiamenti.
…Non sembrava esattamente il tipo che potesse
interessarsene, insomma.
Oz portò lo sguardo sui tasti del pianoforte, evitando
quello di Sirjan in maniera piuttosto evidente.
«Hai detto che… Cheshire è uno spirito.» mormorò, come
se cercasse di prendere tempo per formulare bene la domanda. Alzò quindi il
viso, puntando gli occhi chiari in quelli dorati dell’altro: «Ce ne sono
altri?» chiese, quasi a bruciapelo stavolta.
Sirjan si soffermò ad osservarlo, senza rispondere
subito.
Oz nella sua personale visione era semplicemente il
nuovo arrivato da tenere d’occhio i primi periodi; fin troppo presto si era
rivelato un ragazzino sotto molti punti di vista problematico.
Aveva dovuto mettergli al seguito Aedan nel momento
stesso in cui era apparso chiaro che qualcuno in quella scuola non gradiva la
sua presenza ma che, al tempo stesso, qualcosa spingesse per averlo lì e
portarlo ad interagire proprio con quel qualcuno.
E, per i suoi gusti, la necessità di uno come Aedan ad
osservarlo costantemente mantenendosi nell’ombra era stata evidente fin troppo
presto.
Anche per questo lo aveva avvicinato e, sempre per lo
stesso motivo, non aveva gradito che il biondo si fosse a sua volta attaccato
tanto – o così pareva – a sua sorella Alyster.
La cosa lo aveva portato – ed era raro che accadesse –
a giudicarlo senza l’obiettività che lo caratterizzava: non che avesse fatto
gesti particolarmente antipatici nei suoi confronti, ma gli era bastato poco
per giudicarlo superficialmente solo un ragazzino che si piangeva addosso.
Fondamentalmente, era solo un moccioso.
Abbozzò un sorrisetto enigmatico: a quanto pareva, al
momento era chiamato a rispondere a quello sguardo che sembrava aver preso la
decisione più importante e difficile che Sirjan era convinto il biondo non
avrebbe mai preso.
Scegliere la verità con la consapevolezza che ti
distruggerà.
Senza certezza che ti rialzerai.
«Sì, ce ne sono altri.» replicò, sincero.
«Anche lo spirito di Glen Baskerville?» chiese, senza
distogliere lo sguardo, come se avesse collegato la possibilità di avere una
risposta degna di questo nome da parte del più grande al non interrompere il
contatto visivo con lui.
Come se dimostrasse di poter ricevere le verità di cui
Sirjan era a conoscenza.
«Anche Glen Baskerville.» replicò il capo dormitorio,
risposta alla quale seguì un sospiro da parte di Oz, quasi sollevato – anche se
non c’era davvero motivo per esserlo.
«L’ho incontrato, credo. Glen, intendo.» ammise, quasi
avesse il bisogno di raccontarlo a qualcuno e si fosse trattenuto fino a quel
momento: «Lui… ha detto di non ficcare il naso in cose che non mi riguardano.
Tu sai di cosa parlava… vero?» aggiunse, osservando il maggiore.
Alyster, che fino a quel momento aveva taciuto,
occhieggiò il fratello con un velo di preoccupazione nello sguardo; Sirjan, da
parte sua, si sedette sullo sgabello del pianoforte.
«Per quanto ricevere questa risposta può averti
stancato, rimarrà la stessa. Non mi è
permesso dirtelo.» rispose inizialmente, osservandolo quasi per scrutarne la
reazione: «Con gli spiriti di questa scuola, pochi per nostra fortuna, ci sono
dei patti.» iniziò poi a spiegare, benché il biondo non avesse chiesto nulla.
E in effetti, ora che Sirjan lo dichiarava
apertamente, ad Oz tornò in mente che l’unica volta che aveva visto il più
grande interagire con Cheshire o Aedan farlo per conto dello stesso capo
dormitorio, avevano entrambi fatto riferimento a dei patti a cui erano scesi e
che almeno Cheshire non stava rispettando col suo attaccare gli studenti.
«Potremmo definirli metodi di convivenza civili.»
riprese Sirjan: «Si può evitare che loro si rendano visibili a tutta la scuola
creando il panico e noi gli assicuriamo la tranquillità. Nessuno li disturba, e
loro non disturbano noi.» concluse in una spiegazione breve ma tutto sommato
chiara.
Oz tacque, in ascolto e Sirjan si sentì autorizzato a
continuare senza dover rispondere a qualche domanda: «In realtà tu non dovresti
sapere nulla di loro, come tutti gli altri studenti. Ma visto che il primo
contatto che hai avuto con Cheshire è stato anche colpa sua, ho evitato di
segnalarlo.» concluse.
«Segnalarlo?» fece eco Oz, l’aria perplessa.
Sirjan annuì: «Alle persone a cui io ed Alyster
rispondiamo.» chiarì almeno in parte.
Oz si prese qualche attimo per riflettere sulla cosa:
che ci fosse qualcuno al di sopra di Sirjan gli sembrava l’altro lo avesse
detto. Supponeva però che non gli avrebbe rivelato di chi si trattava, dunque
era persino inutile chiederlo.
«Questo qualcuno si occupa di tenere a bada questi
spiriti?» optò quindi rispetto alla domanda che gli era venuto spontaneo fare e
che aveva archiviato.
Sirjan scosse la testa: «Lo ha fatto, prima di noi.
Ora ci trasmette solo come prendere il suo posto.» replicò.
Fece una pausa, nella quale lasciò vagare lo sguardo
sulla parte di pianoforte che ora celava i tasti.
«Inoltre, chi c’è stato prima di noi era molto più
comprensivo.» aggiunse.
Oz inclinò appena la testa lateralmente, senza capire:
«In che senso?»
«Verso gli spiriti. Da questo punto di vista, io non
sono decisamente la persona più adatta a questo ruolo.» ammise, con un
incurvarsi delle labbra sarcastico.
Il biondo vide Alyster, accanto al fratello, lasciar
sfumare lo sguardo dalla solita tranquillità che la contraddistingueva al
dispiacere; per un discorso già affrontato altre volte e che sapeva bene dove
andasse a parare.
«Per questo hai… eri così arrabbiato con Cheshire
quella volta?» azzardò Oz, osservandolo.
Sirjan alzò lo sguardo su di lui – un paio di occhi
decisi, senza la minima esitazione. E, al tempo stesso, occhi di qualcuno
conscio di non pensarla nel modo giusto, ma che non cambierà idea.
«In quell’occasione era anche perché aveva violato i
patti. Ma più in generale, io e gli spiriti non ci piacciamo. Io… non riesco a
vederli come esseri deboli, al contrario della maggior parte delle persone.»
replicò, il tono in qualche modo secco.
Probabilmente se ne accorse, perché quando parlò di
nuovo la voce era di nuovo pacata, ma non neutra come al solito – forse in
virtù del fatto che stava esprimendo un’opinione sua che non fosse
influenzabile né da ruoli, né da regole.
«Non importa cosa succede o cosa succederà anche a me,
la mia opinione rimarrà sempre la stessa. Non conta il fatto che io protegga la
loro identità: i defunti hanno finito il loro tempo. I morti non tornano in
vita. Se hanno rimpianti, se non hanno vissuto come avrebbero voluto, se sono
stati infelici o insoddisfatti... non è una questione che riguarda chi è ancora
in vita. Io non riesco ad avere pietà per loro.» concluse.
Brusco, con una totale assenza di tatto, specialmente
davanti ad Oz – considerando che Sirjan sapeva di suo fratello.
Forse crudele, probabilmente cinico.
Ma Oz non seppe cosa dire per contraddirlo; solo,
abbassò lo sguardo.
Lui lo sapeva, cosa significava: l’ombra di un defunto
che aleggia su di te.
Doveva dare atto del fatto che, effettivamente, era
lecito che un docente si irritasse se i suoi studenti dormivano alle sue
lezioni o non vi prestavano comunque attenzione. Soprattutto, se Oz avesse
avuto la capacità di staccarsi dal proprio corpo o cose simili e guardarsi in
quel momento, avrebbe provato un senso di solidarietà verso il docente in
questione.
Perché effettivamente non doveva essere granché
stimolante vedere un’espressione a metà fra l’ebete e l’assenza totale degna di
una persona momentaneamente sotto l’effetto di droghe di cui magari ignoravi
anche l’esistenza.
Eppure, al di là di ogni considerazione obiettiva,
quando si ritrovò davanti alla faccia una Emily rantolante che chiamava il suo
nome in maniera che non avrebbe potuto definire in altro modo se non
inquietante, Oz dovette ammettere che non mandare un accidente al professor
Xerxes era fuori discussione.
Specie dopo essersi ritrovato a farsi salvare in
corner da una caduta dalla sedia da Noah.
«Finalmente il signor Bezarius ci presta attenzione!
Brava Emily ♥» canticchiò il docente, il sorriso falsamente cortese e
sollevato sulle labbra.
Oz lo guardò male – come uno può guardare chi ti ha
appena fatto rischiare un infarto precoce, ad esempio – ringraziando con lo
sguardo Noah che gli lasciò il braccio che aveva afferrato per evitargli la
caduta e sistemandosi di nuovo sulla propria sedia.
Break sembrava aver colto perfettamente lo sguardo, e
d’altra parte Oz non si era esattamente impegnato a nasconderlo.
«Oh, uno sguardo minaccioso!» esclamò con tono
canzonatorio, che si estese al sorriso ma non agli occhi: lo sguardo che gli
stava rivolgendo il docente era qualcosa che Oz si prese la libertà di
interpretare come una minaccia sul genere di “rispondimi, signor Bezarius, e ti
dimostrerò che al mondo ci sono visioni molto peggiori di Emily”.
Motivo per il quale decise intelligentemente di
tacere.
Break batté appena sulla cattedra per richiamare
l’attenzione: «Ora che abbiamo finalmente l’attenzione di tutti, ho tanti
annunci da fare!» trillò contento – un grugnito suggerì ad Oz che poco lontano
Alice stava imprecando contro il docente.
«So che molti di voi saranno tristi per questo, ma»
pausa ad effetto made in Xerxes Break: «le lezioni saranno sospese per un po’.»
annunciò. Ed Oz poteva quasi giurare di aver sentito Noah al proprio fianco
soffiare qualcosa di molto simile ad un “grazie a Dio”.
Poco dopo un sospiro affranto dai banchi davanti gli
ricordò che c’era un fan club pronto a struggersi per questo.
«La professoressa Barma mi ha chiesto di ricordare a
chi parteciperà al concerto per la Fondazione della scuola di concordare con
lei gli incontri. E poi che tutte le lezioni saranno ferme, tranne le sue
♪» aggiunse.
Il “grazie a Dio” di Noah, se solo fosse stato
pronunciato in quel momento anziché prima, probabilmente si sarebbe perso tra
le imprecazioni.
Era poco ma sicuro che il compagno avrebbe preferito
dieci pagine di funzioni, piuttosto che ore in più con la Barma.
Oz notò una studentessa dei primi banchi alzare la
mano: «Professore, perché le lezioni della Barma non si interromperanno?»
domandò.
Break ridacchiò – e l’eco di Emily non faceva
presagire nulla di buono: «Perché si occuperà delle lezioni in vista del Ballo
che si terrà prima delle feste natalizie!» esclamò come se fosse ovvio, oltre
che una notizia assolutamente esaltante.
Un tonfo al suo fianco rivelò ad Oz che Noah aveva
picchiato – anche se non troppo forte – la testa contro il banco, forse nella
speranza di svegliarsi da quello che alle sue orecchie suonava come un incubo.
Sorrise appena divertito, perché non farlo era
impossibile.
«Oh, e mi raccomando di fare i bravi bambini questo
periodo che non ci vedremo e di ricordavi di dire a mamma e papà che la
settimana dopo il concerto per la Fondazione ci sarà il ricevimento con gli
insegnanti.» aggiunse con tono su di giri – e poco mancava che iniziasse a
danzare in circolo con la bambolina fra le mani.
Colse un sonoro sbuffo provenire dal banco di Alice,
alla quale rivolse uno sguardo e un sorriso leggero; notandola ignorarlo,
dedusse che doveva ancora essere arrabbiata con lui per la questione di
Vincent.
«E se non lo dicessi a casa?» provocò il docente,
fissandolo con espressione arrogante.
Break le sorrise: «Ovviamente lo dirò io ai tuoi
famigliari, signorina Lewis ♥» assicurò, quasi amorevole.
Mentre la campanella suonava e l’insegnante li
lasciava liberi, Oz fu certo di aver visto Alice mimare un conato di vomito a
quel tono che Break le aveva rivolto.
«Cinque minuti di pausa.» decretò la professoressa,
spegnendo la musica che fino a quel momento aveva animato l’aula.
Nei soliti abiti eleganti ma non eccessivamente
laboriosi o inadatti all’ambiente scolastico e i capelli legati nell’ordinato
chignon, aveva concesso quella pausa con un battito di mani chiaro che era
riecheggiato nell’aula utilizzata.
Noah al suo fianco si lasciò scivolare sulla prima
panca libera: «Oz, ti prego, uccidimi.» implorò, fissando un punto dritto di
fronte a sé, il resto della classe che scemava chi al bagno, chi verso le altre
panche perdendosi in chiacchiere.
Oz sorrise, sedendosi affianco a lui: «Perché ti hanno
pestato i piedi?» domandò, tirando ad indovinare.
Noah lo fissò allucinato: «… A parte che è più plausibile
che io pesti i piedi a qualcuno. Ma no. Senti, perché devo esercitarmi a
ballare se al ballo ci verrò per un incontro romantico col buffet?» ironizzò,
fissandolo eloquentemente.
Oz ridacchiò appena: «Non lo so, perché?» chiese,
curioso di sentire l’uscita dell’altro in proposito.
«Ecco, non lo so perché! Qualcuno lassù evidentemente
mi odia! E sì, magari non sarò proprio stato un bravo bambino, ma se questo è
Babbo Natale che porta rancore giuro che gli avveleno le renne quest’anno.»
sibilò – suscitando in Oz una risata vera e propria.
«Che spirito natalizio…» commentò per prenderlo in
giro.
«Si chiama “istinto di sopravvivenza”, Oz. Ma non mi
stupisco, il tuo fa cilecca ogni tanto.» replicò di rimando.
Oz lo fissò con falsa arroganza: «Non sono io che ho
passato una settimana in infermeria, sai?» gli fece notare. Noah fece
schioccare le labbra, in un gesto di stizza come se fosse davvero offeso.
Oz gli picchiettò la testa con un dito, lasciandogli
intendere che non era affatto credibile: «Dai, ti procuro delle polpette per le
renne se vuoi.» riprese il discorso di poco prima.
Noah spostò lo sguardo su di lui, l’espressione furba:
«Sapevo di poter contare su di te, socio. Le renne e il ciccione non avranno
scampo.» assicurò.
Non si poteva essere così scemi.
«Ricominciamo.» li richiamò alla realtà Miranda Barma,
rientrata dopo gli ultimi studenti tornati dal bagno.
Noah, ancora seduto per terra, alzò gli occhi al cielo
– era una sorta di disperazione la sua, Oz ne era quasi sicuro.
«Signor Keynes, visto l’entusiasmo che vedo nel suo
sguardo e che mi commuove per l’amore del ballo che vi leggo, vuole venire qui
al centro per cortesia?» lo incalzò.
Noah non si mosse; l’espressione della sua faccia non
era terrore probabilmente solo perché il suo orgoglio si era opposto al
manifestarla.
«Signor Keynes, non era una richiesta, malgrado
suppongo lo sia sembrata.» gli fece presente la docente e Noah si alzò,
strascicando appena i piedi nell’avvicinarsi a lei.
La donna lo squadrò da capo a piedi, valutandolo:
«Parola mia, signor Keynes, dovessi basarmi sulla sua postura per decretare la
sua natura umana, non ci metterei nemmeno un lembo di abito sul fuoco.»
commentò, il tono placido ma palesemente sarcastico.
Noah mordicchiò il labbro inferiore ma non disse
nulla.
«Dunque, vediamo» esordì poi, iniziando a girargli
intorno. Picchiettò contro la sua schiena con la mano: «Schiena dritta.» lo
riprese, aspettando che il rosso eseguisse.
Gli posò le mani sulle spalle, tirando appena perché
si sistemasse petto in fuori e spalle dritte come voleva lei. Seppur
riluttante, Noah eseguì il movimento.
Lei, con un gesto assolutamente neutro del dorso della
mano, diede un colpetto alla base dei suoi reni: «Un minimo di portamento,
grazie.» lo corresse, occhieggiando le gambe dalla posizione alle sue spalle.
Vi soffermò lo sguardo con aria critica: «Per l’amor
del cielo signor Keynes, la danza è un’arte e dovrebbe essere qualcosa che
anche lei è in grado di figurarsi abbastanza facilmente, credo. Potrebbe non
avere una posizione delle gambe come se dovesse affondare una zappa nel
terreno?» lo esortò con tono critico.
Noah voltò la testa quanto bastava a guardarla: «Per
favore, non mi faccia pensare a dipingere e al ballo come la stessa cosa.
Potrei perdere l’ispirazione per il resto della mia vita.» commentò, suscitando
la risatina di qualcuno, tra cui Oz.
La docente lo fissò in silenzio, occhieggiando poi gli
altri presenti e soffermandosi sul biondo: «Signor Bezarius, noto che trova la
battuta piuttosto divertente. Se è così gentile da raggiungere il suo compagno
al centro, potremo godere tutti dell’ilarità generale.» disse.
Oz, con un sospiro rassegnato – ormai aveva capito che
“amico di Noah” e “non detestato dalla Barma” erano due concetti che non
potevano esistere nella stessa persona.
Avanzò quindi fino a raggiungere il compagno e la
professoressa, fermandosi al centro.
Lei lo guidò di fronte a Noah, dopodiché si rivolse al
resto della classe: «Fate bene attenzione, il signor Keynes e il signor
Bezarius si sono proposti volontari per mostrarvi la posizione esatta di
partenza.» fece presente.
Noah aveva palesemente mostrato di avere qualcosa da
ridire su quel “volontari”, ma Oz gli aveva saggiamente pestato un piede: ci
mancava solo che per punire l’ennesimo commento del rosso la Barma decidesse di
vestirli da dame.
«Bene. Signor Bezarius, lei farà la dama.» decise,
osservandolo con l’aria di chi non ammetteva repliche. Oz non disse nulla,
muovendo un passo verso Noah che lo guardava tra l’incredulo e chi si sente
tradito.
Miranda Barma si posizionò dietro il biondo.
«Bene, se non altro non dovrò manipolarle la schiena
per farla stare vagamente dritto.» commentò dopo aver occhieggiato le spalle
dell’altro: «Ora, signor Keynes, passi la mano destra intorno alla vita del suo
compagno.» ordinò.
Noah fissò Oz, senza muoversi: «Ciò vuol dire che
posso risparmiarmi il baciamano, deduco.» commentò, portando il braccio dietro
la schiena di Oz, circondandogli la vita alla meno peggio.
L’altro cercò di non ridere, più che altro.
La docente li osservò: «Ora, la mano libera a
sostenere la mano della dama.» disse, aspettando che Noah eseguisse.
Sospirò come chi si vede costretto a ripetere per
l’ennesima volta la stessa cosa: «Signor Keynes, educazione e cortesia vogliono
che se anche la dama con cui si danza non piace la si deve trattare con il
massimo riguardo. Perciò, a meno che il signor Bezarius non abbia qualche
malattia contagiosa direi che può tenerlo più vicino a sé.» gli fece presente.
Quando fu soddisfatta almeno in parte della posizione
iniziale dei due, la docente fece partire la musica: un valzer dei più comuni.
Noah mosse un primo passo non proprio convinto, mentre
Oz lo seguiva; poteva facilmente immaginare il disagio e le imprecazioni
dell’altro: essendo di famiglia medio locata, era quasi ovvio che non gli fosse
mai capitato di dover partecipare a qualcosa di vagamente simile ad un ballo e
che di conseguenza non avesse mai imparato.
Né sentito la necessità di farlo, oltretutto.
Per questo Oz non ebbe cuore di sottolineare che i
suoi piedi non erano di gomma e che quindi le sei volte di seguito in cui
glieli aveva pestati non erano passate inosservate; non lo aveva fatto presente
all’altro anche per tutti gli “scusa” che Noah era stato capace di bofonchiare
nell’arco di un valzer.
Probabilmente quello era un nuovo record a tutti gli
effetti.
Aveva optato per la solidarietà di cui solo un amico
vero poteva essere capace, e alla fine della lezione gli aveva proposto di
sgattaiolare in mensa a chiedere una cioccolata calda.
«L’unica cosa che mi fa tornare speranza nella vita è
il pensiero che non dovrò mettere in pratica tutto questo, quel giorno.»
commentò Noah soffiando sulla tazza piena del liquido scuro e fumante.
Oz ridacchiò: «Non sei andato così male.» gli fece
presente, un po’ sincero un po’ solidale.
Noah lo fissò eloquentemente: «Tu dov’eri, che lezione
hai visto?» ironizzò, sorseggiando poi la cioccolata con aria beata.
Oz non disse nulla, imitandolo e lasciando cadere il
silenzio. Rimasero così per un po’, la mensa quasi totalmente deserta a
eccezione di alcuni studenti che avevano avuto la loro stessa idea.
Quando Oz era quasi a metà della cioccolata, fu Noah
ad parlare: «Ah, una cosa.» iniziò, classico richiamo dell’attenzione quando ci
si è ricordati qualcosa all’ultimo minuto.
Il biondo portò gli occhi chiari su di lui, segno che
lo stava ascoltando, esortandolo perciò a continuare.
«La lezione. Che rimanga fra noi.» continuò Noah, in
un maniera abbastanza confusa perché Oz si sentisse autorizzato a chiedere: «In
che senso?»
Vide Noah incurvare le labbra in un sorrisetto fra il
complice e l’impacciato: «Che io e te abbiamo ballato insieme. Evitiamo che
arrivi alle orecchie di Marcus, ne?» gli chiarì la cosa.
E dato che Oz non pensava Marcus avrebbe fatto chissà
che particolari storie trattandosi di lui – a torto, ma questo il biondo non lo
sapeva – e che l’uscita di Noah era stata assolutamente priva di malizia,
scoppiò a ridere.
La settimana che era seguita era stata quasi
sicuramente quella che aveva messo più alla prova Noah Keynes in due anni di
scuola.
Oz aveva azzardato a chiedere se non fosse stato
abituato a quel periodo pre natalizio, visto che l’altro era a Latowidge dal
primo anno. Noah però aveva spiegato che l’anno precedente era stato esentato
dalle lezioni perché con la gamba rotta – e non per colpa delle risse quella
volta, ma per un incidente – e che quindi era scampato a quel supplizio.
Grazia divina che non si era ripetuta quell’anno e che
da quella prima lezione li aveva visti dirigersi dalla Barma tre volte a
settimana per tre ore pomeridiane ogni volta.
E andavano avanti ormai da una decina di giorni quando
all’ultimo incontro la docente li aveva avvisati che avrebbero fatto una pausa
per qualche lezione, dal momento che era occupata con gli ultimi preparativi
per il concerto.
Contrariamente a quanto Oz si era aspettato, in
occasione dell’evento in questione non sarebbero stati presenti tutti i
genitori: vi era invitata tutta la scuola, la cui presenza degli studenti era
“particolarmente consigliata” – che nel linguaggio specifico di Rufus Barma
significava “sarà il caso che non mi costringiate a inventare una punizione per
coloro che non verranno” – e i maggiori beneficiari dell’istituto.
«Di solito» aveva spiegato Noah a pranzo qualche
giorno prima dell’evento: «si tratta proprio di famiglie particolarmente
benestanti. Una volta mi pare di aver capito che se ne occupassero anche i
Bezarius e i Nightray, no?» gli aveva chiesto conferma.
Oz ricordava grosso modo che tra i motivi di assenza
del padre qualche volta c’era stato anche quel concerto; tuttavia dopo la morte
di Jack, Zai Bezarius aveva evitato contatti di quel tipo per diverso tempo e
dunque non vi era stato più chiamato a prendere parte.
Aveva quindi annuito verso Noah: «Dei Nightray non so
nulla però.» aveva ammesso.
Noah, con un’alzata di spalle, aveva continuato:
«Hanno avuto dei problemi, ma non so quali. E poi i beneficiari sono pochi lo
stesso. Come rappresentanti dei Barma ci sono i magnifici due del corpo
docenti. Lo stesso per Wayne.»
«…Wayne? Quello di chimica?» aveva chiesto Oz
incredulo, rischiando di strozzarsi con lo stufato.
«Esatto. Non
pare proprio il tipo da famiglia ricca, eh?» aveva ridacchiato Noah,
dandogli poi qualche altro nome dei beneficiari che – come premesso proprio dal
rosso – non si erano rivelati una quantità esagerata.
Per questo, nell’avviarsi verso l’aula magna dove il
concerto avrebbe avuto luogo, Oz non si aspettava troppi volti sconosciuti.
Era stato comunicato agli studenti che per l’occasione
ci si sarebbe dovuti presentare in abiti consoni all’evento; Oz aveva dunque
indossato dei pantaloni scuri e semplici e una camicia bianca con sotto il
colletto lo stesso nastro che era parte della divisa – si era richiesto
quell’unico particolare degli abiti che indossavano ogni giorno per mantenere
quel tratto distintivo.
Sopra la camicia, una giacca nera lunga fino a metà
gamba per alcuni, al ginocchio per altri; i ragazzi erano risultati vestiti in
maniera molto simile, almeno a giudicare da Noah con il quale si era avviato fino
all’aula magna e dagli studenti incrociati nel mentre.
Le ragazze invece avevano indossato abiti eleganti e
per lo più lunghi, ma non tutti uguali: nessuna ne aveva indossati di neri, ma
avevano compreso una vasta gamma di colori.
Vi erano blu notte e colori pastello soprattutto:
nell’arrivare all’ingresso dell’aula magna Oz aveva riconosciuto all’entrata
sua sorella Ada in compagnia di alcuni compagni di anno. Con lei c’erano Sally
McFinch, l’abito sul verde chiaro e – i capelli lunghi ordinatamente legati da
un nastro blu e dall’abito nero – Clifton Lafayette.
Ada indossava un abito rosa pallido e sorrise quando
vide il fratello.
Il suo agitare la mano però fu rivolto anche a
qualcuno dietro di loro: nel voltarsi, Oz intravide il nucleo della famiglia
Nightray, che per ovvi motivi erano arrivati insieme.
I due fratelli, Vincent e Gilbert – probabilmente,
pensò Oz, Elliot doveva essere insieme agli altri che prendevano parte al
concerto come musicisti – vestivano nero ed entrambi avevano i capelli raccolti;
Gilbert aveva cercato di raccoglierli in un nastro blu, ma la maggior parte
delle ciocche davanti gli erano sfuggite.
Vincent invece aveva raccolto i capelli biondi in una
coda più alta, con un nastro bordeaux.
Entrambi alzarono una mano all’indirizzo di Oz e gli
altri, Vincent con un sorriso entusiasta per il concerto, Gilbert con un
incurvarsi di labbra meno visibile, ma cortese.
Con loro c’erano Echo, un abito sul blu e i capelli
raccolti con un fermaglio a forma di farfalla che lasciava comunque le ciocche
ai lati del viso libere ed Alice, l’abito sul rosso non troppo acceso e i
capelli acconciati nelle solite due code.
Oz rivolse un cenno anche a loro due, che Echo
ricambiò con un leggero e rispettoso chinare del capo, mentre Alice distoglieva
lo sguardo con aria seccata e passava accanto al gruppo salutando a malapena
Noah.
Il biondo si era voltato con l’intento di fermarla –
era passato già troppo tempo da quando avrebbero dovuto chiarire quella lite
nata per colpa di entrambi – ma si era sentito fermare gentilmente per la
spalla.
Nel voltarsi, individuò come autore del gesto Vincent:
«È davvero molto arrabbiata perché è tornata ieri da casa. Ti consiglio di
aspettare un pochino.» mormorò, con fare quasi complice.
Oz abbozzò un
sorriso leggero, lasciando stare l’idea di seguire la castana e rivolgendosi al
biondo: «Tu stai bene?» chiese, riferendosi alle ferite su cui lo aveva già
rassicurato Gilbert, comunque.
Vincent annuì, per poi rivolgersi ad Ada.
Gilbert rimase invece fermo lì, preferendo non unirsi
al gruppo e rimanere qualche passo distante, vicino ad Oz.
«Prima ti cercava Alyster.» gli disse, osservandolo.
Oz annuì, l’espressione incuriosita, ma non ebbe
bisogno di chiedere nulla intravedendo alle spalle di Gilbert la ragazza che si
avvicinava a loro.
Indossava un abito lungo che le copriva le gambe e a
malapena lasciava intravedere i piedi poggiati sulla piccola pedana della sedia
a rotelle; di un bordeaux che si intonava agli occhi carmini, le fasciava il
corpo esile.
Sorrise sia ad Oz che a Gilbert, rivolgendosi a
quest’ultimo per primo: «Grazie per prima.» pronunciò, il tono cortese.
Gilbert scosse appena la testa: «Figurati.» replicò,
occhieggiando poi Oz.
«Mi cercavi?» domandò il biondo, lo sguardo chiaro su
di lei che annuì: «Ho pensato che potesse farvi piacere assistere al concerto
vicini al palco.» rivelò, muovendo appena la sedia a rotelle per avanzare verso
Ada e gli altri che chiacchieravano ancora fra loro.
La sorella di Oz la notò per prima e le sorrise
ampiamente: «Alyster, ciao. Sirjan si sta preparando con Elliot e gli altri?»
chiese, portando anche l’attenzione degli altri sulla capo dormitorio.
Vincent prese gentilmente una sua mano, mimando un
educato baciamano e sorridendole; lei ricambiò con la gentilezza che la
contraddistingueva e annuì all’indirizzo di Ada: «Sì, mio fratello è con gli
altri partecipanti.» confermò.
Rivolse poi loro lo stesso invito esteso ad Oz qualche
attimo prima, che fu accolto di buon grado e con entusiasmo. Attesero quindi
solo l’arrivo di Marcus – che Oz vide arrivare insieme ad Aedan e il ragazzo
che aveva già visto interagire una volta con il moro ma di cui gli sfuggiva il
nome – dopodiché entrarono nella sala.
Gilbert aveva arbitrariamente scelto di spingere la
sedia a rotelle di Alyster e Oz li affiancava; Noah chiacchierava con Marcus
mentre Aedan e l’altro ragazzo – Ethan, gli aveva ricordato il rosso – si erano
divisi da loro quasi subito.
Il brusio della sala animava l’ambiente, ma non era
fastidioso: sul lato sinistro della prima fila di posti vicino al palco vi
erano visi adulti che Oz rimandò ai benefattori dell’istituto mescolati a
quelli più familiari del corpo docenti.
Il lato destro, libero, fu quello verso cui li
condusse Alyster: probabilmente aveva facoltà di invitarvi chiunque ritenesse
opportuno, perché nessuno dei docenti prestò particolare attenzione al loro
gruppo.
Individuarono Aedan seduto al primo posto dopo i
docenti – nello specifico accanto a Wayne – con al proprio fianco Ethan.
Accanto al moro si sistemò Marcus, le braccia
incrociate al petto e neanche a dirlo dopo di lui sedette Noah che – per motivi
che rimasero ignari finché non furono quasi tutti seduti – pretese al proprio
fianco Ada. Dopo di lei sedettero Sally e Clifton, al quale seguì Vincent.
Come ci si poteva aspettare, il biondo fece sedere
Gilbert alla propria destra e dopo il moro si sistemò in silenzio Echo.
A quel punto, Oz e Alice si guardarono, entrambi in
piedi e con Alyster che per forza di cose sarebbe rimasta sulla sedia a rotelle
dopo l’ultimo posto.
Alice sbuffò, prendendo posto accanto ad Echo e
fissando lo sguardo di fronte a sé, le braccia incrociate al petto; con un
sospiro, Oz le si sedette affianco e Alyster rimase ferma dove Gilbert l’aveva
sistemata sotto sua richiesta.
Dopo pochi minuti, videro una donna salire sul palco:
indiscutibilmente avanti con l’età ma dall’aria gioviale e in piena salute,
l’abito di un celeste pallido e i capelli in alcuni punti con i segni dell’età
avanzata legati in un chignon ordinato.
Attese che il silenzio scendesse nella sala, dopodiché
rivolse a tutti un sorriso gentile e cortese: «In quanto preside dell’istituto
Latowidge, voglio innanzitutto dare il mio benvenuto ai tutti i presenti a
questo concerto in occasione della fondazione della scuola, che vanta una certa
età. E’ addirittura più anziano di me.» fece notare, suscitando un accenno di
risata divertita generale.
«Un ringraziamento particolare ai nostri ospiti e ai
docenti che si sono impegnati perché come ogni anno fosse possibile organizzare
questo evento che è occasione di svago per gli studenti e per ricordare tutti
insieme una data importante.» continuò, allungando poi una mano verso i posti
che ospitavano gli insegnanti.
«Pregherei la professoressa Miranda Barma, docente di
Musica che si impegna particolarmente ogni anno per la buona riuscita di questo
concerto, a salire sul palco per presentare i suoi alunni.» chiamò poi,
iniziando lei un applauso educato al quale si unirono tutti i presenti.
La docente chiamata si alzò dal proprio posto,
raggiungendo la donna sul palco e sorridendole cortesemente, prendendo poi la
parola.
«Ringrazio la preside Cheryl» disse come prima cosa,
rivolgendosi alla sala: «Come ogni anno, gli studenti scelti per
quest’occasione sono fra coloro che nella mia materia hanno ottenuto i migliori
risultati e hanno effettuato un percorso didattico di grande levatura.» prese a
spiegare, come piccola e doverosa premessa.
«Il brano di quest’anno è stato composto da uno
studente promettente, che per analoghi motivi è stato scelto anche come
esecutore. Le parole sono state invece adattate, con il suo consenso, dalla
cantante solista.» concluse la spiegazione.
Fece una breve pausa in cui lanciò un’occhiata al
sipario alle sue spalle, da cui probabilmente ricevette il cenno di conferma
che le serviva per passare alla presentazione; il tendaggio rosso scuro prese
ad aprirsi da entrambi i lati, rivelando un pianoforte nero a coda e due leggii
accanto ad esso a prendere possesso del palco.
«Passo dunque a presentarvi i quattro studenti che
eseguiranno il brano. Al pianoforte, per il quarto anno, Elliot Nightray.»
chiamò, sistemandosi lateralmente mentre il ragazzo entrava.
In abiti scuri molto simili a quelli di Oz ma con la
giacca appena più lunga, avanzò sul palco voltandosi verso il pubblico quanto
bastò ad un inchino leggero del busto per poi andare a sistemarsi al pianoforte
mentre l’applauso sfumava.
Miranda Barma riprese la parola: «Al flauto traverso,
per il quinto anno, Sirjan Kolstoj.» chiamò.
Il capo dormitorio avanzò dallo stesso lato da cui era
entrato Elliot: il portamento elegante e la giacca stavolta più corta – appena
oltre i fianchi – ma comunque nera, aveva il proprio strumento fra le mani.
Sotto il colletto della sua camicia, Oz poté notare che il nastrino non era del
colore dell’anno di Sirjan, ma bordeaux.
Gli venne spontaneo credere che fosse quasi per
richiamare il colore dell’abito della sorella, che sedeva sorridente al fianco
del biondo.
Oz lo vide sistemarsi dietro il primo leggio a seguito
del pianoforte, dopodiché riportò lo sguardo sulla docente.
«Per il violino, del quarto anno, Karin Hamilton.»
chiamò.
Poco distanti da lui, Sally applaudiva un poco più
forte degli altri e con una certa soddisfazione come se lei e l’amica fossero
la stessa persona; Clifton applaudiva educatamente, ma aveva un sorriso dolce
sulle labbra.
La mora imitò Sirjan ed Elliot, sebbene salì dal lato
opposto: fece un inchino verso la sala, il violino e l’archetto fra le mani.
Vestiva un abito sull’indaco, i capelli raccolti in una treccia morbida. Si
sistemò sull’ultimo leggio, poco distante da Sirjan.
Infine, l’insegnante chiamò la cantante: «Voce
solista, per il quinto anno, Keira Nightingale.» concluse, allontanandosi dal
palco per tornare al proprio posto mentre l’ultima studentessa entrava dallo stesso
lato da cui aveva fatto il suo ingresso Karin.
Era l’unica dei quattro che Oz non conosceva: i
capelli castani sfioravano le spalle, sciolti. Gli occhi erano chiari anche se
da lì non poteva definire con esattezza il colore e il corpo era fasciato da un
abito azzurro pastello.
Per ovvi motivi non aveva strumenti con sé.
L’applauso per lei scemò e i ragazzi si scambiarono
un’occhiata, probabilmente volta a segnalarsi l’un l’altro di essere pronti.
Nel silenzio carico di attesa e aspettativa della sala,
si vide Sirjan accostare il flauto al viso e l’apertura in cui incanalare il
fiato alle labbra fin quasi a sfiorarne il freddo metallo. Un suono limpido si
sentì chiaro nel silenzio della sala, dando il via alle prime note da solo,
seguito né dal violino, né dal pianoforte.
Oz sgranò gli occhi: erano state poche note, era vero,
ma aveva ascoltato quella canzone troppe volte ormai per non riconoscerla. Da
Elliot, durante le notti passate a spiare come un bambino, a volte anche con
Alyster; e dall’orologio, lasciato nella stanza insieme al diario che occupava
con le sue pagine i suoi pensieri molto più di quanto non desiderasse,
angosciandolo.
E le note che partirono dal pianoforte di Elliot – lo
sguardo era attento sullo spartito, eppure Oz era certo che il minore dei
Nightray avrebbe potuto suonare anche ad occhi chiusi e ottenere comunque la
perfezione che costantemente ricercava – accompagnarono la voce chiara di
Keira, che aveva riempito l’aria quasi in contemporanea ad esse.
La canzone, come la melodia sulla quale si basava, era
triste: le parole rimandavano ad un tempo perduto con la consapevolezza che non
sarebbe ritornato, ricordato da una figura che cambiava nell’immaginario
personale di ognuna delle persone che ascoltava.
Il ricordo triste a cui ci si aggrappava, a
prescindere da quanto potesse distruggere chi lo richiamava continuamente,
convinto della sua azione benefica senza accorgersi che si insinuava nell’anima
e nella mente come il veleno più letale di tutti.
Oz socchiuse gli occhi, ascoltando in silenzio, senza
più curarsi di cosa era accanto a lui.
Dopo la prima strofa, sentì il violino aggiungersi
agli altri strumenti, mentre il flauto traverso ancora taceva.
Portate d'argento per i ricordi,
per i giorni passati,
cantando le promesse
che il domani può portare.
Al pianoforte e al violino, insieme alla voce di Keira, si era aggiunto infine anche il flauto che ora stava eseguendo un duetto solo con il pianoforte.
Elliot e Sirjan suonavano in perfetta armonia, come se
le menti e i sentimenti fossero un unico strumento musicale che suonava nel
silenzio della sala che sembrava quasi vuota.
La voce di Keira riprese a cantare, e ad Oz parve
quasi ironico che persino quella canzone parlasse di ricordi, quando la sola
musica bastava a risvegliarne fin troppi, indesiderati e sperati al tempo
stesso.
Il desiderio di non dimenticare una persona
importante, e la paura del dolore che la realizzazione di quel desiderio
certamente comporterà.
Il vuoto riempito da un nodo alla gola, e la
sensazione di qualcosa inevitabilmente scivolata fra le mani.
Non si guardò attorno, Oz, ascoltando l’esibizione;
forse per una strana forma di masochismo, o magari perché era semplicemente
normale che accadesse, seguiva l’immagine di un Jack sorridente nei suoi
ricordi.
Non uno in particolare, uno più felice di altri o più
vivido; solo, suo fratello.
Mentre l’espressione si rilassava, e la maschera
andata indebolendosi – prima la melodia, poi Glen, poi il diario – calava pian
piano, pericolosamente.
Non scompariva ancora, perché non succedeva mai
davvero.
Ma il dolore era lì.
E non c’era più un sorriso a nasconderlo, in quel
momento.
La tua vera voce è nel mio cuore,
più dolce della disperazione,
eravamo lì
Violino, pianoforte, canto.
Voce limpida, parole struggenti.
Melodia lenta, violino che esprime tristezza.
E ancora corde che suonano speranza, e pianoforte che
le lascia affondare nella malinconia.
E poi silenzio, e pianoforte che tace, e violino che
riparte e affianca note di un flauto che più chiari delle altre e scandite come
il ticchettio di uno orologio da taschino inglobano tutti quei sentimenti
concentrati lì.
In quel nodo che non si vuole sciogliere.
Ricordi diversi di una stessa persona; ricordi di due
persone diverse, con sentimenti diversi e ruoli altrettanto dissimili.
Entrambi vaghi, quando si vorrebbe averli limpidi e
chiari lì davanti agli occhi chiusi.
Il tempo che aveva agito da una parte, e un’amnesia
come scherzo di cattivo gusto dall’altra.
Espressioni di dolore differenti, mentre le parole
sfumavano in un addio quasi ironico, in quel momento.
«…Oz, stai bene?» sentì chiedere, al proprio fianco.
Si voltò verso quella che era indiscutibilmente la voce di Alice; se solo fosse stato un altro momento, un’altra occasione, Oz avrebbe potuto mostrarsi incredulo del fatto che l’amica gli stesse rivolgendo la parola senza alcuna traccia di rabbia nel tono.
Con espressione preoccupata, come se non ci fosse stato tra loro alcun litigio.
«Oz?» chiamò di nuovo Alice, il tono sinceramente preoccupato, senza più dare importanza all’orgoglio o agli screzi.
Il biondo la osservò con l’espressione di un bambino perso, impaurito da quello che vede e che ascolta: un’espressione che a nessuno aveva permesso di guardare.
Inclinò il capo indietro, poggiandosi del tutto alla spalliera delle poltroncine su cui sedevano, portando un braccio a coprire gli occhi lasciando visibile solo un sorriso mesto.
«No» mormorò piano, il tono che non si poteva descrivere con esattezza a parole: «No, Alice. Non mi sento bene.» aggiunse debolmente, nella voce una sfumatura di scherno verso se stesso.
Lo scherno verso la propria stessa debolezza, che
Alice in qualche modo conosceva e che rispettò.
Non disse nulla, tornando con lo sguardo sul palco
mentre la canzone volgeva quasi al termine; prendendo una mano come una
promessa tra bambini, senza alcuna malizia, con la voglia di comunicare che c’è
qualcuno lì per te.
Finché non verrai.
Finché non chiuderemo gli occhi.
«Gil, ti senti bene?» soffiò Vincent, lo sguardo sul
fratello che aveva portato una mano alla tempia.
Un gesto fin troppo secco e veloce per passare
inosservato al minore dei due, che si era chinato quasi subito verso il moro.
L’espressione dolorante, Gilbert scosse appena la
testa.
Nel momento stesso in cui aveva avuto qualcosa di molto
simile ad un flash e aveva cercato di aggrapparvisi e trattenerlo – la
sensazione che fosse importante era stata pressante e insistente tanto da
ordinarglielo quasi violentemente – un mal di testa lancinante lo aveva
colpito.
Una fitta improvvisa e forte, che ora rimaneva in
maniera più vaga ma ugualmente dolorosa.
«Gil?» lo richiamò, ancora vicino a lui, quasi
cercasse di capire dall’espressione del fratello lo stato in cui versava.
Gilbert aprì un occhio, puntandolo su Vincent e
cercando di abbozzare un sorriso per quanto possibile: «Sto… Sto bene, non
preoccuparti. Ora passa.» mormorò, per rassicurarlo.
Era solo una fitta, come quelle dei primi tempi in cui
aveva tentato di ricordare, prima di arrendersi a farlo.
Sarebbe passata.
Passava sempre, e non lasciava niente dietro di sé.
La musica sfumò, dopo le ultime parole cantate da
Keira; quando ci fu il silenzio completo, dopo pochi e brevi istanti l’applauso
fragoroso degli studenti accolse il concludersi dell’esibizione.
Mentre il pianoforte suonava le ultime note
dell’esibizione, vicino all’entrata della sala in cui si svolgeva qualcuno
guardava il palco.
I lunghi capelli scuri, l’abito chiaro e le mani
portate a coprire il viso in lacrime.
Accanto a lei, una figura invisibile al resto dei
presenti – come lo era lei stessa: i capelli biondi e lunghi, legati in una
treccia morbida.
Abiti informali, pantaloni comodi e una semplice
camicia; gli ultimi indossati.
Portò lo sguardo chiaro su di lei, andando a sfiorarle
la spalla con il gesto gentile di chi vuole proteggere qualcosa di fragile e
prezioso.
Il sorriso mesto sulle labbra, non si chinò verso di
lei, limitando a quel tocco il loro contatto: «Anche se non mi rispondi mai,
vorrei davvero sapere… ti piacerebbe questa versione, Lacie?» sussurrò.
Lei, scossa ancora da un pianto silenzioso che nessuno
poteva ascoltare, lentamente scomparve.
Sbiadendo, come i sentimenti lontani e i ricordi
seppelliti chissà dove, chissà perché.
La mano a mezz’aria dove prima era lei, lo sguardo che
accarezzava il nulla che c’era al posto della sua figura, Jack sorrise con
quell’incurvarsi di labbra triste.
Tornò a guardare il palco e chi davanti ad esso si
lasciava sopraffare.
«Già.» mormorò piano: «Sei ancora arrabbiata con me,
vero?» sussurrò.
E, lentamente, spariva.
Note
Non ho nemmeno il coraggio di scusarmi per l’immane
ritardo, anche se avevo avvisato x°
No, vabbé, perdono ;__;
Passiamo alle note sennò non si finisce più; sono
apparse anche Cheryl Rainsworth e Lacie, yay XD E persino Edgar della serie
“Holy Knight” che c’è anche nel manga e che Oz legge *muore*
Poi, chiarimenti e citazioni. La frase in apertura è
della opening di Gundam 00 (Hakanaku mo Towa no kanashi).
La canzone utilizzata per il concerto della fondazione è “Everytime you kissed me”, ossia la versione cantata di Lacie (presente nel secondo OST di Pandora Hearts): l’inizio è fatto con la musica del carillon, che per esigenze di trama e strumentali ho sostituito al flauto suonato da Sirjan.
Infine, qualora qualcuno
volesse figurarsela meglio, il brano suonato da Alyster nell’aula di musica è
“Roaring Tides” (Clannad OST).
Mi pare di aver detto tutto,
quindi passo ai ringraziamenti!
Litachan: grazie di seguirmi sempre ;_; *si sente ripetitiva* E
Rufus stile Piton nooo XD Già c’è Gilbert che per colpa mia è stato sostituito
all’immagine della Monnalisa XD
Contenta che siano arrivati i
sentimenti di Noah, visto che ci tenevo particolarmente <3
Gioielle: non risponderò esattamente punto per punto, ma tanto a
quelli posso chiarirti in separata sede XD
Grazie del commento
innanzitutto (mi piacciono i commenti-papiro, mi stai viziando XP) e mi
inquieta che malgrado io ti abbia disilluso a proposito, tu continui a flashare
una SirjanAedan/AedanSirjan x°°
Mi dispiace tanto che non ci
sia per ogni capitolo spazio GilOz, ma purtroppo è il dramma di avere una
ventina di personaggi da giostrare x° Cercherò di impegnarmi per non deludere
il vostro lato fangirl, lo giuro!
Come sempre, felice che ti
piaccia Alyster.
C’è stato qualche chiarimento
in più su Jack, e spero di aver lasciato intendere un po’ di più anche il modo
di pensare di Sirjan anche se presto l’introspezione toccherà anche a lui XD
Spero che questo capitolo sia
stato di tuo gradimento ^^
Yoko891: olé, questo capitolo dovrebbe renderti abbastanza
felice se non altro per le apparizioni di Sirjan XD
Non sono molto convinta dell’IC
di Oz stavolta, ma spero bene e rimango in attesa del tuo riscontro donnaH ù.ù
…E spero di non aver
devastato nessuno con le parti di diario di Jack. *si angolizza un attimo*
E una cosa che solo tu puoi
capire: ma Wayne di famiglia ricca? XD *crepa*
Grazie dei complimenti e di
seguirmi <3
Makotochan: tu che ami l’accoppiata cazzona Noah/Oz, ti ordino di
amare i loro siparietti durante le lezioni XD
Scherzi a parte, spero che ti
siano piaciuti visto il tuo interesse per loro come coppia di scemi.
Ti ringrazio per i commenti
sullo stile, i tuoi sono sempre un po’ poetici in effetti XP
E sì. C’era dell’ElliotOz in
quella scena: non tanto perché pairing della fanfic, quanto perché l’autrice lo
voleva, punto. XD
Fiamma Drakon: innanzitutto, benvenuta fra chi ha il fegato di seguire
tutto ciò XD
Ti ringrazio per l’aggiunta
ai preferiti e di aver deciso di seguirla – oltre che per i complimenti ^^
Spero che anche questo
capitolo possa essere di tuo gradimento X3
In chiusura, un grazie anche
a chi mi commenta in separata sede e chi ha aggiunto alle seguite o hai
preferiti e quindi deduco la legga. Grazie davvero <3