Grazie mille a chi
ha letto e a Mala_Mela che mi ha aiutato a trovare un ottimo nome spagnolo.
(Amo infilare
personaggi di altre storie in quello che sto scrivendo, nello specifico in
questo capitolo appaiono un personaggio di Im20mq
– mi serviva un idiota e allora ho messo lui XD- e la psicologa de L’analisi del lutto)
Spero apprezziate!
Nel Dubbio Nega
Capitolo Secondo
Isteria Bianca
“Beh sì mamma te l’ho detto, devo
pagare la rata dell’università prima del previsto, non me lo
aspettavo nemmeno io!” esclamò Alberto camminando a passo veloce e
tenendo il telefono schiacciato sull’orecchio, mentre la sciarpa
slacciata svolazzava indisturbata.
“Oh, va bene, te li metto nel conto, così
domani puoi andare a prelevarli” disse tranquilla.
Alberto ringraziò il cielo, probabilmente aveva
parecchi santi dalla sua parte se sua madre non si era insospettita e aveva
sborsato i soldi senza protestare.
Il problema
sarebbe arrivato al momento di pagare la vera rata
dell’università, ma preferì non pensarci, anche perché
sua madre ricominciò a parlare.
“Beh allora hai cominciato a fare un po’ di
sport? Ti farebbe bene, dato che sarai un futuro insegnante di educazione
fisica non puoi mica essere flaccido!” disse. Alberto fece una smorfia,
c’era poco da fare, in un modo o nell’altro sua madre andava sempre
a parare lì.
“Mamma sono qui per studiare, è difficile
ritagliarsi un po’ di tempo con l’università!”
sbottò scocciato continuando a camminare veloce verso la copisteria.
“Mino fa yoga, una delle poche cose che sa fare, tra
l’altro, potresti farti insegnare da lui, una mia amica dice che lo yoga
è spettacolare per le maniglie dell’amore”.
Alberto s’incupì, se avesse osato ripete
un’altra volta maniglie
dell’amore le avrebbe sbattuto il telefono in faccia.
Sua madre fece una pausa pensierosa “Alberto? Non
fumerai mica?” disse poi sdegnosa.
“Ma figurati mamma, studio scienze motorie mica
posso fumare” rispose portandosi la sigaretta alla bocca frettolosamente,
mentre davanti a lui appariva un’insegna squallida che citava Copisteria.
“Scusa mamma, ora devo proprio andare ci
sentiamo” e chiuse la conversazione senza tanti complimenti.
Guardò l’insegna togliendosi lo zaino dalle
spalle per estrarne un foglietto ed entrò.
“Salve” disse mesto guardandosi intorno.
“Buongiorno!” esclamò un tizio con un
pellicciotto arancione spuntando da dietro una fotocopiatrice.
Alberto perse
dieci anni di vita vedendoselo spuntare così all’improvviso e fece
un passo indietro prima di realizzare che quello era il commesso e non un pazzo
omicida intenzionato ad ammazzarlo. Perché la prima cosa che aveva
pensato quando il tizio era spuntato era un’imboscata a suo scapito.
“Ehm .. buongiorno, dovrei fare delle
fotocopie…” annunciò un po’ intimorito.
“Chi l’avrebbe mai detto!”
esclamò il tizio allegro prendendo tra le mani il volantino.
“Quante copie ti servono?” chiese poi
professionale iniziando a leggerne il contenuto.
“Duecento” rispose Alberto pronto.
“Oh, vuoi subaffittare!” esclamò con
aria estasiata il ragazzo. Alberto sobbalzò di nuovo. Che avesse trovato
un primo inquilino?
“Ne hai bisogno?” chiese speranzoso.
“No, abito qua dietro” disse smorzando
l’entusiasmo.
In quel momento lo scacciapensieri che suonava
all’arrivo di un cliente tintinnò e il commesso urlò
“Buongiorno!”
A giudicare dai rumori, anche il nuovo avventore si era
preso un accidente, e probabilmente aveva anche rovesciato qualche cosa.
Alberto alzò gli occhi al cielo e si chiese che
bisogno ci fosse di terrorizzare i clienti.
Arrivò a quel punto una ragazza piccolina dai vestiti
colorati, probabilmente di lana peruviana, che si sistemava gli occhiali che
probabilmente le erano caduti poco prima.
Sembrava piuttosto sfortunata nel suo genere. I capelli
andavano dove pareva loro, i vestiti le stavano larghi e gli occhiali si erano storti.
Alzò il musetto da topo verso il commesso che da
molto più in alto le sorrise.
“Cosa posso fare per te cara?” chiese allegro.
“Ehm” la ragazzina colorata si affrettò
a raspare nel suo zaino peruviano e ne estrasse un libro sgualcito
“E… dovrei fotocopiare questo” disse allungandoglielo.
L’impellicciato lo prese in mano e lo guardò
“Ne avrò fino alle sei per il tuo libro, ma ti prometto che appena
ho finito di fotocopiare i volantini per questo ragazzo che subaffitta mi ci
metterò subito” spiegò.
“Subaffitta?” disse come se stesse perdendo il
fiato, e per voltarsi verso Alberto per poco non perse nuovamente gli occhiali.
“Eh sì…hai bisogno di una
stanza?” chiese il ragazzo un po’ perplesso mentre il commesso
fotocopiava allegro.
“Beh, ecco sì, la mia migliore amica mi ha
rubato il ragazzo e si è presa insieme a lui la stanza dove dovevo
dormire io, ora vivo all’ostello in fondo alla strada insieme ai
barboni…ma non vorrei disturbare e…” cominciò mesta e
impacciata.
“La tua migliore amica ti ha fatto questo?”
esclamò Alberto stupito “Ti sarai arrabbiata un sacco!”
“Beh, no…. le ho scritto una lettera
d’addio…” disse annuendo con fare un po’ isterico e
rischiano di perdere di nuovo gli occhiali.
Per un secondo il ragazzo si chiese se quella tipa fosse
normale, ma poi si disse che normale o no, aveva bisogno di un affittuario e
così prese uno dei volantini
già fotocopiati e glielo piazzò davanti al naso.
“Io sono Alberto Alzani! Via San Donato n° 15,
se ti interessa chiama il numero in basso, è il recapito di mio zio!”
esclamò dandole una pacca sulla spalla e afferrando i volantini.
Prima di uscire lanciò una banconota
all’impellicciato che rispose con un buffo saluto militare.
La ragazza rimase perplessa a guardare attraverso la
vetrina, col volantino afflosciato in mano.
“Rebecca …piacere” disse sconsolata in
un soffio.
“Allora facciamo le fotocopie al tuo tomo?”
sbraitò allegro il commesso facendola di nuovo morire di paura.
Fuori, mentre correva allegro verso casa, Alberto
sentì suonare il cellulare.
“Pronto?” fece.
“Alberto! Sono arrivato!” esclamò una
voce conosciuta dall’altra parte del telefono.
Alberto sorrise e rallentò col fiatone
“Paolo” disse.
“Cos’è quel fiatone? Mica ti sarai
messo a fare sport perché la mamma rompe le scatole con le maniglie
dell’amore?” chiese Paolo dall’altra parte.
Alberto si accigliò, ci mancava solo che anche suo
fratello si mettesse a parlare di certi argomenti.
“Allora come è andato il viaggio?”
chiese poi cercando di deviare il discorso altrove, infondo era molto più
interessante parlare del fatto che il suo fratellino fosse appena atterrato in
terra sovietica, invece che chiacchierare dei sui chili superflui.
“Oh tutto a posto, in viaggio è andato tutto
benissimo… tu invece come te la cavi con zio Mino?”
Alberto annuì “Perfetto, tutto a posto, si
è trovato un lavoro, e sta facendo della beneficienza affittando a
prezzi stracciati qualche stanza della casa” disse convinto.
“Ammirevole” commentò suo fratello
senza sapere che altro aggiungere.
“Beh, ora devo andare, ci stanno chiamando, ti telefono
presto” concluse.
“Ciao” disse Alberto quando ormai
dall’altra parte avevano riattaccato.
“In viaggio è andato tutto benissimo?
Vomitare per tutto il viaggio vuol dire che è andato tutto
benissimo?” sbottò la ragazza riccia che sedeva accanto a lui
nella sala d’attesa dell’aeroporto.
“Soffro di mal d’aria, e poi non volevo farlo
preoccupare!” si scusò Paolo vagamente offeso gesticolando. La
ragazza sbuffò guardando in aria, si era dovuta fare tutto il viaggio
accanto a un tipo che ogni dieci minuti diventava viola e vomitava, dai posti
dietro tutti passavano i loro sacchetti.
Cosa aveva mangiato per avere da rigettare per così
tanto tempo poi!
“Comunque io sono Paolo, non ho avuto tempo di
presentarmi prima” disse allegro porgendole la mano.
La ragazza fece una smorfia e non si azzardò
neanche a sfiorarla “Morena piacere” disse per poi alzarsi ed
andarsene in direzione dell’organizzatrice del viaggio.
“Fantastico”sbottò esasperato tra
sé e sé. Che idea idiota andare in Russia!
“Gledis!” esclamarono alle spalle di
Guendalina Dall’olio, e lei si voltò, non perché la
stessero chiamando per nome, ma perché quella era la voce di una persona
che i nomi non li azzeccava mai.
Sorrise mentre attorno alla bocca si formava qualche ruga
d’espressione “Mino” rispose gioviale.
Mino vestito di bianco si avvicinò a lei, che
stazionava immobile davanti allo scaffale frigorifero, spingendo dolcemente il
carrello.
“Ti sapevo in America” disse allegro Mino.
Guendalina annuì con un sorriso un po’ amaro.
“Si, stavo là fino alla settimana
scorsa…ma poi io e Casey ci siamo lasciati e dato che avevo perso il
lavoro sono tornata all’ovile. È stata una cosa inaspettata”
flautò.
“Inaspettata? Ma se mi ha telefonato due settimane
fa dicendo che voleva mollarti!” esclamò Mino.
“Davvero?” sbraitò Guendalina, e un
paio di vecchiette si voltarono sdegnate per quel chiasso.
Mino annuì mesto.
“Ma guarda tu che stronzo…”
brontolò tra i denti fissando le mozzarelle. Mino fece un sospiro, e il
suo sguardo cadde sulla borsa trasandata della donna da dove spuntava un ciuffo
di perline multicolore.
“Vai ancora in giro con quella lampada di
perline?” chiese ridanciano.
“E tu invece rubi ancora nei supermercati?”
chiese lei ritrovando il sorriso. Mino un po’ agitato si mise il dito sulle
labbra per chiederle il silenzio. Guendalina ridacchiò ancora.
Mino le si avvicinò lanciando occhiate furtive alle
pensionata che si aggiravano nei pressi del bancone frigo.
“Non è che avresti un posticino sotto il
giubbotto? Sai volevo prendere del formaggio, ma ho tutte le tasche
piene” disse con le labbra che ormai le sfioravano l’orecchio, per
essere sicuro che la conversazione non venisse intercettata da qualche
pettegolo troppo ligio.
Guendalina sorrise esibendo il sorriso bianco e si
aprì il cappotto mostrandogli la tasca interna.
“Ti ringrazio Dinores” disse lui infilandoci
del pecorino.
Quando Alberto tornò a casa vi trovò suo zio
che prendeva amabilmente il tea con una donna troppo magra e la pelle troppo
secca.
Aveva un’aria sciupata e i capelli per aria. La cosa
più sana e gioiosa era sicuramente il sorriso, bianco come non ne aveva
mai visti.
“Ciao zio” disse entrando, lo zio che gli dava
le spalle si voltò a guardarlo.
“Oh, ben tornato” poi si alzò per fare
le presentazioni ondeggiando
così tanto la tazzina di tea scheggiata da farne finire metà del
contenuto sul pavimento.
“Albert Ernesto, lei è Ines, Ines lui
è Albert Ernesto” disse incitandoli a stringersi le mani.
Guendalina si alzò porgendogli la manina grinza.
“Ciao, sono Alberto” si presentò il
ragazzo.
“Guendalina, sbaglia sempre anche il tuo
nome?” chiese lei gioviale.
“Li sbaglia tutti” sospirò.
“Ti unisci a noi per il tea alla rosa canina?”
domandò Mino incurante di quello che si stava dicendo sul suo conto.
“E’ ottimo per la
diuresi” aggiunse Guendalina convinta.
“Devo studiare” rispose il nipote che non ci
teneva particolarmente ad attardarsi con lo zio e la sua amica, che
probabilmente per essere amica di Mino del tutto a posto non doveva essere.
“Lei comunque verrà a stare da noi… le
piace molto la nostra soffitta” aggiunse sornione come se avesse appena
vinto una scommessa, Alberto lo guardò male.
“E dove vi siete conosciuti?”
“Oh, andavamo all’università insieme,
Guendalina ha fatto fino a poco fa la psicologa a New York, ci siamo incontrati
al supermercato oggi”spiegò.
Alla parola psicologa
Alberto aveva già deciso di fuggire, peggio di uno psicologo pazzo
potevano solo esserci due psicologi pazzi.
E così cercò di dileguarsi correndo su le
per le scale bianche.
“Hai spillato i soldi a tua madre?”
urlò suo zio, e Alberto , suo malgrado si dovette sporgere per
guardarlo.
“Si, me li metterà sul conto… e poi ho
trovato una ragazzina… ti chiamerà in questi giorni…
potremmo sistemarla in camera tua se a Guendalina piace la soffitta”
Zio mino alzò il pollice “Bel lavoro Aldo!”
E finalmente il ragazzo poté andare a studiare in
santa pace.
Il giorno dopo,Oliveiro Ortega guardò il foglietto
giallo stropicciato che teneva in mano, l’indirizzo era quello giusto,
sicuramente.
Era una casetta bianca, fatta di assi di legno bianco, che
si sarebbe detta una casetta da lago.
Insomma, come le casette che si vedono nei film americani,
dove la gente ricca fa i festini sul lago.
Oppure no…
La vernice era un po’ scrostata, e il giardino era
incolto, l’erba era alta in alcuni punti e rada in altri, il che dava
all’abitazione un’aria un poco trasandata. Tra l’altro non
c’era edificio che potesse stonare di più nella periferia
bolognese.
A Bologna non c’erano solo case rosse e marroni in
pietra vista? E allora quella catapecchia che ci stava a dire lì in
mezzo?
La ciliegina sulla torta era una targa in ottone su cui
stava scritto in bella calligrafia Isteria
Bianca.
Oliveiro si domandò cosa stesse a significare.
Il volantino che gli era capitato tra capo e collo il
giorno prima, o meglio volato e appiccicato in faccia per colpa della
precedente pioggia, seguita da un forte vento, lo aveva incuriosito, ma non era
sicuro che fosse una buona idea.
Sì, la casa per quanto mal messa e dall’aria
instabile non era malissimo, ma c’era qualche cosa che non lo convinceva
troppo.
C’era anche da dire che era poco distante dal
ristorante di lusso in cui era andato a lavorare da poco… ma aveva anche
l’aria un po’ umida, e lui odiava l’umidità.
Stava quasi per andarsene quando una voce lo fermò
“Ha bisogno di qualche cosa?”
Oliveiro si voltò a guardare chi aveva parlato e si
trovò davanti un ragazzo biondo sui vent’anni decisamente
più alto di lui, che lo guardava con indosso un impermeabile beige che
sarebbe stato perfetto per un maniaco dei giardinetti.
Ma probabilmente quel tizio non era un maniaco,
balbettò un ehm sventolando il
foglietto giallo.
“Oh, tu devi essere qua per il subaffitto!”
esclamò il ragazzo biondiccio con aria allegra. Troppo allegra.
“Già” fece Oliveiro con aria plastica
poi indicò la targa in ottone “Isteria Bianca?”
domandò.
Alberto alzò le spalle “Lo so che di solito i
nomi si danno ai castelli, non so come quello di Harry Potter e quello di
Castruccio Castracani, ma mio zio è un creativo
e…”cominciò pentendosi subito di aver menzionato Castruccio.
Oliveiro storse il naso ed evitò di fare commenti,
invece disse “E’ una casa isterica?”. Magari Isteria in italiano aveva significati a
lui ancora ignoti.
“No, ma è umida” disse Alberto annuendo
con le mani in tasca e la tracolla ciondolante.
Fu allora che Oliveiro riuscì quasi per defilarsi,
ma non ci riuscì, perché furono interrotti da un uomo in tuta con
un pianoforte in braccio.
“Ehm scusate ragazzi, andate a fare salotto da
un'altra parte, qui c’è gente che lavora!” esclamò
questo, col cappellino calato sugli occhi. Le sue parole furono sottolineate da
un paio di imprecazioni di un altro uomo sempre in tuta, che sosteneva la coda
del piano.
“Ma qui non c’è nessuno che suoni il
piano!” sbottò Alberto guardando male il manovale.
L’uomo col cappello fece una smorfia “Allora
ragazzino, mi hanno detto via San Donato 15, e questa è via San Donato
15, quindi spostati che già sarà complicato riuscire ad entrare,
questo muretto di recinzione ha l’aria ostinata! Franco alza il piano e
aiutami a farlo passare sopra, eccheccavolo, ci si mettono anche gli
scocciatori qui!” disse continuando a blaterare tra sé, mentre
Alberto balbettava allibito.
Oliveiro pensò che quello fosse il momento giusto
per scappare. E proprio quando l’attenzione del ragazzo biondo che
l’aveva fermato era andata a un tizio in bianco dall’aria
strampalata, aveva mosso il primo passo in retromarcia per fuggire.
Ma ancora una volta fu fermato. Questa volta da una donna
grinza in accappatoio, che fumava con tanto di pantofole sul marciapiede, in
mano una bottiglia di latte.
“Lei deve essere qui per l’affitto!”
esclamò allegra Guendalina “Si accomodi, la prego!”
Oliveiro avrebbe voluto rispondere qualche cosa, ma la
donna, inaspettatamente energica lo spinse sotto il pianoforte, che era rimasto
incastrato a mezz’aria tra i pilastri in mattoni della recinzione.
“E adesso come si fa Franco?” disse uno degli
uomini in tuta. Lo spagnolo però non ebbe tempo di sentirne la risposta
perché Guendalina che lo teneva per la collottola come se fosse un gatto
lo stava trascinando per il giardino fino ad arrivare alla porta dove Alberto
sbraitava e Mino gesticolava lentamente come se fosse un bradipo.
“Abbiamo un nuovo inquilino!” esclamò
gioviale Guendalina interrompendoli.
“Beh ecco, io ero solo venuto a guardare, poi
dovrò valutare e…” cercò di spiegare Oliveiro, che
però venne malamente ignorato.
“Piuttosto, saremmo lieti di sapere come si chiama
il nostro nuovo inquilino!” sbraitò con eccessivo entusiasmo
mollando ad un perplesso Alberto la bottiglia di latte che era andata a
comprare.
“Oliveiro Ortega, sono un cuoco. Sono in Italia per
lavoro” disse come se lo stesso interrogando in tribunale.
Nel mentre i due manovali erano riusciti a sbloccare il
piano e a portarlo fino davanti alla porta.
“Signora, non vorrei guastare le feste, ma ho la
bruttissima impressione che da qui il piano proprio non ci entri”
dichiarò indicando la porta d’accesso.
Mino si strofinò il mento.
“Dovremmo tirare giù il muro del salotto per
entrare” aggiunse poi l’uomo.
“E buttiamolo giù allora!”
strillò “Tanto paga la pianista!”
“Come sarebbe a dire E buttiamolo giù?” strepitò Alberto esasperato,
mentre la pressione gli si alzava all’inverosimile. “Ci vogliono i
permessi! Ci vuole un ingegnere! Ci vogliono dei muratori! Delle pratiche! Dei
protocolli!!” strillò con una vena che si gonfiava pericolosamente
all’altezza del collo.
Oliveiro nel frattempo aveva la bruttissima sensazione di
essere appeso come un panno steso, dato che Guendalina, per quanto dal basso,
continuava a tenerlo per la collottola.
“Alberto! Fai vedere la casa al nostro cuoco! Che si
scelga la camera che preferisce!!” strillò lanciando dentro il
malcapitato, che fu seguito da uno scocciato Alberto che con le mani in tasca
entrò borbottando tra sé “Ma tu guarda, ti allontani un
attimo per andare a lezione e questi ti tirano giù la casa”
Lo spagnolo, che era finito suo malgrado per terra , con
la faccia sul parquet, si rialzò barcollante e provato.
“Lo so che sono pazzi, fanno impazzire anche
me” disse tristemente Alberto porgendo la mano al cuoco per aiutarlo ad
alzarsi.
Oliveiro, un po’ traumatizzato annuì grato.
Nonostante stesse iniziando a provare simpatia, e forse anche un po’ di
compassione, a dire il vero, per quel ragazzo biondo dall’aria un
po’ triste, era convinto che scappare appena gliene fosse arrivata
l’occasione fosse la scelta migliore.
“Ti faccio vedere la casa” decretò
facendo strada, mentre Oliveiro lo seguiva su per le scale di legno bianco.
Arrivati al piano superiore Oliveiro notò subito
una specie di arpione che serviva per aprire una botola probabilmente preposta
a contenere una scaletta ritraibile da soffitta. Si disse che lasciato
lì, il gancio non era per nulla comodo, anzi poteva essere perfino
pericoloso. Ma forse in quella casa erano troppo pigri per trovargli un posto
migliore.
“Ma non è pericoloso?” cominciò
a dire.
Alberto stava
per togliersi l’impermeabile per metterlo su una sedia, quando la porta
della camera dello zio, che dopo il suo trasferimento nella stanza di Alberto
doveva essere vuota, si aprì arrivandogli dritta sul naso.
Alberto finì col sedere per terra e tirò una
testata al ginocchio di Oliveiro che essendo stato operato da poco al suddetto
e sentendo un male atroce si accasciò al suolo rischiando di precipitare
giù per le scale. Nello stesso istante la ragazzina con gli occhiali, che aveva
maldestramente aperto la porta si
era chinata per chiedere scusa ad Alberto , ma così facendo la sua
casacca di lana peruviana si era incagliata al gancio che stava appeso al
soffitto facendo precipitare la scaletta ritraibile, che finì rumorosamente in testa
alla ragazzina. Che perse gli occhiali.
Oliveiro che guardava la scena da seduto per terra, con
Alberto mezzo sdraiato addosso, spalancò gli occhi a dismisura.
“Io l’avevo detto che era pericoloso!”
commentò senza fiato.
Alberto si mise a sedere come meglio poteva massaggiandosi
il naso “Tutto a posto?” chiese alla ragazza dai capelli
scompigliati che aveva perso gli occhiali e li stava cercando tastando per
terra. Alberto glieli passò.
“Devo a dire allo zio di aggiustarla… è
difettosa, non dovrebbe aprirsi così repentinamente” aggiunse
mentre lei si massaggiava la testa.
Oliveiro stava iniziando a temere che uscire vivo da
quella casa non sarebbe stato facile.
Dal piano di sotto giunse la voce di zio Mino con
un’intonazione melodiosa “Siglindeeeee?”
Nessuno si mosse, e Alberto con un cenno del capo
indicò le scale “Sta chiamando te” disse alla ragazza.
“Ma io mi chiamo Rebecca” ribatté lei
senza fiato. Alberto annuì “Non importa, fidati, è te che
cerca…”
Rebecca si alzò un po’ barcollante e si
diresse in salotto. Il ragazzo biondo la seguì con lo sguardo
preoccupato che per caso non le cedesse uno scalino sotto i piedi mentre
scendeva. Lo stesse fece il cuoco, che non ne voleva sapere di rilassarsi. Quel
posto era l’anticamera dell’inferno.
“Vogliamo continuare?” chiese il ragazzo in
una domanda retorica. Oliveiro non poté protestare e lo seguì.
Gli mostrò velocemente la camera, che era
appartenuta allo zio dicendo, che ora occupava probabilmente la ragazza
maldestra coi capelli scomposti.
“Ma ti faccio vedere l’altra stanza, che
è ancora libera” aggiunse un po’ svogliato strisciando i
piedi sul parquet.
Aprì con un colpo la porta della stanzetta
più piccola cominciando a dire “La finestra verrà schiodata
a breve tranquillo, quando ti trasferirai avrai già la luce
e…” si interruppe alla vista di un tizio con un colbacco e un bel
paio di baffetti ispidi che teneva in braccio un’anta di finestra.
“E LEI CHI E’!?” urlò Alberto
alterato, quel giorno aveva già avuto troppe sorprese.
Ma il tizio col colbacco lo ignorò guardando
estasiato Oliveiro, con i baffi che pendevano verso il basso per la sorpresa.
“TU!” proferì, e Alberto si
voltò perplesso verso lo spagnolo, che pareva stupito quanto lui.
“Sei bellissimo!” esclamò ancora
l’uomo con quell’accento che danno agli inglesi nelle commedie
demenziali.
Oliveiro fece un passo indietro. Non aveva mia avuto nulla
contro la comunità gay, che facessero pure quello che volevano, per
carità, bastava che non venisse coinvolto anche lui.
Probabilmente il tizio si rese conto di cosa stava
succedendo nella testa dello spagnolo e aggiunse “ ehi, non in quel
senso! Io sono un pittore… potrei dipingerti?” chiese.
E fu la vanità a convincere Oliveiro a fare
ciò che a fino un secondo prima non avrebbe mai voluto fare, ovvero
affittare un posto letto all’Isteria Bianca.
“Posso sapere lei da dove spunta e perché
parla come un idiota?” sbottò Alberto, di cui entrambi si erano
dimenticati.
“Non accetto insulti da uno con le maniglie
dell’amore! E comunque la stanza mi è stata affittata dieci minuti
fa dal signor Mino!” esclamò adirato.
“Tizio con le
maniglie dell’amore a chi?” strillò. Quella faccenda del
subaffitto stava davvero iniziando a scocciarlo.