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Autore: Mue    06/02/2010    1 recensioni
Sono passati anni dalla questione del Magazzino di Disincantamento e Smaltimento Magico di Ilkley Moor, anni che hanno lenito ferite e consolato i cuori.
Ma un rapporto deve ancora essere ricucito.
Può il quadro di uno squattrinato pittore che ritrae una ragazza sfigurata riconciliare due anime?
Spin-off di “Verderame”
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Policromia'
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Capitolo III






Diagon Alley, 11 febbraio.

Ruben non era il Principe delle fiabe.
Non era senza macchia e senza paura: aveva partecipato al commercio clandestino di oggetti oscuri e ci aveva guadagnato un mucchio di soldi. Non era bello o avvenente, ma scuro, nerboruto e scontroso. Non era ricco, se non di volontà. L’aveva salvata una volta, non da un drago o un assassino, ma semplicemente da se stessa. E non le aveva mai promesso nulla per il futuro tranne che l’avrebbe aspettata; ma quella promessa non era stata mantenuta.
O così lei aveva creduto. Fino a quel momento.
«Stavo ancora aspettando che venissi da me» le rivelò, fissandola con un’intensità tanto forte da ferirla.
«Ma io sono venuta!» replicò lei, sconvolta. «Ti ho cercato ovunque, quando sono uscita di prigione: la mia casa, la tua, Ilkley Moor… ovunque!»
«Non potevo aspettarti in Inghilterra» replicò lui, pacato. «Non finché ci fosse stato un mandato di cattura sulla mia testa: se mi avessero arrestato e tu fossi uscita di prigione non avrei potuto mantenere la promessa.»
«La Nuova Moratoria…» mormorò Marietta, improvvisamente consapevole. «Sei tornato quando hanno dato l’indulto per tutti i crimini minori.»
Ruben annuì. «Ho visto la foto del tuo ritratto sul giornale e sono venuto a vederlo approfittando della Moratoria» confessò. «Ho pensato che se non avessi voluto tornare da me, avrei potuto almeno vedere il tuo volto in un quadro.»
«Io volevo venire da te!» replicò lei, concitata. «Ma dove sei stato? Come potevi aspettarmi davvero se eri in un posto che non potevo trovare?»
«Io sono sempre stato rintracciabile» ribatté Ruben. «Ho lasciato il mio indirizzo nella tasca del tuo mantello il giorno in cui te ne sei andata via da me.»
Marietta batté le palpebre. Il mantello? Quale mantello?
Poi ricordò: prima di entrare in prigione indossava un mantello nero che le aveva dato Ruben quando l’aveva lasciato solo nella stanza del motel in Francia dov’erano fuggiti per non farsi prendere dagli Auror. Che ne era stato di quel mantello?
«E’ uno degli abiti che non mi hanno mai restituito!» esclamò, inorridita.
Ruben aggrottò la fronte. «Che cosa?»
«Quando sono entrata ad Azkaban mi hanno confiscato tutti gli effetti personali tranne quelli di stretta necessità e nove mesi dopo la maggior parte delle cose era sparita perché era stata assegnata per errore ad altri prigionieri. Io non ho mai visto da nessuna parte il tuo indirizzo!»
Ruben rimase un attimo in silenzio, come per assorbire l’informazione. Poi alzò le spalle. «Non ha importanza. Alla fine siamo qui lo stesso, no?»
Marietta sentì le lacrime salirle agli occhi. Ruben, il saldo, impassibile Ruben che le aveva fatto da famiglia, da datore di lavoro, da amico per tanto tempo era lì, di nuovo accanto a lei. Ruben, che le era mancato tanto. Troppo.
Lasciò cadere il sacchetto con la cravatta di Oscar a terra e lo abbracciò, affondando il viso nel suo torace.
«Sì» bisbigliò. «Siamo qui.»
Ruben la circondò con un braccio.
E poi fu silenzio.
Un silenzio che durò molti, troppi minuti, perché Jacques dovette venire a chiamarli quando fu l’ora di chiudere la galleria. Uscirono insieme nell’atmosfera irreale della sera, sospesa tra la nebbia spettrale e l’oscurità lugubre che aleggiavano lungo le strade di Diagon Alley.
«E ora?» chiese Marietta in un sussurro.
Ruben scrollò le spalle. «Possiamo incamminarci.»
«Insieme?» chiese Marietta, dubbiosa.
«Se lo vuoi.»
Lei si morse le labbra, incerta. «Non so nemmeno io cosa voglio, o anche solo se c’è qualcosa che voglio… che voglio da te»
Silenzio. Poi Ruben chiese: «Non vuoi provare a scoprirlo?»
«Come?»
Ruben le tese la mano. «Andando avanti.»
Un giorno Marietta aveva chiesto a Roger come si fosse innamorato delle ragazze che aveva avuto.
Lui le aveva risposto nella lettera seguente: “Ci sono molti modi di innamorarsi: alcuni sono improvvisi e violenti come onde che s’infrangono su uno scoglio, altri lenti e impercettibili come le maree.”
Ruben non era un uomo del quale innamorarsi a prima vista; un uomo con il quale abbandonarsi completamente, senza riflettere; un uomo dal quale lasciarsi conquistare senza esitazioni.
Ruben non era un Principe.
E la loro storia non era una fiaba.
Niente gesta, niente trionfi, niente impeti o sentieri idilliaci, ma solo il cammino tortuoso della vita.
Marietta sorrise, ma non prese la mano di Ruben. Non ancora.
Gli fece semplicemente cenno di andare avanti.
«Ti seguo.»
Sono anni che ti aspetto, e ti aspetterò ancora, fino a quando, finalmente, mi raggiungerai.




Fine.


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Un altro bel finale aperto, alè.
Ora, qualcuno obbietterà che l'amore arriva da solo e non si può cercare, ma io non credo che Marietta stia forzando la situazione: sta semplicemente lasciando scorrere il corso delle cose, dando una possibilità ad una delle persone più importanti della sua vita.
Poi come e quando si innamorerà di Ruben e, finalmente, lo raggiungerà e gli darà la mano, be', è un'altra storia. Chissà se mi verrà voglia di raccontarla.
A ogni modo per ora è tutto.
Un grazie particolare a Giu per il supporto morale e a tutti voi che avete letto.
Arrivederci al prossimo guizzo d'ispirazione -o iniziativa di Fanworld -potrebbe essere più vicino di quanto non pensi io o voi xD
   
 
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