1.1
Antonia avrebbe smesso definitivamente di
chiamarmi La piccolina di
casa? Forse no,
ma per quel giorno sì. Ora
avevo vent’anni ed eravamo pari.
Ero di fronte alla finestra della nostra
camera e guardavo fuori: diluviava.
Era una giornata come le altre, però pioveva; pioveva da
quella notte e
sembrava non volesse più smettere.
Peccato che il mio compleanno fosse in un
giorno di pioggia, mi era
sempre piaciuto di più il sole. Forse però non
era un caso. Anche quella volta,
cinque anni prima, quando avevo fatto i miei quindici anni diluviava.
Tom si avvicinò al letto e si
sedette di fianco a me.
«Che ci fai qui da sola?
È il tuo compleanno, vieni di là. Stanno
aspettando
tutti te», mi abbracciò. Mise la mani sul mio
pancione e lo accarezzò.
«Anche voi, ditelo alla mamma: non
può stare qua da sola il giorno del
suo compleanno, o no?», mi guardò e sorrise.
«Arrivo subito», dissi
regalandogli un sorriso.
«Ok», mi
baciò sulla guancia e uscì dalla camera.
Io, Tom, Anto e Bill avevamo preso una casa
assieme e vivevamo tutti in
armonia, come piaceva dire a Bill. Poche volte litigavamo, raramente.
Ma questo
già da quando ci eravamo sposati io e Tom.
Appoggiai la mano sulla pancia. Non avevamo
ancora pensato ad un nome,
anzi, due. Non potevo ancora credere che quei due angioletti che
dovevano
nascere, erano miei e di Tom, era troppo strano da pensare, da
immaginare.
Il bello della gravidanza era che tutti si
prendevano cura di te,
perciò, anche se non mi serviva nulla veramente, dicevo
qualcosa e quella cosa
magicamente arrivava. Tutti si offrivano sempre di fare le cose al
posto mio, io
cercavo di non sfruttare troppo la situazione, ma c’era
sempre quella forte
tentazione.
Mi alzai dal letto e andai alla finestra,
Micio saltò giù dalle mie
gambe: anche lui era cresciuto. Guardai per un’ultima volta
fuori, la pioggia
che cadeva incessantemente, poi raggiunsi gli altri in sala.
C’erano proprio tutti: Bill, Anto,
Tom, Gustav, Giulia, Georg e Nicole.
Era come tornare indietro nel tempo.
«Ary! Auguri!»,
incorarono le voci femminili presenti nella stanza.
Salutai tutti con baci, abbracci e un carico
enorme di sorrisi, poi mi
andai a sedere sul divano di fianco a Tom, che mi mise il braccio
intorno alle
spalle.
«Allora dai, è un
po’ che non ci vediamo. Racconta un po’, tutto a
posto?»
«Sì,
sì», misi la mano sulla pancia. «Tutto
normale.»
«Ancora non riesco a credere che
siano due gemelli!», disse Giulia.
«Ebbene sì, due
maschietti. Ironia della sorte, ne?»
Tom mi guardò e sorrise, poi
guardò Bill. Dal giorno in cui gliel’avevo
detto, Bill continuava a pensare a quando avrebbero preso il loro posto
sulla scena
musicale, voleva che seguissero la loro carriera da musicisti.
«Che tenera, Ary sarà
mamma», squittì Nicole sorridendo dolce come solo
lei sapeva fare.
«Avete già pensato a
dei nomi?», chiese Gustav.
Io e Tom ci guardammo imbarazzati. Tom si
mise una mano dietro la testa
e rispose anche per me.
«In verità no, non ci
abbiamo ancora pensato.»
«E cosa state
aspettando?»
«Non lo so. È che
ancora devo realizzare che sarò padre! Non posso
già
pensare ai nomi!»
«Infatti, tu, padre»,
Bill lo guardò e sorrise. «Io, invece,
sarò zio!
Non vedo l’ora.» Neanche Tom aveva così
tanta fretta, lui che era il padre! «Peccato
però, avrei preferito una femmina.»
«Ma sei scemo?! No, no. Le femmine
sono più difficili da crescere. Te
lo dico io che sono una femmina!», dissi lanciando uno
sguardo di intesa a Tom.
Ci misimo tutti a ridere.
La serata passò piacevolmente e
quando si fece tardi Gustav, Georg e
compagne tornarono a casa. Fu allora, quando le loro macchine si
allontanarono,
che decisi di andare dritta a letto. Era stancante avere quei due pesi
in
pancia e la sera la mia schiena era completamente a pezzi.
Mi sdraiai sul letto e Tom venne a stendersi
di fianco a me. Avevo lo
sguardo perso nel vuoto e mi accarezzavo la pancia soprappensiero,
mentre Tom
mi guardava e mi vedeva un po’ più strana del
solito.
«C’è qualcosa
che non va?», mi chiese, io scossi la testa.
«Sicura?»
Lo guardai negli occhi e sorrisi. Era sempre
così premuroso e
protettivo nei miei confronti, che un semplice ringraziamento non
bastava mai.
«Sì, è tutto
ok. Sono solo stanca, come sempre.»
Sorrise e mi diede un bacio tenero sulle
labbra.
«Senti, sta storia dei
nomi… Io pensavo che fosse presto.»
«Tom!», dissi tenendogli
il viso tra le mani. «Possiamo deciderli
quando vogliamo i nomi. Basta che ci muoviamo prima che
nascano.»
«Tu hai già qualche
idea?»
«Beh», guardai il
soffitto, poi i suoi occhi castani. «Mi piacerebbe
Alex, tu che ne dici? È carino, no?»
«Sì, non è
male.»
«Ok, ora sta a te scegliere il
secondo. Tu hai qualche idea?»
«In verità,
un’idea ce l’avrei, ma solo se per te va
bene.»
«Cioè? Quale sarebbe
questa idea?»
«Davide.»
Trattenni il respiro e guardai il soffitto
bianco. Davvero voleva
chiamare nostro figlio come il mio fratellino scomparso in mare
all’età di
undici anni?
«No», dissi.
«Non vuoi?»
Scossi la testa e chiusi gli occhi alle
lacrime. Tom mi abbracciò e
nascose il mio viso nel petto, cullandomi nel mio momento di debolezza.
«Ok, non fa niente. Mi
dispiace.»
«No invece, hai fatto bene. Se
volevi chiamarlo così, è giusto che tu
me l’abbia detto.»
«Ma ti ho detto anche che sarebbe
andato bene a me se fosse andato bene
a te.»
«Scusami Tom, ma non me la
sento.»
«Ok, non importa! Ci sono milioni
di nomi al mondo, dai.»
Alzai lo sguardo e gli sorrisi, era troppo
bravo con me, riusciva
sempre a farmi passare tutto.
«Adesso dormi», mi
passò una mano sul viso e mi baciò le labbra e
poi
la fronte prima di spegnere la luce.
Il giorno seguente sarebbe stata
un’altra monotona giornata: niente
lavoro, niente da fare. Per me era straziante, a parte quando stavo
male
ovviamente; in quelle occasioni non volevo altro che starmene a letto a
dormire. Ma quando stavo bene mi annoiavo moltissimo.
La mattina mi svegliavo, mi lavavo e facevo
colazione con tutti; poi
incominciavano ad andarsene, prima Bill e Tom, che andavano alla
Universal e
poi Anto, che mi lasciava da sola con Micio.
Lei lavorava come parrucchiera in un negozio
di cui era a capo e se
avesse voluto sarebbe potuta restare a casa con me, ma lei no. Per lei
era un
semplice passatempo. Faceva solo mezza giornata, però mi
annoiavo lo stesso nel
tempo in cui non c’era.
Pranzavo e dopo, di solito, mi sdraiavo sul
divano a guardare la tv.
Quasi sempre mi addormentavo e dormivo fino alle sei, sei e mezza,
quando
tornavano Bill e Tom. Anto tornava prima, ma non mi svegliava mai
perché sapeva
che durante la notte non dormivo niente e quindi avevo sonno.
Quando arrivavano Bill e Tom,
quest’ultimo mi veniva vicino e mi
baciava sulla guancia, dopo andava in cucina. Allora io mi svegliavo e
la
giornata si concludeva con il racconto di Bill su quello che avevano
fatto quel
giorno, mentre cenavamo. Ecco, le mie giornate erano così.
Tutti avrebbero pagato oro per essere al mio
posto, ma a me non
piaceva. Io ero attiva, eppure non potevo fare niente. Mi sentivo
prigioniera
dei miei figli, anche se quando ci pensavo scoppiavo sempre a ridere.
Loro mi
avrebbero donato la più grande gioia delle mia vita.
D’altro canto, Tom era un marito
eccezionale. Era sempre premuroso e mi
faceva sempre le coccole. Ero molto felice della mia vita. Dopo tutti
quei
problemi nella mia adolescenza, ora ero felice, non potevo chiedere di
meglio.
A volte mi fermavo a pensare a quando ero piccola e sognavo tutto
quello: un
marito che mi amava, dei figli, una famiglia mia. Ora quei sogni li
stavo
vivendo sul serio e anche meglio! Ero così piccola,
così ingenua, così piena di
sogni e di speranze. Il mio sogno più grande, quello di
avere una famiglia tutta
mia, si era realizzato.
Ne avevamo passate così tante
assieme, io e Tom, non me lo sarei mai
immaginato. Mi ricordavo benissimo quando mi aveva lasciata, di quanto
ci ero
rimasta male… Mi ero vista crollare il mondo addosso, quel
sogno era svanito,
distrutto. Di quanto avevo sofferto. Ma non ci dovevo più
pensare, ora ero lì
con lui e con lui sarei andata avanti.
***
La pancia sembrava che dovesse esplodere da
un momento all’altro, era
enorme. Mi accompagnarono in ospedale tutti e tre, Bill, Anto e Tom.
Nei giorni precedenti io e Anto avevamo
preparato la mia borsa, con
dentro tutte le cose possibili immaginabili per i gemelli, tra quelle
comprate
da me e quelle regalate qua e là.
L’infermiera mi
accompagnò in camera mia e mi fece vedere tutto, per
iniziare
ad ambientarmi.
«Bene, adesso voi altri potete
stare qui ancora per un po’ e poi verrà
la dottoressa per la visita, ok?»
«Dottoressa?», chiesi
preoccupata.
«Sì, la
dottoressa», ripeté l’infermiera come se
fossi scema.
«Io intendevo dire:
dov’è Mattia? Cioè… il
dottor Stevens?»
«Oh, è in sala
operatoria.»
«Ah, perfetto», dissi a
bassa voce. «Ahm, grazie comunque.»
«Prego, a dopo.»
L’infermiera uscì e mi sedetti sul letto.
«Uffa, io lo sapevo che qualcosa
sarebbe andato storto. C’è sempre stato
Mattia e adesso si presenta questa dottoressa?»
«Ma è in sala
operatoria», mi disse Tom prendendomi per le spalle
dolcemente.
«Non mi importa, io voglio tornare
a casa, Tom!», ero un pochino
nervosa e perciò mi lagnavo in continuazione. E poi non mi
erano mai piaciuti
gli ospedali.
«Calmati Ary», si
sedette di fianco a me sul letto e mi strinse la mano.
Se la portò alle labbra e la baciò.
«Non puoi tornare a casa, rilassati, andrà
tutto bene.» I suoi tentativi di rassicurarmi ebbero
l’effetto contrario,
infatti iniziai a tremare.
«No, no. Ho paura!»,
poggiai la testa sulla sua spalla.
Mi accarezzò i capelli e con voce
rassicurante continuò: «Ma di cosa
hai paura? Andrà tutto bene, non ti preoccupare.»
«Su Ary, andrà
bene.»
Mi tirai su e guardai Bill. Feci due respiri
profondi e sorrisi. «Ok,
andrà tutto bene. Ci provo.»
Bill si sedette su una sedia, di fianco alla
porta e si mise le mani
sulle ginocchia. «Non sto più nella
pelle.»
«Per cosa Bill?»
«Per i bambini, ma ci pensi? Io
zio!»
«Ah, comunque quando siamo nati
noi non avevi tutta questa fretta,
infatti sono nato prima io.»
«Ma che c’entra?! Quando
nasceranno voglio prenderne uno io in
braccio.»
«Forse, e dico forse, vorremmo
tenerli prima noi. Sai, siamo noi i loro
genitori, non per dire», dissi guardandolo male. Ero davvero
nervosa, mi
arrabbiavo molto facilmente. Peggio di una leonessa con i suoi
cuccioli.
«Ok sì, questo
è ovvio. Scusa, non volevo.»
Solo che mi accorsi di come gli avevo
risposto, in modo veramente
scontroso. «No, scusami tu Bill, è che sono
nervosa.»
«Fa niente, è normale.
È normale?», chiese, noi scoppiammo a
ridere.
Qualcuno bussò alla porta ed
entrò senza nemmeno aspettare la risposta:
doveva essere per forza la dottoressa, con l’infermiera.
Infatti.
«Buona sera, allora, come
sta?» Già la odiavo.
«Salve, bene.»
«Ok, allora come stanno i
gemelli?»
«Spero bene.» Guardai
Bill e Anto: «Volete vederli dal vivo? Dai, mi
fate compagnia.»
«Sei sicura?», avevano
un sorriso a trentadue denti, dubitavo che se gli
avessi detto di no se ne sarebbero andati. Annuii con la testa.
«Ok, allora possiamo fare
l’ecografia.»
Durante l’ecografia, sul monitor,
videro uno dei gemelli mettersi il
dito in bocca. Una rarità, era la prima volta anche per noi.
Bill era eccitatissimo
solo al pensiero di averlo visto. Quello era ciò che io
chiamavo fortuna.
Nonostante il fatto, ero molto più nervosa del solito:
stringevo la mano di Tom
e non la volevo più lasciare.
«Ok, è tutto a posto,
credo che nasceranno tra un paio di giorni. Beh,
comunque tu devi stare qui per altri controlli.»
«Ne è sicura? Dico,
è sicura che nasceranno tra un paio di giorni?»
«Sì, perché
si devono ancora girare, perciò non possono nascere
ancora.»
«Ah, ok.» Tom mi strinse
la mano e sorrise.
«Va bene. Allora io vado,
tornerò domani mattina. Se hai bisogno
Arianna chiama pure l’infermiera,
d’accordo?»
«Sì, certo, arrivederci
e grazie.»
Quando uscì, Bill e Anto non
facevano altro che parlare ancora del
gemellino, era diventato l’evento del giorno. In quel momento
mi arrivò un
calcio tremendo. Era sempre da quella parte che mi arrivavano i calci
più
dolorosi, tra i due bambini, quello che stava lì era il
più rompiscatole.
«Ahia!», mi toccai il
punto colpito sulla pancia. «Sempre tu a tirarmi
i calci!» Bill mi guardò come se fossi scema e poi
sorrise.
«Digli qualcosa Tom!»,
dissi.
«Non tirate i calci alla
mamma.»
«Grazie. Scusa se ti sfrutto,
però si calmano solo con te! Ma io non lo
so, ascoltano te e non me, possibile?!»
«Che cos’è
sta storia?», chiese un Bill divertito.
«Vedi Bill, quando Alex e Stefan
sentono la voce di Tom si calmano
subito e diventano degli agnellini. Invece, quando sentono la mia, non
succede
niente e continuano!»
«Che forza.»
«Certo, troppa.»
Rimasero fino a sera tardi. Verso mezzanotte
Bill e Tom si
addormentarono con la testa sul letto, io e Anto eravamo le uniche a
non
dormire. Lei era appoggiata con la schiena alla finestra. Tom mi
stringeva
ancora la mano e sorrisi guardandolo.
«Tom? Tom, svegliati»,
ci provai.
«Sono già
nati?», mugugnò facendomi ridere.
«Ma no! Mi chiedevo solo se non
è meglio per voi se andate a casa,
siete stanchi.››
«Sei sicura?»
«Sì, tanto non
dovrebbero nascere, tornate domani.»
«Va bene.» Si
alzò e scosse Bill, che si svegliò di colpo. Si
guardò in
giro e tornò alla realtà stiracchiandosi le
braccia.
«Mi raccomando, cerca di dormire.
E voi fate i bravi. Ci vediamo
domani.»
«Sì», risposi
sia per me che per i gemelli.
«Buonanotte amore mio, ti
amo.»
«Buonanotte, ti amo
anch’io.»
Mi baciò piano sulle labbra e poi
uscì. Bill mi baciò sulla guancia e
mentre stava per uscire anche lui, Anto gli disse: «E io chi
sono, scusa?»
Bill sorrise e la andò a baciare.
«Scusa, mi ero dimenticato di te.»
«Ma bravo!» Risero e poi
Bill uscì.
Il telefono di casa nostra suonò
nella notte. Tom si alzò
nell’oscurità, barcollando. Guardò
l’orologio: cinque e cinquantasei. Chi
poteva essere a quell’ora? Rispose al telefono con la voce
ancora assonnata, da
mezzo addormentato com’era.
«Pronto. Cosa?! Oh no, e menomale
che non dovevano nascere! Ok, arrivo.
Grazie Anto.»
Tornò di sopra e buttò
Bill giù dal letto, nel vero senso della parola.
«Muoviti, alzati!», gli
gridò. Lui si svegliò, la faccia
assonnatissima.
«Ehi, che è quella
faccia? E perché mi devo alzare?»,
mugolò Bill
cercando di scandire il meglio possibile le parole.
«Perché sono nati, ecco
perché.»
Bill si mise seduto di scatto: «E
che ci facciamo ancora qui?!»
Bill e Tom arrivarono correndo
all’ospedale e videro Mattia parlare con
un’infermiera. Appena anche lui li vide, lasciò
andare l’infermiera e corse da
loro.
«Ciao Tom, ciao Bill!»,
li salutò abbracciandoli. «Ah, congratulazioni
Tom, sono bellissimi.»
«Tu li hai già
visti?», chiese Tom incredulo.
«Beh, li ho fatti nascere,
è ovvio che li ho visti! Ma ora andiamo,
magari fai ancora in tempo a prenderli in braccio.» Li prese
per i gomiti e li
accompagnò verso la mia camera.
«È andato tutto
benissimo, Ary è stata molto brava», disse Mattia
sorridendo soddisfatto. «Solo che appena li ha visti
è scoppiata a ridere
perché ti assomigliano tanto.»
«E allora si è messa a
ridere?», chiese Tom divertito.
«Sì, ma vuol dire che
è andato tutto bene: di solito dopo un parto
gemellare le donne sono distrutte, invece lei continuava a ridere. Era
al
settimo cielo.»
«Sì, è fatta
proprio così la mia Ary.»
Mattia gli aprì la porta
sorridendo ed entrò assieme a loro. Io ero sdraiata
nel letto, con in braccio quello che era Alex; di fianco a me
c’era Anto, con
in braccio Stefan.
Tom fece qualche passo, lentamente, come se
avesse paura, e vide Anto
alzarsi e porgergli Stefan, con un sorrisone a trentadue denti.
«Piano, attento alla
testa.»
Tom lo prese delicatamente e lo tenne in
braccio. Aveva gli occhi
lucidi da quanto era felice, e poi si era accorto che davvero
somigliava
moltissimo a lui, ma riusciva anche a vedere me guardandolo.
«Ciao»,
mormorò, intanto mi guardò in cerca di un nome.
In effetti non
sapeva chi fosse l’esserino che aveva in braccio.
«Oh, quello è Stefan:
il più grande. Sei minuti più grande.»
«Ciao Stefan, sei
bellissimo.» Mise il dito nella minuscola manina di
Stefan e lui lo strinse facendo quasi piangere di gioia Tom, che era
ancora
incredulo. «Stefan, mio figlio.»
«Ohi, e questo chi è?
Figlio di nessuno?», gli feci vedere Alex, che
avevo in braccio io.
Tom mi guardò e sorrise. Si venne
a sedere sulla sedia di fianco al
letto. Bill entrò del tutto spinto da Mattia, che chiuse la
porta. Anche lui
era incredulo: continuava a guardare Tom con Stefan in braccio. Sul
serio, non
ci poteva credere!
«Saluta anche Alex,
neopapà», glielo feci vedere.
Guardò Stefan e poi
ritornò su Alex. «Beh, ciao Alex. In fondo
è solo
il nome che cambia», disse ridendo, visto che erano identici.
Bill era ancora immobile, l’unica
cosa che per fortuna faceva era
respirare.
«Su Bill, vieni. Mica mordono,
almeno, non ancora!»
Fece qualche passo verso di me sorridendo, e
quando fu vicino mi misi
seduta meglio.
«Non avevi detto che volevi
prenderne uno in braccio? Tieni, questo è
Alex.»
Bill lo prese e lo tenne benissimo, meglio
di Tom, ma solo perché Tom
era troppo emozionato. Anto gli andò di fianco e
guardò Alex insieme a lui.
«Ciao cucciolo, io sono
Bill.» Gli luccicavano gli occhi.
«Tenero», Anto lo
accarezzò sulla guancia.
Tom stava prendendosi ancora cura di Stefan.
Lo guardai e mi appoggiai
al cuscino, sorridendo: era proprio carino con i bimbi in braccio,
infatti,
come quando erano nella pancia, sentendolo parlare, erano molto
tranquilli. Tom
gli trasmetteva sicurezza.
«Sono proprio stupendi,
complimenti Ary», disse Bill con un sorriso
enorme.
«Beh, diciamolo, è
anche merito di Tom. Guardandoli bene, gli
assomigliano molto.»
Tom sorrise molto soddisfatto.
Dopo entrò
l’infermiera, con le culle di Stefan e Alex. Era
già l’ora
di portarli di là e lasciarli dormire.
«Buongiorno! Alex, Stefan, forza.
Lasciamo riposare la mamma.»
«Di già?»,
disse Tom incredulo.
«Adesso me ne occupo
io», disse Mattia. «Lascia pure qui, li porto
io.»
«Come preferisce,
dottore.» L’infermiera uscì dalla stanza
e io sorrisi
a Mattia, tirando le braccia in avanti. Non mi risparmiò un
suo abbraccio e io
gli accarezzai i capelli sussurrandogli: «Grazie,
dottore.»
«Prego sorellina», disse
affettuoso baciandomi sui capelli.
«Però adesso devono
proprio andare», disse tirandosi su e
ricomponendosi nel suo ruolo.
Salutai Stefan e Alex e Anto
aiutò Mattia a sistemarli nelle loro
culle.
«Ehi Ary, non ti dispiace se
andiamo con i gemelli, vero?» Anto mi fece
un sorriso e si aggrappò al braccio di Mattia.
«Ok, ma non ci provare con il mio
fratellone, sia chiaro», la
rimproverai. Bill diventò rosso di gelosia. Lei rise
sottovoce e andò da Bill a
scompigliargli i capelli durante un bacio.
«Ok, noi andiamo
allora», disse Bill ammaliato dalla sua musa.
Io e Tom rimasimo finalmente da soli in
quella stanza di ospedale. Sorrisimo,
non c’era niente da dire. Eravamo talmente contenti che non
avevamo bisogno di
parole per capirci. Mi baciò accarezzandomi i capelli.
«Bill e Anto ci snobbano per i
nostri figli!», disse scandalizzato.
«E per Mattia, soprattutto
Anto», gli feci notare.
«Sì, riflettendoci
bene, hai ragione.» Rise. «Mattia mi ha detto che
non la smettevi più di ridere, eh? È un buon
segno. Non sei stanca?»
«Un po’, ma mi sento
anche così vuota…», andai a cercare la
pancia che
non c’era più e chiusi gli occhi.
«Sì,
però…», mi prese le mani e se le
portò alle labbra per baciarle
una alla volta.
«Però cosa?»
«Però sono nati i
nostri bellissimi angioletti. Ne è valsa la pena.
Tante notti li ho sognati e… non sono come me li
immaginavo.»
«Sì, anch’io
non me li immaginavo così belli, sono proprio belli come
te.» Gli accarezzai le guance e lo baciai sulle labbra.
«E te»,
sussurrò.
«Forse», sorrisi.
«Comunque, d’accordo che sono bellissimi, ma non
sono
degli angioletti.»
«E perché? Sono stati
impeccabili.»
«Con te! Prima è
accaduta la stessa cosa che accadeva quando erano in
pancia. Con te sono dei veri angeli, invece prima che arrivassi tu non
la
smettevano di piangere! Ma come fai? Mi sveli il tuo segreto? Giuro che
non lo
dico a nessuno.»
«Non lo so, sarà lo
stesso che uso con le ragazze.»
Lo guardai storcendo il naso: «Non
è vero, di solito le ragazze quando
ti vedono si mettono ad urlare. Ti ho fregato, eh?» Rise e mi
baciò ancora.
Mi accarezzò la fronte
spostandomi i capelli di lato e mi sorrise
amaro, un velo di tristezza avvolse i suoi occhi sempre così
allegri.
«Mi dispiace», disse.
«E di che cosa?»
«Di non essere stato con
te.»
Gli misi un dito sulle labbra: «Ah
ah ah, zitto. Non importa, quello
che conta è che tu sia qui con me adesso. E comunque
è colpa della dottoressa.
Sai cosa mi ha detto?! “Oh
perbacco, i bambini si sono girati durante la
notte e ora vogliono uscire”! Ma ti
pare?! Poi è arrivato Mattia e ci ha pensato lui.»
Avevo persino imitato la
voce da gallina della dottoressa. «Però
è stata dura, c’era Alex che non voleva
più uscire! Sei minuti sono stati lunghissimi! Pensa tua
madre, dieci minuti
solo per Bill, povera.»
Tom rise di gusto e aggiunse:
«Dai, l’importante è che stiano bene,
no?»
«Sì, ma li hai visti?!
Sono identici!»
«Sì è vero,
ma io non ci credo ancora. Sei sicura che sono figli
nostri?»
«Sì!», gridai
di gioia e scoppiando a ridere. Lo presi e lo abbracciai,
poi mi lasciai andare sul letto, aggrappata ancora lui. Mi si
chiudevano gli
occhi dalla stanchezza, ma non volevo perdermi nemmeno un secondo dei
miei
bambini, non volevo perdere tempo a dormire.
«Ary? Ary?», mi
chiamò Tom.
«Eh?», mormorai in un
dormiveglia.
Tom sorrise e mi baciò sulla
guancia, si tolse le mie braccia da
intorno al collo e mi accarezzò il viso prima di uscire e di
lasciarmi al mio
sonno.
In fondo al corridoio Tom vide Bill e Anto,
che stavano guardando
aldilà del vetro Stefan e Alex.
«Ehi», disse
raggiungendoli.
«Tom!» Anto lo
abbracciò e lo baciò sulla guancia.
«Non avevo ancora
fatto in tempo a congratularmi con te. Ti assomigliano
molto.»
«Grazie», disse
leggermente imbarazzato. «In verità io non ci
riesco
ancora a credere. Sono i nostri figli, miei e di Ary, e mi sembra
così strano…»
«Eh già, ma vedrai che
con il tempo ti abituerai.»
Tom si gettò sul fratello, lo
strinse forte e Bill gli diede qualche
pacca sulla schiena, poi si separarono e si guardarono negli occhi
pieni di
gioia.
«Avete chiamato Georg e
Gustav?», disse Tom preoccupato.
«Sì, stai calmo. Stanno
già arrivando, dovevi sentirteli, erano tutti
agitati! Per non parlare poi di Giulia e Nicole, ho dovuto tenere il
cellulare
a distanza di sicurezza per non diventare sordo!»
«Immagino.»
«Anche il padre di Ary sta
arrivando con Lilian», aggiunse Anto.
Tom sorrise e annuì con la testa:
«Bene.»
«Ary dorme?», chiese
Anto in cerca di una conferma.
«Sì, si è
addormentata mentre mi abbracciava, pensa quant’era
stanca.»
Tom si girò e si mise a guardare
gli altri bambini nella sala: tra
tutti i nostri erano i più carini, sicuramente. Erano
piccolini, con le guance
morbide ed erano biondi scuri come Tom, bellissimi come lui.
«Sai chi mi ricordano,
Bill?», chiese Tom sorridendo.
«Chi?»
«Noi due da piccoli.»
Bill guardò oltre il vetro: era
verissimo. Entrambi biondi scuri e
entrambi gemelli identici. Si guardarono e sorrisero.
Chi se lo sarebbe mai immaginato che un
giorno, quel giorno così
vicino, Tom sarebbe diventato padre di due bellissimi bimbi. Bill no.
Sì, a
volte ci aveva pensato, ma non credeva che quel giorno sarebbe arrivato
così
presto.
Rimasero a guardarli fino a quando
arrivarono Gustav e Giulia e Georg e
Nicole. La prima cosa che fecero tutti fu quella di saltare addosso a
Tom e di
abbracciarlo, poi di guardare i bambini. Volarono complimenti a non
finire.
«Ciao ragazzi! Quanto
tempo!»
«Ciao Tom! Auguri!»
«Grazie.»
«Sono quei due, vero?»,
chiese Nicole indicando i gemellini.
«Beh, non è difficile:
sono i più belli e somigliano a me», disse Tom.
«Se, ma se sono uguali ad
Ary?!», disse Georg.
«Non è vero»,
mormorò Tom imbronciato.
Gustav lo prese per le spalle e gli disse:
«Tom, non iniziare a fare il
vanitoso, che qui c’è anche il merito di qualcun
altro.»
«Come sei gentile»,
disse ancora Tom facendo una smorfia.
«Ma guarda come sono piccoli! Sono
degli amori!», disse Giulia
saltellando.
Mi svegliai e sentii la voglia irrefrenabile
di vedere Stefan e Alex,
erano come delle calamite per me. Ne sentivo già la
mancanza, anche se avevo
dormito solo per due ore e non avevo riacquistato del tutto le forze.
Io dovevo vederli.
Bevvi un bicchiere d’acqua
guardandomi allo specchio e pettinandomi un
po’ i capelli arruffati sulla testa, mi infilai
l’accappatoio sopra l’orribile
vestito dell’ospedale, - un camice bianco a pallini azzurri -
e uscii dalla
stanza.
Non fu difficile localizzare Tom e gli
altri, visto che erano il gruppo
più numeroso di fronte alle vetrate.
Nessuno parve accorgersi della mia presenza
fin quando non abbracciai Tom
da dietro e gettai un occhiata ai miei piccoli tesori.
«Ehi, che ci fai già in
piedi tu!?», mi disse Tom sollevandomi da
terra.
«Dovevo vedere i miei
bambini!», dissi come una bambina gelosa dei
propri giochi. Il bello era che loro non erano dei giochi, ma la cosa
più bella
che mi fosse mai capitata; ormai li sentivo, erano parte integrante del
mio
cuore, della mia anima, della mia vita, nulla mi avrebbe potuto
separare da
loro.
«Ary, ciao! Come stai?»,
mi chiesero subito tutti i nuovi arrivati.
«Sto bene, grazie. Ciao a
tutti.»
Giulia, Gustav, Nicole e Georg mi
abbracciarono facendomi gli auguri,
come tanti altri avevano fatto in quelle ore.
«Complimenti! Guarda, sono tutti
uguali a te.» Tom, dietro di loro, fece
una smorfia strana e risi.
«No, diciamo che hanno preso un
po’ da entrambi.» Tom fece una faccia
compiaciuta per la mia risposta. Lo guardai, sorrisi e poi continuai:
«Spero
solo una cosa, che abbiano i miei occhi, solo questo.» Tom
sorrise e mi
abbracciò.
«Ah, Bill. Hai già
chiamato mamma?», chiese lui.
«Sì, ha detto che la
devi richiamare tu perché vuole parlare proprio
con te, il papà. E poi con Ary, si vuole
congratulare.»
Proprio a proposito di madri, pensai alla
mia: mi aveva fatta solo star
male, ma in quel momento avrei voluto che entrasse dalle porte vetrate
dell’ospedale e che mi abbracciasse, che mi dicesse che mi
voleva bene e che i
miei figli erano bellissimi e che assomigliavano a me, anche se non era
del
tutto vero.
Mi chiesi perché volevo che
accadesse, che tornasse e che sistemasse le
cose. Lo spirito materno era anche quello? Perdonare dopo che una
persona ti
aveva fatta soffrire?
Appoggiai una mano sul vetro, in
corrispondenza a Stefan e Alex e mi
morsi il labbro. Era così indispensabile la sua presenza?
Perché sentivo un
vuoto dentro di me? Forse quel vuoto era solo derivato dalla mancanza
di
Davide, lui sarebbe stato orgoglioso della mia vita, della mia
famiglia. E se
davvero Davide era dentro di me, se mi stava accanto ogni giorno, forse
era lui
che mi aveva attaccato quella mancanza improvvisa di affetto materno.
Mamma sarebbe stata capace di vedere come
vedevo io i miei figli?
Perché lei non aveva visto me in quel modo? Con
quell’amore infinito, da
sacrificare pure la vita per il bene di quelle due piccole vite. Lei
aveva mai
capito cosa voleva dire amare davvero? Sì, con Davide. Con
me no. Io ero stata
privata di quell’amore così grande.
Io non avrei fatto gli stessi errori di mia
madre; non avrei escluso
nessuno, né Alex né Stefan, li avrei amati allo
stesso modo e infinitamente,
come avevo promesso a Tom qualche tempo prima.
Alzai lo sguardo e vidi Mattia togliersi la
mascherina che aveva sulla
bocca e indicarmi di entrare.
«Uh Ary! Ce li fai vedere da
più vicino se puoi?», mi supplicò
Giulia.
«Sì, ci
proverò. Ma tanto ho il dottore dalla mia parte»,
sorrisi e le
feci l’occhiolino.
Tom mi passò una mano sulla
guancia e sorrise sussurrandomi: «Davide
sarebbe stato orgoglioso di te.»
Ricambiai il sorriso ed entrai dai miei
piccolini, prima però mi fecero
mettere un camice verde per evitare il contatto di batteri con i
fragili
sistemi immunitari dei bambini.
«Ary, come stai?», mi
chiese Mattia appena gli fui accanto.
«Bene, tu?»
«Alla grande.»
Vidi Stefan muoversi nella culla e stendere
un pochino le braccia verso
di me, verso la mia voce che aveva riconosciuto. Subito alzai la testa
e
guardai fuori dal vetro Giulia che quasi ci era spiaccicata, intenerita
in una
maniera assurda, quasi piangeva.
«Posso avvicinarmi al vetro con i
bambini?», chiesi.
«Sì, chi vuoi
tenere?»
«Mat, non puoi farmi questa
domanda!»
«Giusto. Vedo che lo spirito
materno si è manifestato bene in te, eh?»,
sorrise e prese Alex, ancora addormentato. Io di conseguenza presi
Stefan.
Insieme ci avvicinammo al vetro e sentii un
calore profondo quando la
manina di Stefan si mise sul mio collo e con il viso andava a cercare
da
mangiare, poi sorrisi e guardai Tom dall’altra parte della
vetrata, che
sorrideva dolce.
Quel calore era troppo bello per privarmene,
quindi nessuno mai mi
avrebbe portato via anche quella sensazione.
***
Pochi giorni dopo tornammo a casa. Fu un
vero sollievo perché non mi
piaceva stare in ospedale. Mi era mancata tanto la nostra casetta.
Oddio, casetta non era proprio il termine adatto: era una
villetta a due piani, non contando la soffitta, con la piscina e il
garage. Al
piano terra c’erano la cucina, il salotto e un bagno. Di
sopra c’erano la
camera di Bill e Anto, con bagno interno; la cameretta di Stefan e
Alex,
accuratamente pitturata da me in blu e azzurro, anche se sarebbero
stati sempre
vicini a noi per ogni evenienza; la camera da letto mia e di Tom; e un
altro
bagno. Poi all’ultimo piano la soffitta, piena di roba. Non
sapevo nemmeno io
di preciso che cosa ci fosse.
Tornammo a casa e come prima cosa io e Tom
fecimo addormentare i
piccoli, il che non fu difficile, visto che già
sonnecchiavano.
Bill e Anto si erano già fiondati
in cucina a vedere se c’era qualcosa
da mangiare, come se non avessero mai mangiato in vita loro. Cercarono
dappertutto e la loro caccia terminò quando trovarono
patatine e popcorn. Mi
stupivo sempre di come mangiassero sano quei due.
Risi e mi sedetti sul divano con un album da
disegno e una matita,
anche se non ero proprio in ottima forma per mettermi a disegnare. Ero
ancora
scombussolata, ma l’energia che avevo la dovevo tutta a
Stefan e Alex: i loro
piccoli cuoricini che battevano quasi in sincronia mi davano
così tanta
felicità che si trasformava in forza, anche fisica.
Appena iniziai a scarabocchiare il minuscolo
sorriso che una volta Alex
mi aveva fatto, molto probabilmente inconsciamente, mi diedi un colpo
in
fronte.
«Tom!», gridai piano per
non svegliare i gemelli che dormivano nelle
loro culle messe momentaneamente lì vicino, così
se si fossero svegliati li
avremmo raggiunti subito.
«Che
c’è?», mi chiese dalla cucina.
«Dai da mangiare a Micio,
sarà affamato.»
«No, prima di venire da te in
ospedale gli avevo riempito la vaschetta,
e ce n’è ancora», disse controllando.
Poco dopo vidi Micio zampettare
giù dalle scale e venire a sedersi al
mio fianco, pronto per le coccole. Era un po’ che non ci
vedevamo ed era un suo
diritto riceverle.
Quando si stancò e
andò a raggomitolarsi vicino al calorifero,
anch’io
mi sentivo stanca, così lasciai perdere il designo e mi
sdraiai sul divano con
il viso tra i cuscini morbidi. Notai che il divano era molto
più comodo del
letto in ospedale.
«Ary, così prendi
freddo però.» Tom mi mise addosso la mia coperta e
si
mise seduto di fianco a me.
Intorpidita dal calore della coperta e dalla
sua mano che mi
accarezzava docilmente i capelli, lo cercai e usai la sua gamba come
cuscino,
appoggiandoci sopra la testa.
Sentivo Bill e Anto scherzare in cucina, ma
sembravano lontani anni
luce, le loro voci non mi arrivavano chiaramente e mi ci voleva un
certo sforzo
per capire bene cosa dicevano.
Poco dopo la voce di Bill si
avvicinò e sentii la sua mano sfiorarmi il
viso e le sue parole sussurrate al fratello. Poi il rumore della
televisione
che veniva accesa con il volume al minimo per non disturbarmi, e le
luci si
spensero. Volevano proprio che mi addormentassi e che mi levassi dalle
scatole!
«Certo che ne è passato
di tempo», disse piano Bill.
«Già», Tom mi
massaggiò il braccio e immaginai il suo sorriso magnifico
impadronirsi delle sue labbra.
«Sì, ma questi cinque
anni mi sono serviti.»
«Sono serviti a tutti,
Bill.»
«Però non credevo che
sarebbe successo tutto così in fretta. Vi siete
sposati e adesso avete due figli. Non è troppo
presto?»
«Bill, io non vedevo
l’ora di dare ad Ary ciò che non ha mai avuto
veramente. Hai visto come guardava Stefan e Alex? Sarà una
mamma e una moglie perfetta,
come mi ha promesso.»
Mi girai sulla sua gamba e strinsi tra i
pugni il bordo della sua
maglietta per fargli vedere il mio sorriso felice e realizzato.
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Ciao a tutti!
Il primo flashback! *-*
Vi è
piaciuto? Spero tanto di sì e che abbiate un minuto di tempo
per lasciare una
recensione, anche minuscola!
Ora ringrazio Utopy,
per la recensione allo scorso
capitolo ( Menomale che ci sei tu, ammmoremmmioooo!! Luv yaa <3
) e
ringrazio infinitamente chi ha già messo questa storia fra
le seguite e le
preferite, davvero mi fa molto piacere! ^-^
Ringrazio anche tutti quei
timidoni che leggono senza recensire, su xD
Alla prossima, grazie a tutti!
Ciao! Vostra,
_Pulse_