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Autore: _Pulse_    08/02/2010    2 recensioni
{Sequel de "Il sogno di un sogno" e "Il sogno di un sogno: Behind the scenes"!!!}
«Bill, io non vedevo l’ora di dare ad Ary ciò che non ha mai avuto veramente. Hai visto come guardava Stefan e Alex? Sarà una mamma e una moglie perfetta, come mi ha promesso.»
Mi girai sulla sua gamba e strinsi tra i pugni il bordo della sua maglietta per fargli vedere il mio sorriso felice e realizzato.
Genere: Generale, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sogno che è Realtà'
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1.1

 

Antonia avrebbe smesso definitivamente di chiamarmi La piccolina di casa? Forse no, ma per quel giorno sì. Ora avevo vent’anni ed eravamo pari.

Ero di fronte alla finestra della nostra camera e guardavo fuori: diluviava. Era una giornata come le altre, però pioveva; pioveva da quella notte e sembrava non volesse più smettere.

Peccato che il mio compleanno fosse in un giorno di pioggia, mi era sempre piaciuto di più il sole. Forse però non era un caso. Anche quella volta, cinque anni prima, quando avevo fatto i miei quindici anni diluviava.

Tom si avvicinò al letto e si sedette di fianco a me.

«Che ci fai qui da sola? È il tuo compleanno, vieni di là. Stanno aspettando tutti te», mi abbracciò. Mise la mani sul mio pancione e lo accarezzò.

«Anche voi, ditelo alla mamma: non può stare qua da sola il giorno del suo compleanno, o no?», mi guardò e sorrise.

«Arrivo subito», dissi regalandogli un sorriso.  

«Ok», mi baciò sulla guancia e uscì dalla camera.

Io, Tom, Anto e Bill avevamo preso una casa assieme e vivevamo tutti in armonia, come piaceva dire a Bill. Poche volte litigavamo, raramente. Ma questo già da quando ci eravamo sposati io e Tom.

Appoggiai la mano sulla pancia. Non avevamo ancora pensato ad un nome, anzi, due. Non potevo ancora credere che quei due angioletti che dovevano nascere, erano miei e di Tom, era troppo strano da pensare, da immaginare.

Il bello della gravidanza era che tutti si prendevano cura di te, perciò, anche se non mi serviva nulla veramente, dicevo qualcosa e quella cosa magicamente arrivava. Tutti si offrivano sempre di fare le cose al posto mio, io cercavo di non sfruttare troppo la situazione, ma c’era sempre quella forte tentazione.

Mi alzai dal letto e andai alla finestra, Micio saltò giù dalle mie gambe: anche lui era cresciuto. Guardai per un’ultima volta fuori, la pioggia che cadeva incessantemente, poi raggiunsi gli altri in sala.

C’erano proprio tutti: Bill, Anto, Tom, Gustav, Giulia, Georg e Nicole. Era come tornare indietro nel tempo.

«Ary! Auguri!», incorarono le voci femminili presenti nella stanza.

Salutai tutti con baci, abbracci e un carico enorme di sorrisi, poi mi andai a sedere sul divano di fianco a Tom, che mi mise il braccio intorno alle spalle.

«Allora dai, è un po’ che non ci vediamo. Racconta un po’, tutto a posto?»  

«Sì, sì», misi la mano sulla pancia. «Tutto normale.»   

«Ancora non riesco a credere che siano due gemelli!», disse Giulia.     

«Ebbene sì, due maschietti. Ironia della sorte, ne?»

Tom mi guardò e sorrise, poi guardò Bill. Dal giorno in cui gliel’avevo detto, Bill continuava a pensare a quando avrebbero preso il loro posto sulla scena musicale, voleva che seguissero la loro carriera da musicisti.

«Che tenera, Ary sarà mamma», squittì Nicole sorridendo dolce come solo lei sapeva fare.

«Avete già pensato a dei nomi?», chiese Gustav.

Io e Tom ci guardammo imbarazzati. Tom si mise una mano dietro la testa e rispose anche per me.

«In verità no, non ci abbiamo ancora pensato.»   

«E cosa state aspettando?»   

«Non lo so. È che ancora devo realizzare che sarò padre! Non posso già pensare ai nomi!»  

«Infatti, tu, padre», Bill lo guardò e sorrise. «Io, invece, sarò zio! Non vedo l’ora.» Neanche Tom aveva così tanta fretta, lui che era il padre! «Peccato però, avrei preferito una femmina.»

«Ma sei scemo?! No, no. Le femmine sono più difficili da crescere. Te lo dico io che sono una femmina!», dissi lanciando uno sguardo di intesa a Tom. Ci misimo tutti a ridere.

La serata passò piacevolmente e quando si fece tardi Gustav, Georg e compagne tornarono a casa. Fu allora, quando le loro macchine si allontanarono, che decisi di andare dritta a letto. Era stancante avere quei due pesi in pancia e la sera la mia schiena era completamente a pezzi.

Mi sdraiai sul letto e Tom venne a stendersi di fianco a me. Avevo lo sguardo perso nel vuoto e mi accarezzavo la pancia soprappensiero, mentre Tom mi guardava e mi vedeva un po’ più strana del solito.

«C’è qualcosa che non va?», mi chiese, io scossi la testa. «Sicura?»

Lo guardai negli occhi e sorrisi. Era sempre così premuroso e protettivo nei miei confronti, che un semplice ringraziamento non bastava mai.

«Sì, è tutto ok. Sono solo stanca, come sempre.»  

Sorrise e mi diede un bacio tenero sulle labbra.

«Senti, sta storia dei nomi… Io pensavo che fosse presto.»

«Tom!», dissi tenendogli il viso tra le mani. «Possiamo deciderli quando vogliamo i nomi. Basta che ci muoviamo prima che nascano.»

«Tu hai già qualche idea?»  

«Beh», guardai il soffitto, poi i suoi occhi castani. «Mi piacerebbe Alex, tu che ne dici? È carino, no?» 

«Sì, non è male.»  

«Ok, ora sta a te scegliere il secondo. Tu hai qualche idea?»

«In verità, un’idea ce l’avrei, ma solo se per te va bene.»

«Cioè? Quale sarebbe questa idea?»

«Davide.»

Trattenni il respiro e guardai il soffitto bianco. Davvero voleva chiamare nostro figlio come il mio fratellino scomparso in mare all’età di undici anni?

«No», dissi.

«Non vuoi?»

Scossi la testa e chiusi gli occhi alle lacrime. Tom mi abbracciò e nascose il mio viso nel petto, cullandomi nel mio momento di debolezza.

«Ok, non fa niente. Mi dispiace.»

«No invece, hai fatto bene. Se volevi chiamarlo così, è giusto che tu me l’abbia detto.»

«Ma ti ho detto anche che sarebbe andato bene a me se fosse andato bene a te.»

«Scusami Tom, ma non me la sento.»

«Ok, non importa! Ci sono milioni di nomi al mondo, dai.»

Alzai lo sguardo e gli sorrisi, era troppo bravo con me, riusciva sempre a farmi passare tutto.

«Adesso dormi», mi passò una mano sul viso e mi baciò le labbra e poi la fronte prima di spegnere la luce.

Il giorno seguente sarebbe stata un’altra monotona giornata: niente lavoro, niente da fare. Per me era straziante, a parte quando stavo male ovviamente; in quelle occasioni non volevo altro che starmene a letto a dormire. Ma quando stavo bene mi annoiavo moltissimo.

La mattina mi svegliavo, mi lavavo e facevo colazione con tutti; poi incominciavano ad andarsene, prima Bill e Tom, che andavano alla Universal e poi Anto, che mi lasciava da sola con Micio.

Lei lavorava come parrucchiera in un negozio di cui era a capo e se avesse voluto sarebbe potuta restare a casa con me, ma lei no. Per lei era un semplice passatempo. Faceva solo mezza giornata, però mi annoiavo lo stesso nel tempo in cui non c’era.

Pranzavo e dopo, di solito, mi sdraiavo sul divano a guardare la tv. Quasi sempre mi addormentavo e dormivo fino alle sei, sei e mezza, quando tornavano Bill e Tom. Anto tornava prima, ma non mi svegliava mai perché sapeva che durante la notte non dormivo niente e quindi avevo sonno.

Quando arrivavano Bill e Tom, quest’ultimo mi veniva vicino e mi baciava sulla guancia, dopo andava in cucina. Allora io mi svegliavo e la giornata si concludeva con il racconto di Bill su quello che avevano fatto quel giorno, mentre cenavamo. Ecco, le mie giornate erano così.

Tutti avrebbero pagato oro per essere al mio posto, ma a me non piaceva. Io ero attiva, eppure non potevo fare niente. Mi sentivo prigioniera dei miei figli, anche se quando ci pensavo scoppiavo sempre a ridere. Loro mi avrebbero donato la più grande gioia delle mia vita.

D’altro canto, Tom era un marito eccezionale. Era sempre premuroso e mi faceva sempre le coccole. Ero molto felice della mia vita. Dopo tutti quei problemi nella mia adolescenza, ora ero felice, non potevo chiedere di meglio. A volte mi fermavo a pensare a quando ero piccola e sognavo tutto quello: un marito che mi amava, dei figli, una famiglia mia. Ora quei sogni li stavo vivendo sul serio e anche meglio! Ero così piccola, così ingenua, così piena di sogni e di speranze. Il mio sogno più grande, quello di avere una famiglia tutta mia, si era realizzato.

Ne avevamo passate così tante assieme, io e Tom, non me lo sarei mai immaginato. Mi ricordavo benissimo quando mi aveva lasciata, di quanto ci ero rimasta male… Mi ero vista crollare il mondo addosso, quel sogno era svanito, distrutto. Di quanto avevo sofferto. Ma non ci dovevo più pensare, ora ero lì con lui e con lui sarei andata avanti.

 

***

 

La pancia sembrava che dovesse esplodere da un momento all’altro, era enorme. Mi accompagnarono in ospedale tutti e tre, Bill, Anto e Tom.

Nei giorni precedenti io e Anto avevamo preparato la mia borsa, con dentro tutte le cose possibili immaginabili per i gemelli, tra quelle comprate da me e quelle regalate qua e là.

L’infermiera mi accompagnò in camera mia e mi fece vedere tutto, per iniziare ad ambientarmi.

«Bene, adesso voi altri potete stare qui ancora per un po’ e poi verrà la dottoressa per la visita, ok?»

«Dottoressa?», chiesi preoccupata.

«Sì, la dottoressa», ripeté l’infermiera come se fossi scema. 

«Io intendevo dire: dov’è Mattia? Cioè… il dottor Stevens?»

«Oh, è in sala operatoria.»

«Ah, perfetto», dissi a bassa voce. «Ahm, grazie comunque.»

«Prego, a dopo.» L’infermiera uscì e mi sedetti sul letto.

«Uffa, io lo sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. C’è sempre stato Mattia e adesso si presenta questa dottoressa?»

«Ma è in sala operatoria», mi disse Tom prendendomi per le spalle dolcemente.

«Non mi importa, io voglio tornare a casa, Tom!», ero un pochino nervosa e perciò mi lagnavo in continuazione. E poi non mi erano mai piaciuti gli ospedali.

«Calmati Ary», si sedette di fianco a me sul letto e mi strinse la mano. Se la portò alle labbra e la baciò. «Non puoi tornare a casa, rilassati, andrà tutto bene.» I suoi tentativi di rassicurarmi ebbero l’effetto contrario, infatti iniziai a tremare.

«No, no. Ho paura!», poggiai la testa sulla sua spalla.

Mi accarezzò i capelli e con voce rassicurante continuò: «Ma di cosa hai paura? Andrà tutto bene, non ti preoccupare.» 

«Su Ary, andrà bene.»

Mi tirai su e guardai Bill. Feci due respiri profondi e sorrisi. «Ok, andrà tutto bene. Ci provo.»

Bill si sedette su una sedia, di fianco alla porta e si mise le mani sulle ginocchia. «Non sto più nella pelle.»

«Per cosa Bill?» 

«Per i bambini, ma ci pensi? Io zio!»   

«Ah, comunque quando siamo nati noi non avevi tutta questa fretta, infatti sono nato prima io.» 

«Ma che c’entra?! Quando nasceranno voglio prenderne uno io in braccio.»

«Forse, e dico forse, vorremmo tenerli prima noi. Sai, siamo noi i loro genitori, non per dire», dissi guardandolo male. Ero davvero nervosa, mi arrabbiavo molto facilmente. Peggio di una leonessa con i suoi cuccioli.

«Ok sì, questo è ovvio. Scusa, non volevo.»

Solo che mi accorsi di come gli avevo risposto, in modo veramente scontroso. «No, scusami tu Bill, è che sono nervosa.»   

«Fa niente, è normale. È normale?», chiese, noi scoppiammo a ridere. 

Qualcuno bussò alla porta ed entrò senza nemmeno aspettare la risposta: doveva essere per forza la dottoressa, con l’infermiera. Infatti.

«Buona sera, allora, come sta?» Già la odiavo.  

«Salve, bene.»  

«Ok, allora come stanno i gemelli?»

«Spero bene.» Guardai Bill e Anto: «Volete vederli dal vivo? Dai, mi fate compagnia.»

«Sei sicura?», avevano un sorriso a trentadue denti, dubitavo che se gli avessi detto di no se ne sarebbero andati. Annuii con la testa.

«Ok, allora possiamo fare l’ecografia.»

Durante l’ecografia, sul monitor, videro uno dei gemelli mettersi il dito in bocca. Una rarità, era la prima volta anche per noi. Bill era eccitatissimo solo al pensiero di averlo visto. Quello era ciò che io chiamavo fortuna. Nonostante il fatto, ero molto più nervosa del solito: stringevo la mano di Tom e non la volevo più lasciare.

«Ok, è tutto a posto, credo che nasceranno tra un paio di giorni. Beh, comunque tu devi stare qui per altri controlli.»  

«Ne è sicura? Dico, è sicura che nasceranno tra un paio di giorni?»  

«Sì, perché si devono ancora girare, perciò non possono nascere ancora.»   

«Ah, ok.» Tom mi strinse la mano e sorrise.

«Va bene. Allora io vado, tornerò domani mattina. Se hai bisogno Arianna chiama pure l’infermiera, d’accordo?»   

«Sì, certo, arrivederci e grazie.»

Quando uscì, Bill e Anto non facevano altro che parlare ancora del gemellino, era diventato l’evento del giorno. In quel momento mi arrivò un calcio tremendo. Era sempre da quella parte che mi arrivavano i calci più dolorosi, tra i due bambini, quello che stava lì era il più rompiscatole.

«Ahia!», mi toccai il punto colpito sulla pancia. «Sempre tu a tirarmi i calci!» Bill mi guardò come se fossi scema e poi sorrise.

«Digli qualcosa Tom!», dissi.

«Non tirate i calci alla mamma.»  

«Grazie. Scusa se ti sfrutto, però si calmano solo con te! Ma io non lo so, ascoltano te e non me, possibile?!» 

«Che cos’è sta storia?», chiese un Bill divertito.

«Vedi Bill, quando Alex e Stefan sentono la voce di Tom si calmano subito e diventano degli agnellini. Invece, quando sentono la mia, non succede niente e continuano!» 

«Che forza.»

«Certo, troppa.»    

Rimasero fino a sera tardi. Verso mezzanotte Bill e Tom si addormentarono con la testa sul letto, io e Anto eravamo le uniche a non dormire. Lei era appoggiata con la schiena alla finestra. Tom mi stringeva ancora la mano e sorrisi guardandolo.

«Tom? Tom, svegliati», ci provai.

«Sono già nati?», mugugnò facendomi ridere.

«Ma no! Mi chiedevo solo se non è meglio per voi se andate a casa, siete stanchi.››  

«Sei sicura?»  

«Sì, tanto non dovrebbero nascere, tornate domani.»  

«Va bene.» Si alzò e scosse Bill, che si svegliò di colpo. Si guardò in giro e tornò alla realtà stiracchiandosi le braccia.

«Mi raccomando, cerca di dormire. E voi fate i bravi. Ci vediamo domani.» 

«Sì», risposi sia per me che per i gemelli.   

«Buonanotte amore mio, ti amo.»   

«Buonanotte, ti amo anch’io.»

Mi baciò piano sulle labbra e poi uscì. Bill mi baciò sulla guancia e mentre stava per uscire anche lui, Anto gli disse: «E io chi sono, scusa?»

Bill sorrise e la andò a baciare. «Scusa, mi ero dimenticato di te.»

«Ma bravo!» Risero e poi Bill uscì.  

 

Il telefono di casa nostra suonò nella notte. Tom si alzò nell’oscurità, barcollando. Guardò l’orologio: cinque e cinquantasei. Chi poteva essere a quell’ora? Rispose al telefono con la voce ancora assonnata, da mezzo addormentato com’era.

«Pronto. Cosa?! Oh no, e menomale che non dovevano nascere! Ok, arrivo. Grazie Anto.»

Tornò di sopra e buttò Bill giù dal letto, nel vero senso della parola.

«Muoviti, alzati!», gli gridò. Lui si svegliò, la faccia assonnatissima.

«Ehi, che è quella faccia? E perché mi devo alzare?», mugolò Bill cercando di scandire il meglio possibile le parole.

«Perché sono nati, ecco perché.»

Bill si mise seduto di scatto: «E che ci facciamo ancora qui?!» 

Bill e Tom arrivarono correndo all’ospedale e videro Mattia parlare con un’infermiera. Appena anche lui li vide, lasciò andare l’infermiera e corse da loro.

«Ciao Tom, ciao Bill!», li salutò abbracciandoli. «Ah, congratulazioni Tom, sono bellissimi.»

«Tu li hai già visti?», chiese Tom incredulo.

«Beh, li ho fatti nascere, è ovvio che li ho visti! Ma ora andiamo, magari fai ancora in tempo a prenderli in braccio.» Li prese per i gomiti e li accompagnò verso la mia camera.

«È andato tutto benissimo, Ary è stata molto brava», disse Mattia sorridendo soddisfatto. «Solo che appena li ha visti è scoppiata a ridere perché ti assomigliano tanto.»

«E allora si è messa a ridere?», chiese Tom divertito.

«Sì, ma vuol dire che è andato tutto bene: di solito dopo un parto gemellare le donne sono distrutte, invece lei continuava a ridere. Era al settimo cielo.»

«Sì, è fatta proprio così la mia Ary.»  

Mattia gli aprì la porta sorridendo ed entrò assieme a loro. Io ero sdraiata nel letto, con in braccio quello che era Alex; di fianco a me c’era Anto, con in braccio Stefan.

Tom fece qualche passo, lentamente, come se avesse paura, e vide Anto alzarsi e porgergli Stefan, con un sorrisone a trentadue denti.

«Piano, attento alla testa.»

Tom lo prese delicatamente e lo tenne in braccio. Aveva gli occhi lucidi da quanto era felice, e poi si era accorto che davvero somigliava moltissimo a lui, ma riusciva anche a vedere me guardandolo.

«Ciao», mormorò, intanto mi guardò in cerca di un nome. In effetti non sapeva chi fosse l’esserino che aveva in braccio.

«Oh, quello è Stefan: il più grande. Sei minuti più grande.»  

«Ciao Stefan, sei bellissimo.» Mise il dito nella minuscola manina di Stefan e lui lo strinse facendo quasi piangere di gioia Tom, che era ancora incredulo. «Stefan, mio figlio.»   

«Ohi, e questo chi è? Figlio di nessuno?», gli feci vedere Alex, che avevo in braccio io.

Tom mi guardò e sorrise. Si venne a sedere sulla sedia di fianco al letto. Bill entrò del tutto spinto da Mattia, che chiuse la porta. Anche lui era incredulo: continuava a guardare Tom con Stefan in braccio. Sul serio, non ci poteva credere!

«Saluta anche Alex, neopapà», glielo feci vedere.

Guardò Stefan e poi ritornò su Alex. «Beh, ciao Alex. In fondo è solo il nome che cambia», disse ridendo, visto che erano identici.

Bill era ancora immobile, l’unica cosa che per fortuna faceva era respirare.

«Su Bill, vieni. Mica mordono, almeno, non ancora!»

Fece qualche passo verso di me sorridendo, e quando fu vicino mi misi seduta meglio.

«Non avevi detto che volevi prenderne uno in braccio? Tieni, questo è Alex.»

Bill lo prese e lo tenne benissimo, meglio di Tom, ma solo perché Tom era troppo emozionato. Anto gli andò di fianco e guardò Alex insieme a lui.

«Ciao cucciolo, io sono Bill.» Gli luccicavano gli occhi.

«Tenero», Anto lo accarezzò sulla guancia.

Tom stava prendendosi ancora cura di Stefan. Lo guardai e mi appoggiai al cuscino, sorridendo: era proprio carino con i bimbi in braccio, infatti, come quando erano nella pancia, sentendolo parlare, erano molto tranquilli. Tom gli trasmetteva sicurezza.

«Sono proprio stupendi, complimenti Ary», disse Bill con un sorriso enorme.

«Beh, diciamolo, è anche merito di Tom. Guardandoli bene, gli assomigliano molto.»

Tom sorrise molto soddisfatto.

Dopo entrò l’infermiera, con le culle di Stefan e Alex. Era già l’ora di portarli di là e lasciarli dormire.

«Buongiorno! Alex, Stefan, forza. Lasciamo riposare la mamma.» 

«Di già?», disse Tom incredulo.

«Adesso me ne occupo io», disse Mattia. «Lascia pure qui, li porto io.»

«Come preferisce, dottore.» L’infermiera uscì dalla stanza e io sorrisi a Mattia, tirando le braccia in avanti. Non mi risparmiò un suo abbraccio e io gli accarezzai i capelli sussurrandogli: «Grazie, dottore.»

«Prego sorellina», disse affettuoso baciandomi sui capelli.

«Però adesso devono proprio andare», disse tirandosi su e ricomponendosi nel suo ruolo.

Salutai Stefan e Alex e Anto aiutò Mattia a sistemarli nelle loro culle.

«Ehi Ary, non ti dispiace se andiamo con i gemelli, vero?» Anto mi fece un sorriso e si aggrappò al braccio di Mattia.

«Ok, ma non ci provare con il mio fratellone, sia chiaro», la rimproverai. Bill diventò rosso di gelosia. Lei rise sottovoce e andò da Bill a scompigliargli i capelli durante un bacio.

«Ok, noi andiamo allora», disse Bill ammaliato dalla sua musa.  

Io e Tom rimasimo finalmente da soli in quella stanza di ospedale. Sorrisimo, non c’era niente da dire. Eravamo talmente contenti che non avevamo bisogno di parole per capirci. Mi baciò accarezzandomi i capelli.

«Bill e Anto ci snobbano per i nostri figli!», disse scandalizzato.

«E per Mattia, soprattutto Anto», gli feci notare.

«Sì, riflettendoci bene, hai ragione.» Rise. «Mattia mi ha detto che non la smettevi più di ridere, eh? È un buon segno. Non sei stanca?»

«Un po’, ma mi sento anche così vuota…», andai a cercare la pancia che non c’era più e chiusi gli occhi.

«Sì, però…», mi prese le mani e se le portò alle labbra per baciarle una alla volta.

«Però cosa?»

«Però sono nati i nostri bellissimi angioletti. Ne è valsa la pena. Tante notti li ho sognati e… non sono come me li immaginavo.»

«Sì, anch’io non me li immaginavo così belli, sono proprio belli come te.» Gli accarezzai le guance e lo baciai sulle labbra.

«E te», sussurrò.

«Forse», sorrisi. «Comunque, d’accordo che sono bellissimi, ma non sono degli angioletti.»

«E perché? Sono stati impeccabili.»

«Con te! Prima è accaduta la stessa cosa che accadeva quando erano in pancia. Con te sono dei veri angeli, invece prima che arrivassi tu non la smettevano di piangere! Ma come fai? Mi sveli il tuo segreto? Giuro che non lo dico a nessuno.»

«Non lo so, sarà lo stesso che uso con le ragazze.»

Lo guardai storcendo il naso: «Non è vero, di solito le ragazze quando ti vedono si mettono ad urlare. Ti ho fregato, eh?» Rise e mi baciò ancora.

Mi accarezzò la fronte spostandomi i capelli di lato e mi sorrise amaro, un velo di tristezza avvolse i suoi occhi sempre così allegri.

«Mi dispiace», disse.  

«E di che cosa?»  

«Di non essere stato con te.»

Gli misi un dito sulle labbra: «Ah ah ah, zitto. Non importa, quello che conta è che tu sia qui con me adesso. E comunque è colpa della dottoressa. Sai cosa mi ha detto?! “Oh perbacco, i bambini si sono girati durante la notte e ora vogliono uscire”! Ma ti pare?! Poi è arrivato Mattia e ci ha pensato lui.» Avevo persino imitato la voce da gallina della dottoressa. «Però è stata dura, c’era Alex che non voleva più uscire! Sei minuti sono stati lunghissimi! Pensa tua madre, dieci minuti solo per Bill, povera.»

Tom rise di gusto e aggiunse: «Dai, l’importante è che stiano bene, no?» 

«Sì, ma li hai visti?! Sono identici!» 

«Sì è vero, ma io non ci credo ancora. Sei sicura che sono figli nostri?» 

«Sì!», gridai di gioia e scoppiando a ridere. Lo presi e lo abbracciai, poi mi lasciai andare sul letto, aggrappata ancora lui. Mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza, ma non volevo perdermi nemmeno un secondo dei miei bambini, non volevo perdere tempo a dormire.    

«Ary? Ary?», mi chiamò Tom.

«Eh?», mormorai in un dormiveglia.

Tom sorrise e mi baciò sulla guancia, si tolse le mie braccia da intorno al collo e mi accarezzò il viso prima di uscire e di lasciarmi al mio sonno.

In fondo al corridoio Tom vide Bill e Anto, che stavano guardando aldilà del vetro Stefan e Alex.

«Ehi», disse raggiungendoli.

«Tom!» Anto lo abbracciò e lo baciò sulla guancia. «Non avevo ancora fatto in tempo a congratularmi con te. Ti assomigliano molto.»

«Grazie», disse leggermente imbarazzato. «In verità io non ci riesco ancora a credere. Sono i nostri figli, miei e di Ary, e mi sembra così strano…»  

«Eh già, ma vedrai che con il tempo ti abituerai.»

Tom si gettò sul fratello, lo strinse forte e Bill gli diede qualche pacca sulla schiena, poi si separarono e si guardarono negli occhi pieni di gioia.

«Avete chiamato Georg e Gustav?», disse Tom preoccupato.

«Sì, stai calmo. Stanno già arrivando, dovevi sentirteli, erano tutti agitati! Per non parlare poi di Giulia e Nicole, ho dovuto tenere il cellulare a distanza di sicurezza per non diventare sordo!»  

«Immagino.»

«Anche il padre di Ary sta arrivando con Lilian», aggiunse Anto.

Tom sorrise e annuì con la testa: «Bene.» 

«Ary dorme?», chiese Anto in cerca di una conferma.

«Sì, si è addormentata mentre mi abbracciava, pensa quant’era stanca.»

Tom si girò e si mise a guardare gli altri bambini nella sala: tra tutti i nostri erano i più carini, sicuramente. Erano piccolini, con le guance morbide ed erano biondi scuri come Tom, bellissimi come lui.

«Sai chi mi ricordano, Bill?», chiese Tom sorridendo.

«Chi?»

«Noi due da piccoli.»

Bill guardò oltre il vetro: era verissimo. Entrambi biondi scuri e entrambi gemelli identici. Si guardarono e sorrisero.

Chi se lo sarebbe mai immaginato che un giorno, quel giorno così vicino, Tom sarebbe diventato padre di due bellissimi bimbi. Bill no. Sì, a volte ci aveva pensato, ma non credeva che quel giorno sarebbe arrivato così presto.

Rimasero a guardarli fino a quando arrivarono Gustav e Giulia e Georg e Nicole. La prima cosa che fecero tutti fu quella di saltare addosso a Tom e di abbracciarlo, poi di guardare i bambini. Volarono complimenti a non finire.

«Ciao ragazzi! Quanto tempo!» 

«Ciao Tom! Auguri!»   

«Grazie.»

«Sono quei due, vero?», chiese Nicole indicando i gemellini.

«Beh, non è difficile: sono i più belli e somigliano a me», disse Tom.  

«Se, ma se sono uguali ad Ary?!», disse Georg.  

«Non è vero», mormorò Tom imbronciato.

Gustav lo prese per le spalle e gli disse: «Tom, non iniziare a fare il vanitoso, che qui c’è anche il merito di qualcun altro.»

«Come sei gentile», disse ancora Tom facendo una smorfia.

«Ma guarda come sono piccoli! Sono degli amori!», disse Giulia saltellando.   

 

Mi svegliai e sentii la voglia irrefrenabile di vedere Stefan e Alex, erano come delle calamite per me. Ne sentivo già la mancanza, anche se avevo dormito solo per due ore e non avevo riacquistato del tutto le forze. Io dovevo vederli.

Bevvi un bicchiere d’acqua guardandomi allo specchio e pettinandomi un po’ i capelli arruffati sulla testa, mi infilai l’accappatoio sopra l’orribile vestito dell’ospedale, - un camice bianco a pallini azzurri - e uscii dalla stanza.

Non fu difficile localizzare Tom e gli altri, visto che erano il gruppo più numeroso di fronte alle vetrate.  

Nessuno parve accorgersi della mia presenza fin quando non abbracciai Tom da dietro e gettai un occhiata ai miei piccoli tesori.

«Ehi, che ci fai già in piedi tu!?», mi disse Tom sollevandomi da terra.

«Dovevo vedere i miei bambini!», dissi come una bambina gelosa dei propri giochi. Il bello era che loro non erano dei giochi, ma la cosa più bella che mi fosse mai capitata; ormai li sentivo, erano parte integrante del mio cuore, della mia anima, della mia vita, nulla mi avrebbe potuto separare da loro.

«Ary, ciao! Come stai?», mi chiesero subito tutti i nuovi arrivati.

«Sto bene, grazie. Ciao a tutti.»

Giulia, Gustav, Nicole e Georg mi abbracciarono facendomi gli auguri, come tanti altri avevano fatto in quelle ore.

«Complimenti! Guarda, sono tutti uguali a te.» Tom, dietro di loro, fece una smorfia strana e risi.

«No, diciamo che hanno preso un po’ da entrambi.» Tom fece una faccia compiaciuta per la mia risposta. Lo guardai, sorrisi e poi continuai: «Spero solo una cosa, che abbiano i miei occhi, solo questo.» Tom sorrise e mi abbracciò.

«Ah, Bill. Hai già chiamato mamma?», chiese lui.

«Sì, ha detto che la devi richiamare tu perché vuole parlare proprio con te, il papà. E poi con Ary, si vuole congratulare.»

Proprio a proposito di madri, pensai alla mia: mi aveva fatta solo star male, ma in quel momento avrei voluto che entrasse dalle porte vetrate dell’ospedale e che mi abbracciasse, che mi dicesse che mi voleva bene e che i miei figli erano bellissimi e che assomigliavano a me, anche se non era del tutto vero.

Mi chiesi perché volevo che accadesse, che tornasse e che sistemasse le cose. Lo spirito materno era anche quello? Perdonare dopo che una persona ti aveva fatta soffrire?

Appoggiai una mano sul vetro, in corrispondenza a Stefan e Alex e mi morsi il labbro. Era così indispensabile la sua presenza? Perché sentivo un vuoto dentro di me? Forse quel vuoto era solo derivato dalla mancanza di Davide, lui sarebbe stato orgoglioso della mia vita, della mia famiglia. E se davvero Davide era dentro di me, se mi stava accanto ogni giorno, forse era lui che mi aveva attaccato quella mancanza improvvisa di affetto materno.

Mamma sarebbe stata capace di vedere come vedevo io i miei figli? Perché lei non aveva visto me in quel modo? Con quell’amore infinito, da sacrificare pure la vita per il bene di quelle due piccole vite. Lei aveva mai capito cosa voleva dire amare davvero? Sì, con Davide. Con me no. Io ero stata privata di quell’amore così grande.

Io non avrei fatto gli stessi errori di mia madre; non avrei escluso nessuno, né Alex né Stefan, li avrei amati allo stesso modo e infinitamente, come avevo promesso a Tom qualche tempo prima.

Alzai lo sguardo e vidi Mattia togliersi la mascherina che aveva sulla bocca e indicarmi di entrare.

«Uh Ary! Ce li fai vedere da più vicino se puoi?», mi supplicò Giulia.

«Sì, ci proverò. Ma tanto ho il dottore dalla mia parte», sorrisi e le feci l’occhiolino.

Tom mi passò una mano sulla guancia e sorrise sussurrandomi: «Davide sarebbe stato orgoglioso di te.»

Ricambiai il sorriso ed entrai dai miei piccolini, prima però mi fecero mettere un camice verde per evitare il contatto di batteri con i fragili sistemi immunitari dei bambini.

«Ary, come stai?», mi chiese Mattia appena gli fui accanto.

«Bene, tu?»

«Alla grande.»

Vidi Stefan muoversi nella culla e stendere un pochino le braccia verso di me, verso la mia voce che aveva riconosciuto. Subito alzai la testa e guardai fuori dal vetro Giulia che quasi ci era spiaccicata, intenerita in una maniera assurda, quasi piangeva.

«Posso avvicinarmi al vetro con i bambini?», chiesi.

«Sì, chi vuoi tenere?»

«Mat, non puoi farmi questa domanda!»

«Giusto. Vedo che lo spirito materno si è manifestato bene in te, eh?», sorrise e prese Alex, ancora addormentato. Io di conseguenza presi Stefan.

Insieme ci avvicinammo al vetro e sentii un calore profondo quando la manina di Stefan si mise sul mio collo e con il viso andava a cercare da mangiare, poi sorrisi e guardai Tom dall’altra parte della vetrata, che sorrideva dolce.

Quel calore era troppo bello per privarmene, quindi nessuno mai mi avrebbe portato via anche quella sensazione.

 

***

 

Pochi giorni dopo tornammo a casa. Fu un vero sollievo perché non mi piaceva stare in ospedale. Mi era mancata tanto la nostra casetta. Oddio, casetta non era proprio il termine adatto: era una villetta a due piani, non contando la soffitta, con la piscina e il garage. Al piano terra c’erano la cucina, il salotto e un bagno. Di sopra c’erano la camera di Bill e Anto, con bagno interno; la cameretta di Stefan e Alex, accuratamente pitturata da me in blu e azzurro, anche se sarebbero stati sempre vicini a noi per ogni evenienza; la camera da letto mia e di Tom; e un altro bagno. Poi all’ultimo piano la soffitta, piena di roba. Non sapevo nemmeno io di preciso che cosa ci fosse.

Tornammo a casa e come prima cosa io e Tom fecimo addormentare i piccoli, il che non fu difficile, visto che già sonnecchiavano.

Bill e Anto si erano già fiondati in cucina a vedere se c’era qualcosa da mangiare, come se non avessero mai mangiato in vita loro. Cercarono dappertutto e la loro caccia terminò quando trovarono patatine e popcorn. Mi stupivo sempre di come mangiassero sano quei due.

Risi e mi sedetti sul divano con un album da disegno e una matita, anche se non ero proprio in ottima forma per mettermi a disegnare. Ero ancora scombussolata, ma l’energia che avevo la dovevo tutta a Stefan e Alex: i loro piccoli cuoricini che battevano quasi in sincronia mi davano così tanta felicità che si trasformava in forza, anche fisica.

Appena iniziai a scarabocchiare il minuscolo sorriso che una volta Alex mi aveva fatto, molto probabilmente inconsciamente, mi diedi un colpo in fronte.

«Tom!», gridai piano per non svegliare i gemelli che dormivano nelle loro culle messe momentaneamente lì vicino, così se si fossero svegliati li avremmo raggiunti subito.

«Che c’è?», mi chiese dalla cucina.

«Dai da mangiare a Micio, sarà affamato.»

«No, prima di venire da te in ospedale gli avevo riempito la vaschetta, e ce n’è ancora», disse controllando.

Poco dopo vidi Micio zampettare giù dalle scale e venire a sedersi al mio fianco, pronto per le coccole. Era un po’ che non ci vedevamo ed era un suo diritto riceverle.

Quando si stancò e andò a raggomitolarsi vicino al calorifero, anch’io mi sentivo stanca, così lasciai perdere il designo e mi sdraiai sul divano con il viso tra i cuscini morbidi. Notai che il divano era molto più comodo del letto in ospedale.

«Ary, così prendi freddo però.» Tom mi mise addosso la mia coperta e si mise seduto di fianco a me.

Intorpidita dal calore della coperta e dalla sua mano che mi accarezzava docilmente i capelli, lo cercai e usai la sua gamba come cuscino, appoggiandoci sopra la testa.

Sentivo Bill e Anto scherzare in cucina, ma sembravano lontani anni luce, le loro voci non mi arrivavano chiaramente e mi ci voleva un certo sforzo per capire bene cosa dicevano.

Poco dopo la voce di Bill si avvicinò e sentii la sua mano sfiorarmi il viso e le sue parole sussurrate al fratello. Poi il rumore della televisione che veniva accesa con il volume al minimo per non disturbarmi, e le luci si spensero. Volevano proprio che mi addormentassi e che mi levassi dalle scatole!

«Certo che ne è passato di tempo», disse piano Bill.

«Già», Tom mi massaggiò il braccio e immaginai il suo sorriso magnifico impadronirsi delle sue labbra.

«Sì, ma questi cinque anni mi sono serviti.»

«Sono serviti a tutti, Bill.»

«Però non credevo che sarebbe successo tutto così in fretta. Vi siete sposati e adesso avete due figli. Non è troppo presto?»

«Bill, io non vedevo l’ora di dare ad Ary ciò che non ha mai avuto veramente. Hai visto come guardava Stefan e Alex? Sarà una mamma e una moglie perfetta, come mi ha promesso.»

Mi girai sulla sua gamba e strinsi tra i pugni il bordo della sua maglietta per fargli vedere il mio sorriso felice e realizzato.

 

 

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Ciao a tutti!

Il primo flashback! *-* Vi è piaciuto? Spero tanto di sì e che abbiate un minuto di tempo per lasciare una recensione, anche minuscola!
Ora ringrazio Utopy, per la recensione allo scorso capitolo ( Menomale che ci sei tu, ammmoremmmioooo!! Luv yaa <3 ) e ringrazio infinitamente chi ha già messo questa storia fra le seguite e le preferite, davvero mi fa molto piacere! ^-^
Ringrazio anche tutti quei timidoni che leggono senza recensire, su xD
Alla prossima, grazie a tutti! Ciao! Vostra,

_Pulse_

   
 
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