Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |       
Autore: Esteliel    10/02/2010    1 recensioni
Per chi bazzica in certi posti, è quasi usuale richiedere commissioni che giochino con la vita altrui. Per chi ne ha il potere, è quasi facile decretare a tavolino quando di preciso un altro essere umano finirà di esistere. Forse, però, chi ritiene di avere il potere di decidere non ha fatto i conti con chi ce l'ha davvero.
Genere: Malinconico, Thriller, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota: Questa storia è presente anche su altri siti, sotto nick diversi (Alex il più frequente). Sono sempre io. Nonostante non sia una storia recente, ho pensato di ripubblicarla per raccogliere opinioni, consigli e così via!

CAPITOLO 1

Un affare da discutere

Pioveva da giorni. Nei brevi momenti di quiete della bufera, il viscido manto stradale era invaso da una cortina di nebbia ghiacciata. La natura faceva il suo corso. Non esisteva giorno di fine estate che non fosse accolto dalla pioggia. Non a Londra. La gente era così abituata che girava per le strade anche con quel tempo. La scapestrata gioventù dei quartieri meno eleganti della città non rinunciava alla sua vita notturna per qualche lacrima d’acqua.
Soho era il luogo di ritrovo ideale, una zona da cui la stessa polizia avrebbe gradito girare al largo. Le macchine della guardia notturna la attraversavano solo per onorare il loro forte senso del dovere, ma si limitavano a pattugliare le vie principali e si convincevano che, tutto sommato, era un quartiere a posto. Escludendo i locali di spogliarello che permettevano l’uso della merce esposta oltre alla sua visione; escludendo gli innocui banchetti di spacciatori che si sistemavano negli angoli bui dei crocicchi minori e i covi in cui gente di ogni età ed etnia sedeva a piccoli tavoli rotondi, trattando di omicidi e ricettazioni fra un bicchiere di whisky e una partita a poker.
In uno di questi circoli, dall’innocente nome di Alter Ego, gruppetti di uomini che non avevano nulla da fare e nulla da perdere si erano ritrovati quella sera dannatamente piovosa e umida. Due di questi uomini erano ancora in attesa della persona con cui avrebbero dovuto discutere il loro piccolo affare. Un’attesa che si stava prolungando più del dovuto.
«Non verrà» sentenziò uno dei due, mescolando un mazzo di carte.
Le mani gli tremavano così tanto che le carte gli caddero ben due volte durante l’operazione. Teneva la testa china e gli occhi fissi sulle sue mani in concitata attività. Il sudore gli imperlava la fronte alta e gli colava fino alla punta del lungo naso.
«Lo hai già detto dieci minuti fa, Jeff» replicò l’uomo di fronte a lui.
Si raddrizzò sulla sedia, sprofondando le spalle larghe contro il suo schienale. Si sforzava in tutti i modi di mantenere un’apparenza di calma, sebbene i suoi occhi di un azzurro molto scuro lanciassero frequenti occhiate alla porta di ingresso.
«Avevano detto che era preciso» insisté Jeff, senza sollevare lo sguardo dalle carte sparse sul tavolo.
«Avrà avuto un contrattempo. Ora asciugati quella faccia, sembri un maiale sudato.»
Jeff lasciò le carte e si frugò nella tasca dei pantaloni, in cerca del suo fazzoletto. Se lo passò frettolosamente sul viso.
«Sei certo che accetterà, Steve?»
«Come faccio ad esserne sicuro, pezzo di idiota!» sbottò Steve. «Qualcuno ha riferito al capo che è un professionista, non fa domande e scompare a lavoro fatto. Mi è sembrato che valesse la pena provare.»
Raccolse le carte e se le rigirò fra le mani, disgustato.
«A volte sei davvero schifoso. Tieni, distribuiscile tu.» Mollò le carte umide di sudore nelle mani malferme dell’altro.
L’orologio dietro il bancone batté le undici, ma l’Alter Ego non accennava a svuotarsi. A differenza di altri, non era un locale particolarmente osceno. I tavoli erano occupati per la maggior parte da elementi maschili solo perché la sera era solitamente consacrata ai giochi di carte e agli “affari”. Le poche signore presenti erano accompagnatrici o cameriere. L’arredamento era essenziale, ma le luci soffuse attaccate alle pareti e la sua reputazione conferivano a quel posto l’aria di un vecchio Saloon.
«E se l’avessero preso?» domandò ancora Jeff in un soffio agitato.
Steve parve ignorarlo. Prese due delle cinque carte che aveva in mano e le sbatté sul tavolo. Barba e baffi gli fremettero di collera.
«Chiudi il becco e dammi due carte.»
Jeff obbedì, stropicciando un po’ le carte in cima al mazzo per riuscire a staccarle.
«Credo che prenderò dell’altro gin.»
«Io credo di no» lo ammonì Steve. «Dobbiamo essere entrambi sobri, quando arriverà.»
Jeff aprì la bocca per protestare, ma la richiuse subito. Avrebbe voluto dire “se arriverà” o “ormai non verrà più”, ma le rughe di irritazione che avevano iniziato a solcare la fronte del compare lo convinsero a desistere.
Kevin, il barista, tornava in quel momento dal retrobottega. Raggiunse il suo posto dietro il bancone e depose a terra una cassa di birre, sbuffando. Qualche minuto dopo alcune note leggere risuonarono nel locale e molte teste si girarono di scatto in contemporanea verso l’angolo dove era situato il piccolo palco. Alcuni infilarono meccanicamente una mano all’interno della giacca. Jeff saltò sulla sedia, facendo cadere a terra il suo tris di dieci.
Nessuno si era accorto che una figura era salita silenziosamente sul palco e aveva imbracciato la chitarra appoggiata contro il muro. Tutti gli sguardi erano ora puntati su quell’uomo, che in verità non aveva nulla di eccezionale. Aveva abbandonato il suo cappotto all’estremità del bancone, da cui aveva presto in prestito uno sgabello per trascinarlo fin sul palco. Rimasto in jeans e maniche di camicia, appoggiò una scarpa sullo sgabello e iniziò a pizzicare con indolenza le corde dello strumento. Un ciuffo di capelli neri gli copriva gli occhi, le sue spalle massicce erano piegate in avanti. Dopo i primi accordi, scosse la testa e raddrizzò la schiena. Ora che i suoi occhi erano liberi dalla chioma, si poteva notare che li teneva chiusi. Le sue mani dall’aspetto duro si muovevano con sicurezza. Una melodia malinconica prese a vibrare nell’aria. Strideva veramente tanto con quel posto, ma i presenti la accolsero con un misto di indifferenza e curiosità.
Steve sollevò un sopracciglio e fissò la sua attenzione altrove. Molti degli astanti fecero altrettanto, ripiombando nelle loro precedenti attività. Fu solo quando lo sconosciuto iniziò a cantare che l’attenzione di tutti fu nuovamente e definitivamente calamitata su di lui.
Una voce bassa e profonda quanto le viscere della terra, rassicurante e terribile.

Death doesn’t cry.
Get rid of trouble and ignore pain.
Unexpected come and strike,
unpitifully,
unremorsefully.
Take your life and turn back
into shadows,
his Realm.*

Al ritornello si susseguirono lunghe strofe che cantavano l’azione liberatrice e crudele della Morte. Di tanto in tanto una nota improvvisa rompeva il ritmo dimesso della canzone e colpiva i presenti come un colpo di frusta, come il soffio stesso della morte. Molti rabbrividirono senza riuscire a distogliere le orecchie da quella voce. Le mani di Jeff tremavano più che mai e persino Steve teneva gli occhi chiusi con forza. I volti delle poche donne presenti guardavano adoranti verso il palco.
Il sedicente cantante non volse lo sguardo alla sua platea nemmeno una volta. Sembrava quasi che si crogiolasse nell’atmosfera rapita e terrorizzata che causavano le sue note. La sua voce si spense su un’ultima nota e la musica tacque.
Nell’istante in cui le parole cessarono, Kevin camuffò un sospiro con un colpo di tosse e riempì un bicchiere con del liquido trasparente, dal quale si sprigionò subito una densa nuvola di vapore. Lo lasciò sul bancone, accanto al cappotto, e tornò alle sue faccende, aprendo la cassa di birra il più rumorosamente possibile. Il cozzare del vetro delle bottiglie riscosse i gentiluomini presenti, che voltarono le spalle al palco con una serie di borbottii irritati.
«Allora, metti giù le tue carte, sì o no?» brontolò Steve.
Jeff lasciò cadere le sue carte come se si fosse scottato e poi si portò una mano al taschino, estraendo un pacchetto di sigarette che aveva tutta l’aria di essere stato compresso da una mano nervosa. Mentre lui estraeva a fatica una sigaretta dal pacchetto malmenato, Steve girò la sua misera coppia di regine e imprecò ad alta voce. Chinò la testa ed iniziò a mischiare le carte con gesti talmente stizziti che sembrava che ognuna di esse gli avesse fatto un torto personale. Jeff, invece, si era appoggiato contro lo schienale alto della sedia; era appena riuscito a portarsi una sigaretta alla bocca, quando i suoi nervi vennero messi nuovamente alla prova dall’entrata nel suo campo visivo di un cappotto, che qualcuno aveva lanciato sulla spalliera della sedia libera tra lui e Steve.
Un secondo dopo una mano portava un accendino all’altezza del naso di Jeff e ne faceva scattare la pietra focaia. Colto alla sprovvista, il poveretto si ritrasse sulla sedia, riuscendo a trattenere la sigaretta con i denti.
Steve alzò la testa di colpo e si ritrovò, suo malgrado, a sgranare gli occhi.
«Sei il tizio della canzone.»
Non aveva notato per niente i suoi spostamenti.
«Sono il tizio della canzone» confermò il nuovo venuto.
Appoggiò con cautela il suo bicchiere, che teneva dal bordo, poiché evidentemente la bevanda, qualsiasi cosa fosse, doveva essere molto calda. L’altra mano reggeva ancora l’accendino, la cui fiamma stava ormai per estinguersi.
Steve sollevò un sopracciglio, scoccando poi a Jeff un’occhiata severa. Il compare la intercettò e annuì, come se si stesse imponendo da solo di darsi una calmata. Dopo aver deglutito a forza, trattenne la sigaretta con la mano, si avvicinò e aspettò che lo sconosciuto facesse scattare nuovamente la pietra focaia. Appena uno sbuffo di fumo segnalò l’accensione del tabacco, Jeff si ritirò. La sorpresa gli aveva attaccato la lingua al palato, cosicché non poté neanche ringraziare, se mai avesse avuto intenzione di farlo.
L’uomo non parve offeso. Conservò l’accendino nella tasca dei jeans e si accomodò sulla sedia dove giaceva il suo cappotto. Con tutta la calma di questo mondo prese il suo bicchiere e iniziò a sorseggiare.
«Questo posto è occupato» lo avvertì Steve.
«Lo era» rispose l’uomo, riappoggiando il bicchiere sul tavolo senza produrre il minimo rumore. «Per me.»
Steve aggrottò la fronte, fissandolo accigliato per diversi istanti, prima di capire che quello era l’uomo che lui e Jeff avevano aspettato per tutta la sera. Si esibì in un cauto «Oh» e mise via le carte in un angolo del tavolo. Jeff iniziò a tossire, ma nessuno dei due gli prestò attenzione. Steve era impegnato a studiare il volto dell’uomo accanto a lui. Il suo viso, come le sue mani, aveva qualcosa di duro e aggraziato allo stesso tempo. La sua nuca era nascosta da folti capelli neri, un ciuffo dei quali gli ricadeva sulla fronte. I suoi occhi erano d’un castano molto chiaro, ma né il suo sguardo né l’espressione ferma del suo volto emanavano calore. Le guance erano ruvide di barba non rasata. Steve gli poté dare tra i trenta e i quarant’anni, senza tuttavia riuscire a decidere se fosse più vicino agli uni o agli altri. Guardandolo intensamente, si aveva la vivida ed inquietante impressione di trovarsi faccia a faccia con una tigre che scruta da lontano la sua preda.
«Ho saputo che volevate parlarmi.»
Solo allora Steve si rese conto che lo stava fissando come un idiota. Emise un lieve colpo di tosse per darsi un contegno. Durante l’attesa aveva pensato a qualche commento stizzito da riservare al loro ritardatario ospite, ma in quel momento tutte le frasi che gli si formavano nelle mente scivolavano via un attimo dopo. Deglutì a vuoto, decidendo di andare subito al sodo.
«Abbiamo un affare da affidarti.»
Scoccò una nuova occhiata a Jeff, che appoggiò la sigaretta quasi integra sul posacenere al centro del tavolo e annuì un paio di volte.
«C-ci hanno detto che sei un professionista.»
Il loro interlocutore non sembrò aver niente da ribattere.
«È il genere di lavoro cui sei abituato» proseguì Steve. «Ecco, questo è lui.»
Tirò fuori dall’interno della giacca una fotografia piegata in due, la appoggiò sul tavolo e la fece strisciare sulla sua superficie, in direzione dell’uomo. Questi non la degnò neanche di uno sguardo, continuando a tenere i suoi occhi felini fissi su Steve.
«Abita al 312 di Humpty High. Ma la casa è super protetta. Potresti…»
«Lascia risolvere a me questo problema» lo interruppe l’uomo.
Aprì pigramente la foto e la osservò per qualche istante, prima di richiuderla e rimetterla sul tavolo. Steve e Jeff attesero in silenzio, quasi trattenendo il respiro.
«Walter J. Coughly» sentenziò infine l’uomo, sollevando lo sguardo dalla foto per posarlo a turno sui due, che annuirono contemporaneamente.
Steve aveva la risposta pronta. Se l’uomo gli avesse chiesto altre informazioni o, peggio, il motivo, lui avrebbe dovuto scartarlo. E scartarlo avrebbe implicato di conseguenza la sua sparizione. Jeff aveva iniziato a tamburellare con le dita sul tavolo e ora anche la fronte di Steve luccicava di una patina di sudore.
Il loro ospite allungò una mano verso il suo bicchiere e bevve lentamente un altro sorso. Sembrava divertirsi a creare tensione. Si rigirò il bicchiere fra le mani, con lo sguardo sul liquido trasparente all’interno. Dopo un paio di minuti di riflessione, inclinò la testa in avanti, in un tacito assenso.
Steve si sentì spiazzato. Quell’uomo aveva riconosciuto Walter Coughly, non poteva ignorare che si trattava di un pezzo grosso. Avrebbe dovuto sapere che era protetto ventiquattr’ore su ventiquattro e che anche solo avvicinarlo si sarebbe rivelato molto rischioso. Gli sovvenne l’improvviso dubbio che quell’uomo fosse pazzo; ma gli avevano assicurato che era in gamba nel suo mestiere, perciò cercò di scacciare quel pensiero. Si disse che, anche se fosse stato realmente pazzo, per lui non contava. L’importante era che avesse accettato l’incarico e lo portasse a buon fine. La questione era talmente urgente che non poteva nemmeno permettersi di discutere il prezzo.
«Ottocento sterline» mormorò l’uomo, con l’aria di chi fa una gran concessione.
Steve deglutì, ignorando Jeff, la cui bocca si era spalancata in maniera a dir poco comica.
«Quasi tutti i giorni va al White Rose Garden. Mai da solo. Si intrattiene a parlare con chiunque incontra» riferì precipitosamente Steve, quasi temesse che l’altro potesse cambiare idea.
Al contrario, emise un verso indecifrabile e continuò a rigirare il bicchiere tra le mani.
«Avrai un anticipo, naturalmente» si affrettò ad assicurargli Steve, non sapendo come interpretare il suo apparente disinteresse. L’uomo sorseggiò un altro po’ del liquido trasparente che aveva nel bicchiere e lo posò sul tavolo. Sembrava talmente immerso nei suoi pensieri che Steve temette che non lo avesse udito.
«Trecento sterline» ribatté invece, alzando lo sguardo.
«È andata» rispose immediatamente Steve, trattenendo a stento un sospiro di sollievo. «Li lascerò a Kevin. Lui ci fa da contatto.»
Il loro ospite si alzò, si infilò il cappotto e si aggiustò le maniche. Dopodichè prese la fotografia, la piegò un’altra volta e se la infilò in una tasca. Stava per voltare loro le spalle, quando Steve lo richiamò e Jeff mugolò il suo disappunto.
«Come dobbiamo chiamarti?»
L’uomo si sollevò il colletto del cappotto e rimise sotto il tavolo la sedia che aveva usato con una lentezza che Steve trovò irritante. «La gente» - replicò in tono atono, con un’ultima occhiata ai due - «mi chiama Thanatos.»
Senza aggiungere altro, si infilò le mani in tasca e puntò verso la porta del locale.
«Thanatos?» ripeté Jeff, dopo essersi assicurato di averlo visto uscire. «Che razza di nome è?»
Steve si strinse nelle spalle e si adagiò sulla sedia con un verso stanco. Jeff guardò tristemente la sua sigaretta ormai consumata e poi afferrò il bicchiere mezzo pieno che Thanatos aveva lasciato, portandoselo con avidità alle labbra. Ne aveva bevuto appena un sorso, quando iniziò a sputacchiare.
«Questa è acqua calda!» protestò.
Steve sollevò su di lui uno sguardo vacuo e stupito.


* La Morte non piange. / Elimina le pene e ignora il dolore. / Giunge all’improvviso e colpisce, / senza pietà, / senza rimorso. / Prende la tua vita e torna / nelle ombre, / suo Reame.

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Esteliel