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Autore: y3llowsoul    10/02/2010    5 recensioni
Don e Charlie litigano, ma il loro argomento diventa piuttosto marginale quando un folle omicida entra nel CalSci. Corta storia, solo quattro capitoli.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caos 3

Mille grazie per le vostre recensioni! Siete troppo gentili!
Eccola la prossima parte. Spero che vi piaccia!

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Mentre l’aria ancora esplodeva con scoppi assordanti, una spada bollente si conficcò nella spalla sinistra di Charlie. Vedeva tante stelle che danzavano davanti ai suoi occhi. Barcollò facendo qualche passo indietro finché non urtò contro la lavagna. Quando la sua schiena vi urtò contro, la nebbia cominciò a dissolversi e lui capì che non era più lo scoppio dei proiettili a rimbombare nelle sue orecchie, ma le urla di panico e il gridare dei suoi studenti.
Punti neri riempirono il suo campo visivo. Il caldo gli salì alla testa, nella quale all’improvviso sembrava abitare uno sciame di api. Ad un tratto, le sue gambe sembravano così molli che Charlie non credeva potessero più sorreggere il suo peso e quello dello sciame d’api. Aveva appena formulato quel pensiero che constatò di essere seduto sul pavimento, appoggiando alla parete.
Cosa sta succedendo? si chiese. Nella sua testa, c’era una confusione enorme. Un caos, pensò Charlie e si meravigliò del fatto che non rise per il gioco di parole. In un secondo momento, però, si rese conto che non c’era nessun motivo per ridere. Qualcosa andava maledettamente male: il caos non era solo nella sua testa, ma anche nel mondo reale. Aveva appena tenuto la sua lezione, no? Come poteva essere cambiato tutto così velocemente?
Finalmente, la sua vista si schiarì abbastanza per poter distinguere la figura vestita di nero sulla soglia della porta; la figura che stava tenendo una mitragliatrice puntata su di lui.

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«Eppes! Un nuovo caso per lei».
Don alzò la sua testa e vide il suo superiore, Walt Merrick. Non era sicuro di aver capito bene. «Scusi?»
«Un nuovo caso, Eppes. Per il suo team».
«Ma, Signore» provò a contraddirlo Don scambiando un breve sguardo con il team che ascoltava la discussione con interesse. «Abbiamo già un caso: il cadavere sparito» In realtà, però, avrebbe voluto chiedergli se al A.D. mancasse qualche rotella.
«Lo so, Eppes. Ma gli altre squadre sono impegniate e il tempo vola». Don pensò che Merrick avesse voluto dirgli che Don stesse finalmente zitto e ascoltasse.
L’agente, infatti, ingoiò un commento e il suo umore scese di qualche altro centimetro. Grandioso. Il direttore non soltanto lo aveva ammonito, ma pensava anche che il loro caso non fosse affatto importante. Davvero grandioso.
«Di che cosa si tratta?» si informò tentando di non suonare troppo burbero.
«Un folle omicida» lo informò il direttore. «Questo pazzo ha nelle sue mani circa 20 persone; fino ad ora ha sparato sei o sette colpi, tutti a breve distanza l’uno dall’altro e probabilmente tutti con la stessa arma. Uno SWAT-team è già stato informato della situazione. Si sta evacuando l’edificio in questo momento, eccetto gli ostaggi, naturalmente».
Un folle omicida, ma che bello. Voleva dire che avrebbe dovuto, nel migliore dei casi, evitare che un folle causasse un bagno di sangue. Questa giornata andava veramente di male in peggio.
«E dove?» volle sapere tentando di non sembrare troppo nervoso ed infastidito.
«Nella “California Institute of Science”».


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«Nessuno si muova! Mani in alto! Tutti!»
Charlie tentò di obbedire, ma non ci riuscì. Il suo braccio destro fece prontamente ciò che gli era stato domandato, ma, per quanto importante fosse, non poteva muovere quello sinistro. In realtà se non ci fosse stato il dolore, non avrebbe neanche saputo se il suo braccio fosse ancora attaccato al resto del corpo.
L’uomo armato gli si accostò, la faccia deformata da un ghigno terribile. La maschera del diavolo.
«Lascia le mani in basso, Eppes. Sono un uomo generoso». Abbassò di poco l’arma, comunque puntata verso Charlie.
«Tanto tu non puoi farmi ancora più male».
Il ghigno prepotente sparì e fece posto a uno sguardo minaccioso che annunciava un malanno.
«I tempi in cui regnava il tuo potere sono finiti».
Charlie si chiese se quell’uomo avesse preso quella frase da qualche videogioco, poi il suo pensiero fu distratto da altre riflessioni. I tempi della tua potenza sono finiti? Cosa voleva dire? E in ogni caso, chi era quel tipo? Cosa voleva?
«Cosa significa tutto questo?» osò chiedere, tentando di racchiudere in quell’unica domanda tutte quelle formulate con poca chiarezza nella sua mente. In effetti non sapeva se avrebbe avuto ancora l’opportunità per chiedere qualcosa.
Il matto parve leggere i suoi pensieri. «Non ti ricordi di me, vero, Eppes? Mi hai rimosso? Ma non temere: te lo dirò chi sono io. Saprai tutto a tempo debito. Lo sai, è a causa tua se non ho superato l’esame, Eppes».

Ora era tutto era chiaro. Col cavolo che è chiaro disse una voce nella testa di Charlie. Va bene, questo però dà la risposta ad almeno una domanda la corresse poi una seconda.
«Phelps. Matthew Phelps» disse Charlie con calma.
Si era ricordato infine chi era quell’uomo. La nebbia si era diradata completamente anche se i contorni del suo campo visivo continuavano ad avere un’aura insolita. Possibile che stesse davvero accadendo tutto quello? Vide le facce pallide dei suoi studenti che tenevano le mani tremanti sopra le loro teste, la nuda paura nei loro occhi; e in qualcuna delle mani alzate c’erano ancora una o due penne biro. E vide almeno cinque fori d’entrata nelle mura. Era tutto così irreale…
Poi sia la sua spalla dolorante sia la voce minacciante di Phelps lo catapultarono di nuovo nella realtà.

«Oh, allora ricordi. Credimi: è davvero bello che questo sia reciproco! Perché anch’io mi sono spesso ricordato di te».
Non continuò e dopo qualche momento Charlie si sentì sicuro per tornare alla carica. «Sì?»
Tutto questo era uno show. Phelps voleva solo comparire, Charlie lo sentiva. Aveva progettato tutto. Voleva vedere soffrire il suo professore di una volta. Charlie era solo una marionetta nel copione scritto da Phelps e lui farebbe attenzione che fosse rispettato fino alla fine. Stava giocando con lui. E Charlie aveva un preciso presentimento: questo era un gioco di vita e di morte.
«Sì» rispose Phelps perversamente soddisfatto «Ed ogni volta mi sono chiesto come sarebbe stato meglio farti soffrire prima di ucciderti».
Charlie deglutì; non poté reprimere quel gesto. Però, la saliva non arrivò al suo stomaco: la sua bocca era secca.
«Paura?» lo schernì Phelps, sogghignando diabolicamente.
Charlie sentiva i brividi che gli correvano giù per la schiena.
«Bene: la prima parte è conclusa».
«La prima parte di che cosa?» chiese Charlie il più freddamente possibile. Non era veramente nel suo interesse che la sua voce suonasse tanto distaccata.
«Della tua tortura – o pensi che io ti voglia fare fuori così? No. Tu devi soffrire, come ho sofferto io».
Fece una piccola pausa nella quale si voltò, poi continuò con tanta più convinzione e violenza, ché Charlie trasalì nonostante tutto il suo autocontrollo. «Mi hai umiliato, Eppes, davanti a tutta quella gente! Tutti hanno potuto vedere che non ce l’ho fatta, per causa tua! E adesso io umilierò te

Quindi è tutto finito, pensò Charlie in modo cupamente umorismo e sarcastico mentre Phelps lentamente si avvicinava a lui.
«Guairai per la mia grazia» sibilò. «Pregherai per la tua vita. Ti umilierò davanti ai tuoi studenti, come tu mi hai umiliato davanti ai miei compagni!»
Charlie avrebbe voluto contraddirlo, ma la paura lo prese. Aveva un terrore folle di irritare Phelps in qualche modo, di farlo arrabbiare tanto da perdere il controllo e sparargli. E aveva paura che Phelps prima o poi avrebbe sparato lo stesso.

Datti una regolata, si costrinse disperatamente Devi mantenere i nervi saldi. Non devi provocarlo. Devi…
Il suo ragionamento si fermò bruscamente. Non sapeva cosa doveva fare. Il panico minacciava di travolgerlo, ma lo respinse e tentò di agire con logica.

C’è sempre una possibilità, tentò di persuadersi. Deve esserci qualcosa che si può fare. Cosa farebbe Don?
Don avrebbe tentato di travolgere Phelps? Probabilmente no, avrebbe potuto mettere in pericolo gli altri in quel modo.

Ad un tratto, la soluzione balenò davanti a lui: Don avrebbe fatto continuare a parlare Phelps finché non sarebbe giunto un aiuto. Sì, era esattamente quello che avrebbe fatto Don al suo posto.
Se anche Don avrebbe avuto un nodo alla gola?

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