Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    13/02/2010    6 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Heart burst into fire_Episode 26
Titolo: Rosa canina
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 5114 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Jason Mustang, Edward Elric
Genere: Slice of life, Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ A CONTEST, A ROSE AND A STORY ][ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 26: “ROSA CANINA”

Originariamente le rose erano tutte bianche ma un giorno la dea Venere,
mentre correva incontro ad uno dei suoi innamorati,
mise un piede su un cespuglio di tali fiori e le spine la punsero.
Le rose, bagnate dal suo sangue, per la vergogna arrossirono all’istante
e rimasero di tale colore per sempre.

    Quella che era sorta si sarebbe potuta definire una giornata normale. Un giorno di routine, insomma; una di quelle classiche mattinate che cominciavano sempre uguali, come tutte le altre. Mancavano ancora un paio d’ore all’inizio del mio turno di lavoro e, almeno per una volta, avevo tutta l’intenzione di prendermela comoda. Ed era proprio per quel motivo che mi trovavo a letto, avvolto nel mite tepore che il piumone, le lenzuola e il corpo del mio compagno mi donavano.
    Lui sonnecchiava ancora piacevolmente, mugugnando solo di tanto in tanto frasi sconnesse nel dormiveglia; tutto a causa dell’accenno di barba che avevo e che gli pungeva il viso, specialmente quando mi strofinavo contro la sua pelle. Proprio la sera addietro avevamo fatto un bel ripasso dell’ABC, sebbene mi fosse risultato abbastanza difficile far capitolare Edward. Siccome in casa con noi c’era anche Jason, spesso e volentieri era molto difficile poter restare un po’ per conto nostro per coccolarci come si conveniva ad una coppia; sfruttare quei rari momenti era quasi diventata un’arte, se contavamo soprattutto il mio continuo via vai da Central a South City.
    Scossi il capo, avvicinandomi maggiormente al corpo di Edward per riscaldarmi; l’attirai a me e gli cinsi i fianchi, anche se ci guadagnai un ennesimo mugolio infastidito.
    «Roy, pungi», borbottò con voce impastata dal sonno, agitando con fare svogliato una mano per scacciarmi, ma per tutta risposta l’abbracciai più forte, affondando il viso fra i suoi capelli mentre facevo scivolare con lentezza una mano. Gli sfiorai i fianchi e scesi ancora, arrivando a carezzare quella delicata peluria dorata che aveva sulle cosce. Fu quando osai volere di più, però, che una mano d’acciaio mi colpì scherzosamente una guancia. «Vai a farti la barba», m’ordinò categorico, senza però trattenere un sonoro sbadiglio quando pronunciò quelle parole.
    Lo ignorai, limitandomi solo a massaggiarmi il punto colpito prima d’issarmi a mezzo busto. «Non sai che barba e baffi sono il simbolo del vero uomo?» filosofai sarcastico, riuscendo solo a strappargli una risatina divertita.
    Si sciolse senza alcun garbo dal mio abbraccio, raccattando un paio di mutande dal cassetto della biancheria posto accanto al letto. Issandosi a sedere, mi lanciò un’occhiata tutt’altro che accondiscendente. «E dove saresti uomo, cara Oka-san?» mi prese in giro, stiracchiandosi come se nulla fosse.
    Non divenni volgare nel rispondere, lo guardai solo con un sopracciglio inarcato prima di scostare svogliato le lenzuola. «La mia argomentazione è tutta lì», ribattei, alludendo malizioso ad un punto poco al di sotto del mio basso ventre, e Edward sbuffò ilare, facendovi guizzare gli occhi per andare a recuperare la divisa.
    «Non prova nulla», replicò, schioccando la lingua sul palato per provocarmi. «Ed ora, se madame permette, usufruisco per primo del bagno, visto che non sembra intenzionata».
    Presi la prima cosa che mi capitò sotto mano e gliela tirai addosso, imitando alla meno peggio una di quelle scenate da moglie incazzata o gelosa; ma ciò che ottenni fu solo farlo ridere maggiormente quando evitò quella che altro non era che una pantofola, portandosi vicino alla soglia del bagno.
    «Vedi piuttosto di metterti qualcosa addosso, che con l’età che ti ritrovi rischi di buscarti un’influenza», profetizzò in tono di scherno, facendomi una linguaccia come un bambino quando mi vide pronto a prendere anche l’altra pantofola. «Ah, già che ci sei, prepara anche la colazione a Jaz e poi vai a svegliarlo». Detto ciò, si chiuse la porta alle spalle, lasciandomi con quella ciabatta sospesa a mezz’aria come un vero e proprio fesso.
    Borbottai fra me e me per quel suo modo di fare, facendo cadere la pantofola sul pavimento con un tonfo sordo prima di tornare sdraiato; allungai un braccio fuori da quel piumone solo per tastare il comodino dal mio lato del letto, cercando l’orologio d’argento per sbirciare l’orario. Aperto il coperchietto, mi ritrovai a sbuffare sonoramente prima di richiuderlo e abbandonarlo nuovamente là sopra. Non era né troppo presto né troppo tardi, certo, ma la voglia d’alzarmi era diventata pari allo zero. E me ne sarei volentieri tornato a dormire sul serio se uno scalpiccio non avesse richiamato la mia attenzione, facendomi trasalire. Avevo difatti abbassato le palpebre senza nemmeno essermene reso conto, tanto che le riaprii di scatto solo per vedere la figura sfocata di Jason tutta allegra e pimpante. Perché era già vestito se mancavano come minimo ancora due ore alle nove?
    «‘Ka-san, svegliati!» mi richiamò, scuotendomi. «‘To-san ha detto che farete tardi se non ti alzi!»
    Tardi? Ma che diavolo...? Mi puntellai sui gomiti e mi strofinai gli occhi, stando attento che il piumone non scivolasse via.     Un po’ per il freddo, un po’ per amor di decenza. «Jaz, ma che stai dicendo?», gli chiesi, bofonchiando assonnato. Riuscita finalmente a mettere a fuoco la sua immagine, vidi che indossava un pantaloncino nero con tanto di bretelle, e portava una camicia taglia bambino color panna. Intravedevo persino dei calzettoni di lana ai piedi, mentre di scarpe neanche l’ombra visto che era scalzo.
    «Sono le otto», dichiarò in tono solenne, con quelle finte arie da grand’uomo vissuto che stava acquisendo già da un po’. Guardandolo, nessuno gli avrebbe dato sette anni, data la sua scarsa altezza. Ma, se si intratteneva con lui una conversazione su un qualsiasi argomento, sapeva davvero stupire nonostante la sua giovane età.
    Interruppi il flusso di quei miei sproloqui mentali solo quando la mia mente ancora addormentata registrò l’orario; cosa voleva dire che erano le otto?! Mi ero forse riaddormentato sul serio senza neanche accorgermene? «Porcaccia!» masticai fra i denti, sporgendomi oltre il bordo del materasso per rovistare fra la mia biancheria sotto lo sguardo incuriosito del mio moretto. «Jaz, prendimi una divisa dall’armadio, per favore», soggiunsi velocemente, prendendo quel che mi serviva prima d’arraffare il lenzuolo per legarmelo intorno alla vita. Ci mancava soltanto questo.
    Con la coda dell’occhio, mentre mi alzavo, vidi quel piccolo soldo di cacio saltare per tirar via la divisa dalla cruccia, portandomela tutto gongolante quando ci riuscì. Lo ringraziai svelto, avviandomi verso il bagno mentre sentivo i brividi lungo la schiena. Cavoli se faceva freddo, quella mattina!
    «‘Ka-san, stai tremando», appuntò Jaz, con quell’innocente cipiglio bambinesco. «Perché dormi nudo se hai freddo?»
    Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Me lo sentivo. Mi voltai solo di poco, sorridendogli ironico. «Perché Oka-san è un perfetto idiota», replicai semplicemente, guadagnandoci un’occhiata stranita prima che lo invitassi a raggiungere il suo papà per chiudermi in bagno. Non lo sentii protestare né altro; mi giunsero alle orecchie solo i suoi passi che s’allontanavano mentre mi liberavo degli ingombri e mi gettavo sotto la doccia calda.
    Dopo tutto quell’andirivieni, finalmente, ci trovammo alla nostra postazione di lavoro, ognuno dei due nel proprio ufficio. Ciò che mi aveva stupito, però, era il fatto che Edward avesse deciso di portare Jason con noi, ricevendo il suo allegro consenso. Li avevo visti sparire entrambi verso il mio vecchio ufficio, dov’ero sicuro si trovassero tutt’ora insieme alla restante brigata.
    La maggior parte del tempo l’avevo passata a chiedermi cosa stessero facendo - e soprattutto a malmenarmi il cervello sul perché della decisione di Edward -, firmando sì e no un documento su dieci. E dovevo ritenermi fortunato dell’assenza di Occhi di Falco in quell’ufficio; se ci fosse stata lei, di certo non avrei perso tempo a pensare o a non far nulla. Mi ero persino concesso il lusso di sonnecchiare un po’, risvegliandomi solo un bel paio d’orette dopo. In poche parole, quel giorno l’avevo passato dormendo.
    A distrarmi, fu un bussare alla porta e quindi il successivo arrivo di Maes che, come suo solito, non attese nemmeno che l’invitassi ad entrare. Aveva una strana aria divertita dipinta in volto, tanto che non potei fare a meno di chiedermi cosa gli fosse successo di così bello per far assumere al suo viso quell’espressione. Non espressi ad alta voce quel mio pensiero, limitandomi solo ad indicargli d’accomodarsi sulla poltrona dinnanzi alla mia scrivania; invito che, prontamente, ignorò. Ciò che fece, fu stiracchiarsi tranquillamente e gettare un veloce sguardo alle scartoffie, come se stesse soppesando quante ne avessi realmente firmate, e poi guardò me con un sorriso.
    «Vedo che ti dai da fare come al solito», sghignazzò, alludendo a quei pochi fascicoli che si trovavano nel contenitore della posta in uscita.
    Feci finta di nulla, giocherellando distrattamente con la stilografica prima di lanciargli un’occhiata. «Qualcuno deve pur firmare tutti questi documenti, non ti pare?» ribattei sarcastico, alzando appena un angolo della bocca con fare scettico. Se fosse stato davvero per me, in realtà, tutte quelle scartoffie sarebbero rimaste ad ammuffire per chissà quanto tempo prima d’esser prese e firmate.
    Hughes si lasciò sfuggire una sonora risata, scansando infine la poltrona per accomodarsi come l’avevo invitato a fare in precedenza. Giocherellò a sua volta con una stilografica quando la prese, poi, guardando ancora una volta la pila che occupava il lato sinistro della mia scrivania. «Ti conviene muoverti e firmarle sul serio, se non vuoi che te le filtrino a South City», mi tenne presente in tono divertito, allungandosi per batterci una mano sopra. «E lì non ci sarà nessuno a pararti il culo per possibili ritardi».
    Emisi un piccolo sbuffo ilare; seppur non volessi ammetterlo a me stesso, Maes aveva maledettamente ragione. Bene o male ero sempre stato salvato in calcio d’angolo dalla diligente Hawkeye, che trovava qualche scusa anche quando non ne serviva una vera. Lì, invece, ai confini del nulla, dovevo cavarmela da solo. Persino Edward non poteva aiutarmi falsificando la mia firma. «Se sei venuto a dirmi questo, torna a fare il tuo lavoro», gli sbottai contro, anche se con la sua stessa sfumatura nella voce. «Sono già indietro, altre distrazioni non mi servono».
    Maes alzò le mani in segno di resa, abbandonando la stilografica al suo posto prima d’alzarsi. «D’accordo, d’accordo», disse, fingendosi offeso. «Non si può nemmeno salutare un amico».
    Scossi il capo, divertito. Non cambiava mai. Mi fece appena un cenno di saluto con il capo, sgranchendosi in un secondo momento il collo per avviarsi alla porta.
    «Ah, quasi dimenticavo», fece poi, fermandosi proprio accanto alla soglia prima di voltarsi tutto sorridente verso di me. «Auguri».
    «Non è mica il mio compleanno», replicai immediatamente, sollevando scettico un sopracciglio.
    Stavolta, però, non rispose, ma si limitò a rivolgermi un altro sorriso indulgente prima d’agitare con fare divertito una mano, lasciandomi infine nuovamente solo nell’ufficio. Ma che diavolo era preso a tutti? Proprio non riuscivo a capire cosa passasse nelle loro teste.
    Non ci pensai oltre, altrimenti sarei diventato pazzo insieme al loro; mi concentrai invece sul lavoro che avevo da svolgere, tentando di terminarlo il prima possibile. Purtroppo, per l’ennesima volta in quella giornata, fu un insistente bussare a farmi alzare nuovamente il capo. Fulminai la porta con lo sguardo, tamburellando con le dita sulla scrivania. Sarei mai riuscito a lavorare seriamente per una volta? Ne dubitavo altamente. «Avanti», borbottai mezzo insonnolito, attendendo che quell’ennesimo scocciatore si facesse vedere. Restai basito, però, quando una figurina bassa e dalla zazzera mora si fece avanti come se nulla fosse, richiudendosi la porta alle spalle. «Jaz, che ci fai qui?» chiesi immediatamente, tra il severo e il divertito. «Non puoi girare da solo per il Quartier Generale, lo sai».
    Lui si strinse un po’ nelle spalle, tranquillo. «‘To-san mi ha detto di portarti questa», rispose semplicemente, ignorando praticamente le mie parole mentre agitava una busta e s’avvicinava. L’abbandonò sulla scrivania anche se, per farlo, dovette arrampicarsi sulla poltrona per riuscire a posarlo nel suo esatto centro; poi alzò il visino paffutello e mi sorrise, senza aggiungere altro e senza darmi spiegazioni.
    Inarcai finemente un sopracciglio. Che diavolo significava tutta quella storia? Squadrai lui e poi quella busta, afferrandola circospetto. Sul lato a destra, precisamente in basso, c’era la piccola stilizzazione di quella che sembrava una Meillandina. L’espressione scettica che aveva di sicuro segnato il mio viso divenne maggiore. Perché quella rosa, adesso? Aprii la busta con attenzione, quasi temessi di vederla esplodere fra le mie mani; non si poteva mai sapere, conoscendo quel fagiolino di nome Edward Elric. Presi poi quel foglio piegato, aprendolo per rivelare la scrittura del mio compagno. «“Caro Roy”», cominciai a leggere tra me e me, e già da come quella lettera iniziava avrei dovuto diffidare del resto «“Scommetto che adesso ti starai chiedendo il perché di questa lettera anziché l’ovvio uso del telefono”». E certo, chi sano di mente non se lo sarebbe chiesto, visto che ci trovavamo anche nello stesso edificio «“e immagino che starai anche pensando perché ho perso tempo a scriverla e a fartela consegnare da Jaz invece di venire direttamente lì”». Anche questa, in effetti, era una domanda che mi stavo ponendo. «“La vera risposta la conoscerai stasera, questo era solo un espediente per vedere se stavi lavorando o facevi il lavativo. A seconda di quel che mi dirà Jaz, la serata prenderà due ‘pieghe diverse’...”»
    Oh, porca. Smisi di leggere e chiusi la lettera, alzando il viso per guardare in quei profondi e intensi occhioni azzurri il mio moretto. Non poteva essere cattivo con la sua Oka-san, no? Non poteva assolutamente esserlo, vero? «Jaz... che ti ha detto di fare Oto-san, oltre a consegnarmi la lettera?» domandai sulle mie nel temere la risposta, e quel mio timore non tardò ad avere conferma, dato il nuovo sorriso che si era dipinto sulle piccole labbra di Jason.
    Non mi rispose subito, prendendosi il tempo di scendere attento dalla poltrona. Mossa che mi mise maggiormente sull’attenti. «Se Oka-san non lavora vieni subito a dirmelo», iniziò, citando probabilmente a memoria le parole del mio biondino. Ciò che mi mise più in guardia, però, non fu quella sua frase, bensì il fatto che stesse indietreggiando a piccoli passettini, con quel sorriso ancora dipinto sulle labbra. Sorriso quasi bastardo, avrei osato dire. «Che stavolta stasera non gioca», concluse, lasciandosi scappare una risatina ingenua mentre si voltava del tutto e sgambettava verso la porta, veloce come non mai.
    In un primo momento, restai a guardarlo uscire, allibito; poi, quando la mia mente registrò esattamente ciò che aveva detto, scattai immediatamente in piedi ed aggirai la scrivania, rischiando di farmi male e far cadere una montagna di documenti da firmare. «Jason, torna qui!» provai a richiamarlo, anche se sembrava ignorare le mie grida disperate. «Non puoi fare questo alla tua Oka-san!»
    Poco mi importava che, passando per quei corridoi quasi del tutto deserti, qualcuno negli uffici adiacenti potesse sentirmi. Il mio unico pensiero, in quel momento, era il voler acciuffare quel birbante che correva allegro davanti a me e che si voltava solo di tanto in tanto, quasi si divertisse a vedere come mi affannavo inutilmente per raggiungerlo.
    Mi fermai solo quando lo vidi svoltare l’angolo, non avendo più la forza di stargli dietro. La resistenza non era più quella di una volta, dovevo ammetterlo. Giunti a quel punto, comunque, potevo considerarmi fregato. Jason avrebbe spifferato tutto ad Edward e, fino al mio rientro a South City, potevo anche considerare il sesso come una lontana utopia. Potevo provare a salvarmi in calcio d’angolo, vero, ma il risultato non era comunque garantito. E continuai a formulare assurde ipotesi anche mentre mi incamminavo mogio verso l’ufficio di Edward, luogo in cui si era sicuramente rifugiato quel mascalzone di Jason. Quando lo raggiunsi, posai una mano sulla maniglia, tentennando un po’ prima di farmi coraggio.
    «Auguri!» sentii esclamare in coro a quei pochi presenti che riuscii a scorgere non appena aprii la porta, lasciandomi basito sulla soglia a sbattere le palpebre. E pensare che ero pronto a giustificarmi con il mio compagno chissà come! Lanciando un attento sguardo all’interno, potei benissimo scorgere qualcosa che non quadrava affatto; perché c’era una bottiglia di champagne, sulla scrivania di Edward? Vidi una mano afferrare per il collo proprio quella bottiglia che stavo osservando, riconoscendo soltanto dopo quella di Havoc. La stappò riempiendo dei bicchieri, offrendone a tutti prima d’avvicinarsi a me.
    «Alla salute, Generale!» ridacchiò, bevendo il suo tutto d’un sorso.
    Se fossi stato meno sorpreso, avrei sicuramente ammonito i presenti del fatto di star bevendo in servizio. Però, vedendo anche Jason bere qualcosa che mi parve del succo d’arancia, decisi di chiudere un occhio; che si divertissero pure, se proprio ci tenevano. Ma che mi spiegassero almeno il motivo! «Cos’è tutta questa pagliacciata?» domandai, forse più rivolto a Maes - anch’egli lì presente a non fare un emerito niente - che al mio caro compagno.
    Fu proprio Edward a rispondere, però, bevendo appena un sorso del suo champagne prima di sorridermi, invitante e sensuale. «Ma come, è la festa per il tuo compleanno!» replicò tranquillo, senza dar peso alle risatine degli altri e alla mia aria scettica. Ci si metteva anche lui con quell’idiozia, adesso?
    «Oggi non è il mio compleanno», ribadii ancora una volta, ma nessuno volle prendere in considerazione le mie parole. Persino Jason sembrava essere contro di me, in quel momento.
    In tutta quella baraonda, comunque, nemmeno mi resi conto della mancanza di due ospiti, là dentro; solo in un secondo momento - quando Maes la finì di fare l’idiota e Havoc di darmi divertite pacche sulla spalla tracannando chissà cosa - mi accorsi che all’appello mancavano proprio i due artefici di quella festa-presa in giro. Mi limitai solo a scuotere la testa, tornando ad occuparmi del problema che mi si poneva adesso: quello di interrompere quegl’insensati festeggiamenti prima dell’arrivo dei superiori. Tanto avrei dovuto aspettarmelo, da quel fagiolino. Sicuramente, adesso, o erano diretti verso casa o si trovavano già lì da un bel po’. Dissipato quel casino che si era venuto a creare, altro non mi toccò da fare che tornare nel mio ufficio; e lì tentai di lavorare, sebbene mi fossi sorpreso più volte da solo a sbadigliare senza accorgermene.
    Quando il mio turno terminò, finalmente, fu con rinnovata energia che uscii e andai alla macchina, con l’unico pensiero in testa di tornare a casa e finire quella stramaledetta giornata. Al mio arrivo, però, il resto della famiglia non sembrò dello stesso avviso: non appena infilai le chiavi nella toppa e aprii la porta, venni immediatamente investito da un piccolo tornado in pigiama che portava il nome di Jason. Vidi che reggeva in una mano il piccolo bocciolo d’una rosa bianca, mentre con l’altra si teneva ai miei pantaloni, strattonandoli.
    «Questa è da parte mia, ‘Ka-san», disse con vocina allegra, costringendomi praticamente a chinarmi alla sua altezza per scoccarmi un bacino sulla guancia.
    Dire che ero allibito era poco. Già quella festa per il mio finto compleanno mi aveva destato un qualche sospetto, ma non riuscivo a capire come quegli eventi potessero essere collegati fra loro. Ebbi giusto il tempo di accettare quel piccolo dono che sentii una manina di Jaz afferrare la mia, tirandomi con prepotente innocenza verso la sala da pranzo. E fu lì che restai letteralmente a bocca aperta: al centro esatto del tavolo, costeggiato da qualche piccolo rametto di giunco e da rosei e bianchi fiori di pesco, era esposta la più bizzarra composizione floreale che avessi mai visto. Anche se, dovetti ammetterlo, non ero poi così sicuro di averne realmente mai vista una. Tra la moltitudine di colori e specie di rose lì presenti, si trovavano - attorcigliate a quelle che mi parvero piante rampicanti d’un verde brillante, tenute su chissà come - quello stesso tipo di rose che avevo visto stilizzato sulla busta. Erano tre, forse quattro, d’un rosso paragonabile solo a quello d’una fragola o della mela più succosa; ma restava sempre quel primo interrogativo... a che pro, tutto ciò?
    Abbagliato com’ero da quella vista, mi accorsi solo in un secondo momento che Edward era seduto lì, anch’egli con delle rose in mano. Sembrava un piccolo bouquet di Meillandina, composto da dodici rose rosse e una bianca. Mi guardò con un sorriso, giocando distrattamente con uno dei delicati petali di velluto.
    «É la prima composizione seria che faccio, dovrai accontentarti», mi disse, stringendosi nelle spalle come se volesse scusarsi. «Abbiamo provato a renderla più bella possibile, dopo». Accennò verso di me con il capo, indicando però la figura di Jason. Ecco spiegato almeno il perché della sua aria soddisfatta. Il resto, adesso, sarebbe stato gradito. Edward Elric, però, era Edward Elric, e si limitò quindi ad alzarsi semplicemente; ma non per avvicinarsi a me, bensì per vagare come se nulla fosse accanto a quella creazione artistica, carezzando ogni rosa con finto interesse. Jaz intanto si era stretto alle mie gambe, quasi volesse abbracciarmi o impedirmi di muovermi.
    «Volete dirmi che cavolo sta succedendo?» mi decisi a domandare, sull’orlo di una crisi di nervi. Non ne potevo davvero più, quel giorno. In risposta, però, mi giunsero ben due risate: una di Edward, che aveva cominciato a sistemare ancora un po’ rose e rampicanti; e l’altra di Jason, che si staccò da me solo per allontanarsi e tornare poco dopo con un foglietto colorato. Chiesi mentalmente pietà. Non volevo più saperne di lettere e rose. Solo in seguito mi accorsi che reggeva anche qualcos’altro, un piccolo vaso da fiori decorato e dalla forma tondeggiante. Difficile dire se fosse stato fatto interamente a mano o sfruttando un po’ di sana alchimia.
    «Buona festa della mamma, ‘Ka-san», disse con semplicità, e stavolta dire che ero allibito sarebbe stato un eufemismo. Anzi, feci fatica a credere alle mie orecchie, tanto che mi scappò una piccola risatina che quasi sfociò nell’isterico.
    «State scherzando, vero?» chiesi per l’ennesima volta, quasi sentendo un tic all’angolo della bocca. Non era possibile, mi stavano sicuramente prendendo in giro. Tutto quel da fare era esagerato, c’era qualcosa sotto. Ma quando vidi Jason imbronciarsi ed Edward voltarsi verso di me infastidito, dovetti ricredermi e scartare quell’ipotesi. Stavano facendo sul serio.
    «Sei cattivo, ‘Ka-san», borbottò il mio moretto, avvicinandosi offeso al tavolo per posare lì quegli oggettini che aveva portato, avvinghiandosi ad un braccio di Edward. Adesso mi sentivo in colpa, proprio come un perfetto idiota. E tutto quel profumo mi stava anche dando alla testa. Che cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto ciò? E pensare che, proprio quel mattino stesso, avevo definito quella una giornata di routine. Non l’avessi mai fatto, allora!
    Aggrottai la fronte, vedendo Edward confabulare con Jason a bassa voce, in modo che non potessi sentire nessuno dei due. In realtà non volevo minimamente sapere cosa si stessero dicendo, visto le pieghe che, pian piano, stava prendendo quella serata. Se avevo fatto qualcosa di male, comunque, sapevo già come sarebbe andata a finire: quella spaventosa premonizione che avevo avuto in ufficio, quando Jaz era corso via, sarebbe ben presto diventata una realtà. Ci avrei messo la mano sul fuoco. Dovevo fare buon viso a cattivo gioco, allora. Quindi mi avvicinai ad entrambi, tentando di dar sfoggio ad uno dei miei miglior sorrisi. «Mi hai fatto un bel regalo, Jaz», provai ad ingraziarmelo, non ottenendo però l’effetto sperato.
    Difatti mi guardò giusto un attimo, alzando il viso verso il suo papà prima di farmi una linguaccia, nascondendosi poi dietro ad Edward con fare piccato. «Non stai dicendo sul serio», rimbeccò, e sentii il mio biondino soffocare una risata. Almeno qualcuno si divertiva, lì! Io trovavo quella situazione estremamente irritante, più che ilare.
    «Davvero complimenti, genio», mi sfotté ironico lui, vedendolo sollevare un angolo della bocca in un sorriso più che sarcastico. «E pensare che ci abbiamo messo mezza giornata per farti questa piccola sorpresa».
    I sensi di colpa aumentavano, perfetto. Quel fagiolino sapeva toccare esattamente i tasti giusti. Gli scoccai un’occhiataccia, facendolo soltanto sorridere maggiormente; non gli badai più di tanto, puntellandomi sulle ginocchia per essere quasi alla stessa altezza del mio moretto, semi-nascosto dietro al mio compagno. «Mi ha fatto piacere questo regalo, dico davvero», tentai, ancora una volta, di farmi ascoltare. «Ma non credevo di certo che avresti fatto qualcosa per la festa della mamma, quest’anno». Un bel paio d’anni fa, infatti, era rimasto parecchio confuso a causa della sua maestra d’asilo riguardo questa stessa festa.
    Jaz borbottò qualcosa, per nulla concorde, ma alzò ancora una volta il capo per fissare negli occhi Edward, come se volesse chiedere il suo consenso per chissà cosa. Il mio parere non valeva un bel niente, in quella casa. «Coraggio, dai», gli disse, rassicurandolo. «Ad Oka-san sono piaciuti il regalo e la sorpresa».
    Anche se non sembrò ancora convinto, Jason si allontanò da lui per gettarmi le braccia al collo, affondando il visino nella mia spalla. «Però non devi più dire che scherziamo, ‘Ka-san», bofonchiò, tornando ad assumere quel cipiglio bambinesco che l’aveva caratterizzato sin dalla tenera età.
    Alla mia risatina, si aggiunse anche quella di Edward, che si chinò a sua volta per carezzargli la schiena e abbracciare poi entrambi. «Vi coccolerete dopo voi due, la cena si fredda», ci ammonì divertito, rialzandosi per posare lontano quella gran cesta di rose in cui avevano sistemato la loro composizione floreale. Ne avevano di inventiva, però, bisognava farne atto ad entrambi.
    Adocchiai  la sua figura che preparava i piatti e ci guardava di tanto in tanto, come ad invitarci ad accomodarci. Strinsi ancora un po’ a me il mio moretto, scompigliandogli la zazzera mora nonostante sapessi quanto odiava quel modo di fare. «La prima rosa che metterò nel vaso sarà il tuo bocciolo, d’accordo?» gli sussurrai in tono confidenziale ad un orecchio, spassoso. «Non diciamolo ad Oto-san, però».
    Jason s’allontanò un po’ da me per alzare poi il visino e guardarmi negli occhi, lanciando una rapida occhiata ad Edward che aveva cominciato ora a mettere da bere a tavola. Tornò a guardare me, ritrovando il sorriso prima di portarsi un ditino alle labbra.
    Ricambiai e mi alzai, prendendo finalmente posto a tavola con lui. Me l’ero cavata abbastanza bene, dovevo ammetterlo. E messo poi a dormire Jason, il nuovo sorriso che Edward mi rivolse mi lasciò con una bella scossa d’eccitazione; e non attraversò solo la schiena, quel brivido.
    Mi prese una mano per trascinarmi in camera, non prima di avermi solleticato con fare erotico il palmo con le dita. La serata stava prendendo una piega che mi piaceva, adesso. Dopo avermi fatto sedere sul bordo del letto, posò appena un bacio sulla mia fronte, sfiorandomi le palpebre che lui stesso si era premurato di farmi abbassare; ma potei notare che anche lì, nella nostra stanza, c’era un piacevole odore che riempiva l’aria. Qualcosa di vellutato, poi, mi carezzò la bocca, ma non potei aprire gli occhi per sbirciare perché lui mi ammonì con un “Shhh”.
    Quel piacevole tocco continuò su tutta la curva delle mie labbra, spostandosi su una delle mie gote fino a scendere lungo il petto. Lì si fermò, ma sentii una delle mani di Edward giocherellare con i bottoni della camicia quando mi liberò della fastidiosa giacca che indossavo; riprese poi a far vagare quel qualcosa sulla mia pelle, passandola sul pomo d’Adamo prima di scivolare lungo il petto. Mi ritrovai inconsciamente a sorridere, soprattutto quando, rimasto con il busto nudo, sentii il velluto vezzeggiarmi il capezzolo destro. L’altro, invece, era sotto l’esperta tortura d’uno dei suoi pollici. Fu a quel punto che decisi di infischiarmene del suo divieto e di aprire gli occhi, vedendolo con una delle rose che, in principio, avevano composto il suo bouquet. Allargai il sorriso, reclinando di poco la testa all’indietro quando sentii il mio biondino avvicinare anche le labbra; leccò appena l’aureola con la punta della lingua, alzando poi lo sguardo per fondere i suoi occhi con i miei. Si mise a cavalcioni su di me, subito dopo, tornando a far scivolare sul mio viso quel delicato fiore.
    «Rossa significa passione, se non sbaglio... giusto?» mi domandò, quasi volesse ricevere conferma.
    Mi limitai ad annuire, cingendogli i fianchi per strofinare il naso fra i suoi capelli. «Rossa è passione, esatto», risposi, beandomi di quel dolce contatto che stava sapientemente portando avanti. Tornò a far scivolare la rosa e i suoi petali sulla mia pelle, provocandomi nuove scosse d’eccitazione ogni qual volta ne carezzava un nuovo lembo. Mi fece allontanare in modo da guardarmi in viso e se la portò poi alle labbra, baciandone il centro con fare quasi sensuale; l’afferrò con i denti, subito dopo, chinando il viso verso di me come per invitarmi a prenderla con la mia, di bocca.
    Feci attenzione a non pungermi con le spine mentre ricambiavo quella bizzarra forma d’erotismo, facendo scivolare pian piano le mani alla base della sua schiena. Volevo una standing ovation per me, adesso. Nonostante la situazione mi offrisse qualsiasi cosa su un piatto d’argento, ancora non avevo fatto nulla di troppo spinto, e lui sembrò valutare la stessa cosa, visto che si lasciò sfuggire una piccola risata. Mi toccò la punta del naso e allungò appena una mano verso la lampada sul comodino, creando un’intima luce soffusa quando l’attenuò di poco. Potei notare solo in quel momento che aveva agghindato anche la nostra camera di rose, sebbene fossero in netta minoranza rispetto a quelle della composizione floreale in sala da pranzo. Era un unico tipo, stavolta, esattamente come quello che ancora reggevo fra i denti.
    «E non dire che poi non ti coccolo», bisbigliò, togliendomi finalmente quella rosa dalla bocca per lasciarla sul letto per avvicinarsi al mio viso. Ma, anziché baciarmi, s’alzò e poggiò una mano sul mio petto, facendo in modo che cadessi all’indietro sul materasso.
    Alzai il viso per guardarlo tra lo scettico e il curioso; aveva iniziato a giocherellare per l’ennesima volta con i petali dei fiori presenti in ogni dove, e solo di tanto in tanto mi lanciava una bislacca occhiata. Sorrideva, certo, ma non sembrava intenzionato a finire quel che aveva cominciato con me. Mi puntellai sui gomiti, sorreggendo il mio peso prima di corrugare le sopracciglia. «Beh, che fai?» lo richiamai, provando ad avere la sua attenzione. «Ti fermi qui?»
    Edward mi lanciò un’occhiata, allargando, se possibile, maggiormente il sorriso. Sbadigliava distratto, come se la cosa per lui contasse poco o niente. «Non posso mica esagerare, mammina», replicò, lasciandosi sfuggire una sonora risata. Avrei dovuto immaginarlo che si trattava di uno scherzo. Fare sesso con Jaz in casa per due sere di fila era troppo, per lui.
    Ogni rosa aveva le sue spine, in fondo, e quella canina sembrava non fare eccezione. Peccato che quella che avevo scioccamente raccolto io, avesse anche le zanne e una gran voglia di prendere in giro. Buona festa della mamma avevano detto, eh?








_Note inconcludenti dell'autrice
Quella di oggi è una storia un po' speciale, poiché nata per il contest “A contest, a rose and a story!” indetto da RoyXEd 4ever [Roy Mustung sei uno gnocco], e che si è piazzata sesta classificata nonostante l'avessi io stessa considerata da ultimo posto. Infatti non è una delle migliori che abbia mai scritto, lo ammetto... ma, siccome vi è la presenza di un caro frugoletto che alcuni di voi hanno imparato ad amare, anziché postarla come una shot a parte ho deciso di inserirla qui, in questa raccolta, accumulando le esperienze.
Qual giorno migliore per postare questa storia, se non il giorno di San Valentino anche se c'entra ben poco con la festa in questione? Ma l'amore è amore tutti i giorni, no? Comunque sia, per questa festa ho fatto qualcosa, anche se non è una storia, e si tratta di questo disegno [Happy Valentine's Day?] per un contest su DeviantART. Originariamente quel piccolo sketch sarebbe dovuto essere una one-shot, ma non avrebbe reso esattamente l'idea, secondo me. Quindi, se gli darete un'occhiata, sarò ancor più felice.
Qui di seguito alcune piccole spiegazioni e il commento della giudice:

Commento:
Ti dirò, quando ho letto il titolo sono rimasta un po’ confusa: credevo che tu avessi toppato sull’elemento roseoso, credendo che ti fossi concentrata sulla rosa Canina. Poi ho capito! Il finale mi è piaciuto molto, proprio perché hai spiegato la motivazione della rosa. Ma andiamo con ordine. La storia, sinceramente, mi è piaciuta, ma d’altronde da te non mi potevo aspettare altro. Tuttavia ci sono delle cose che non ho apprezzato granché e, te lo devo dire, non è uno dei tuoi lavori migliori. Perché ho notato troppe ripetizioni. Troppe volte hai scritto “quel giorno?”. Poi ho notato che nei punti in cui ci sarebbero dovuti essere i due punti, c'erano i punti e virgola. Non se siano errori di battitura, dato che il punto e virgola e i due punti sulla tastiera sono vicini, ma credo di no, visto che l'errore è ripetuto molte volte. Per il resto, errori grammaticali o di sintassi non ce ne sono più. Pensandoci non sono riuscito molto bene a capire come fosse la composizione, ma molto probabilmente è colpa mia. L'elemento roseoso è buono, alla fine è proprio la Meillandina - la nostra adorata Meillandina xD - che accarezza la pelle di Roy. Te l'ho detto: una bella storia, come al solito, ma non so perché sono convinta che tu avresti potuto fare di meglio. Grazie mille per la tua partecipazione, è sempre un piacere leggere e valutare le tue storie. Spero tanto che parteciperai al mio prossimo contest. ^^

- 9 punti alla grammatica;
- 8,8 punti all'originalità;
- 9,5 punti per lo stile;
- 8 punti per l'utilizzo dell'elemento roseoso;
- 4 punti al giudizio personale.


NOTE SULLE ROSE:
1. Canina _ Indipendenza, poesia, delicatezza e piacere, sofferenza e dolore
2. Bianca _ Silenzio, purezza, amore spirituale, reverenza, segretezza, innocenza e fedeltà
3. Rossa _ Passione e amore, rispetto e coraggio
4. Bouquet con rose rosse e bianche
_ Regalate insieme significano unità

A presto!



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: My Pride