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Autore: _Pan_    14/02/2010    5 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 11 – Il miglior studente dell'anno
(Mikan)

Quella sera, dopo che ero stata da Hotaru a studiare, mi ero accorta che non era la stessa cosa che con Natsume: insieme a lui era più divertente, anzi con lui tutto era più divertente e più piacevole, ma questo non potevo certo andare a dirglielo; almeno non dopo la confusione che avevo fatto a mensa e tutti gli insulti che gli avevo gridato in tutta una settimana. Con che faccia avrei potuto? Mi vergognavo come una ladra. E poi anche lui avrebbe dovuto chiedermi scusa, dopotutto era andato in giro appiccicato a Sumire in quel modo! Ci eravamo lasciati, ma questo non significava che poteva sentirsi libero di fare il cascamorto con tutte le ragazze che gli capitavano a tiro!
Aprii la finestra, con le lacrime di frustrazione che mi bruciavano gli occhi. «Che idiota!» sbuffai, appoggiando la testa sulle braccia, che avevo piegato sul davanzale, mentre sentivo il vento sul viso. Il tempo cominciava a migliorare, era da un po' che faceva più caldo, ma non riuscivo comunque a gioirne.
«Tutta sola, nel tuo castello, principessa?» seguita alla voce di Natsume, una rosa comparve sotto il mio naso. Lo guardai male: mi stava forse prendendo in giro, chiamandomi principessa e dandomi quella rosa? Mi ricordava terribilmente San Valentino.
Non sapevo bene come reagire a quella rosa, così mi limitai ad annuire e continuare con quel gioco, come facevamo spesso. «Ho cacciato il principe a pedate.» replicai, prendendogli la rosa dalle mani e sedendomi sul letto. «Sai, sa essere davvero un ragazzo scostante e scortese.»
«Avrà pure qualche lato positivo, questo povero principe.» si sedette vicino a me e mi guardò, spronandomi a rispondere. Io alzai le spalle, cercando di mostrare disinteresse, ma non riuscivo a trattarlo male, adesso che eravamo così vicini e che lui sembrava così gentile. Stranamente, non ne vedevo più neanche il motivo. Dimenticavo sempre di essere pessima in questo genere di cose. Aprii la bocca per parlare ma lui mi premette due dita sulle labbra. «Dobbiamo parlare, Mikan.» mi informò, e appena finì di dirlo, provai a ribattere, ma dalle mie labbra uscivano solo suoni incomprensibili, dal momento che lui non si degnava di togliere la sua mano. Alla fine mi allontanai un po'.
«Come pensi di discutere se mi tappi la bocca?» borbottai, aspettando che dicesse qualcosa che avesse il potere di zittirmi.
«Infatti,» cercò di spiegarmi, gentilmente. «io parlo, e tu mi ascolti. Sono qui per chiederti scusa, d'accordo?» mi fece un sorriso a mezza bocca, che non riuscii a non ricambiare.
«E Sumire? Non puoi tenere il piede in due scarpe, Natsume.» incrociai le braccia al petto, aspettando che si giustificasse in qualche modo per il suo inqualificabile comportamento. Insomma, non poteva averci entrambe, doveva scegliere. Tenerci col fiato sospeso, speranzose tutte e due, non avrebbe portato a niente di buono per nessuno dei tre. Il nonno diceva spesso che i triangoli amorosi – quando facevano vedere cose del genere in televisione – non portavano a nulla di buono, e lui ne sapeva sicuramente più di tutti.
Lui roteò gli occhi. «Sumire? Andiamo, Mikan, non essere ridicola!» fu quello che disse, lasciandomi di stucco. Tentai di parlare, ma dalla mia bocca, di nuovo, uscirono solo suoni sconnessi. «È lei che mi si è appiccicata come una cozza allo scoglio dopo che ha saputo che ci siamo lasciati.»
«Davvero?» lo guardai sospettosa: potevo fidarmi di quelle parole, dopo tutto quello che era successo? Accarezzai i petali di quella rosa, mordicchiandomi le labbra, in cerca di una risposta da dargli. . «Se tu mi dicessi cosa ti preoccupa, non saremmo arrivati a quel punto, lo sai?» lo rimproverai, ma lui si limitò a guardarmi con qualcosa che identificai come impotenza, come se fosse dipeso da cause più grandi di lui. «Voglio che ti confidi con me, io lo faccio, ed è perché mi fido di te. Per me, il fatto che tu non lo faccia è indice di scarsa fiducia.» e non esisteva una persona di cui mi fidassi ciecamente più di lui.
«Non essere sciocca, mi fido di te!» mi contraddisse lui, con una certa veemenza, come se il solo pensare che non fosse così, fosse stata la più grossa scemenza che potessi commettere. «Mi hanno solo informato su una missione importante che devo portare a termine a settembre.» era come se gli costasse fatica dirmi quelle cose. Sospirò, dopo aver finito di parlare, dandomi davvero quell'impressione. «Tutto qui.»
«Davvero?» ripetei. Dal suo sguardo mi sembrava sincero, anche se triste per qualche motivo che ancora non capivo. Mi sentii un'egoista e un'idiota per aver fatto quel baccano solo per una cosa così di poco conto, non che le sue missioni non mi facessero stare in pensiero, ma non avevo idea che non volesse dirmelo per non turbarmi. Com'era dolce! «M-mi dispiace.» e mi vergognavo anche di più, per la mia stupidità.
«Sì, beh... anche a me... bocciolo.» sussurrò l'ultima parola, in un misto di sarcasmo e, incredibile, quello che mi parve un lieve imbarazzo. Mi sorrise, quindi e, mentre cercavo di raccapezzarmi, mi abbracciò e il mio cuore fece una capriola Ricambiai la sua stretta, mi sentivo più leggera e pensavo che avrei potuto cominciare a galleggiare. Scoppiai a ridere. «Cosa c'è?»
«Mi stavo solo chiedendo quanto abbiamo dovuto sembrare ridicoli a mensa, l'altra mattina e in questi giorni.» non era una bella immagine, soprattutto perché avevo quasi sempre strillato, ma dovevo ammettere che, col senno di poi, sembrava la scena più divertente che potessi immaginare.
«Beh, potremmo sempre chiarire il malinteso domani.» mi propose, scostandomi i capelli dal viso. Gli sorrisi, quando mi ebbe sistemato la ciocca dietro un orecchio. Si avvicinò a me, e il mio primo istinto fu quello di avvicinarmi a mia volta e chiudere gli occhi. Mi accorsi che aspettavo quel momento da giorni.
Quando fu a un centimetro dalle mie labbra, la domanda che mi premeva uscì, senza neanche che lo volessi davvero. «Sul serio non è successo niente tra te e Sumire?»
«Non so più come dirtelo, Mikan, il solo pensiero mi mette i brividi, e – per inciso – intendo brividi di disgusto.» non c'era irritazione nel suo tono di voce, stranamente. «Qualche altra domanda? Falle tutte adesso, non credo che ti lascerò parlare, tra un po'.» scossi la testa, al suo sorrisetto malizioso, circondandogli il collo con le braccia prima che posasse le sue labbra sulle mie. Mi abbracciò stretta, come se volesse chiarire il fatto che non mi avrebbe più lasciata andare. Quando si staccò lo attirai di nuovo verso di me per il colletto della camicia. «Devo dedurre che...» si interruppe per baciarmi di nuovo. «...stiamo di nuovo insieme?»
«Non lo so.» ammisi, suscitando un suo sospiro esasperato, ma non ebbi il tempo di aggiungere altro perché venni interrotta di nuovo dalle sue labbra. E non potei fare a meno di pensare che succedeva sempre tutto in camera mia.

Mugolai, quando la luce del sole mi svegliò. Mi stropicciai gli occhi, mentre sbadigliavo sonoramente e mi stiracchiavo. Col gomito urtai qualcosa e sentii un gemito di dolore, mi voltai e vidi Natsume, che si spostava sotto le coperte.
«Era il buongiorno, Mutande-a-Pallini?» mi chiese, con una smorfia. Mi stropicciai gli occhi senza controbattere: non avevo nessuna voglia di mettermi a discutere, soprattutto perché avevamo fatto pace da poche ore.
«Scusa!» strillai, poi, allarmata, vedendo che si massaggiava il braccio. Lui mi fissò, tremendamente perplesso, come se stesse fissando un alieno o gli avessi appena detto di essere una macchinina telecomandata. Poi fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: mi afferrò una codina e mi tirò verso di sé, cosa che suscitò in me la curiosità di sapere che intenzioni avesse. Mi guardò dritto negli occhi e per un attimo l'intensità del suo sguardo mi mise in imbarazzo. «Che... che c'è?»
«Niente.» la naturalezza del suo tono mi lasciò di stucco, ma non mi lasciò molto tempo per sorprendermi, dato che l'unica sensazione che un momento dopo riuscii a percepire era quella delle sue labbra sulle mie. Se ripensavo ai giorni che avevamo passato a litigare, mi sembrava che fossero frutto della mia immaginazione. A vederci così, non sembrava neanche possibile.
Lo abbracciai stretto, stringendo le mani sulla sua camicia, dopo che ci separammo. Quando aprii gli occhi mi irrigidii all'istante, come se mi avessero appena gettato dell'acqua gelida addosso o mi avessero colato in cemento. «Che succede?» se n'era accorto pure lui. Mi allontanò da sé quel tanto che bastava per guardarmi in faccia. Cominciai a balbettare, indicando la parete opposta a quella dove si trovava il mio letto. Era terribile, semplicemente terribile! Lui guardò nella direzione che gli stavo indicando, ma poi i suoi occhi tornarono su di me, confusi. «Ti assicuro che quella parete è sempre stata così.» scossi la testa, incapace di articolare un suono comprensibile.
«Il calendario!» fu il suono flebile che uscì dalle mie labbra. La sua espressione si illuminò improvvisamente di comprensione e per un folle attimo sperai che possedesse la soluzione a tutti i miei problemi.
«E allora?» ma era un problema solo mio, a quanto pareva. «E' il cinque di marzo. Dov'è il problema?» non riuscivo neanche più a collegare il cervello con la bocca. Era come se fossi stata imbalsamata.
«Natsume!» lo scossi, come se avessi dovuto riportarlo alla realtà. «Iniziano gli esami!» lui inarcò entrambe le sopracciglia, come se quello fosse l'ultimo dei suoi pensieri.
«La cosa dovrebbe turbarmi?» come poteva non essere così? Le budella avevano cominciato a contorcersi appena il mio sguardo si era posato sul calendario, e lui era più tranquillo di uno che prende il sole sulla spiaggia.
«Io non sono pronta.» decretai, alzandomi per assicurarmi che fosse davvero il cinque di marzo: il giorno ufficiale della mia dipartita. Ma era esattamente come temevo. Volevo disperatamente nascondermi da qualche parte, andare in letargo, qualcosa del genere, e rivedere la luce solo nel momento in cui gli esami fossero finiti. Mi venne quasi da piangere. «Natsume ti prego, aiutami!»
«Non ho il potere di controllare il tempo.» mi ricordò, facendomi letteralmente andare nel panico più totale. Non riuscivo a stare ferma, se avessi avuto qualcosa in mano, probabilmente, l'avrei distrutto.
«Non sono pronta per l'esame di matematica!» precisai, con tono stridulo. Lo vidi alzare gli occhi al cielo e ributtarsi sul letto, sbuffando.
«Ti prego, non sottopormi a questo supplizio un'altra volta!» lo guardai supplichevole, sperando di intenerirlo. Lui sospirò pesantemente, distogliendo l'attenzione da me. «Questo non farà bene alla mia sanità mentale.»
«Ti prego!» mi inginocchiai accanto al letto, in modo da trovarmi alla sua stessa altezza. «Un ripasso veloce e generale. Okay?» lo vidi prendere un respiro profondo e inumidirsi le labbra.
«Io posso anche accettare. Ma mi domando seriamente come tu pretenda di fare un ripasso veloce e generale di matematica.» si alzò dal letto e si scompigliò i capelli. «Facciamo così. Io torno in camera mia, tu sbrigati a cambiarti. Ricordati che gli esami cominciano alle tre. Non perderti l'inizio come tutti gli anni.» ancora più scoraggiata, presi dei vestiti puliti e mi diressi in bagno: sperai solo che una bella doccia potesse migliorare la giornata iniziata ben poco come avevo immaginato.

Eravamo nel cortile della scuola, quando tutti gli altri ci raggiunsero; un quarto d'ora dopo, mi sarei ritrovata col foglio del test davanti al naso, ed ero sicura che avrei vomitato. Mi tremavano le ginocchia e non riuscivo a smettere di mordermi la lingua. «Ehilà!» ci salutò Anna, gioviale, agitando il braccio per farsi vedere. Ricambiai il gesto, quasi fossi stata un robottino, rigida come un palo di ferro.
«Qualcosa non va, Mikan?» fu Nonoko a chiedermelo, mentre guardava Natsume con diffidenza, il che mi fece ricordare che loro non sapevano della recente riappacificazione. Ma non riuscii a trovare le parole per spiegarlo, dal momento che il mio vocabolario comprendeva solo l'espressione “esame di matematica”. «Tutto bene?» scossi la testa.
«Esami...» fu la mia risposta, mentre mi torturavo le mani l'una con l'altra. Non ero mai stata così nervosa, o forse non lo ricordavo, ma era tutto peggiore perché volevo arrivare a superare gli altri e vincere il premio per il miglior studente dell'anno! Forse era anche questo che mi metteva in soggezione. E, soprattutto, come potevo sperare di avere un esito migliore di Natsume o Hotaru?
«Oh, dai!» tentò di consolarmi lei, dandomi una leggera pacca sulla spalla che, però, mi fece sbilanciare. Natsume mi afferrò per un braccio prima che cadessi a terra.
«Non avrai la scusa dell'infermeria per non sostenere gli esami, Mutande-a-Pallini.» lo guardai, confusa. Che intendeva? Lui, per tutta risposta, alzò gli occhi al cielo. «Lascia stare.»
«Ho paura.» fu tutto quello che riuscii ad articolare. Lui mi prese per le spalle, tentando, presumetti, di calmarmi o di calmarsi, non capivo proprio bene.
«Mikan, me l'hai detto decine di volte da quando ti sei svegliata.» mi ricordò, esasperato. «Calmati, e andrà bene. È semplice.»
Anna sorrise. «Ha ragione, sai?» mi prese una mano nel tentativo di confortarmi. «Se ti calmi, avrai anche la mente più lucida per affrontare il test. Sei passata tutti gli anni, Mikan. Ce la farai.» annuii, cercando di convincermi che era come diceva lei.
Tutta la calma che avevo faticosamente racimolato, scomparve all'improvviso, quando proprio Jinno-sensei ci distribuì i fogli dei test, informandoci del fatto che la sorveglianza l'avrebbe fatta lui. Stavo quasi per perdere il respiro, a quelle parole. Guardai Hotaru, allarmata, a qualche posto di distanza da me; lei mi rivolse uno sguardo annoiato, alzando le spalle. Fu in quell'esatto momento che desiderai di avere la metà del suo cervello.
Quando girai il foglio del test, tutti quei numeri si incrociarono davanti ai miei occhi e mi confusero. La testa cominciò a girare e misi la prima crocetta completamente a caso. La fortuna aiuta i deboli, giusto? Ci pensai su... forse non era proprio così.
«Sakura?» la voce di Jin-Jin mi riportò alla realtà. «Le risposte non sono scritte sul soffitto.» solo in quel momento mi accorsi che erano già passati dieci minuti e io avevo messo solo la prima risposta. Il panico mi immobilizzò perfino le braccia, mentre guardavo tutti quei segni incomprensibili.
Quando suonò la campanella, ero sicura solo di una risposta, e unicamente perché avevo visto per un istante il foglio di Anna, che si trovava davanti a me. Uscimmo dalla classe e ci fermammo poco più in là. Il mio umore non poteva essere in condizioni peggiori.
«Com'è andata?» chiese, elettrizzata, Nonoko, senza parlare a una di noi in particolare. «Io non sono sicura su alcune risposte, ma nel complesso penso... Mikan, che hai?» sospirai, senza rispondere alla domanda, scornata. Avevo tralasciato alcuni problemi e gli altri... se ci pensavo, mi veniva la depressione.
«Non mettere il dito nella piaga.» le suggerì Hotaru, prima di sollecitarci a raggiungere l'aula di biologia. Sospirai di nuovo, cosciente del fatto che il solo esame che avevo la possibilità di passare con dei voti più alti del miei standard era quello di economia domestica. L'unico lato positivo era che dopo l'esame di biologia ci sarebbe stato il test di lingua giapponese e nient'altro per il resto della giornata. Tirando le somme, potevo anche mettermi il cuore in pace.

Quella sera, a cena, tutti commentavano l'esito del proprio esame. Solamente io e Sumire parlavamo soltanto quando ci interpellavano direttamente. Natsume non sembrava dare peso ai miei potenzialmente disastrosi risultati, e non sapevo nemmeno se dovevo essere offesa per questo.
«Domani, quindi, che test abbiamo?» volle sapere Koko, e domandai a me stessa perché lo stesse facendo, dal momento che sapeva leggere nel pensiero. «Oh, beh, nessuno ci stava pensando!» si rivolse a me, gioviale, e mi irrigidii, sentendomi come se fossi stata scoperta a fare qualcosa di male.
«Chimica, inglese ed economia domestica.» rispose Kitsuneme, che si divertiva a far svolazzare il foglio con gli orari intorno al tavolo. Mi chiesi immediatamente come l'avesse avuto e perché io non sapevo neanche della sua esistenza.
«Ah, quindi state insieme di nuovo tu e Natsume?» fu la domanda di Koko che, di nuovo, doveva aver letto i miei pensieri. Arrossii. Sumire per poco si affogò con la zuppa che ci avevano portato e le diedi delle pacche sulla schiena per aiutarla.
«Tutto bene?» mi interessai, preoccupata, mentre lei mi rivolgeva uno sguardo arrabbiato; potevo capirla, poverina, aveva quasi rischiato di strozzarsi con quella zuppa.
«Se andasse tutto bene tu...» si bloccò, come se volesse disperatamente dire qualcosa ma fosse trattenuta. «oh, lascia perdere!» le rivolsi un'occhiata confusa, incapace di avere una qualsiasi reazione. E non ebbi neanche la prontezza di dire qualcosa, quando si alzò e se ne andò, senza un motivo apparente.
«Le sono andati male gli esami?» mi rivolsi ai miei compagni di classe che mi guardarono come se avessi detto che il giorno successivo, mi sarei presentata in mutande.
«Su smettila di scherzare...» mi fece Kitsuneme, mentre lo guardavo perplessa. Come avrei potuto scherzare sui sentimenti di Sumire?
Koko gli mise una mano sulla spalla, con fare quasi rassegnato. «Non sta scherzando.» io ci capivo sempre meno: era una cosa grave?
«Lasciate perdere.» intervenne Hotaru, alzandosi anche lei. «È impossibile che compia da sola ragionamenti così complicati.» mi sentivo come se non ci fossi. È difficile partecipare ad una discussione, quando non capisci di cosa tratta. Stavo per proporre di andare a cercarla e consolarla, ma Hotaru mi interruppe. «Te l'ho già detto a Natale, Mikan. Lasciala sola quando fa così.»
«Nessuno dovrebbe essere lasciato solo, quando si sente giù.» ribattei, piccata. Se lei non voleva andarla a cercare insieme a me, avrei portato Anna o Nonoko. Improvvisamente, però, sentii una pacca sulla testa.
«Mutande-a-Pallini,» nella voce di Natsume c'era una nota esasperata. «fatti gli affari tuoi.» abbassai lo sguardo. Mi vergognavo terribilmente: volevo forse solo sapere i suoi problemi, e non aiutarla a risolverli?
«Ehi, Mikan!» strillò Nonoko, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa. «Perché non ci scatti una foto con il regalo che ti ha fatto Hotaru per il compleanno?» all'improvviso mi ricordai che portavo la macchina fotografica sempre in tasca, in cerca di un momento da immortalare.
«Sì... ma manca...» ma non ebbi il tempo di finire la frase che Nonoko mi strappò dalle mani la macchina fotografica per darla a un ragazzo e chiedergli di scattarci una foto tutti insieme. Passammo la serata a farci le fotografie; me ne fecero anche una dove avevo la faccia piena del dolce che ci hanno portato perché Koko e Kitsuneme facevano a gara a chi ne lanciava di più addosso all'altro e io ero finita, non sapevo bene come, in mezzo a loro. Era stato divertente, anche perché ci siamo lasciati coinvolgere tutti, tranne Natsume, che ci aveva fatto capire con un semplice sguardo che non si sarebbe prestato a quella “cosa da bambini”, così come l'aveva chiamata lui. A volte penso che sarebbe più felice se imparasse a divertirsi.
Alla fine Misaki-sensei ci cacciò fuori dalla mensa perché facevamo troppa confusione, e scappammo via, disseminando per i corridoi pezzi del dolce, che ci cadeva dai capelli o dai vestiti. E avevo anche fatto la strada a vuoto verso la camera di Natsume, dal momento che mi aveva proibito di varcare la soglia della sua stanza in quelle condizioni.
In effetti, potrei dire che mi aveva avvertita che l'avrebbe fatto, ma io non gli avevo creduto.

Fu il pomeriggio dopo che mi ricordai che gli esami non erano stati solo un brutto sogno. Depressa, mi avviai verso il punto dove ci eravamo messi d'accordo per ritrovarci tutti insieme, prima del suono della campanella. Temevo e volevo, nello stesso tempo, che decretasse l'inizio degli esami. Da una parte, volevo che finissero presto; dall'altra, volevo che non cominciassero mai.
«Buongiorno.» salutai, con umore funereo, quando vidi tutti quanti dietro la porta della classe. Brutto, bruttissimo posto, per stare ad aspettare.
«Ben arrivata!» mi risposero le mie amiche, tranne Sumire che distolse lo sguardo. Avevo la vaga sensazione che ce l'avesse con me per qualche motivo. Aveva forse finito il diario che le avevo regalato? «Dopo possiamo venire a vedere le foto che ci siamo scattati ieri?» fu Anna a parlare, speranzosa. Io annuii: questa notizia aveva già migliorato la mattinata.
La campanella suonò e mi preparai psicologicamente ad affrontare l'esame di chimica, ben conscia del fatto che non ci avevo mai capito niente di reazioni. Ricordavo che si conservava qualcosa, ma non sapevo cosa, a fatica avevo capito i legami e non mi ricordavo quasi nulla delle proprietà della materia.
«Per caso avete un libro dove possa ripassare due minuti?» la mia fu quasi una supplica. Ma, sfortunatamente, nessuno aveva ciò che cercavo.
«È proibito dal regolamento, portare i libri nell'aula dell'esame, sciocca.» mi ricordò Hotaru, superandomi per prendere posto. Che disdetta! Prima che potessi anche solo respirare, il professore si schiarì la voce, invitandoci a prendere posto.
Poi fu la volta dell'esame di inglese, ed era già tanto se io sapevo come si scrive “sì” e “no”. Il solo problema era che non avevo potuto studiare bene, per via di tutte quelle cose che erano successe! Picchiai la testa contro il banco, dopo aver consegnato il compito, finché qualcuno non mi trascinò via, in direzione dell'aula di economia domestica.
Sgranai gli occhi quando lessi che dovevamo preparare riso al curry. Io non avevo mai preparato riso al curry e l'unica volta in tutta la mia vita che avevo tentato di mettere qualcosa di piccante nel pranzo del nonno, si era chiuso in bagno per il resto della giornata e mi aveva pregata di non prendere mai più del peperoncino tra le mani. La cosa che più mi preoccupava, era il fatto che il professore avrebbe chiesto a qualcuno di assaggiare, e io non volevo ripetere la stessa brutta esperienza.
«Su ragazzi, è l'ultima cosa che abbiamo studiato. Ho cercato di venirvi incontro.» ci fece sapere il professore, facendomi rendere conto che la ricetta non c'era vicino alle indicazioni su cosa cucinare. «Lo sapevate che, dal primo anno di superiori, dovete essere in grado di cucinare senza ricetta.» potevo giurare che fosse la prima volta che lo sentivo, ma gli altri sembravano tutti perfettamente a proprio agio. Io e Sumire ci guardammo.
«Da dove vuoi cominciare?» mi chiese lei, prendendo in mano una cipolla e un coltello. Per un attimo mi fece paura con quell'arnese in mano. Il suo tono di voce era estremamente calmo, ma aveva qualcosa di strano che interpretai come ansia per gli esami.
Per non dirle che potevo essere una potenziale rovina per il suo esame, sorrisi forzatamente. «Da dove vuoi tu.» lei inarcò un sopracciglio. Mi sembrò diffidente, e io deglutii rumorosamente.
«Accendi il fuoco e fa' sciogliere del burro, frana.» mi ordinò sbrigativa, rivolgendo la propria attenzione alla cipolla. Gioii quando mi ritenni soddisfatta del mio lavoro. Potevo dire di aver seguito le istruzioni di Sumire alla lettera.. «A fuoco lento, sciocca, altrimenti finirà per bruciarsi!» ecco, appunto.
Circa mezz'ora dopo, cospargevamo il riso di salsa al curry, mentre il professore controllava il nostro lavoro. Era la prima volta che riuscivo a finire l'esame di economia domestica dopo così poco tempo, anche se potevo dire che fosse tutto merito di Sumire: se non ci fosse stata lei insieme a me, probabilmente, non avrei neanche saputo tagliuzzare la cipolla nel modo giusto.
«Sì, va bene.» concesse, facendoci cenno verso la porta. «Potete andarvene.» quasi scappammo tutte e due, e speravo che questo avrebbe migliorato i rapporti fra di noi ma, non appena uscimmo dalla porta, Sumire se ne andò senza degnarmi di uno sguardo. Rimasi a guardarla, del tutto smarrita, mentre si allontanava.

Due giorni dopo, la sera, mi trovavo in camera di Natsume, mentre stringevo convulsamente il mio adorato gattino di peluche, nervosa come non mai. Il giorno successivo sarebbero usciti i quadri degli esami e io puntavo ad essere promossa con dei voti dignitosi, dal momento che al premio avevo rinunciato dal momento in cui il test di storia era apparso davanti al mio naso.
«Se fosse viva, uccideresti quella sfortunata bestia.» mi fece notare Natsume, dalla porta del bagno. Per lui era così facile! «Non pensi di esagerare? Sono solo... esami!»
«Non è così.» ribattei, depressa, mentre giocavo con le zampine del mio peluche. «Non voglio studiare con un'altra classe.»
«Credevo che sperassi di vedere tuo nonno, quest'anno.» alzai lo sguardo su di lui, con l'umore ancora più nero. «Non è così?»
«Sì...» risposi, senza entusiasmo. «ma chi voglio prendere in giro? Sono una frana. Non riuscirò mai a vedere il nonno prima del diploma.» sospirai, girandomi in modo da affondare la faccia nel cuscino.
«Sono certo che ti sbagli.» era carino da parte sua cercare di consolarmi. Sollevai la testa e lo guardai, e lo vidi che cercava di reprimere un sorriso.
«Che ti prende?» gli domandai, non capendo il motivo per cui dovesse sorridere. Già che era un tipo poco incline a queste cose, che lo facesse senza motivo poteva preoccuparmi!
«Niente... niente.» fu la sua evasiva risposta, mentre si stendeva vicino a me. «Domani vedremo.»
«Non credo che riuscirò a dormire.» confessai. Agitata com'ero, non sarei di sicuro riuscita a chiudere occhio, in trepidazione, aspettando che fosse un altro giorno.
«Se vuoi, ho qualche idea per impiegare il nostro tempo in maniera costruttiva.» mi rivolse un sorriso malizioso e capii improvvisamente dove voleva andare a parare. Arrossii, scattando in piedi, all'improvviso.
«Ma come ti vengono in mente certe idee?» strillai, quasi isterica per l'imbarazzo. «In un momento come questo, poi!»
«Ehi, era solo un'idea!» si difese lui, con fare innocente. «Volevo solo aiutarti a rilassarti. Il nervosismo fa alzare la pressione, andrebbe tutto a vantaggio tuo.» quando vide che non accennavo a tornare dov'ero, alzò le spalle. «Svegliami se cambi idea.» emisi un sospiro, prima di stendermi di nuovo. Scherzi del genere mi destabilizzavano il battito cardiaco.

La mattina dopo, io ero ancora nella stessa posizione. Da quant'ero agitata non avevo neanche sonno. La sveglia suonò e sentii Natsume lamentarsi lievemente, prima di girarsi verso di me, gli rivolsi un sorriso tirato in segno di buongiorno.
«Alla fine non mi hai svegliato.» commentò, scompigliandosi i capelli, per poi sbadigliare. Io spalancai la bocca, incredula. Non stava scherzando?
«Ah...» risposi, mordendomi il labbro inferiore. «dicevi sul serio?» tanto per avere una conferma. Lui alzò semplicemente gli occhi al cielo.
«Lasciamo perdere. Non avevi tanta fretta di vedere i quadri? Perché sei ancora in pigiama?» la domanda mi mise un po' in difficoltà. Come spiegargli che non ci avevo pensato? Lui scosse la testa con un sorrisetto sulle labbra. «Su, sbrigati, scema.» comunque fosse, l'aveva capito da solo.
Mezz'ora dopo, eravamo pronti per scendere in cortile. Mandai giù la saliva molto rumorosamente, benché non ne avessi la minima intenzione. «Sono troppo nervosa.»
«No,» mi contraddisse Natsume, come se tutto questo non avesse la minima importanza. «sei troppo esagerata.» forse aveva ragione lui, ma io non stavo più nella pelle e, contemporaneamente, ero terrorizzata.
Presi un respiro profondo, e con questo arrivò anche uno slancio di coraggio. «Corri! Hanno già messo i risultati!» lo trascinai per il braccio e cominciai a correre per tutto il cortile, finché non arrivammo davanti ai tabelloni. Tutti i nomi stampati lassù mi si confusero davanti agli occhi, tanto che quasi dimenticai il mio nome, mentre non sentivo più il braccio di Natsume stretto nella mia presa. Era andato a guardare il lato destro del tabellone, quello coi nomi degli studenti che avevano preso i voti più bassi. Forse voleva cominciare da lì. Io mi diressi sul lato sinistro, dove avrei tanto voluto leggere il mio nome.
«Mikan,» mi chiamò Natsume, facendomi cenno di avvicinarmi a lui. «dove vai? Il tuo nome è qui.» pensai che non avrebbe potuto darmi una peggiore notizia con maggior noncuranza. Sembrava davvero che non gliene importasse niente che neanche quella volta avevo vinto il premio per il miglior studente dell'anno e che non avrei potuto andare dal nonno. A quel punto, tanto valeva aspettare il diploma, sempre se fossi riuscita nell'ardua impresa. Mi immaginavo già annoverata tra gli studenti che avevano messo cinque anni per diplomarsi. Sospirai, affranta.
«Non ci posso credere.» commentai, scornata: non riuscivo mai a combinarne una giusta. «Sono un disastro.» la cosa che ancor più mi deprimeva era che avevo passato questi esami con un voto ancora più basso di quelli a cui ero solitamente abituata. Benché fossero sempre stati bassi, non ne avevo presi mai bassi come quello. Avevo raggiunto il minimo per pura fortuna, ed era senza ombra di dubbio, il risultato peggiore di tutta l'Accademia. Natsume aprì la bocca per dire qualcosa, che io presumetti fosse un commento sulla mia stupidità, dato che il suo nome doveva essere tra i primi. «Risparmiamelo. Ti prego.» la mia voce suonò quasi supplichevole.
«Possiamo andare.» dichiarò, comunque. «Dato che anche io ho guardato i miei risultati.» non mi ero neanche accorta che si era allontanato. Mi diede una pacca consolatoria sulla testa e mi fece cenno con la testa di seguirlo. «Su, forza, ho una cosa da darti.»
«Per tirarmi su il morale?» domandai, camminando di fianco a lui. Non potei non notare il sorrisetto che nacque sulle sue labbra, il che mi incuriosì sulle sue intenzioni. Fece schioccare la lingua prima di parlare.
«Ti ricordi, il giorno del tuo compleanno, a Central Town?» ci pensai un po' su. Ma non riuscii a ricordare molto di quella giornata, a parte il fatto che avevo trovato il mio adorato peluche, che usavo spesso come antistress. Lui alzò gli occhi al cielo. «Mi hai tempestato di domande perché volevi saperlo e nemmeno te lo ricordi?» la connessione con i risultati degli esami non mi era ancora chiara, ma decisi di fidarmi di lui, che ci capiva sicuramente più di me di collegamenti. Però forse...
«Ora che mi ci fai pensare... hai detto qualcosa...» niente da fare, non riuscivo a ricordare molto di più. Lo vidi scuotere la testa, evidente segno di disappunto.
«Mi era venuta un'idea,» annuii: se lo diceva lui, sicuramente era vero. «quando hai parlato di tuo nonno. E allora ho pensato che, forse, potevo fare qualcosa per te.» non sapevo che cosa intendesse, ma suonava veramente carino da parte sua. «Dal momento che sapevamo tutti e due che non saresti mai riuscita ad essere tra i primi di tutta l'Accademia,» sbuffai: e io che avevo anche avuto l'illusione che volesse consolarmi! «ho pensato che avrei potuto farlo io per te.»
«Che intendi?» il senso di quelle parole miera davvero ignoto. Di che aiuto poteva essermi il fatto che lui fosse arrivato, come al solito, tra i primi?
Bussò ad una porta a cui non mi ero neanche accorta di essere arrivata. «Entra.» fu tutto ciò che rispose, mentre la aprivo e varcavo la soglia. Era l'ufficio del Preside della sezione delle superiori. Lanciai a Natsume uno sguardo interrogativo, lui però si limitò a spostare lo sguardo da me al Preside.
«Sedetevi, prego.» ci indicò le poltroncine davanti alla sua immensa scrivania. Mi sentii per un attimo in soggezione, senza neanche capirne il motivo. Si sedette anche lui, e spostò lo sguardo da me a Natsume, ma non mi diede la stessa strana sensazione che provavo quando lo faceva il Preside delle elementari. Strano, avevo sempre creduto che fosse una cosa che succede con le persone di una certa importanza. «Mi è parso di capire, che ci sono dei problemi con il premio per il miglior studente dell'anno.» problemi? Che genere di problemi?
«Precisamente.» intervenne Natsume. Il Preside gli fece cenno di andare avanti. «Mi chiedevo se fosse possibile cedere il proprio premio a qualcun altro.» ma questo fece inarcare le sopracciglia al suo interlocutore e lasciò me costernata: voleva convincere il vincitore a cedermi la sua settimana? In che modo pensava di riuscirci?
«Mai sentito di qualcuno che abbia rinunciato al suo premio.» commentò, appoggiandosi allo schienale della propria poltrona.
«Beh, sono stato io a vincerlo.» spalancai gli occhi, incredula, alla rivelazione. Aveva davvero...? Lui non aveva mai parlato di andare a visitare la sua famiglia, né era mai arrivato davvero primo agli esami, la qual cosa mi lasciava sempre stupita, dal momento che era il più intelligente di tutta l'Accademia. «E vorrei che lo usasse lei.» mi indicò e io rimasi ancora più spiazzata.
«Natsume!» non sapevo se dovessi essere contenta di questo gesto oppure no. «Non starai rinunciando ad andare a trovare la tua famiglia per me?» come potevamo andare dal nonno sapendo che lui aveva rinunciato a tornare a casa per permettere a me di farlo? Non era davvero possibile. Non lo avrei permesso!
«È proprio questo il punto.» spiegò, ma come al solito, io non capii. «Non ho nessuna famiglia da cui tornare.» per la prima volta, mi accorsi di conoscere molto poco questo suo lato. Non sapevo niente della sua vita prima che entrasse in Accademia, mentre a me a volte capitava di raccontargli episodi della mia vita quotidiana, insieme al nonno, oppure una delle mie giornate in compagnia di Hotaru. «In che modo potrei usufruire di questa settimana? Vagando per le strade di Tokyo senza meta? O...»
«D'accordo, Hyuuga. Hai reso l'idea.» lo interruppe il Preside, esibendo un sorriso gentile. «Non è mai successa una cosa simile; ma, in effetti, oggi potremmo fare uno strappo alla regola.» e perché mai? Non che non volessi la mia settimana, però potevano esserci tanti studenti che avrebbero voluto la stessa cosa, e sarebbe stato più corretto se ci fosse stato una specie di test, o qualcosa del genere, per valutare il più meritevole tra tutti, anche se sapevo benissimo che, in quel caso, avrei perso.
Natsume sembrava in qualche modo sollevato dalle parole del Preside, e per un attimo pensai che fosse davvero curioso di conoscere il nonno di cui gli parlavo tanto. Era incredibile pensare che saremmo tornati a casa insieme. Come avrei dovuto presentarlo al nonno che era un tipo all'antica? Ringraziammo il Preside e uscimmo, dopo che aveva firmato qualche foglio per autorizzare questa strana cosa, almeno questo era quello che avevo capito. Chiusi la porta alle nostre spalle e gettai a Natsume un'occhiata incerta. «Perché?» volli sapere, e sperai che la sua risposta rendesse le cose un po' più chiare.
«Non l'ho già detto dentro?» era il suo turno di essere confuso. Non sapevo perché, ma mi sentivo in qualche modo in colpa per il fatto che si fosse impegnato tanto per essere il primo solo per me.
«Avevi una settimana di libertà tutta per te e...» non sapevo bene esprimere cos'avevo nella testa.
«Per fare cosa? Non conosco nessuno fuori da questo posto, e non ho nessuno da andare a trovare che mi interessi rivedere. E poi...» mi parve che riflettesse bene su ciò che stava per dire, ma poi scosse la testa. «no, niente. Lascia perdere.» e, per una volta, feci come mi aveva chiesto.

Quando uscimmo dalla mensa, dopo cena, pensavo ancora a quello che era successo quella mattina e, improvvisamente, mi ricordai che non avevo ancora fatto la cosa più importante. Mi fermai nel bel mezzo del corridoio. Come avevo potuto dimenticarlo?
«Natsume,» lo chiamai, riprendendo a camminare e raggiungendolo. «Non ti ho ancora ringraziato per oggi.» lui alzò gli occhi al cielo, come se questa fosse l'ultima cosa che si aspettasse da me. In fondo, era il minimo che potessi fare.
«Niente smancerie inutili.» mi avvertì, e non sapevo perché, ma questo suscitò il mio sorriso. Mi attirò a sé, ma mi sbilanciai e lui per non farmi sbattere la testa sul muro si era appoggiato a un mobile. Dopodiché sentii uno schianto, e mi accorsi che un vaso era rotto e l'acqua stava bagnando tutto il pavimento. Sembrava quasi che il tempo si fosse congelato, niente si muoveva e avevo una stranissima sensazione: deglutii, sentendo già odore di punizione secolare.
«Che succede?» era, appunto, la voce di Jin-Jin. Guardai Natsume quasi terrorizzata, lui si morse un labbro, nell'evidente tentativo di trattenere un sorriso; a me, invece, tremavano le ginocchia. Ricordavo l'ultima punizione, la preferita di Jinno-sensei: mettere me a inseguire i bidoni della spazzatura vaganti. Natsume mi prese la mano e mi trascinò via, correndo, prima che Jinno-sensei potesse anche solo vederci.
Quando chiuse la porta della sua stanza dietro di sé, scoppiai a ridere – probabilmente per scaricare il nervosismo, ma non ne ero completamente certa – sedendomi sul letto. Lui sorrise e si avvicinò a me. Si accovacciò a terra fino ad arrivare a guardarmi negli occhi. Mi sentii avvampare: mi succedeva sempre così quando mi guardava in quel modo. Però, allo stesso tempo, provai una specie di necessità di stargli vicino: a quanto avevo capito, lui non aveva nessuno fuori dall'Accademia e pensai che, nel mio piccolo, avrei potuto farlo sentire meglio. Decisi che sarebbe stato il mio impegno da lì in poi. Sapere che gli volevo bene, poteva fargli capire cosa provavo io quando pensavo al nonno. Sorrisi: non avrebbe avuto questo problema, quando lo avrebbe conosciuto. «Aspetta di conoscerlo.»
Lui corrugò la fronte. «Chi?»
«Il nonno.» precisai. Eravamo andati dal preside perché lui voleva che usassimo entrambi il suo premio, no? Lui sorrise, come se stesse guardando una bambina che ha appena scritto il suo nome per la prima volta. Mi sentii un tantino stupida.
«E come?» sembrava che fosse la domanda più legittima del mondo, a giudicare dal suo tono di voce. «Il premio vale soltanto per una persona.» rimasi a bocca aperta. Io avevo capito che sarebbe venuto con me. Negli ultimi sette, quasi otto, anni non eravamo mai stati divisi, se non per i tre, quattro giorni delle missioni. Mi sembrava che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato e illogico in questa separazione di una settimana. Improvvisamente, ebbi quasi paura di allontanarmi da lui, come se davvero – come quella volta, durante la giornata della maggiore età – avesse dovuto volatilizzarsi da un momento all'altro. Gli sfiorai il viso per essere sicura che fosse davvero lì. Lui mi fissò, e vidi confusione nel suo sguardo. Si sollevò un po' e sussurrai il suo nome prima che le sue labbra si ritrovassero sulle mie. Persi totalmente la cognizione del tempo e, quando mi accorsi che ci stavamo spostando solo perché la mia schiena venne a contatto con il materasso, mi sembrava che fossero passati solo pochi secondi. Poi si staccò da me, e io aprii gli occhi.
«Mikan...» mi guardava intensamente ed ebbi la sensazione che dovesse dirmi qualcosa di estremamente importante. Poi, però, si morse il labbro inferiore, distolse lo sguardo e appoggiò la fronte alla mia, come se fosse frustrato per qualche motivo. «mi dispiace.» mi chiesi per quale motivo mi stesse rivolgendo quelle parole. Gli dispiaceva per che cosa?
«Natsume?» lo guardai in attesa di spiegazioni, ma l'unica cosa che arrivò dopo fu un altro bacio che mi tolse il fiato. Arrivai alla conclusione che dovesse dispiacergli perché non aveva avuto la possibilità di partire insieme a me per andare dal nonno. O almeno questa era la conclusione più logica alla quale ero arrivata in quel momento. Tuttavia, niente fu in grado di entrare nella mia testa nel momento in cui cominciò a sbottonarmi la camicetta della divisa, mentre sentivo come se avessi potuto andare a fuoco nei punti in cui si fermavano le sue labbra. Sussurrai il suo nome di nuovo, prima che mi zittisse con un altro bacio.

*****

Volevo dire che, dal momento che capitolo 12, di cui, per il momento, so soltanto il titolo e più o meno ciò che deve succedere, non è ancora stato scritto (credo che siano... ehm... cinque righe...) e dal momento che il tempo scarseggia (un po' anche l'ispirazione) causa scuola, non so che giorno potrò aggiornare, ma dal pronostico che avevo fatto all'inizio, il capitolo dovrebbe essere pronto per il 7 marzo, ma dubito di farcela. Penso proprio di arrivarci (a scriverlo, si intende), comunque, dato che non vedo l'ora di scrivere capitolo 17 XD.
Mi impegno a non lasciarla marcire come le altre fanfiction che mi sono ripromessa di finire.

Risposte alle recensioni:

marzy93: ho deciso di spezzare il capitolo (prima era uno intero) per mantenere la suspance XD, e anche per problemi di narrazione, ma è un altro discorso XD. Se Natsume riuscirà a non partire, beh, lo scopriremo nei prossimi capitoli ;). Diciamo che per arrivare a settembre non ne mancano molti XD.
prettyvitto: grazie mille, mi fa piacere che tu segua questa fanfiction! Fammi sapere che ne pensi di questo capitolo.
Kahoko: diciamo che entrambi hanno il loro bel caratterino e quando Mikan si impunta sono guai per tutti XD. Sumire non mi sta molto simpatica, forse è per questo che ciò che emerge di più è il suo lato-piattola, anche se dubito che Natsume potrebbe vederla in modo diverso XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. bella95
2. Erica97
3. Kahoko
4. mikamey
5. piccola sciamana
6. rizzila93
7. smivanetto
8. marzy93
9. nimi-chan
10. sakurina_the_best
11. _evy89_
12. cicci89
13. Luine
14. Yumi-chan
15. Veronica91
16. lauretta 96
17. EkoChan
18. Silli96
19. stella93mer
20. giuly_chan95


E in particolare le new entry:

21. _Dana_
22. simpatikona

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky

E in particolare la new entry:

10. simpatikona

  
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