Disclaimer: i personaggi non sono mia proprietà e non sono
sfruttati qui a scopo di lucro (solo per sadico divertimento personale).
Tema: 19. Sgorgando dai miei occhi, quelle sono lacrime
suppongo. (link tabella)
Note: prima fan fiction di un folle progetto che
sicuramente sarà difficile portare a termine (e comunque ci metterò, tipo, una
vita e metà della prossima), il quale prevede 80 citazioni su cui sviluppare
altrettante storie, più cinque capitoli speciali – cosa avranno di speciale non
lo so nemmeno io a dirla tutta, ma non diciamolo.
2. ambientata basandomi solo sull’anime; saga della
battaglia per gli anelli.
Not a game anymore
Sgorgando dai miei occhi,
quelle sono lacrime suppongo
Se c’è una cosa che ha stupito Tsuna, da quando Reborn
ha avuto la folle idea di mettere in mezzo a questa storia della mafia persone
che non c’entrano niente – compreso lui stesso – è stato il modo in cui tutti
loro l’hanno presa.
Gokudera sembrava niente di diverso dall’entusiasta:
bene inteso, più per la possibilità di “affiancare il Decimo come un braccio
destro deve fare”, che non per il gusto di combattere in sé (forse).
Ma ancora di più – più di Haru e Kyoko che non hanno
mai davvero realizzato la situazione, per fortuna – è stato Yamamoto a
lasciarlo di stucco, affermando con quell’aria spensierata che lo ha sempre
contraddistinto che, perché no, non era male giocare alla mafia.
Tsuna ha sorriso nervosamente quella volta, e si è ben
guardato dal chiarire l’equivoco all’amico; ora lo rimpiange, il candidato al
ruolo di Decimo.
Ora che quello stesso amico – quello che a volte può
sembrare sciocco, superficiale, o come dice Gokudera nient’altro che un maniaco del baseball – respira
affannosamente e non sa se uscirà dalla prigione d’acqua in cui combatte per un
anello di cui non gli interessa nulla.
Solo perché sono amici.
Solo per orgoglio.
Yamamoto è così: è tranquillo, non si arrabbia mai,
sorride sempre – a volte anche troppo, direbbe qualcuno.
Sembra che non prenda nulla seriamente, e che le cose
gravi riescano ad avere per lui un lato positivo che la sua indole fin troppo
ottimista trova sempre in qualche modo.
Una persona così, non dovrebbe impugnare la spada per
causa sua, Tsuna se lo ripete mentre osserva l’amico combattere contro Squalo
come prima di lui hanno fatto con altri avversari i suoi compagni – compagni di
scuola, Tsuna non vuole giocare alla guerra, non gli è mai piaciuto nemmeno da
bambino.
Eppure Takeshi è lì: le scarpe da ginnastica si sono
riempite d’acqua e probabilmente gli darebbe fastidio il rumore che fanno se
non fosse totalmente inudibile a causa di quella stessa acqua che ora gli
arriva sopra la caviglia bagnando i pantaloni, salendo sempre di più – perché
sono le regole del gioco.
Quello suo e di Squalo, che sta ridendo di lui,
sottolineando quanto sia ingenuo.
Takeshi respira, un po’ affannosamente in verità; non
è esattamente il tipo che va nel panico, ma deve ammettere che qualcosa che gli
stringe un po’ lo stomaco al momento c’è.
Non che si sia soffermato troppo su pensieri che di certo
non aiuterebbero, come ad esempio il fatto che l’ultimo colpo avrebbe causato
danni ben più gravi se solo il suo avversario avesse voluto.
Yamamoto non è tipo da cadere nel panico completo, ma
per un attimo il pensiero che l’abilità tramandatagli dal
vecchio sia inutile lo sfiora e lo lascia confuso, gli
fa salire un sorrisetto fra le labbra che non è nemmeno l’ombra di quello
rilassato che ha di solito.
Squalo lo richiama all’attenzione, con quel modo
sguaiato che ha di parlare e Yamamoto scuote appena la testa: se si distrae,
davvero, non sa se sarà in grado di vincerlo quel gioco dalle regole un po’
strambe e che non ha nemmeno afferrato del tutto.
Ah, ho capito!
Si può andare
pesanti, quando si gioca alla mafia!
Nel momento in cui si fa passare un braccio di quello
che teoricamente è il suo nemico attorno alle proprie spalle, Yamamoto non ha
la preoccupazione di dover dare spiegazioni quando uscirà da lì.
Sa che Tsuna capirà, perché l’amico di certo farebbe
lo stesso.
Per questo si concede di prestare tutta la sua
attenzione a sostenere non solo se stesso – il peso sulle gambe sembrava il
doppio del solito anche quando non si era fatto carico di Squalo – ma anche
dell’altro.
Oltre al problema chiamato “mostro” che gli sta
andando incontro e al quale, seriamente, non sa come far fronte al momento; se
si distrae, è solo perché vicino al suo orecchio arriva abbastanza chiara la
voce di Squalo, anche se lì per lì non capisce nemmeno cosa stia esattamente
cercando di articolare.
Sposta lo sguardo su di lui, Yamamoto, lo sente
parlare di orgoglio di spadaccino e la risposta che gli dà alla sua richiesta è
– prima ancora di vere e proprie parole – un sorrisetto nervoso come di chi non
ci crede, che ha sentito avanzare una protesta del genere.
Dopotutto, con la mente semplice che ha o dimostra di
avere, Takeshi si chiede fino a che punto l’orgoglio assuma più importanza di
una vita.
La risposta se la dà da solo quando torna a guardare
di fronte a sé, segno che non è propriamente intenzionato ad ascoltare i reclami
di Squalo in merito.
Probabilmente anche lo spadaccino dei Varia se ne
rende conto, perché rantola qualcosa dopo la quale ciò che Yamamoto avverte di
più è il dolore nel punto in cui Squalo lo ha colpito così forte da sbalzarlo
via.
Nonché il contraccolpo contro la superficie in pietra
su cui si è letteralmente schiantato.
Porta lo sguardo sul punto in cui era prima; Squalo è
seduto, o forse piegato sulle ginocchia, non lo distingue con precisione.
Fissa davanti a sé.
Yamamoto sa che non farà più in tempo, qualunque cosa
decida di fare.
Gli schermi che da fuori permettono di seguire lo
scontro, mostrano qualcosa che li ha lasciati tutti, in qualche modo, sotto
shock.
Gli unici che sembrano aver assorbito l’accaduto
facilmente sono Reborn e Colonnello – che ironia, che i nervi più saldi siano
quelli di due bambini.
Gokudera è immobile, incapace di distogliere lo
sguardo o di pronunciare qualcosa – proprio lui che in fondo qualcosa da dire
ce l’ha sempre; è così preso da quello che lo schermo mostra, che non è nemmeno
accanto a Tsuna i cui occhi sono appena sgranati mentre guardano e forse non
vedono.
È come ricevere uno schiaffo quando non si aspettava
niente di più violento di una spintarella, o un buffetto scherzoso.
Non si nota la differenza, quando Tsuna trema, perché
è fifone e lo fa spesso: ma quella è la paura di una vita strappata davanti ai
tuoi occhi.
Dunque, può finire anche in questo modo.
Yamamoto è fermo lì dove è finito a causa del colpo di
Squalo.
La spada gli fa da sostegno, come il ginocchio
poggiato sulla superficie di terra e pietra; le gambe sono doloranti, il
braccio è ancora sotto l’effetto del fendente ricevuto.
A dire il vero, c’è anche l’occhio che gli fa male.
Takeshi trema, a vederlo di spalle si potrebbe dire di
paura; forse si potrebbe scambiare anche per una risata sommessa e nervosa per
una vittoria in cui inconsciamente non si credeva.
Ma il movimento delle spalle somiglia più ad un
sussulto.
Somiglia più a dei singhiozzi.
Yamamoto non è cambiato: è ancora lo stesso che fa
saltare i nervi a Gokudera perché niente più di uno stupido fissato del
baseball, o che fa cadere le braccia a Tsuna per certe sue uscite che persino
l’amico trova esageratamente ingenue.
È lo stesso che sorride sempre, quello dall’ottimismo
incrollabile.
È lo stesso Guardiano della Pioggia che ha sconfitto
Superbi Squalo; ma quella situazione non la chiama più a quel modo, non la
definisce più scherzosamente “gioco”.
Non esiste nessun gioco, nella mafia.