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Autore: Red_Hot_Holly_Berries    22/02/2010    5 recensioni
È mentre Alfred è in vacanza in Irlanda che fa l'incontro più strano della sua vita: un personaggio molto singolare che dichiara di chiamarsi "Inghilterra". Spinto dalla curiosità, il giovane accetta l'invito di quest'ultimo ad esplorare i segreti dimenticati di quella magica terra, ma scoprirà sulla sua pelle quanto pericolosi possano essere quelle creature fatate in cui nemmeno credeva, e in particolare i sidhe come Arthur...
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Fools’ Gold

Capitolo 1:

Fu quando Alfred pose per la prima volta il piede all’ombra degli alberi che si rese chiaramente conto di non capire cosa ci facesse lì.
Americano DOC, alto, dai corti capelli biondi, occhi azzurrissimi, occhiali Texas, inseparabile giubbotto da aviatore: per quanto brillante studente di una prestigiosa università, faticava comprendere cosa ci facesse lì in Irlanda.
E non a Dublino, o a Belfast, o in una qualche altra città interessante, ma nel bel mezzo del più sperduto nulla, da qualche parte a ovest del paese.
Aveva sempre sentito parlare dei fratelli dei suoi nonni rimasti in madrepatria, ma perché tutto d’un tratto da, appunto, una voce, erano diventati una realtà?
Quando aveva detto ai suoi che quell’estate voleva andare in Europa, non intendeva in quel posto sperduto, ma in Francia, Spagna, Italia, Grecia! Lui voleva andarci con i suoi amici, voleva andare al mare, divertirsi, festeggiare!
Ma a quanto pareva i suddetti parenti avevano deciso di conoscere il sangue del loro sangue, e lui, da eroe qual’era, non aveva potuto far altro che mettere da parte i suoi programmi per far felici gli anziani nonni.
Un brivido corse lungo la schiena di Alfred, mentre questi camminava tra gli alberi, colpito improvvisamente dalla perdita del tenue calore della luce del sole.
Dietro di lui si snodava il sentiero tra i campi che dal retro della casa dei nonni lo aveva condotto lì, mentre davanti a lui si stendeva il bosco.
Ma questo non era come quei boschetti a cui era abituato, di alberelli distanziati regolarmente tra loro, alti e slanciati, dai rami protesi verso il cielo, con prati d’erba ai loro piedi.
Qui il suo intero essere si ritraeva davanti a quegli alberi, alti, imponenti, dalle opulente fronde che pendevano basse, talmente vicini tra loro che queste si intrecciavano quasi nascondendo il cielo.
Il suo sguardo vagava su quel mondo alieno come in un sogno: i massicci tronchi dalla spessa corteccia avvolti da un mantello di muschio; le grandi radici nodose che emergevano dal terreno creando cavità forse usate come tana da qualche animale; il fitto sottobosco di cespugli, felci, arbusti e rami rotti, che quasi nascondeva il terreno coperto interamente da strati e strati di foglie cadute.
Lentamente, Alfred camminava come un sonnambulo lungo un sentiero serpeggiante, sotto una volta di sottili rami carichi di foglie che lo sfioravano gentilmente.
Ogni suo passo produceva un suono morbido, e sentiva il lastricato di foglie morte umido e cedevole sotto le suole, leggermente infossato rispetto il livello degli alberi per il continuo passaggio.
Provava repulsione e attrazione allo stesso tempo, tanto appariva quello un mondo assolutamente diverso, che no, non poteva appartenere alla sua vita, e gli sembrava davvero di essere in un sogno: c’era così tanto, troppo, da vedere, da toccare, da sentire.
Non aveva più idea di dove stesse andando: gli occhi mezzo chiusi, seguiva quel sentierino con passo fermo senza nemmeno rendersene conto, voltandosi su se stesso per cercare di abbracciare quella sensazione nella sua totalità.
Si sentiva come stordito, tanto i suoi sensi erano soverchiati dalla quella moltitudine di immagini, di odori, di suoni, e voleva tanto ridere quanto piangere per la frustrazione di non riuscire a isolarli, a riconoscerli.
Fece ancora un passo, e d’un tratto il sole lo colpì, immobilizzandolo.
Guardandosi attorno, si rese conto che il sentiero costeggiava una piccola radura prima di curvare dolcemente. Non che fosse una gran radura: in quel piccolo angolo di bosco gli alberi erano semplicemente un po’ più radi, ritagliando un pezzo di cielo che facesse da baldacchino.
Eppure…
Eppure le loro fronde parevano curvarsi protettive sul piccolo spiazzo dove verde e lucida erba emergeva dal tappeto di foglie.
Eppure vi era un piccolo ruscello che sbucava dal sottobosco, scorrendo lucente e dolce tra le rocce e i sassi che ne formavano il letto.
Eppure vi era un giovane sdraiato al sole, a fianco dell’acqua, adagiato in un cantuccio tra le rocce e il ceppo di un albero.
Eppure ad Alfred tornarono in mente tutte le storie sul Piccolo Popolo che gli erano state raccontate da piccolo, storie in cui le vite degli umani che incontravano degli esseri fatati venivano per sempre legate ad un altro mondo.
Istintivamente Alfred si nascose dietro il tronco più vicino, continuando però ad osservare il giovane.
Aveva corti e ribelli capelli biondi, che ombreggiavano un viso dai tratti dolci di chi manterrà una parvenza di infanzia per tutta la sua vita, e indossava una camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti color panna, infilata in un paio di pantaloni marrone scuro, a loro volta infilati dentro stivali scamosciati al ginocchio di un marrone più chiaro, fermati, rispettivamente, da una cintura di cuoio lavorato e da alcune fibbie dorate.
Steso sulla schiena, il ragazzo non sembrava essersi accorto di lui, assorbito com’era dalla presenza di un corvo appollaiato sul suo petto, con cui stava giocando a tira-e-molla con un rametto di bacche rosse, tenuto da una parte da due dita e dall’altra da un lucido becco nero.
Il biondo lasciò all’improvviso andare il rametto e il corvo, che stava tirando piantando fermamente la sue zampette artigliate nella camicia, barcollò all’indietro sbattendo le ali, e guardò offeso il ragazzo scosso dalle risate, anche se dalla sua bocca aperta non uscì nessun suono. Una gentile carezza, e l’uccello sembrò perdonarlo, ma mentre stava per assaggiare il suo premio, voltò di scatto la testa e stridendo si levò in un volo in un gran frullare di piume, indicando con un volteggio il nascondiglio di Alfred prima di volare via.
Il giovane, pur colto alla sprovvista, si alzò in piedi con la rapidità di un gatto, e lo fissò negli occhi.
Fu allora che Alfred scoprì quanto il sangue conservi le memorie del passato: sfiorato, trapassato, avvolto, schiacciato, accarezzato, toccato, da quello sguardo di un verde assoluto e totale, senza rendersene conto cercò il trifoglio di legno appeso al suo collo, e lo strinse forte.
Un lento sorriso si allargò sulle labbra del giovane, mentre quei profondi occhi verdi come l’erba attorno ai suoi piedi lo liberavano dalla loro prigionia.
Invece di andarsene, come Alfred si era aspettato, Occhi-verde raccolse da terra il ramo di bacche e lo tese al corvo appollaiato su un ramo sopra di lui, che volò definitivamente via solo dopo aver emesso un gracchio di protesta, venendo congedato da un ampio cenno con la mano di Occhi-verde.
Fatto ciò, il ragazzo si sedette sulla giacca piegata che fino a poco prima aveva usato come cuscino e immerse una mano nel torrente, lasciando che la corrente giocasse con le sue dita, il tutto senza guardare Alfred nemmeno una volta.
Questi, poiché non gli era stato mosso nessun invito ad andarsene, si avvicinò a ragazzo-verde e si sedette poco distante da lui. -Scusa se ti ho spaventato. Non volevo.- esordì Alfred, e finalmente l’altro si girò a guardarlo.
-Non mi hai spaventato. Mi hai solo colto di sorpresa.- disse, corrugando appena le bionde sopracciglia cespugliose, con un tono che contraddiceva l’espressione apparentemente offesa.
Giudicandolo ad occhio e croce più piccolo di lui, l’americano lo aveva anche creduto più giovane, ma guardandolo più da vicino, si rese conto di come in realtà i suoi lineamenti suggerissero una età maggiore rispetto a quella che dimostrava. Per non parlare della profondità di quegli occhi…
Sentendo quella risposta semi-scontrosa, Alfred ritrovò incredibilmente la sua sicurezza, e lo prese in giro come suo solito: -Ceeerto- concordò condiscendente, intendendo “e che differenza c’è?” L’altro lo guardò male, anche un angolo della bocca era ancora piegato in un sorrisino-
-È vero!- rispose stizzito –Non mi ero accorto di te, perciò mi sono sorpreso. Ma non aveva paura perché sapevo che non mi avresti fatto del male.- disse in tono calmo e logico.
E qui la successiva domanda di Alfred era d’obbligo:
-E come facevi a saperlo? Avrei potuto essere un maniaco!- lo sfottè.
-Avresti cercato subito di approfittarti di me. E saresti finito molto male.- concluse, con un ghigno abbastanza maligno.
Silenzio, e poi...
-Chi sei?- parlando con Occhi-Verdi aveva perso parte di quell’inspiegabile timore ed era riuscito a non chiedere "Cosa sei?”, come era stato il primo istinto di fare.
-Puoi chiamarmi Inghilterra.- rispose quello distratto, notando un luccichio sul fondo del torrente.
Alfred scoppiò a ridere.
-Ommiodddio, Che nome assurdo! No, dimmi un nome che non sia inventato.-
Il ragazzo dagli occhi verdi lo guardò molto, ma molto male, senza riuscire però a fargli sparire quel sorriso insolente dalla faccia. -Non ridere, dannazione!- gli ringhiò contro, immergendo il braccio fino al gomito nell’acqua per afferrare qualcosa.
-Non sono solito rivelare il mio nome alla leggera, e soprattutto non senza avere qualcosa in cambio. E in ogni caso io sono nato in Inghilterra, e sono anche cresciuto lì.-
Alfred decise di dargli corda: dopotutto, si stava divertendo.
Ci avrebbe messo molto, troppo a capire quanto quel piccolo inganno lo avrebbe fatto soffrire.
-Hai ragione. Nelle vecchie storie si diceva sempre di non dare il proprio nome se non in cambio di quello dell’altro, no? Io mi chiamo Alfred.-
Occhi-Verdi si voltò di scatto verso di lui, e il suo sguardo si ammorbidì all’improvviso.
-Capisco.- si rigirò tra le dita l’oggetto che aveva trovato, che brillava ai raggi del sole.
-Il mio nome è Arthur.- disse, lasciando che il suo nome gli scorresse sulla lingua come un sorso di whisky. Poi: -Pirite.- osservò, sfiorando con il pollice la pietra nella sua mano.
-L’oro degli stolti. I leprecauni amano imboscarne ovunque, solo per vedere cosa sarebbero disposti a fare gli uomini per ottenerlo.- si rivolse direttamente ad Alfred.
-Faresti bene a non fidarti mai di ciò che non conosci. Non è tutto oro ciò che luccica.-
-Questo comprende te, Arthur?- chiese l’americano, sorridendo.
-Sì. Oh, sì.-
  
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