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Autore: Shichan    28/02/2010    4 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Prova a cogliere qualche suono oltre un rumore meccanico e continuo nel silenzio altrimenti completo della stanza

Lui che non rivolge lo sguardo verso di me

 

From my reflection,

I want perfection.

 

 

Prova a cogliere qualche suono oltre un rumore meccanico e continuo nel silenzio altrimenti completo della stanza.

Qualche attimo prima poteva giurare di aver distinto qualche voce, anche se non era stato in grado di riconoscerle.

Interrompe i pensieri nel cogliere la porta che si apre: si sforza di aprire gli occhi, trovando inizialmente qualche difficoltà, sentendo le palpebre pesanti.

Chiunque fosse entrato, probabilmente aveva colto qualche movimento da parte sua; sente dei passi avvicinarsi.

«Oz…?»

Si sforza di aprire gli occhi, riuscendovi: la vista inizialmente non chiara si focalizza sulla persona al proprio fianco, non impiegando troppo nel riconoscere la figura di Ada.

E, dietro di lei, Gilbert Nightray.

Sbatte appena le palpebre, quasi a metterli meglio a fuoco e vede spuntare un sorriso timido sul viso della sorella: «Fratello, come ti senti?» la sente chiedere.

Sospira piano, chiudendo gli occhi qualche secondo: «Mi… gira la testa.» pronuncia, il tono flebile.

Ada, accanto a lui, si siede: Gilbert, qualche passo indietro, rimane fermo.

Sposta lo sguardo su di lui, Oz, e gli sorride: «Gilbert, com’è andato il concerto?» domanda.

Non ricorda esattamente cosa è successo verso la fine, come se si fosse addormentato e non sapesse chi può averlo portato lì dov’è adesso – che suppone sia l’infermeria della scuola, forse.

Magari ha avuto un colpo di sonno, pensa.

Gilbert non risponde: «Il concerto?» gli fa eco invece, ripetendo la domanda.

Lui annuisce appena: «Sì, ricordo Sirjan che suonava e… quella ragazza, la compagna di Alyster Kolstoj. Aveva finito di cantare, ma… poi?» mormora confuso.

Ada assume un’espressione strana, lo sguardo che devia dal fratello.

Il biondo guarda Gilbert, ma non riesce ad intravederne gli occhi, così come sono coperti dalla frangia in quel momento; l’amico tace.

Non gli sembra di aver fatto una domanda così difficile e si sente quasi in ansia per quell’assenza di risposta.

«Gilbert?» lo esorta infatti.

Il moro, per riflesso, sentendosi chiamare alza lo sguardo e l’espressione che gli vede in viso ad Oz non piace affatto; è simile allo sguardo che ogni tanto gli rivolge anche Ada, e che lo fa andare in bestia e gli fa venire voglia di alzarsi e urlarle cose che possono ferirla.

Quello sguardo non gli piace: somiglia troppo alla pietà.

«Ti ho fatto una domanda.» fa notare al moro, il tono che è strano ma non ancora eccessivamente rabbioso: Ada, tuttavia, probabilmente ormai quasi fiuta le sue reazioni nell’aria, perché lo guarda preoccupata, allarmata quasi.

Questo gli fa rabbia.

Vede Gilbert avvicinarsi, e allungare appena una mano verso il viso del biondo, esitante, come se temesse di fargli male.

Oz non allontana la mano che si protende verso di lui, né fa nulla per evitare quel contatto del dorso delle dita di Gilbert – un po’ fredde al contatto con la guancia, in verità.

«Oz, forse dovresti riposare.» mormora piano, con lo sguardo addolcito e preoccupato e confuso insieme.

Lo odia quello sguardo.

Lo odia da morire.

E non si accorge nemmeno di quando esattamente stringe la sua mano intorno al polso del moro, e stringe parecchio quasi per obbligarlo a piegarsi verso di lui – sfortuna vuole che sia debole per riuscirci, ma l’intento è ugualmente palese.

Si sente urlare, sente la propria voce rabbiosa all’indirizzo di Gilbert.

Sente se stesso pronunciare parole orribili, alle quali l’altro inizialmente sgrana gli occhi, poi abbassa lo sguardo, poi si morde il labbro inferiore in quel tic nervoso che ha sempre avuto fin da ragazzino.

Sente dolore alla gola ad un certo punto, probabilmente è quando grida veramente troppo.

E Gilbert ancora evita il suo sguardo.

E lui lo odia ancora di più.

 

 

«Ohi, Oz.» colse quasi contemporaneamente a quando la figura di Noah rientrò nel suo campo visivo.

Richiuse qualche istante gli occhi, intontito dal sonno – e da Noah che lo smuoveva mettendo a dura prova la stabilità del suo stomaco di prima mattina.

«Ho capito, mi sveglio, mi sveglio…» mormorò, pur di mettere fine a quel movimento che a breve gli avrebbe fatto venire il mal di mare nonostante fosse solo sul letto della propria stanza.

Sentì Noah ridacchiare, anche se gli parve di cogliervi una sfumatura appena più nervosa del solito: «No, ma non siamo in ritardo, è domenica.» lo rassicurò, lo sguardo ancora su di lui.

Oz aprì gli occhi in maniera definitiva, andando ad osservare il compagno: effettivamente notò che indossava abiti da camera, un paio di pantaloni semplici e un maglione che lasciava intravedere il colletto di una camicia bianca.

«Ma se è domenica…» iniziò Oz, il resto intuibile, tanto che il compagno lo precedette: «Avrei evitato di svegliarti, ma ti stavi agitando di nuovo in quel modo un po’…» toccò a Noah lasciare in sospeso.

Si guardarono rimanendo in silenzio, entrambi consci solo in parte di cosa l’altro volesse dire o stesse pensando.

Oz notava solo in quel momento che da almeno una settimana quei sogni che gli avevano procurato l’insonnia sembravano aver deciso di dargli un minimo di tregua; per contro, Noah sembrava impacciato un po’ dal disagio dell’argomento – che era anche stato in qualche modo oggetto del loro litigio – un po’ preoccupato per il fatto che quel sonno agitato fosse ricominciato.

«Strano?» concluse infine Oz per lui.

Noah, sedendosi sul bordo del letto del compagno scosse la testa: «Non proprio. Preoccupante, più che altro. E poi chiamavi dei nomi nel sonno, e ho pensato che non era qualcosa di piacevole.» ammise lui.

Il biondo ne fu in parte perplesso: «Nomi?» domandò infatti, ora con la massima attenzione alle parole dell’altro, che annuì.

«Ti avevo già sentito altre volte. Di solito nomini tua sorella Ada per lo più.» rivelò, lasciando però intendere che stavolta era stato diverso, almeno in parte: «Ma prima hai chiamato anche Gilbert Nightray. E quasi urlato qualcosa che assolutamente non ho capito, ma eri parecchio arrabbiato.» concluse.

Oz cercò di fare mente locale sul sogno che aveva fatto: aveva ancora abbastanza chiara la rabbia a cui lo stesso Noah aveva accennato, e anche la figura di Gilbert – quella di Ada un po’ più vaga a dir la verità.

Ma gli sfuggiva cosa potesse aver urlato contro Gilbert.

E non ebbe molto modo di concentrarsi per ricordarlo, sentendo la mano presumibilmente di Noah che gli scompigliava energicamente i capelli: alzando lo sguardo chiaro sull’amico, lo vide sorridere apertamente e fargli l’occhiolino con fare complice.

Non poté non ricambiare, prima ancora che Noah parlasse: dopotutto l’altro era stato il primo con cui aveva parlato, il primo che gli si era rivolto da pari, senza preoccuparsi di niente di superfluo e fidandosi solo di quanto Oz gli diceva.

«Non starti a preoccupare, so io cos’hai! Lo stomaco reclama la colazione!» affermò con certezza.

Occhieggiando l’ora, Oz non poté dare torto al brontolio che riempì la stanza scatenando poi l’ilarità di entrambi.

 

 

«Eccoli lì!» gli indicò Noah, puntando il dito in una direzione precisa non appena lui ed Oz ebbero varcato la soglia della mensa.

Non era piena, specie non come il resto della settimana: sia perché alcuni studenti partivano regolarmente per il week-end, sia perché erano scesi ad un’ora più tarda rispetto a quella solita della colazione.

Seguendo l’indicazione dell’amico, Oz individuò un tavolo occupato, riconoscendovi la coppia che meno di tutte credeva potesse interagire – o almeno, non in due e da soli. Non avevano proprio nulla da dirsi, ecco perché.

Noah probabilmente pensò la stessa cosa, almeno a giudicare dal ridacchiare sommesso che si lasciò sfuggire per poi iniziare a dirigersi verso di loro: «Se non fosse che mi fido ciecamente di entrambi, potrei anche ingelosirmi di un Marcus e una Alice che fanno romanticamente colazione da soli.» osservò divertito, senza crederci nemmeno per un istante che la situazione tra i due potesse anche solo vagamente definirsi “romantica”.

Oz gli pungolò il fianco con il gomito, scherzosamente: «Lo sapevo che sotto sotto ti piaceva Alice e che eri un tipo geloso.» disse falsamente serio, con l’aria di chi la sa lunga.

Noah lo fissò qualche istante, il ridacchiare che era andato sfumando, lasciando il sorriso divertito sulle labbra: «Beh, sul fatto della gelosia ci hai preso in pieno.» sottolineò con tutta la naturalezza del mondo ed Oz si ritrovò a guardarlo sorpreso, mentre Noah lo occhieggiava con la coda dell’occhio.

«Ovviamente, che resti fra noi. Marcus ha già troppi punti di forza rispetto a me senza sapere che rasento davvero il ridicolo sul livello di gelosia che ho nei suoi confronti.» si raccomandò, una mano che istintivamente era andata a grattare distrattamente la nuca nell’ormai classico gesto impacciato di quando Noah non era esattamente a suo agio.

Oz avrebbe volentieri insistito su quel punto per stuzzicare un po’ l’amico – vendetta personale per delle prese in giro subite – ma l’altro aumentò appena il passo verso il tavolo.

Lo vide circondare con le braccia le spalle di Marcus, che dalla sua posizione non li aveva visti arrivare: in un gesto apparentemente fraterno, o complice fra amici, Oz vi riconobbe quello che Noah gli aveva detto – in maniera discutibile e con una spiegazione non degna di questo nome quale “ah, oltre che mio fratellastro è anche il mio ragazzo”.

Si concesse un’ultima risatina divertita prima di raggiungere il tavolo a sua volta.

«Buongiorno.» salutò sia Marcus che Alice, andando a prendere posto vicino a quest’ultima, mentre Marcus si limitava a lanciargli un’occhiata e poi un breve cenno del capo, tanto per dare ad intendere di averlo visto e sentito.

Alice invece ricambiò il saluto a bocca piena, facendo sorridere Oz mentre occhieggiava cosa il tavolo offriva quella mattina per colazione.

Mentre ponderava se servirsi o meno delle uova, si ritrovò a pensare che il concerto aveva avuto un lato positivo dopotutto, anche se non sembrava – tant’è che nessuno vi aveva più accennato dalla sera precedente.

Avrebbe dovuto ringraziare Noah e gli altri per questo: alla fine dell’esibizione si erano ritrovati con un Gilbert che tornava in stanza accompagnato da Vincent, lamentando un mal di testa piuttosto forte tanto quanto improvviso.

Per contro lui non aveva particolari dolori fisici; tuttavia, non si poteva nemmeno parlare di umore in maniera generica, tanto questo era precipitosamente calato a picco: la canzone, basata sulla melodia di Lacie, insieme al recente ritrovamento del diario del fratello, era stato quello che molti tendevano a chiamare “mix letale”.

Non era stato in grado nemmeno di fingere più di tanto che tutto andasse bene, ed aveva tenuto la mano di Alice meccanicamente, proprio come si sarebbe fatto con la propria àncora di salvezza.

Senza alcuna malizia, senza curarsi di qualche vago commento che era stato fatto da chi li aveva visti uscendo dall’aula magna in cui si era tenuto il concerto – qualcuno comunque doveva aver guardato gli interessati in maniera eloquente, perché Oz ricordava chiacchiere sommesse che si erano spente in breve.

E lei, semplicemente, non aveva lasciato la sua mano fino a quando non era stato lui ad allentare appena la presa: con gentilezza tutta sua, comprensiva nonostante non avessero avuto modo di chiarire quella discussione che avevano avuto.

Eppure adesso sembrava non ci fosse mai stata: come se, senza reale bisogno di parlarne, Alice avesse capito; o, semplicemente, avesse messo tutto da parte, colpita dal fatto che anche uno come Oz che sorrideva sempre e si comportava come se non avesse un solo problema al mondo potesse avere momenti come quello che c’era stato la sera prima.

Forse Alice aveva colto la fragilità meglio di tanti altri; Oz si era quasi convinto del fatto che la sincerità della ragazza, a volte forse un po’ rozza o fin troppo schietta, fosse riuscita quasi ad influenzarlo, rendendo riconoscibili le sue bugie o i suoi falsi sorrisi.

Almeno alcuni, almeno per lei.

«…Per questo il nostro è un mondo difficile.» sentì pronunciare di fronte a sé, ridestandosi dai suoi pensieri e puntando lo sguardo su Noah di cui aveva riconosciuto la voce.

«Eh?» chiese perplesso, senza capire.

Noah lo fissò con l’aria saccente che ogni tanto tirava fuori per atteggiarsi, anche se non era granché tipico di lui e lo faceva solo quando voleva prenderlo amabilmente per i fondelli: «Niente, dicevo una frase a casaccio. Tanto comunque non mi ascoltavi.» rivelò, tornando a inforchettare la sua porzione di pancetta.

Oz lo fissò in modo piuttosto eloquente, ma un’eventuale replica fu interrotta da un: «Testa d’alga, voglio mangiare in pace.» da parte di Alice.

Deviando lo sguardo nella stessa direzione in cui era indirizzato quello della castana, notò Gilbert – con l’aria di chi stava seriamente ponderando di strozzare la propria cugina, alla faccia dei legami di sangue – in piedi lì vicino al loro tavolo ora.

Lo guardò incuriosito dalla sua presenza lì, notandolo peraltro sprovvisto anche lui della divisa: aveva l’aria un po’ stanca, ma sembrava almeno ad occhio che il mal di testa della sera precedente fosse quantomeno migliorato.

Il biondo gli rivolse quindi un sorriso, salutandolo con un “buongiorno” al quale Gilbert replicò con un incurvarsi di labbra leggero ma visibile.

«Più tardi e nel pomeriggio hai da fare?» domandò il moro, senza girarci troppo intorno e con fare un po’ rigido: conoscendolo, pensò Oz, probabilmente era dovuto al fatto di trovarsi davanti a persone con le quali non aveva grande confidenza.

E per uno come Gilbert era una situazione piuttosto seccante, in qualche modo, che lo portava costantemente a rimanere sulla difensiva.

Oz scosse la testa: «No, visto che non abbiamo lezione.» dichiarò, l’espressione incuriosita ancora presente sul suo viso. Parve quasi intuire il disagio di Gilbert, riuscendo a trovarvi un motivo quando il più grande riuscì ad articolare – guardando con grande interesse il piatto della colazione di Noah, che era il più vicino – un: «Devo fare dei giri in città, puoi venire?» appena borbottato.

Sorpreso dalla cosa – o forse più dal fatto che Gilbert non lo avesse preso da parte per chiederglielo, conoscendolo – Oz annuì, l’incurvarsi delle labbra che assumeva una connotazione divertita; d’altronde, con tutto l’affetto che poteva avere per Gilbert, stuzzicarlo era stato e rimaneva comunque uno dei suoi passatempi preferiti.

Nonché una fonte di divertimento non indifferente, a suo avviso.

Così come era arrivato, con un leggero cenno agli altri presenti – e ignorando Alice che stava iniziando a sbraitargli contro – Gilbert si allontanò in favore dell’uscita, forse avendo già fatto colazione in precedenza.

Seguì il silenzio, riempito solamente dalle argomentazioni di Alice contro il cugino, che si conclusero con uno sguardo che parlava da solo e che venne puntato su Oz.

Il quale si voltò verso di lei, sorridendole con dolcezza e portando una mano a scompigliarle appena i capelli in un gesto da fratello maggiore che ad Alice non aveva mai rivolto fino a quel momento: «So che lo dici perché sei preoccupata per me, ma… Gilbert è il mio migliore amico da tanti anni. Se ha bisogno di una mano, non posso dirgli di no. » spiegò, osservandola.

«Però prometto di tornare per tempo, così ceniamo tutti insieme, va bene?» domandò, la promessa nelle sue parole sincera.

 

Le arruffò giocosamente i capelli, rivolgendole un sorriso gentile,

che aveva preso l’abitudine di riservarle sempre.

«Non preoccuparti Alice! Devo andare dal mio migliore amico,

ma questo non significa che non tornerò più!

Prenderemo di nuovo il tea insieme, promesso.»

Era tornato altre volte.

Poi, all’improvviso, un giorno non era tornato più.

 

«Alice, ti sei arrabbiata?» sentì chiedere ad Oz, la mano calda che ancora sostava sulla sua testa.

Arrossì appena, imbronciandosi… per poi mordergli con un movimento veloce la mano, come avrebbe fatto un animale scontento dell’atteggiamento del proprio padrone.

In una scena anche piuttosto comica, Oz ritirò la mano con espressione dolorante lamentandosi del morso ricevuto, mentre Alice indispettita voltava il viso dall’altra parte.

«Tsk, non prenderti certe libertà, schiavo!» lo rimproverò, mentre Noah rideva divertito senza nemmeno far finta di essere solidale col dolore dell’amico e Marcus assumeva un sorrisetto dalla sfumatura simile a quella della risata del fratellastro – con la sola differenza che Noah ti contagiava, Marcus sembrava semplicemente godere della forma dei denti di Alice sulla mano di Oz, niente di più.

«Alice è cattivaaaa.» si lamentò il biondo, allungando volutamente la vocale per enfatizzare la propria protesta riguardo il morso.

Alice invece si ripeteva che era giusto; si ripeteva che non erano la stessa persona… no?

 

 

Dopo la colazione, che era durata un po’ più del normale potendo prendersela comoda quella mattina, Oz era tornato in stanza – non prima di aver mollato uno scappellotto più che giustificato a Noah.

Almeno il compagno di stanza avrebbe smesso – forse – di trovare divertenti certe battutine idiote come quella che aveva sentito il bisogno di esternare quando avevano quasi finito di mangiare.

«Ohi Oz, ci stavo pensando da qualche giorno.» aveva esordito dopo un po’ che erano in silenzio Noah – ed Oz dopo avrebbe dato ragione a quello che aveva sentito dire a Marcus una volta, ossia che Noah Keynes quando pensava era il male – fissandolo come se ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, ma che a giudicare dall’espressione seria per i suoi standard lo impensieriva abbastanza.

«…Sarà mica che esci con tutti e tre i Nightray?» se ne era quindi uscito.

E sì, lo scappellotto si era abbattuto implacabile sulla sua testa per mano di un Oz sportosi sopra il tavolo della colazione.

Ed ora si avviava verso l’ingresso dell’edificio scolastico, venendo dal dormitorio dove era andato a cambiarsi per poi incontrarsi con Gilbert: uscire non era un’idea malvagia.

In primis, non ricordava nemmeno più l’ultima volta che era riuscito a fare una chiacchierata degna di quel nome con Gilbert: da quando era a Latowidge, complici diverse lezioni e impegni, non c’era stato modo ad eccezione di quando il più grande era andato a portargli da mangiare in camera.

Quanto a prima, beh… si erano praticamente ritrovati lì a scuola, non c’era esattamente un “prima”.

Scosse la testa, lasciando rilassare i lineamenti del viso per poi distendere le labbra un sorriso: per nessun motivo voleva rendere quell’uscita qualcosa di deprimente, perciò aveva deciso che avrebbe tenuto lontano qualsiasi pensiero negativo.

Il concerto, il diario chiuso nel cassetto del comodino, Cheshire, Glen Baskerville, tutto.

Come se non ci fosse affatto. Almeno per un giorno.

«Gil!» chiamò il più grande quando lo individuò davanti al portone designato come punto d’incontro: notò che anche lui si era volentieri liberato della costrizione della divisa, optando per pantaloni scuri e supponeva un maglione, invisibile sotto il cappotto nero che arrivava a metà gamba.

Quando Gilbert alzò la mano in segno di saluto lasciando intendere di averlo individuato a sua volta, Oz poté notare ormai a pochi passi dall’amico che le mani erano coperte da guanti grigi.

Oz lo affiancò, rivolgendogli un sorriso entusiasta probabilmente per l’uscita in procinto di cominciare; Gilbert ricambiò, avviandosi verso il cortile e quindi il cancello che delineava il territorio scolastico dividendolo dalla strada che portava in città.

Per una parte iniziale del tragitto tacquero entrambi, il disagio lieve ma intuibile: un classico quando per molto tempo non si incontra qualcuno e, benché quando ciò avviene si avrebbero mille cose da dire, si mantiene un silenzio quasi di stallo.

Alla fine comunque, Oz era pur sempre Oz: non era proprio da lui far cadere il silenzio e lasciare che aleggiasse troppo a lungo.

«Allora, dove andiamo?» lo incalzò con tono incuriosito, osservandolo, l’espressione e il modo di fare come quello di un ragazzino che si entusiasma per ogni piccola cosa – e magari al momento era, più o meno, proprio così.

O almeno fu il pensiero che fece Gilbert portando gli occhi dorati sul più giovane, notandolo col busto leggermente piegato in avanti e le mani dietro la schiena, in quel suo tipico atteggiamento di innocente curiosità di quand’erano bambini.

Dal cappotto marrone lungo come il proprio, si intravedeva appena la sciarpa chiara attorno al collo; gli rivolse un sorriso, di quelli gentili che erano in accordo soprattutto con il carattere del Gilbert che Oz ricordava sempre a casa sua: «Vere e proprie commissioni, ne ho solo un paio. Tu dove vorresti andare?» domandò, il tono calmo e rilassato, senza troppa fretta.

Quasi a rifletterlo, i passi si susseguivano con andatura moderata anche dopo averli condotti fuori dal cancello.

Oz spostò l’attenzione di fronte a sé, sulla strada, portando un indice vicino al mento con fare pensoso: «Mh, vediamo…» mormorò quindi, chiudendosi per qualche istante nel silenzio, facendo mente locale.

«Dolci. Voglio fare merenda con dei dolci.» iniziò quindi: «E andare alla piazza! In mattinata c’è il mercato, vero? Ah, e poi voglio passare in un negozio di cui mi ha parlato Alyster. Dice che ci sono un sacco di spartiti anche per i principianti. E poi…» proseguì, suscitando un ridacchiare divertito nell’altro.

Quando lo colse, fermò per un attimo quell’elenco che sembrava non fosse finito ancora, osservando Gilbert interrogativamente: «Che ho detto?» chiese infatti.

L’amico scosse la testa: «Sembri solo entusiasta come un bambino.» lo prese bonariamente in giro; parole alle quali Oz gonfiò appena le guance esibendosi in uno dei suoi bronci migliori.

Aumentò il passo, in un chiaro tentativo di mostrarsi offeso – e, conseguentemente, mandare in crisi Gilbert come ai bei vecchi tempi.

Intento in cui riuscì in un batter d’occhio, neanche a dirlo: il più grande lo aveva affiancato quasi subito con poche e brevi falcate.

«O-Ohi.» lo aveva richiamato infatti, mentre ad Oz sorgeva spontaneo un sorriso che non prometteva nulla di buono: «Sono offeso.» decretò con falso tono che non ammetteva repliche di sorta.

Ciao, Gilbert, ben tornato nel terrorismo psicologico firmato Oz Bezarius.

Ti era mancato, eh?

«Ma…» tentò di replicare Gilbert, la mano che si posò sulla spalla del biondo con la chiara intenzione di fermarlo, senza però poter finire la frase. Nel portare lo sguardo sull’amico, Oz aveva notato l’espressione di Gilbert in quel momento, e nonostante i buoni propositi non era proprio riuscito a non scoppiare a ridere appena voltato un angolo che immetteva in una strada principale.

Cosa che, per ovvi motivi, aveva bloccato sul nascere qualsiasi protesta a cui Gilbert volesse dare voce un attimo prima, lasciando spazio dapprima alla confusione e in un secondo momento alla consapevolezza di essere stato – di nuovo – fregato dalla stessa persona di sempre.

«Non è divertente!» ribatté infatti – già, si disse Oz, rispetto al Gilbert di una volta questo sembrava perdere le staffe per le cose stupide molto più facilmente e per contro avere maggiore sangue freddo laddove una volta al massimo si sarebbe lasciato andare al pianto o alla fifa.

Ma questo non significava certo che il biondo lo trovasse meno divertente, anzi.

Gli rivolse un sorrisetto infame, di falsa innocenza, tipico di una volta: «Per me sì.» replicò con faccia tosta.

Gilbert parve indignato dalla cosa e lì lì per pronunciare qualche protesta, ma Oz lo superò di qualche passo, voltandosi verso di lui e proseguendo camminando all’indietro in modo tale da riuscire a vedere Gilbert nel contempo.

«Arrenditi Gil, passeranno anni prima che io smetta di divertirmi alle tue spalle.» gli consigliò canticchiando, come se poi fosse lui quello che poteva permettersi di dargli quel consiglio.

Come se poi lo stress che Gilbert accumulava da bambino non fosse in gran parte colpa proprio degli scherzi continui ad opera del giovane Bezarius.

Toccò a Gilbert imbronciarsi – solo che nel suo caso quell’espressione lo rendeva più che altro buffo, e di certo Oz non avrebbe smesso di sfotterlo solo per quello – rinchiudendosi nel silenzio, forse ostentando lui offesa ora.

Il biondo ridacchiò, tornando a camminare come si doveva, dandogli di nuovo le spalle: avanzarono per diversi minuti per la strada, in silenzio, forse l’uno seguendo l’altro.

Poi, finalmente, Oz parlò: «Era da un bel po’, eh?» pronunciò, mantenendo lo sguardo davanti a sé, benché parlasse chiaramente con l’altro; Gilbert inizialmente lo fissò senza capire, appena accigliato – probabilmente ancora con una sfumatura di rancore per la presa in giro di prima.

«Che non avevamo un battibecco così, sulle cose stupide. Che ti offendevi, mentre mi divertivo alle tue spalle. È un po’ nostalgico, vero?» continuò Oz, spiegando meglio cosa intendesse, forse cosciente che altrimenti non sarebbe stato facile da capire.

Gilbert rilassò l’espressione, forse solo un po’ stupito: Oz non era mai stato tipo da fossilizzarsi su ricordi nostalgici. Per sua stessa ammissione una delle ultime volte che avevano parlato, lui incarnava quel tipo di ragazzino che quasi gioca a fare l’adulto. Sosteneva lui stesso che voleva vivere come venivano le cose, così, che si sarebbe limitato all’accettazione.

Non tanto per passività, quanto perché – come lui stesso aveva detto a Gilbert – una volta che qualcosa è successo, aveva pronunciato, anche opponendosi nessuno ti darà qualcosa per tornare indietro nel tempo e cambiare l’accaduto, no?

Perciò, memore di quelle parole, non poteva non stupirsi almeno un poco per quel modo di fare che aveva assunto ultimamente il biondo.

Legato al passato e ai ricordi ad esso collegati.

Come se…

«Ehi, che fai?» lo interrogò Oz con un sorrisetto divertito – non ne era certo Gilbert, ma a lui parve anche forzato – quando il più grande lo affiancò insinuando appena le dita fra i capelli biondi, scompigliandoglieli.

Guardando altrove e con tono burbero, l’unica spiegazione che Gilbert gli fornì fu un: «È colpa tua, che parli come se dovessi andartene via domani e questa fosse l’ultima volta che riusciamo a parlare.» gli fece notare, sottolineando forse volutamente una nota seccata in merito a quell’ipotesi.

Oz lo guardò stupito, anche se durò poco; sostituì subito quell’espressione ad una sorridente, grata – di nuovo, notò Gilbert, ritraendo la mano.

E quasi contemporaneamente al suo riportarla al proprio fianco, Oz vi si aggrappò scherzosamente: «Gil ha imparato a fare il figo ~» lo prese in giro, neanche a dirlo, osservando con una certa soddisfazione mentre un lieve rossore gli imporporava le guance di Gilbert e questi spostava lo sguardo verso un negozio a caso, borbottando qualcosa di incomprensibile.

 

Portò la mano a coprire la bocca, momentaneamente impegnata in uno sbadiglio da record: non si smentiva mai, ogni volta che mangiava troppo, irrimediabilmente finiva con l’essere intontito almeno per la mezz’ora successiva. Per quello, e per la camminata fatta nella mattinata per il mercato, sostavano ora in piazza, approfittando dell’aria non troppo gelida considerando che erano ormai in pieno inverno.

Delle due commissioni che Gilbert aveva da fare – mandare una lettera a casa Nightray e ritirare un paio di libri ordinati tempo addietro – avevano provveduto ad entrambe prima di avventurarsi nel mercato dal quale erano usciti solo quando la fame si era fatta sentire.

L’entusiasmo di Oz era stato contagioso fin dall’inizio e dopotutto, proprio come lui, anche Gilbert non aveva avuto molte occasioni di andare ad un mercato.

Forse l’unica eccezione risaliva a quando faceva parte della servitù di casa Bezarius, ma per il resto le sue possibilità in quel senso erano cessate nel momento in cui era ufficialmente diventato un Nightray, facendo sì che il mercato di città diventasse un luogo non consono a lui – a detta del Duca Nightray, quantomeno.

C’era da aggiungere poi che Oz aveva mantenuto fede a quanto detto quando, recandosi a ritirare i libri, erano passati davanti alle bancarelle all’inizio del mercato: «Ora che ci penso, siamo vicino a Natale quasi, dovrei iniziare a fare i regali.» aveva osservato.

E le buste contenenti pacchetti ora ai piedi del biondo parlavano per lui.

«Quanti te ne mancano ancora?» domandò Gilbert, accennando alle suddette buste con l’aria di chi sì, festeggia il Natale, ma non concepisce né il perché di tanti regali, né soprattutto l’entusiasmo dell’andare a farli col risultato di girare per ore nei negozi – e conseguentemente farsi saltare i nervi.

Forse lui era di parte perché non sapeva mai dove mettere le mani, quindi meno regali aveva da fare e meglio era.

«Vediamo…» soppesò Oz: «Ho trovato già qualcosa per Alice e Noah, quindi con loro sono a posto.» iniziò, facendo mente locale.

«Per Ada so cosa prendere, poi ci passerà un altro giorno. Avevo una mezza idea di un regalo a Marcus, ma la sensazione che me lo tirerebbe dietro mi fa desistere.» ammise con un ridacchiare leggero e divertito, mentre Gilbert aveva la visione di un Marcus Wellesday che lanciava pacchi regalo dietro un Oz in fuga.

«Per Aedan non ho un’idea neanche vaga.» rivelò con un sospiro quasi teatrale; Gilbert alzò un sopracciglio perplesso: «Aedan? Intendi Shaye, quello che sta sempre con Sparrow o che lavora con Sirjan?» domandò.

Oz annuì, e nello stesso momento si rese conto che agli occhi di Gilbert doveva essere nuova quanto strana l’immagine del più giovane amico di Aedan al punto da fargli un regalo di Natale.

Il biondo abbozzò un sorrisetto: «Mi ha dato una mano ad ambientarmi all’inizio. E… con i compiti per recuperare il programma.» spiegò – e non era una bugia, se per “ambientarmi” si intendeva un Aedan che quasi gli ordinava di andare ad incontrare Sirjan, e se con “compiti” si implicava cercare di sopravvivere alle stranezze di cui Latowidge sembrava essere piena zeppa.

In quel caso sì, Aedan era stato quasi vitale, ma questo a Gilbert avrebbe evitato di spiegarlo.

«Quindi in realtà,» riprese Oz «si tratta più di un pensiero che non di un regalo vero e proprio. Ma non ho idee lo stesso, non so cosa gli piace e cosa no.» concluse, e dopo poco parve abbandonare il tentativo di pensare a qualcosa e scegliere la via del “aspetterò con ansia che l’ispirazione scenda su di me come un velo divino”.

«A parte Aedan poi hai finito?» chiese Gilbert, occhieggiando i pacchetti troppo numerosi perché fossero solo quelli di Alice e Noah.

Oz sorrise furbo, scuotendo la testa: «No, ho già fatto anche per Alyster e Sirjan. Ma mi manca il tuo ovviamente, non posso fartelo se siamo insieme.» gli fece notare, divertito dallo scostare lo sguardo altrove di Gilbert, accompagnato da un burbero quanto scontato «Non c’è bisogno.»

«Quando andrò a prendere il regalo ad Ada» riprese Oz: «prenderò anche quello per Jack. Poi avrò finito.» aggiunse.

Calò un silenzio in cui Gilbert non volle e probabilmente non ebbe nemmeno il coraggio di chiedere nulla, anche se una domanda – o forse era da definirsi semplicemente pensiero – gli era venuta quasi spontanea.

Chissà da quanto tempo Oz a Natale portava un pacchetto che nessuno avrebbe mai scartato su una tomba.

Nessuno dei due provò a sbloccare quella situazione di stallo creatasi come la mattina, quando si erano incontrati per recarsi in città: Oz dondolava infantilmente i piedi avanti e indietro, colpendo appena di tanto in tanto il bordo della fontana dove erano seduti con il tacco delle scarpe.

Gilbert, invece, guardava semplicemente di fronte a sé.

«Lavoro davvero troppo, addirittura ho le allucinazioni e vedo le sgradevoli facce dei miei studenti anche quando sono lontano da loro » sentirono pronunciare e sebbene il tono canticchiato e le parole decisamente sgarbate non lasciassero troppi dubbi su chi fosse ad aver parlato, si voltarono entrambi a cercare la figura in questione.

Nel caso di Gilbert, probabilmente si rifiutava psicologicamente di credere di aver indovinato di chi si trattasse.

Tuttavia era chiaro che il Destino non amava il maggiore dei Nightray: fu ovvio quando sia lui che Oz videro Xerxes Break avanzare in loro direzione.

Con accanto Rufus Barma, che aveva la stessa espressione di chi si chiedeva – di nuovo – perché Dio lo stesse punendo in questo modo, con un collega come Break appeso infantilmente e come una ragazzina al suo braccio.

«Ti do un indizio Xerxes: li vedo anche io, e non ho mai sofferto di allucinazioni.» gli fece presente, il tono ironico, mentre a sua volta portava lo sguardo su i due studenti.

Oz li fissò entrambi di rimando, rivolgendogli il sorrisetto strafottente già sfoggiato una volta sia con l’uno che con l’altro: «Non è carino sentir dire da un professore che le facce dei suoi studenti gli risultano sgradevoli.» osservò casualmente, senza alzarsi, Gilbert al suo fianco che sospirava.

Sapeva per esperienza che con Xerxes non c’era speranza: se lo ignoravi, non ti mollava.

Se lo provocavi, nemmeno.

In sostanza, fin quando si sarebbe divertito, era probabile che il docente non li avrebbe lasciati stare – salvo che tentassero la fuga con qualche scusa, ma Gilbert non avrebbe mai messo la mano sul fuoco in merito ad un loro successo.

«Oh, oh, signor Bezarius, che cattivo.» commentò falsamente toccato dalle parole del biondo: «Ma in fondo lei mi tratta male, quindi la parola “sgradevole” si adatta abbastanza, giusto?» canticchiò, mentre lo stesso Gilbert notava Barma alzare gli occhi al cielo.

Forse era quella la loro speranza: se anche Barma non aveva alcuna intenzione di stare lì a far divertire il lato infantile di Break, avrebbero potuto sfruttarlo per defilarsi – e Gilbert non aveva dubbi sul fatto che Barma avrebbe gradito passare oltre fingendo di non averli visti. Di certo non era, fra gli appartenenti al corpo docente, quello che amava gli studenti più di tutti al punto da passarci un pomeriggio insieme.

Proprio no.

Dunque Gilbert si alzò, spostando l’attenzione su Break per qualche breve istante, portandola poi definitivamente su Oz: «Abbiamo ancora qualche commissione da svolgere. Con permesso.» si rivolse educatamente come da prassi ad entrambi i professori, le parole che chiaramente suggerivano al biondo di prendere le sue buste e andarsene con lui senza fare troppe domande.

Sorprendentemente, Break non disse nulla per trattenerli; anzi, si voltò verso Rufus, l’espressione divertita – sadicamente divertita – dando poi voce ad uno smielato: «Rufus, non sei commosso? Il signor Nightray è cresciuto, ora cerca di restare da solo con la sua dolce metà, non ti fa tenerezza? » insinuò, guardando quindi Gilbert con gli occhi amorevoli di una madre – e c’era da capire cosa fosse più inquietante.

Se Break con uno sguardo amorevole nei suoi confronti, o il fatto che il suddetto sguardo fosse quello di una madre anziché quello di un padre.

In ogni caso, l’effetto fu immediato: Gilbert divenne indiscutibilmente paonazzo, balbettando qualcosa di indistinto che fu coperto dalle parole di Rufus – dopo un colpo che casualmente aveva incontrato la testa di Break, che era ora occupato ad imbronciarsi comunicando il suo “dolore per la freddezza di Rufy” ad Emily.

«Buon proseguimento.» fu il suo congedo rivolto ai due studenti prima di dargli le spalle e portarsi dietro anche Break.

Oz agitò la mano come un bambino in segno di saluto – non aveva certo dimenticato il colloquio con Rufus Barma e quanto ne era conseguito, ma non voleva dare a Gilbert motivo di preoccuparsi inutilmente.

«Piuttosto» prese il discorso: «pensavo che Xerxes e Barma si odiassero. Almeno dall’ultima volta che li ho visti insieme in mensa, e poi Barma sembra mal sopportare un po’ tutti. Non pensavo andassero insieme in città.» ammise, incuriosito dalla cosa.

Gilbert, il rossore ancora in parte visibile e una mano portata dietro la nuca in un meccanico gesto di disagio, commentò istintivamente: «Probabilmente le voci che circolano sul fatto che stanno insieme sono vere.» disse.

Oz divenne la personificazione della sorpresa: «Eh?!» esclamò, fissando Gilbert, il quale al momento si stava probabilmente maledicendo per l’indiscrezione.

«Così dicono, ma non so niente di preciso. Xerxes non è molto discreto, comunque.» commentò, riferendosi al docente appeso al braccio di Barma senza preoccuparsi troppo di cosa la gente potesse pensare della cosa – anche se era comprensibile: Break sembrava a malapena preoccuparsi di se stesso, quindi…

«Però» obiettò Oz pensandoci su: «Barma non sembra amante delle indiscrezioni.» osservò, vedendo Gilbert annuire. Anche se, dovette ammettere il biondo, era pur vero che per quanto infastidito, Rufus non se lo era scrollato di dosso nemmeno in loro presenza.

O si era arreso o, a conti fatti, non lo faceva per scelta.

«Strano comunque che tu lo senta da me per la prima volta.» sentì dire al più grande, voltandosi verso di lui con espressione interrogativa: «È quasi in cima alla lista di pettegolezzi che fanno le ragazze della nostra scuola.» chiarì poi, con l’aria di chi da quei pettegolezzi cercava di tenersene lontano il più possibile – e che probabilmente ne era toccato in prima persona in qualche modo.

Oz sorrise in un modo che a Gilbert ricordava fin troppo bene l’infanzia e cose come essere appeso casualmente ad un albero o simili: «Che c’è?» domandò infatti sulla difensiva.

Oz si avvicinò a lui di qualche passo.

«Cosa dicono su di te, Gil?» domandò infatti; Gilbert si ritrasse nemmeno il biondo lo avesse minacciato con qualche arma, dopodiché gli aveva dato le spalle allontanandosi con un: «Proprio un bel niente.»

«Eddaaaai, dimmelo Gil!» lo pregò Oz ridacchiando, seguendolo mantenendosi di proposito qualche passo dietro di lui.

L’altro lo ignorò in maniera piuttosto palese, non facendo altro se non accrescere i sospetti del più giovane; si erano allontanati un po’ dalla piazza, e complice l’orario successivo al pranzo le vie risultavano meno affollate, al contrario dei ristoranti in cui gli era capitato di gettare un’occhiata attraverso i vetri che davano sulle strade.

Oz aumentò un po’ il passo, affiancando Gilbert: «E va bene, non dirmelo, ma smetti di fare l’offeso.» lo riprese bonariamente, sbirciando il viso dell’altro.

Sembrava più vicino all’esasperazione tipica di quando veniva preso in giro che non seccatura o offesa vere e proprie.

Oz tacque, vedendolo sospirare e rilassarsi appena – segno che aveva imparato a riconoscere, anche se quando erano ancora a casa Bezarius per lui era sinonimo di “Gil sta abbassando la guardia” e quindi che sì, stava per averla vinta di nuovo.

«Uffaaa» si lamentò il biondo: «lascia perdere quello che dice Xerxes.» lo riprese Oz, come se i ruoli sul maggiore e il minore d’età fossero invertiti.

Portò entrambe le braccia ad incrociarsi dietro la testa, continuando a camminare: «Tanto che Gil non mi ama nel profondo lo sappiamo tutti.» aggiunse in falso tono melodrammatico, fermandosi poi notando che Gilbert era rimasto indietro di qualche passo lasciando che Oz lo superasse.

Sempre nella stessa posizione, si voltò verso di lui, notando che stava immobile, gli occhi non proprio visibili a causa della frangia: «Gil?» lo chiamò, perplesso.

Quando il moro alzò lo sguardo puntandolo su di lui, Oz vide sul suo viso un’espressione che non vi aveva mai scorto prima di allora: era arrabbiata, frustrata.

Da cosa, non lo capiva, ma non ci fu davvero bisogno di fargli domande.

«Non hai alcun diritto di rimproverarmi una cosa simile!» gli sbottò contro, così improvvisamente e in maniera talmente diversa dal suo solito modo di fare, che Oz istintivamente si ritrovò a sciogliere la posizione delle braccia e portarle lentamente ai propri fianchi senza quasi accorgersene, incapace di distogliere lo sguardo dall’altro.

«Non dirlo mai più!» aggiunse Gilbert, senza calmare quel tono che dell’impronta placida e gentile di sempre non aveva nulla al momento; se solo non fosse stata immotivata ai suoi occhi in quel momento, Oz avrebbe potuto azzardare di scorgervi ansia per qualcosa che non riusciva proprio ad identificare.

Non si spostò nemmeno quando sentì le mani di Gilbert stringere la presa sulle sue spalle, il viso più vicino senza che il biondo si fosse accorto dell’avanzare dell’altro verso di lui: «Non me ne sono andato per mia volontà quella volta. Ho continuato a tornare in quella casa, sempre, continuamente, ogni volta che potevo. Non era solo per Jack, maledizione, era anche per te!» parlò, e lo faceva palesemente senza pensare troppo, incapace in quel momento di dosare le parole e le cose da dire come invece era solitamente tipico di lui.

«Quando ho saputo della morte di Jack… sarei voluto tornare per rimanere, ma non potevo più. Ma questo  non significa che io non mi sia preoccupato! E da quando sono a Latowidge, sapere di te solo da Ada, perché eri ancora chiuso in quella casa… Non sai niente di cosa ho pensato quando ti ho trovato nell’atrio di quella scuola! Non sapevo nemmeno che pensare, pensavo che… in tutti gli anni che sono passati pensavo che tu fossi stato completamente sommerso dalla morte di Jack.» rivelò, la stretta che si faceva ancora più forte sulle spalle di Oz.

Il biondo chiuse appena un occhio, per riflesso, sentendo un leggero dolore dovuto proprio alla forza che Gilbert stava mettendo nella presa.

Ma il moro non l’allentò comunque, quasi non avesse colto quel cambiamento nell’espressione del più giovane.

«Tu invece… sembrava che stessi bene.» commentò, abbassando il tono, l’espressione che mutava in una mesta mista ad una sfumatura di rabbia ancora presente.

«Tu sorridevi. Proprio come quando ero ancora il tuo servitore.» pronunciò, e ad Oz per un attimo parve un’accusa, pur sapendo razionalmente che non lo era davvero.

«Ho pensato che non sapevo più nemmeno chi avevo davanti. Avevo immaginato di tutto ma non che tu fossi in grado di sorridere come se non fosse successo nulla. E ho capito che probabilmente stavi mentendo e mi ha fatto rabbia.» quasi ringhiò l’ultima parola: «Sembra che tu non riesca a fidarti di nessuno, né di chi conoscevi prima, né di conosci da quando sei a Latowidge. Anzi.» si interruppe un attimo, fissandolo per qualche istante e abbassando lo sguardo deviandolo dal viso del biondo sul quale era stato puntato per il resto del tempo.

«Sembra che tu non riesca a fidarti soprattutto delle persone che ti conoscono da prima.»

«Smettila.» pronunciò Oz, fermando qualsiasi possibile aggiunta da parte dell’altro. Le braccia ora abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo fisso a terra, l’espressione seria: «Di cosa mi stai accusando?» mormorò piano.

Forse a quelle parole Gilbert si ridestò da qualsiasi stato lo avesse portato a parlare a quel modo quando in casi normali  non lo avrebbe fatto.

O, semplicemente, si rese conto di quel qualcosa che già una volta, in passato, gli aveva suggerito di tacere anche quando i dubbi e le paure erano tanti.

 

Il cuore di mio fratello,

è qualcosa che non riesco più a capire,

aveva detto Ada:

tuttavia so che se cercassi di osservarlo,

sicuramente finirei per tradirlo.

Per questo lascio che si mostri

solamente quando lo lascia intravedere.

 

Ma anche lui, Gilbert, non era più quello di allora.

Quello che in un momento simile si sarebbe scusato, prendendosi anche le colpe non sue oltre che le proprie.

Egoisticamente non avrebbe voluto lasciar scappare Oz da quella conversazione ora che aveva avuto l’occasione di parlarne – anche se aveva sempre pensato di farlo in maniera più pacifica e meno opprimente per il biondo.

Tuttavia era egoista forse, ma non stupido.

Sospirò, senza dire nulla, allentando anche la presa sulle spalle di Oz; una mano si allontanò, tornando al proprio fianco, immobile. L’altra invece andò dietro le spalle dell’altro, attirandolo a sé, insinuandosi poi fra i capelli biondi sulla nuca.

Un abbraccio indubbiamente goffo, neanche a dirlo.

«Ti sto accusando di essere stupido.» replicò burbero: «Non sono più un bambino. Sono in grado di addossarmi i problemi delle persone che mi stanno a cuore.»

Forse più tardi Oz lo avrebbe preso in giro per quell’atteggiamento, ma tutto sommato sarebbe andato bene comunque.

 

 

Alice sospirò annoiata, fissando per la quarta volta la stessa riga del libro che aveva davanti.

Noah, di fronte, la spiò di sottecchi ma non commentò: non aveva avuto il minimo dubbio nemmeno per un attimo sul fatto che Alice si sarebbe annoiata a fargli compagnia mentre studiava – lui stesso che avrebbe dovuto essere concentrato stava per addormentarsi, quindi…

Tuttavia quando la ragazza gli aveva chiesto di sua sponte di fargli compagnia non si era sentito certo di dirle di no: in primis, l’apprezzava. Alice era una persona che gli era simpatica, e alcuni suoi atteggiamenti lo divertivano.

Sembrava un po’ una bambina, o così aveva notato quando si era soffermato ad osservarla, specie quando era con Oz; inoltre, era convinto che la richiesta fosse stata dovuta anche all’assenza del compagno di stanza in questione.

«Vuoi che facciamo una pausa?» le chiese quindi gentilmente, alzando lo sguardo dal libro e incontrando in breve quello di lei. Alice lo fissò: «Hai finito?»

«Macché.» commentò lui, stiracchiandosi con ben poca eleganza allungandosi sulla sedia. La sentì sbuffare e ridacchiò appena: «Se vuoi possiamo fare davvero una pausa comunque. Servirebbe anche a me.» ammise, occhieggiando il libro di matematica quasi schifato.

Vide Alice alzarsi e sistemarsi appena la divisa con gesti veloci e meccanici: «Vado in mensa, ti porto quello che trovo.» borbottò burbera e un po’ scontrosa.

Tuttavia Noah non riuscì proprio a prendersela per quello, avendo imparato quantomeno a riconoscere i rari sprazzi di gentilezza gratuita di Alice; si limitò quindi a sorriderle annuendo, tornando poi agli esercizi.

Lei bofonchiò qualcosa, uscendo nel corridoio e avviandosi verso la mensa.

O così avrebbe voluto fare, se solo voltando il primo angolo diretta alle scale qualcuno non l’avesse chiamata; si voltò, cercando la fonte della voce nel corridoio e trovandolo vuoto.

Inarcò un sopracciglio, perplessa, facendo per voltarsi e proseguire.

Alice!

Tornò a guardare dalla parte opposta a quella verso cui si stava dirigendo, l’aria palesemente infastidita: di nuovo, il corridoio sembrava deserto.

Chiunque fosse, non era affatto divertente.

Alice! Alice, vieni!

Non era razionale, ma muovere nuovi passi in direzione della voce fu del tutto istintivo.

Destra, scale, sinistra; il nome che riecheggiava nel completo silenzio.

Almeno fin quando, così com’era apparso dal nulla, scomparve inghiottito dalla calma del corridoio quando era praticamente a metà; osservò lo spazio confusa.

Colse una risata, dietro di sé: vicina, divertita dal suo smarrimento. Lo avvertiva chiaramente come se fosse stata lei stessa a ridere a quel modo.

Si voltò di scatto, quasi convinta che come poco prima non vi avrebbe trovato nulla: invece si stupì di avere una figura così vicina. Un abito bianco, capelli chiarissimi tanto da sembrare del medesimo colore della stoffa.

Un vestito elaborato, il cui unico colore era una fiore rosso al petto.

Un sorriso di insano e immotivato divertimento, e un viso perfettamente identico al proprio; sgranò gli occhi sorpresa, non potendolo evitare, muovendo qualche passo indietro.

«Chi sei?!» la interrogò nell’immediato, sulla difensiva.

L’altra rise per quella reazione: «Dicono che si soffre, quando le persone amate non ci riconoscono. A me però viene da ridere, in questo caso.» osservò, beffarda.

Alice la guardò male: «Perché dovrei riconoscerti se non ti ho mai vista prima?!» sbottò, senza staccarle gli occhi di dosso.

La vide portare con un gesto elegante la mano a coprire la bocca, ridendo in maniera udibile: «Bugiarda, bugiarda!» esclamò, girando con grazia su se stessa come se ballasse.

Scomparve alla sua vista, ed Alice capì dov’era solo quando ne colse la voce di nuovo alle proprie spalle: «Alice è un bugiarda…» sussurrò.

«Non ti sei mai riflessa nell’acqua, Alice?» la interrogò, un mormorio basso vicino all’orecchio dell’altra. La castana fece per spintonarla via, ma era già sparita per tornare al suo posto di fronte a lei, dov’era prima.

«Non ti guardi mai allo specchio, Alice?» domandò ancora, osservandola con l’aria divertita di chi conosce la risposta e trova un passatempo di tutto rispetto prendersi gioco dello smarrimento e della confusione altrui finché anche gli altri non arrivano alla medesima soluzione.

Si avvicinò, i passi lenti: «Ti sei dimenticata di me, sei cattiva.» si lamentò infantilmente «E dire che io non mi sono mai dimenticata di te. Ho ricordato io, per te.» sussurrò quasi a volerla mettere al corrente senza essere udita da orecchie indiscrete e, al tempo stesso, insinuarle il dubbio e il senso di colpa.

Alice si accigliò, ringhiandole quasi contro un: «Tu cosa ne sai, dei miei ricordi?»

La vide muoversi con passetti più piccoli, in un ritmo che probabilmente rispecchiava una melodia presente solo nella sua testa, perché non erano movimenti prevedibili come dei normali passi.

La notò girare ancora una volta su se stessa, iniziando a spazientirsi del tutto: «Sto parlando con te!» tuonò contro di lei; e lei rise, sparendo per l’ennesima volta alla sua vista.

«Io so tutto di te. So quello che ricordi e quello che hai dimenticato. Quello che hai voluto, e quello che hai rifiutato. So chi hai amato, chi hai odiato, chi ami ora e chi odi ora.» sussurrò alle sue spalle, una mano che le aveva cinto la vita e l’altra che era salita a prenderle il mento.

Non c’era niente di sensuale in quel movimento, né malizia: era solo qualcosa di inquietante, paragonabile ad un animale che striscia e si insinua persino negli abiti.

Come quel tono che penetrava fin dentro le ossa e la testa, in ogni fibra del corpo, lasciando dietro di sé un senso di paura e disgusto.

«So anche chi è colpevole e chi innocente. Ricordo ogni lacrima che hai versato. Io di te conosco tutto Alice, e tu una volta conoscevi tutto di me. Non vuoi che te lo dica?» chiese poi, lasciando in sospeso per qualche istante.

«Non vuoi che ti dica chi era per te Jack Bezarius?» sussurrò, una provocazione.

O una tentazione, forse.

La castana diede uno strattone, liberandosi della presa senza incontrare poi molta resistenza; la fissò con un misto di sentimenti nello sguardo, alcuni anche in forte contrasto fra loro.

A giudicare dal sorrisetto soddisfatto che l’altra le rivolse, comunque, doveva esserci anche ciò che si era prefissata di scatenare in Alice.

Le bastò un solo passo per esserle vicina abbastanza da dover solo allungare la mano per sfiorarle una guancia: «Io posso dirtelo se vuoi. Perché io e te siamo la stessa persona.» confermò infine quanto, guardandola, poteva essere il sospetto più fondato di tutti.

Alice, l’espressione fra l’offeso e l’indignato, allontanò la mano con uno schiaffo, osservando la figura davanti a sé sparire lentamente.

Abbassò lo sguardo per qualche istante, prima di voltarsi e tornare sui suoi passi, allontanandosi di corsa da quel corridoio per andare a rifugiarsi nella sua stanza, dimentica anche di Noah che l’aspettava in biblioteca.

Scese velocemente le scale da cui era venuta, sparendo a sua volta.

 

 

Dopo le parole che gli aveva rivolto, all’inizio era stato difficile sperare di non dover rientrare in dormitorio in breve per la situazione creatasi.

Invece, malgrado tutto e benché avessero passato un buona parte del tragitto fino al bar nel completo silenzio limitandosi a camminare l’uno di fianco all’altro, Oz si era dimostrato contento di continuare l’uscita come doveva essere all’inizio.

Certo, un velo di qualcosa che ora quantomeno lo impensieriva era presente, com’era ovvio che fosse, ma non era stato nulla che non potesse almeno essere messo in secondo piano parlando degli argomenti più disparati, come l’esame in più di storia che Oz avrebbe dovuto sostenere per testare di aver effettivamente recuperato la parte di programma in cui aveva manifestato lacune a causa del trasferimento al secondo anno.

Dopo la tanto agognata merenda al bar avevano fatto qualche giro vago, decidendosi comunque a rientrare abbastanza presto sia per il buio che con l’inverno calava molto prima, sia perché l’aria aveva iniziato a rinfrescarsi al punto da giustificare a breve la neve che certamente avrebbero avuto in occasione del Natale.

Avevano varcato la soglia del cancello di Latowidge, e percorso il sentiero che conduceva all’edificio che ospitava la mensa, desiderosi entrambi di rifugiarsi nel calore accogliente della sala che sicuramente sarebbe stata già riempita dal chiacchiericcio di alcuni studenti.

Ebbero conferma quando entrarono in mensa, notando già parecchi tavoli occupati; Gilbert vide Vincent fargli cenno dal tavolo dove di solito mangiavano, notando con lui anche Elliot, Reo ed Echo.

Augurò quindi una buona cena ad Oz, abbozzando un sorriso lieve anche a mo’ di scusa, accennando a sua volta ai fratelli al tavolo.

A quel punto, Oz si mosse automaticamente verso il tavolo dove entrando aveva notato Noah e Marcus; dopo aver preso la propria cena ed essersi seduto da un po’, chiese di Alice che non si era ancora fatta vedere.

Noah gli spiegò quindi che nel pomeriggio avevano studiato in biblioteca e che lei si era allontanata dicendo che sarebbe passata dalla mensa e poi tornata, specificando che non vedendola arrivare era andato prima lì in sala e poi nel dormitorio femminile dove aveva chiesto di lei ad una ragazza che gli aveva aperto – dal momento che l’ingresso nel dormitorio opposto al proprio era severamente vietato.

La ragazza si era assentata il tempo necessario probabilmente ad andare e tornare dalla stanza della castana: quando gli aveva di nuovo aperto, aveva detto che Lewis lamentava di non sentirsi troppo bene e che non sarebbe scesa.

«Strano» commentò però Noah: «non sembrava stare male. Che abbia mangiato troppo quando è scesa da sola?» ponderò abbastanza ingenuamente forse.

Oz si disse preoccupato, tuttavia convennero insieme che non sarebbe stato possibile né di grande utilità passare dal dormitorio femminile per chiedere altro; specie considerando che in ogni caso difficilmente avrebbero potuto parlare a quattr’occhi.

Mangiarono quindi con calma, parlando del più e del meno, lasciando che ad un certo punto la conversazione si soffermasse sull’incontro tra genitori e insegnanti del giorno seguente.

«Il mio vecchio è a dir poco esaltato. E non so se è un bene.» commentò Noah pensoso, salvo l’impietoso commento di Marcus: «Non è un bene nemmeno se preghi perché lo sia di fronte a una stella cadente e lo ripeti per dieci volte di seguito anziché tre.»

Oz lo trovò a suo modo divertente – nulla di vagamente simile al rassicurante, ma spiritoso almeno sì.

Osservò pigramente Noah e Marcus battibeccare – più il primo con se stesso che non con la partecipazione attiva di Marcus – finché quest’ultimo non decretò con tutta la tranquillità del mondo che sì, lui stava andando a dormire e no, nulla lo avrebbe separato dalla calma della sua stanza.

Oz annuì, augurandogli la buonanotte, processo che ripeté quando vide Noah seguirlo quasi subito.

Solo, il compagno di stanza attese che Marcus fosse abbastanza lontano per chinarsi sul tavolo verso di Oz: «Non far caso al suo cattivo umore. È per l’incontro di domani. Non ama mio padre, ma in confronto a come tiene in considerazione sua madre si può dire che abbia un’adorazione per il mio vecchio.» disse, lasciando ad intendere senza difficoltà che tipo di rapporto potessero avere Marcus e sua madre.

Oz fece appena in tempo a vedere il compagno di stanza sparire fuori dalla mensa – non aspettarmi, stasera mi fermo da Marcus, aveva detto – che si sentì picchiettare appena sulla spalla.

Voltandosi, si ritrovò a guardare Vincent.

Abbozzò istintivamente un sorriso leggero: «Ciao.» pronunciò, vedendo l’altro ricambiare con espressione cordiale.

«Ciao, finito di mangiare?» chiese il più grande, aspettando la sua risposta piuttosto che sbirciare direttamente il piatto dell’altro. Oz annuì, dando un’occhiata piuttosto fugace al tavolo verso il quale aveva visto Gilbert dirigersi quando erano entrati lì, e notandolo vuoto.

Probabilmente gli altri avevano finito e se ne erano già andati.

«Allora ti dispiace se ti chiedo di parlare un attimo?» sentì domandare all’altro, osservandolo per qualche istante perplesso a quella sorta di invito. Tuttavia non aveva motivi per non stare almeno ad ascoltarlo, dunque si alzò semplicemente in una muta risposta alla sua domanda.

Vincent pronunciò un: «Grazie.» guidandolo quindi fuori dalla sala. Da lì deviarono verso l’esterno prima e verso il dormitorio poi, camminando senza troppa fretta.

Cosa strana, però, Vincent non accennò a nessun discorso, almeno fin quando non furono abbastanza vicini al loro dormitorio: a quel punto, anziché dirigersi direttamente verso l’ingresso deviò leggermente sulla sinistra, motivandolo con un «preferisco parlare fuori, in sala ci sono orecchie indiscrete e non mi va a genio.»

Per questo Oz lo aveva nuovamente assecondato.

Voltando appena un angolo dell’edificio però, il biondo si ritrovò a cozzare contro il muro in maniera anche abbastanza violenta e una mano alla base del collo che aveva spinto forte e vi sostava in qualche modo minacciosa.

Aprendo gli occhi che istintivamente aveva chiuso, si ritrovò a fissare quelli dissimili di Vincent, il cui viso si era avvicinato e mostrava un’espressione diversa da quella affabile che gli aveva visto indossare come una maschera ogni giorno.

«C’è una cosa che credo non capirai mai, se non te la dico in questo modo, perciò perdona i modi bruschi. Senza rancore, ok?» gli disse, per un attimo l’ombra del sorriso divertito di sempre di nuovo ad incurvargli le labbra.

Oz lo osservò, sentendo che la mano sul collo per ora non stringeva ne aveva intenzione di farlo.

Dunque sorrise di rimando, con lo stesso sorriso arrogante che aveva rivolto a Break e a Rufus Barma quando si era ritrovato a confrontarsi con loro e che sembrava ormai tipico di quando qualcosa minacciava di oltrepassare quel muro tutto sommato ancora spesso che restava quasi sempre fra sé e gli altri.

Vincent forse ne fu piacevolmente stupito, perché pronunciò un divertito: «Complimenti, nemmeno una piega di fronte alla rivelazione di un Vincent per niente amichevole e sorridente. Ti ha avvisato la mia adorata cugina, suppongo.» disse, fingendo il commento casuale.

Oz sorrise appena più ampiamente: «Anche, ma non l’avevo ascoltata a dire il vero. È solo che sono abituato alle maschere.» commentò con un eccesso di superbia forse.

Se ne era accorto, Oz.

Sarebbe stato il colmo il contrario, se proprio lui che indossava una maschera non fosse stato in grado di riconoscere quella degli altri.

«Touché.» disse solamente Vincent, prima che quel sorriso leggero scatenato dalla curiosa reazione di Oz sparisse una seconda volta.

«Te lo dico sperando che sia l’unica volta che dovrò farlo.» riprese senza lasciargli il tempo di far spaziare nuovamente l’argomento: «Gil è tutto per me.» pronunciò, quasi cogliendo di sorpresa Oz.

Che c’entrava esattamente Gilbert?

«Lui è la persona più importante. Non ho bisogno di altri, se c’è Gil. E nemmeno lui ha bisogno di altri che non sono io. Tu non sai niente di noi, né di me né di lui.» continuò, l’espressione seria quanto Oz non gli avrebbe attribuito mai dovendo scommetterci su: «Chiunque tenti di allontanarlo da me, chiunque lo renda triste diventa un mio nemico in quello stesso istante.» proseguì Vincent, stringendo appena la presa sul collo del più giovane, quanto bastava a palesargli maggiormente la sua presenza sottolineando al contempo la situazione in cui versavano.

«Perciò vattene, non immischiarti. Gilbert non ha alcun bisogno di te

 

 

Oz si ripromise di uccidere Noah nel sonno non appena gli fosse capitata l’occasione.

Perché, davvero, non era proponibile farsi svegliare come l’altro aveva fatto quella mattina: come gli aveva accennato, aveva dormito da Marcus senza rientrare nella stanza che condivideva con Oz.

Quest’ultimo lo aveva reputato un bene in realtà: non avere nessuno in stanza dopo quella specie di incontro con Vincent gli aveva permesso di non doversi preoccupare di non far scoprire niente a Noah.

Aveva persino cercato di riflettere sulle parole del più grande, cercando di dare un senso alla sua richiesta di allontanarsi da Gilbert; più che altro aveva tentato di comprendere in quale modo e perché Vincent sembrasse ritenerlo un pericolo per il moro.

Vi aveva rinunciato comunque quando malgrado tutto, avendo passato tutto il giorno fuori, aveva sentito le palpebre iniziare a farsi pesanti.

Ora, poteva capire che Noah fosse entusiasta – cercava di obbligarsi a non pensare da cosa derivasse l’aria soddisfatta del compagno a dirla tutta – ma era fuori da ogni concezione umana che tale entusiasmo dovesse trasformarsi in un risveglio traumatico per lui.

Insomma: andava bene tutto, ma la prossima volta che Noah decideva di imitare un assalto dall’alto sul suo letto con lui sopra, svegliandolo più per l’involontaria gomitata nel fianco che non per l’aver smosso il materasso, Oz gli avrebbe fatto mangiare i calzini che lasciava in giro uno per uno.

Ed per la cronaca: erano tanti.

Sbadigliò, mentre si avviavano nell’atrio dove già altri studenti erano andati a prendere i propri genitori intervenuti per i colloqui.

«Mamma mia Oz, su con la vita!» lo spronò Noah, al quale rifilò un’occhiata eloquente a cui il compagno ridacchiò.

Decise di lasciar perdere la questione risveglio.

«Come mai non sei con Marcus? Pensavo che i vostri genitori venissero insieme.» disse Oz, riferendosi alla loro condizione di fratellastri – anche se visto il resto tendeva un tantino a dimenticarsene.

Noah, le mani in tasca, scosse la testa: «No, beh, oggi no. Nel senso, non sono ancora ufficialmente sposati, quindi ognuno segue il colloquio del proprio figlio.» spiegò brevemente, l’aria comunque tranquilla.

«Com’è la madre di Marcus?» chiese incuriosito anche dal commento di Noah la sera precedente prima che se ne andasse con il fratellastro dalla mensa.

«Mh… beh, a me piace. Meglio della mia sicuramente.» replicò, senza soffermarsi comunque a parlare della propria madre: «Cecile è brillante, ed è simpatica. Ma Marcus non ci va tanto d’accordo.» aggiunse, ripetendosi riguardo l’ultimo punto.

L’attenzione del biondo però era stata catturata da qualcos’altro.

«La madre di Marcus si chiama Cecile?» domandò, sorpreso come se fosse la prima volta che sentiva quel nome.

Noah annuì: «Sì, ma non ricordo il cognome da non sposata. Perché?» chiese perplesso, occhieggiando il compagno di stanza al proprio fianco.

Questi sorrise con dolcezza e qualcos’altro che Noah non seppe cogliere con precisione, ma non diede altri segni di particolari cambiamenti.

«No, è solo un po’ nostalgico. Cecile era anche il nome di mia madre.» rivelò, e l’utilizzo del passato bastò a Noah per capire che non era il caso di fare domande, anzi, sarebbe stato meglio cambiare discorso.

«A me piacciono gli incontri come questo. Vedendo i genitori ti spieghi un sacco di cose su come sono i figli. Per esempio l’anno scorso, vedendo il padre di Sirjan e Alyster, ho capito perché lui è così rigido. Lei mi sa che ha preso da sua madre invece, perché il padre non sorride così tanto come lei.» osservò, probabilmente riportando alla mente la figura del genitore in questione.

Oz ridacchiò, immaginandosi un Sirjan adulto, burbero e baffuto magari.

«Oh, e il padre di Aedan?» domandò incuriosito e preso dal discorso.

«Sai che non me lo ricordo chi è? Forse l’ho visto di sfuggita senza sapere che era lui. Comunque considerando il figlio, non penso sia tanto tenero pure lui.» cercò di analizzare per farsi un’idea.

In effetti, pensò Oz, alla luce del ruolo di Aedan di guardia del corpo e del modo di pensare di se stesso e della propria salute che sembravano avergli inculcato, era quasi certo che il padre di Aedan non fosse un tipo che potesse stargli simpatico.

Nel frattempo avevano raggiunto l’atrio, gremito di studenti con le divise in perfetto ordine e tanti adulti tutti insieme, cosa a cui a Latowidge non erano affatto abituati.

«Io sono curioso anche di vedere tuo padre, Oz. Com’è?» chiese Noah, l’entusiasmo di un ragazzino nella voce.

Il biondo parve pensarci su qualche attimo mentre con lo sguardo cercava la sorella: «Mio padre, beh, lui è…» iniziò, ma fu interrotto da una voce che chiamava Noah e alla quale dopo qualche istante il ragazzo rispose con un «Ohi!»

Quando si voltò per vedere a chi avesse risposto, Oz intravide un uomo che non faticò assolutamente a riconoscere come il padre del compagno di stanza pur vedendolo per la prima volta. Non tanto per l’aspetto prettamente fisico: l’uomo, sul metro e ottanta, aveva un fisico abbastanza slanciato ma nulla di eclatante mentre Noah non era proprio altissimo.

I capelli erano lunghi, di un biondo cenere e tenuti in ordine da una coda bassa che poggiava morbidamente sulla spalla sinistra; gli occhi forse erano chiari e avvicinandosi Oz riconobbe il colore come azzurro.

Quello che somigliava al figlio in maniera impressionante era il modo di sorridere che entrambi avevano.

Oz aveva seguito Noah nel suo avvicinarsi al padre, e non poté non ridere apertamente quando Keynes senior fermò l’abbraccio-assalto del figlio con uno scappellotto dietro la testa.

Seguito da un: «Sei una capra in matematica!» al quale Noah aveva assunto un’espressione che era dapprima un tentativo di far pena al padre e che si era poi trasformata in un sorrisetto strafottente.

«Pa’, in confronto a com’eri te in matematica avrò un premio alla fine dell’anno.» lo prese bonariamente in giro, tanto che per un attimo – precisamente mentre il signor Keynes malediva senza celarlo troppo il proprio figlio dandogli dello sciagurato – Oz si era chiesto chi fosse il figlio e chi il padre.

O se, piuttosto, non fossero solo fratelli.

«Oh, tu devi essere Oz, il compagno di stanza di questo tipo assolutamente irrecuperabile.» riprese il signor Keynes notando Oz.

«Eddai pa’!» lo riprese offeso Noah, senza peraltro essere preso granché in considerazione – volutamente – dal padre. Questi invece si rivolse nuovamente ad Oz, allungando una mano verso di lui.

«Piacere, Christopher Keynes, il padre di Noah.» si presentò; Oz andò a stringere prontamente la mano con la propria, il sorriso che gli salì spontaneo alle labbra: «Piacere mio, Oz Bezarius.» pronunciò a sua volta, anche se sembrava che Noah avesse parlato di lui e che quindi non ce ne fosse bisogno.

Trattenersi a parlare con il padre di Noah fu una delle cose che Oz fece più volentieri mentre aspettava in quel punto Ada, che in breve li raggiunse poco dopo Marcus e sua madre – il primo sembrava di umore alquanto discutibile, mentre Cecile si era dimostrata abbastanza vicina alla descrizione di Noah dal poco che Oz aveva potuto evincere.

A distrarli dalle chiacchiere senza importanza che stavano facendo in attesa che anche il signor Bezarius li raggiungesse, proprio il richiamo di questi verso la propria figlia li portò a spostare tutti insieme lo sguardo nella direzione da cui era venuta la voce.

Zai Bezarius, i capelli biondi che divennero visibili quando tolse il cappello, aveva un portamento e un’espressione fiera e un po’ severa, ma che Cecile commentò come “cortese ed educata” prima che il diretto interessato li raggiungesse del tutto.

Ada lo baciò sulle guance con un sorriso timido tipico dei suoi, mentre Oz chinò appena rispettosamente il capo; avevano quindi presentato il padre anche agli altri presenti e Zai si era detto piacevolmente sorpreso dalla facilità con cui Noah aveva saputo prendere suo figlio.

Aveva poi insistito perché Ada riferisse ai genitori di Karin Hamilton, la sua compagna di stanza, che aveva avuto modo di conoscere gli anni passati che dopo i colloqui del figlio maschio li avrebbe incontrati di nuovo con piacere.

La maggiore dei suoi figli si era quindi allontanata dal piccolo gruppo per il tempo sufficiente ad eseguire la richiesta del padre e nel contempo quest’ultimo aveva scambiato qualche parola con i genitori di Noah e Marcus.

Quando Ada fu di ritorno, Zai si congedò da loro: «Con permesso, inizierei da mio figlio per gli incontri con i docenti.» disse, posando una mano sulla spalla di Oz, quasi a guidarlo verso la direzione giusta e rivolgendosi quindi a lui.

«Vogliamo andare, Jack?» pronunciò.

Oz, un sorriso tra il mesto e il comprensivo sul viso, annuì appena: «Sì, padre.» senza osare portare lo sguardo sul gruppo da cui si allontanò con il genitore.

Noah per contro sembrava essersi gelato sul posto, mentre un’espressione di rassegnazione e preoccupazione si faceva strada sul volto di Ada.

Forse, pensò Noah, era questo che Oz aveva iniziato a dirgli prima che si interrompessero per andare incontro a Christopher – mio padre, beh, lui è…

...lui non mi chiama mai con il mio nome.

 

 

Note

Iniziamo con i disclaimer sennò me li dimentico. La frase in apertura è della canzone “Bodies”, di Robbie Williams.

Poi. Mi dispiace, sembra che io non riesca a fare i capitoli più corti in modo che risultino magari meno pesanti T_T *si flagella*

Credo che questo sia comunque quello con più shonen-ai concentrato (fra i riferimenti alla MarcusNoah, quelli alla RufusBreak e le scene di pseudo-dichiarazioni di Gilbert e Oz x° E la gelosia di Vincent XD); in parte spero di essermi fatta perdonare almeno un pochino per quanto poco tratto la GilOz – che sarebbe anche il pairing base, coff.

È che Gilbert mi sta terribilmente scomodo, lo ammetto, non so muoverlo come vorrei ç_ç”

Comunque, sono apparsi anche Christopher (il papino di Noah) e Zai *odia* E vi abbandono fino al prossimo capitolo alle vostre congetture sul perché Zai chiami Oz “Jack” *ammicca preparandosi a ricevere minacce di morte*

Passiamo ai ringraziamenti

 

Meimei: nipotah *A* Addirittura sono riuscita a farti pensare “povero Oz”? Oddio *se lo segna sul calendario* E ormai mi sono arresa al fatto che Sirjan possa essere odiato, quindi vai tranquilla ùwù”

Noah sarebbe capace di creare un club per l’uccisione del grassone, quindi non scherziamoci tanto su: è idiota abbastanza per prendere la cosa in considerazione XD

Miranda è cattiva tanto quanto è divertente muoverla: e la scena tra Noah e Oz non voleva essere a sfondo yaoioso, ma credo sia normale che venga recepita in quel modo *muor*

Grazie dei complimenti, anche se non vorrei far piangere nessuno T_T *però si sente lusingata*

Spero ti piaccia anche questo capitolo <3

 

Fiamma Drakon: Rufus insegnante io lo studierei per una vita come soggetto unico nel suo genere XD

Mi fa piacere trovare nelle recensioni che quello che io sento rispetto ai personaggi possa arrivare tramite quello che scrivo (Break più unico che raro nel suo genere, la tristezza di Jack e il resto); ti ringrazio per i complimenti e di continuare a seguirmi, spero che ti piaccia allo stesso modo anche questo capitolo 12 ^^

 

LitaChan (che ormai è una fedelissima XD): grazie <33 Alla parte del concerto tenevo particolarmente, quindi non posso che essere più che felice e soddisfatta del fatto che ti sia rimasta impressa e che abbia comunicato qualcosa.

Grazie di seguirmi sempre, ed ecco a te il nuovo capitolo *-*/

 

Yoko891: aww. Sì, sono un’autrice schifosamente di parte sui pg di cui scrive e perciò godo internamente di aver fatto sì che Alyster ti facesse tenerezza <3 *gode* E mi dispiace di aver fatto venire voglia di buttarsi dal balcone *gya*

Jack purtroppo non c’è verso: già è normalmente un pg malinconico nonostante il modo di fare quasi sempre allegro, in Rinnega data la sua situazione non miglioro molto l’umore che aleggia intorno a lui temo x°

E brava, ama Sirjan che lui ha bisogno di amore.

Ecco il risvolto yaoieggiante u_u olé! *alza pugno in aria*

 

   
 
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