Lui che non rivolge lo sguardo verso di me
From my reflection,
I want perfection.
Prova a
cogliere qualche suono oltre un rumore meccanico e continuo nel silenzio
altrimenti completo della stanza.
Qualche
attimo prima poteva giurare di aver distinto qualche voce, anche se non era
stato in grado di riconoscerle.
Interrompe i
pensieri nel cogliere la porta che si apre: si sforza di aprire gli occhi,
trovando inizialmente qualche difficoltà, sentendo le palpebre pesanti.
Chiunque
fosse entrato, probabilmente aveva colto qualche movimento da parte sua; sente
dei passi avvicinarsi.
«Oz…?»
Si sforza di
aprire gli occhi, riuscendovi: la vista inizialmente non chiara si focalizza
sulla persona al proprio fianco, non impiegando troppo nel riconoscere la
figura di Ada.
E, dietro di
lei, Gilbert Nightray.
Sbatte appena
le palpebre, quasi a metterli meglio a fuoco e vede spuntare un sorriso timido
sul viso della sorella: «Fratello, come ti senti?» la sente chiedere.
Sospira
piano, chiudendo gli occhi qualche secondo: «Mi… gira la testa.» pronuncia, il
tono flebile.
Ada, accanto
a lui, si siede: Gilbert, qualche passo indietro, rimane fermo.
Sposta lo
sguardo su di lui, Oz, e gli sorride: «Gilbert, com’è andato il concerto?»
domanda.
Non ricorda
esattamente cosa è successo verso la fine, come se si fosse addormentato e non
sapesse chi può averlo portato lì dov’è adesso – che suppone sia l’infermeria
della scuola, forse.
Magari ha
avuto un colpo di sonno, pensa.
Gilbert non
risponde: «Il concerto?» gli fa eco invece, ripetendo la domanda.
Lui annuisce
appena: «Sì, ricordo Sirjan che suonava e… quella ragazza, la compagna di
Alyster Kolstoj. Aveva finito di cantare, ma… poi?» mormora confuso.
Ada assume
un’espressione strana, lo sguardo che devia dal fratello.
Il biondo guarda
Gilbert, ma non riesce ad intravederne gli occhi, così come sono coperti dalla
frangia in quel momento; l’amico tace.
Non gli
sembra di aver fatto una domanda così difficile e si sente quasi in ansia per
quell’assenza di risposta.
«Gilbert?» lo
esorta infatti.
Il moro, per
riflesso, sentendosi chiamare alza lo sguardo e l’espressione che gli vede in
viso ad Oz non piace affatto; è simile allo sguardo che ogni tanto gli rivolge
anche Ada, e che lo fa andare in bestia e gli fa venire voglia di alzarsi e urlarle
cose che possono ferirla.
Quello
sguardo non gli piace: somiglia troppo alla pietà.
«Ti ho fatto
una domanda.» fa notare al moro, il tono che è strano ma non ancora
eccessivamente rabbioso: Ada, tuttavia, probabilmente ormai quasi fiuta le sue
reazioni nell’aria, perché lo guarda preoccupata, allarmata quasi.
Questo gli fa
rabbia.
Vede Gilbert
avvicinarsi, e allungare appena una mano verso il viso del biondo, esitante,
come se temesse di fargli male.
Oz non
allontana la mano che si protende verso di lui, né fa nulla per evitare quel
contatto del dorso delle dita di Gilbert – un po’ fredde al contatto con la
guancia, in verità.
«Oz, forse
dovresti riposare.» mormora piano, con lo sguardo addolcito e preoccupato e
confuso insieme.
Lo odia
quello sguardo.
Lo odia da
morire.
E non si
accorge nemmeno di quando esattamente stringe la sua mano intorno al polso del
moro, e stringe parecchio quasi per obbligarlo a piegarsi verso di lui –
sfortuna vuole che sia debole per riuscirci, ma l’intento è ugualmente palese.
Si sente
urlare, sente la propria voce rabbiosa all’indirizzo di Gilbert.
Sente se
stesso pronunciare parole orribili, alle quali l’altro inizialmente sgrana gli
occhi, poi abbassa lo sguardo, poi si morde il labbro inferiore in quel tic
nervoso che ha sempre avuto fin da ragazzino.
Sente dolore
alla gola ad un certo punto, probabilmente è quando grida veramente troppo.
E Gilbert
ancora evita il suo sguardo.
E lui lo odia
ancora di più.
«Ohi, Oz.» colse quasi contemporaneamente a quando la
figura di Noah rientrò nel suo campo visivo.
Richiuse qualche istante gli occhi, intontito dal
sonno – e da Noah che lo smuoveva mettendo a dura prova la stabilità del suo
stomaco di prima mattina.
«Ho capito, mi sveglio, mi sveglio…» mormorò, pur di
mettere fine a quel movimento che a breve gli avrebbe fatto venire il mal di
mare nonostante fosse solo sul letto della propria stanza.
Sentì Noah ridacchiare, anche se gli parve di
cogliervi una sfumatura appena più nervosa del solito: «No, ma non siamo in
ritardo, è domenica.» lo rassicurò, lo sguardo ancora su di lui.
Oz aprì gli occhi in maniera definitiva, andando ad
osservare il compagno: effettivamente notò che indossava abiti da camera, un
paio di pantaloni semplici e un maglione che lasciava intravedere il colletto
di una camicia bianca.
«Ma se è domenica…» iniziò Oz, il resto intuibile,
tanto che il compagno lo precedette: «Avrei evitato di svegliarti, ma ti stavi
agitando di nuovo in quel modo un po’…» toccò a Noah lasciare in sospeso.
Si guardarono rimanendo in silenzio, entrambi consci
solo in parte di cosa l’altro volesse dire o stesse pensando.
Oz notava solo in quel momento che da almeno una
settimana quei sogni che gli avevano procurato l’insonnia sembravano aver
deciso di dargli un minimo di tregua; per contro, Noah sembrava impacciato un
po’ dal disagio dell’argomento – che era anche stato in qualche modo oggetto
del loro litigio – un po’ preoccupato per il fatto che quel sonno agitato fosse
ricominciato.
«Strano?» concluse infine Oz per lui.
Noah, sedendosi sul bordo del letto del compagno
scosse la testa: «Non proprio. Preoccupante, più che altro. E poi chiamavi dei
nomi nel sonno, e ho pensato che non era qualcosa di piacevole.» ammise lui.
Il biondo ne fu in parte perplesso: «Nomi?» domandò
infatti, ora con la massima attenzione alle parole dell’altro, che annuì.
«Ti avevo già sentito altre volte. Di solito nomini
tua sorella Ada per lo più.» rivelò, lasciando però intendere che stavolta era
stato diverso, almeno in parte: «Ma prima hai chiamato anche Gilbert Nightray.
E quasi urlato qualcosa che assolutamente non ho capito, ma eri parecchio
arrabbiato.» concluse.
Oz cercò di fare mente locale sul sogno che aveva
fatto: aveva ancora abbastanza chiara la rabbia a cui lo stesso Noah aveva
accennato, e anche la figura di Gilbert – quella di Ada un po’ più vaga a dir
la verità.
Ma gli sfuggiva cosa potesse aver urlato contro
Gilbert.
E non ebbe molto modo di concentrarsi per ricordarlo,
sentendo la mano presumibilmente di Noah che gli scompigliava energicamente i
capelli: alzando lo sguardo chiaro sull’amico, lo vide sorridere apertamente e
fargli l’occhiolino con fare complice.
Non poté non ricambiare, prima ancora che Noah
parlasse: dopotutto l’altro era stato il primo con cui aveva parlato, il primo
che gli si era rivolto da pari, senza preoccuparsi di niente di superfluo e
fidandosi solo di quanto Oz gli diceva.
«Non starti a preoccupare, so io cos’hai! Lo stomaco
reclama la colazione!» affermò con certezza.
Occhieggiando l’ora, Oz non poté dare torto al brontolio
che riempì la stanza scatenando poi l’ilarità di entrambi.
«Eccoli lì!» gli indicò Noah, puntando il dito in una
direzione precisa non appena lui ed Oz ebbero varcato la soglia della mensa.
Non era piena, specie non come il resto della
settimana: sia perché alcuni studenti partivano regolarmente per il week-end,
sia perché erano scesi ad un’ora più tarda rispetto a quella solita della
colazione.
Seguendo l’indicazione dell’amico, Oz individuò un
tavolo occupato, riconoscendovi la coppia che meno di tutte credeva potesse
interagire – o almeno, non in due e da soli. Non avevano proprio nulla da
dirsi, ecco perché.
Noah probabilmente pensò la stessa cosa, almeno a
giudicare dal ridacchiare sommesso che si lasciò sfuggire per poi iniziare a
dirigersi verso di loro: «Se non fosse che mi fido ciecamente di entrambi,
potrei anche ingelosirmi di un Marcus e una Alice che fanno romanticamente
colazione da soli.» osservò divertito, senza crederci nemmeno per un istante
che la situazione tra i due potesse anche solo vagamente definirsi “romantica”.
Oz gli pungolò il fianco con il gomito,
scherzosamente: «Lo sapevo che sotto sotto ti piaceva Alice e che eri un tipo
geloso.» disse falsamente serio, con l’aria di chi la sa lunga.
Noah lo fissò qualche istante, il ridacchiare che era
andato sfumando, lasciando il sorriso divertito sulle labbra: «Beh, sul fatto
della gelosia ci hai preso in pieno.» sottolineò con tutta la naturalezza del
mondo ed Oz si ritrovò a guardarlo sorpreso, mentre Noah lo occhieggiava con la
coda dell’occhio.
«Ovviamente, che resti fra noi. Marcus ha già troppi
punti di forza rispetto a me senza sapere che rasento davvero il ridicolo sul
livello di gelosia che ho nei suoi confronti.» si raccomandò, una mano che
istintivamente era andata a grattare distrattamente la nuca nell’ormai classico
gesto impacciato di quando Noah non era esattamente a suo agio.
Oz avrebbe volentieri insistito su quel punto per
stuzzicare un po’ l’amico – vendetta personale per delle prese in giro subite –
ma l’altro aumentò appena il passo verso il tavolo.
Lo vide circondare con le braccia le spalle di Marcus,
che dalla sua posizione non li aveva visti arrivare: in un gesto apparentemente
fraterno, o complice fra amici, Oz vi riconobbe quello che Noah gli aveva detto
– in maniera discutibile e con una spiegazione non degna di questo nome quale
“ah, oltre che mio fratellastro è anche il mio ragazzo”.
Si concesse un’ultima risatina divertita prima di
raggiungere il tavolo a sua volta.
«Buongiorno.» salutò sia Marcus che Alice, andando a
prendere posto vicino a quest’ultima, mentre Marcus si limitava a lanciargli
un’occhiata e poi un breve cenno del capo, tanto per dare ad intendere di
averlo visto e sentito.
Alice invece ricambiò il saluto a bocca piena, facendo
sorridere Oz mentre occhieggiava cosa il tavolo offriva quella mattina per
colazione.
Mentre ponderava se servirsi o meno delle uova, si
ritrovò a pensare che il concerto aveva avuto un lato positivo dopotutto, anche
se non sembrava – tant’è che nessuno vi aveva più accennato dalla sera
precedente.
Avrebbe dovuto ringraziare Noah e gli altri per
questo: alla fine dell’esibizione si erano ritrovati con un Gilbert che tornava
in stanza accompagnato da Vincent, lamentando un mal di testa piuttosto forte
tanto quanto improvviso.
Per contro lui non aveva particolari dolori fisici;
tuttavia, non si poteva nemmeno parlare di umore in maniera generica, tanto
questo era precipitosamente calato a picco: la canzone, basata sulla melodia di
Lacie, insieme al recente ritrovamento del diario del fratello, era stato
quello che molti tendevano a chiamare “mix letale”.
Non era stato in grado nemmeno di fingere più di tanto
che tutto andasse bene, ed aveva tenuto la mano di Alice meccanicamente,
proprio come si sarebbe fatto con la propria àncora di salvezza.
Senza alcuna malizia, senza curarsi di qualche vago
commento che era stato fatto da chi li aveva visti uscendo dall’aula magna in
cui si era tenuto il concerto – qualcuno comunque doveva aver guardato gli
interessati in maniera eloquente, perché Oz ricordava chiacchiere sommesse che
si erano spente in breve.
E lei, semplicemente, non aveva lasciato la sua mano
fino a quando non era stato lui ad allentare appena la presa: con gentilezza
tutta sua, comprensiva nonostante non avessero avuto modo di chiarire quella
discussione che avevano avuto.
Eppure adesso sembrava non ci fosse mai stata: come
se, senza reale bisogno di parlarne, Alice avesse capito; o, semplicemente,
avesse messo tutto da parte, colpita dal fatto che anche uno come Oz che
sorrideva sempre e si comportava come se non avesse un solo problema al mondo
potesse avere momenti come quello che c’era stato la sera prima.
Forse Alice aveva colto la fragilità meglio di tanti
altri; Oz si era quasi convinto del fatto che la sincerità della ragazza, a
volte forse un po’ rozza o fin troppo schietta, fosse riuscita quasi ad
influenzarlo, rendendo riconoscibili le sue bugie o i suoi falsi sorrisi.
Almeno alcuni, almeno per lei.
«…Per questo il nostro è un mondo difficile.» sentì
pronunciare di fronte a sé, ridestandosi dai suoi pensieri e puntando lo
sguardo su Noah di cui aveva riconosciuto la voce.
«Eh?» chiese perplesso, senza capire.
Noah lo fissò con l’aria saccente che ogni tanto
tirava fuori per atteggiarsi, anche se non era granché tipico di lui e lo
faceva solo quando voleva prenderlo amabilmente per i fondelli: «Niente, dicevo
una frase a casaccio. Tanto comunque non mi ascoltavi.» rivelò, tornando a
inforchettare la sua porzione di pancetta.
Oz lo fissò in modo piuttosto eloquente, ma
un’eventuale replica fu interrotta da un: «Testa d’alga, voglio mangiare in
pace.» da parte di Alice.
Deviando lo sguardo nella stessa direzione in cui era
indirizzato quello della castana, notò Gilbert – con l’aria di chi stava
seriamente ponderando di strozzare la propria cugina, alla faccia dei legami di
sangue – in piedi lì vicino al loro tavolo ora.
Lo guardò incuriosito dalla sua presenza lì, notandolo
peraltro sprovvisto anche lui della divisa: aveva l’aria un po’ stanca, ma
sembrava almeno ad occhio che il mal di testa della sera precedente fosse
quantomeno migliorato.
Il biondo gli rivolse quindi un sorriso, salutandolo
con un “buongiorno” al quale Gilbert replicò con un incurvarsi di labbra
leggero ma visibile.
«Più tardi e nel pomeriggio hai da fare?» domandò il
moro, senza girarci troppo intorno e con fare un po’ rigido: conoscendolo,
pensò Oz, probabilmente era dovuto al fatto di trovarsi davanti a persone con
le quali non aveva grande confidenza.
E per uno come Gilbert era una situazione piuttosto
seccante, in qualche modo, che lo portava costantemente a rimanere sulla
difensiva.
Oz scosse la testa: «No, visto che non abbiamo
lezione.» dichiarò, l’espressione incuriosita ancora presente sul suo viso.
Parve quasi intuire il disagio di Gilbert, riuscendo a trovarvi un motivo
quando il più grande riuscì ad articolare – guardando con grande interesse il
piatto della colazione di Noah, che era il più vicino – un: «Devo fare dei giri
in città, puoi venire?» appena borbottato.
Sorpreso dalla cosa – o forse più dal fatto che
Gilbert non lo avesse preso da parte per chiederglielo, conoscendolo – Oz
annuì, l’incurvarsi delle labbra che assumeva una connotazione divertita;
d’altronde, con tutto l’affetto che poteva avere per Gilbert, stuzzicarlo era stato
e rimaneva comunque uno dei suoi passatempi preferiti.
Nonché una fonte di divertimento non indifferente, a
suo avviso.
Così come era arrivato, con un leggero cenno agli
altri presenti – e ignorando Alice che stava iniziando a sbraitargli contro –
Gilbert si allontanò in favore dell’uscita, forse avendo già fatto colazione in
precedenza.
Seguì il silenzio, riempito solamente dalle
argomentazioni di Alice contro il cugino, che si conclusero con uno sguardo che
parlava da solo e che venne puntato su Oz.
Il quale si voltò verso di lei, sorridendole con
dolcezza e portando una mano a scompigliarle appena i capelli in un gesto da
fratello maggiore che ad Alice non aveva mai rivolto fino a quel momento: «So
che lo dici perché sei preoccupata per me, ma… Gilbert è il mio migliore amico
da tanti anni. Se ha bisogno di una mano, non posso dirgli di no. » spiegò,
osservandola.
«Però prometto di tornare per tempo, così ceniamo
tutti insieme, va bene?» domandò, la promessa nelle sue parole sincera.
Le arruffò giocosamente i capelli, rivolgendole un
sorriso gentile,
che aveva preso l’abitudine di riservarle sempre.
«Non preoccuparti Alice! Devo andare dal mio migliore
amico,
ma questo non significa che non tornerò più!
Prenderemo di nuovo il tea insieme, promesso.»
Era tornato altre volte.
Poi, all’improvviso, un giorno non era tornato più.
«Alice, ti sei arrabbiata?» sentì chiedere ad Oz, la
mano calda che ancora sostava sulla sua testa.
Arrossì appena, imbronciandosi… per poi mordergli con
un movimento veloce la mano, come avrebbe fatto un animale scontento
dell’atteggiamento del proprio padrone.
In una scena anche piuttosto comica, Oz ritirò la mano
con espressione dolorante lamentandosi del morso ricevuto, mentre Alice
indispettita voltava il viso dall’altra parte.
«Tsk, non prenderti certe libertà, schiavo!» lo
rimproverò, mentre Noah rideva divertito senza nemmeno far finta di essere
solidale col dolore dell’amico e Marcus assumeva un sorrisetto dalla sfumatura
simile a quella della risata del fratellastro – con la sola differenza che Noah
ti contagiava, Marcus sembrava semplicemente godere della forma dei denti di
Alice sulla mano di Oz, niente di più.
«Alice è cattivaaaa.» si lamentò il biondo, allungando
volutamente la vocale per enfatizzare la propria protesta riguardo il morso.
Alice invece si ripeteva che era giusto; si ripeteva
che non erano la stessa persona… no?
Dopo la colazione, che era durata un po’ più del normale potendo prendersela comoda quella mattina, Oz era tornato in stanza – non prima di aver mollato uno scappellotto più che giustificato a Noah.
Almeno il compagno di stanza avrebbe smesso – forse – di trovare divertenti certe battutine idiote come quella che aveva sentito il bisogno di esternare quando avevano quasi finito di mangiare.
«Ohi Oz, ci stavo pensando da qualche giorno.» aveva esordito dopo un po’ che erano in silenzio Noah – ed Oz dopo avrebbe dato ragione a quello che aveva sentito dire a Marcus una volta, ossia che Noah Keynes quando pensava era il male – fissandolo come se ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, ma che a giudicare dall’espressione seria per i suoi standard lo impensieriva abbastanza.
«…Sarà mica che esci con tutti e tre i Nightray?» se ne era quindi uscito.
E sì, lo scappellotto si era abbattuto implacabile sulla sua testa per mano di un Oz sportosi sopra il tavolo della colazione.
Ed ora si avviava verso l’ingresso dell’edificio scolastico, venendo dal dormitorio dove era andato a cambiarsi per poi incontrarsi con Gilbert: uscire non era un’idea malvagia.
In primis, non ricordava nemmeno più l’ultima volta che era riuscito a fare una chiacchierata degna di quel nome con Gilbert: da quando era a Latowidge, complici diverse lezioni e impegni, non c’era stato modo ad eccezione di quando il più grande era andato a portargli da mangiare in camera.
Quanto a prima, beh… si erano praticamente ritrovati lì a scuola, non c’era esattamente un “prima”.
Scosse la testa, lasciando rilassare i lineamenti del viso per poi distendere le labbra un sorriso: per nessun motivo voleva rendere quell’uscita qualcosa di deprimente, perciò aveva deciso che avrebbe tenuto lontano qualsiasi pensiero negativo.
Il concerto, il diario chiuso nel cassetto del comodino, Cheshire, Glen Baskerville, tutto.
Come se non ci fosse affatto. Almeno per un giorno.
«Gil!» chiamò il più grande quando lo individuò davanti al portone designato come punto d’incontro: notò che anche lui si era volentieri liberato della costrizione della divisa, optando per pantaloni scuri e supponeva un maglione, invisibile sotto il cappotto nero che arrivava a metà gamba.
Quando Gilbert alzò la mano in segno di saluto lasciando intendere di averlo individuato a sua volta, Oz poté notare ormai a pochi passi dall’amico che le mani erano coperte da guanti grigi.
Oz lo affiancò, rivolgendogli un sorriso entusiasta probabilmente per l’uscita in procinto di cominciare; Gilbert ricambiò, avviandosi verso il cortile e quindi il cancello che delineava il territorio scolastico dividendolo dalla strada che portava in città.
Per una parte iniziale del tragitto tacquero entrambi, il disagio lieve ma intuibile: un classico quando per molto tempo non si incontra qualcuno e, benché quando ciò avviene si avrebbero mille cose da dire, si mantiene un silenzio quasi di stallo.
Alla fine comunque, Oz era pur sempre Oz: non era proprio da lui far cadere il silenzio e lasciare che aleggiasse troppo a lungo.
«Allora, dove andiamo?» lo incalzò con tono incuriosito, osservandolo, l’espressione e il modo di fare come quello di un ragazzino che si entusiasma per ogni piccola cosa – e magari al momento era, più o meno, proprio così.
O almeno fu il pensiero che fece Gilbert portando gli occhi dorati sul più giovane, notandolo col busto leggermente piegato in avanti e le mani dietro la schiena, in quel suo tipico atteggiamento di innocente curiosità di quand’erano bambini.
Dal cappotto marrone lungo come il proprio, si intravedeva appena la sciarpa chiara attorno al collo; gli rivolse un sorriso, di quelli gentili che erano in accordo soprattutto con il carattere del Gilbert che Oz ricordava sempre a casa sua: «Vere e proprie commissioni, ne ho solo un paio. Tu dove vorresti andare?» domandò, il tono calmo e rilassato, senza troppa fretta.
Quasi a rifletterlo, i passi si susseguivano con andatura moderata anche dopo averli condotti fuori dal cancello.
Oz spostò l’attenzione di fronte a sé, sulla strada, portando un indice vicino al mento con fare pensoso: «Mh, vediamo…» mormorò quindi, chiudendosi per qualche istante nel silenzio, facendo mente locale.
«Dolci. Voglio fare merenda con dei dolci.» iniziò quindi: «E andare alla piazza! In mattinata c’è il mercato, vero? Ah, e poi voglio passare in un negozio di cui mi ha parlato Alyster. Dice che ci sono un sacco di spartiti anche per i principianti. E poi…» proseguì, suscitando un ridacchiare divertito nell’altro.
Quando lo colse, fermò per un attimo quell’elenco che sembrava non fosse finito ancora, osservando Gilbert interrogativamente: «Che ho detto?» chiese infatti.
L’amico scosse la testa: «Sembri solo entusiasta come un bambino.» lo prese bonariamente in giro; parole alle quali Oz gonfiò appena le guance esibendosi in uno dei suoi bronci migliori.
Aumentò il passo, in un chiaro tentativo di mostrarsi offeso – e, conseguentemente, mandare in crisi Gilbert come ai bei vecchi tempi.
Intento in cui riuscì in un batter d’occhio, neanche a dirlo: il più grande lo aveva affiancato quasi subito con poche e brevi falcate.
«O-Ohi.» lo aveva richiamato infatti, mentre ad Oz sorgeva spontaneo un sorriso che non prometteva nulla di buono: «Sono offeso.» decretò con falso tono che non ammetteva repliche di sorta.
Ciao, Gilbert, ben tornato nel terrorismo psicologico firmato Oz Bezarius.
Ti era mancato, eh?
«Ma…» tentò di replicare Gilbert, la mano che si posò sulla spalla del biondo con la chiara intenzione di fermarlo, senza però poter finire la frase. Nel portare lo sguardo sull’amico, Oz aveva notato l’espressione di Gilbert in quel momento, e nonostante i buoni propositi non era proprio riuscito a non scoppiare a ridere appena voltato un angolo che immetteva in una strada principale.
Cosa che, per ovvi motivi, aveva bloccato sul nascere qualsiasi protesta a cui Gilbert volesse dare voce un attimo prima, lasciando spazio dapprima alla confusione e in un secondo momento alla consapevolezza di essere stato – di nuovo – fregato dalla stessa persona di sempre.
«Non è divertente!» ribatté infatti – già, si disse Oz, rispetto al Gilbert di una volta questo sembrava perdere le staffe per le cose stupide molto più facilmente e per contro avere maggiore sangue freddo laddove una volta al massimo si sarebbe lasciato andare al pianto o alla fifa.
Ma questo non significava certo che il biondo lo trovasse meno divertente, anzi.
Gli rivolse un sorrisetto infame, di falsa innocenza, tipico di una volta: «Per me sì.» replicò con faccia tosta.
Gilbert parve indignato dalla cosa e lì lì per pronunciare qualche protesta, ma Oz lo superò di qualche passo, voltandosi verso di lui e proseguendo camminando all’indietro in modo tale da riuscire a vedere Gilbert nel contempo.
«Arrenditi Gil, passeranno anni prima che io smetta di divertirmi alle tue spalle.» gli consigliò canticchiando, come se poi fosse lui quello che poteva permettersi di dargli quel consiglio.
Come se poi lo stress che Gilbert accumulava da bambino non fosse in gran parte colpa proprio degli scherzi continui ad opera del giovane Bezarius.
Toccò a Gilbert imbronciarsi – solo che nel suo caso quell’espressione lo rendeva più che altro buffo, e di certo Oz non avrebbe smesso di sfotterlo solo per quello – rinchiudendosi nel silenzio, forse ostentando lui offesa ora.
Il biondo ridacchiò, tornando a camminare come si doveva, dandogli di nuovo le spalle: avanzarono per diversi minuti per la strada, in silenzio, forse l’uno seguendo l’altro.
Poi, finalmente, Oz parlò: «Era da un bel po’, eh?» pronunciò, mantenendo lo sguardo davanti a sé, benché parlasse chiaramente con l’altro; Gilbert inizialmente lo fissò senza capire, appena accigliato – probabilmente ancora con una sfumatura di rancore per la presa in giro di prima.
«Che non avevamo un battibecco così, sulle cose stupide. Che ti offendevi, mentre mi divertivo alle tue spalle. È un po’ nostalgico, vero?» continuò Oz, spiegando meglio cosa intendesse, forse cosciente che altrimenti non sarebbe stato facile da capire.
Gilbert rilassò l’espressione, forse solo un po’ stupito: Oz non era mai stato tipo da fossilizzarsi su ricordi nostalgici. Per sua stessa ammissione una delle ultime volte che avevano parlato, lui incarnava quel tipo di ragazzino che quasi gioca a fare l’adulto. Sosteneva lui stesso che voleva vivere come venivano le cose, così, che si sarebbe limitato all’accettazione.
Non tanto per passività, quanto perché – come lui stesso
aveva detto a Gilbert – una volta che qualcosa è successo, aveva pronunciato,
anche opponendosi nessuno ti darà qualcosa per tornare indietro nel tempo e
cambiare l’accaduto, no?
Perciò, memore di quelle parole, non poteva non stupirsi almeno un poco per quel modo di fare che aveva assunto ultimamente il biondo.
Legato al passato e ai ricordi ad esso collegati.
Come se…
«Ehi, che fai?» lo interrogò Oz con un sorrisetto divertito – non ne era certo Gilbert, ma a lui parve anche forzato – quando il più grande lo affiancò insinuando appena le dita fra i capelli biondi, scompigliandoglieli.
Guardando altrove e con tono burbero, l’unica spiegazione che Gilbert gli fornì fu un: «È colpa tua, che parli come se dovessi andartene via domani e questa fosse l’ultima volta che riusciamo a parlare.» gli fece notare, sottolineando forse volutamente una nota seccata in merito a quell’ipotesi.
Oz lo guardò stupito, anche se durò poco; sostituì subito quell’espressione ad una sorridente, grata – di nuovo, notò Gilbert, ritraendo la mano.
E quasi contemporaneamente al suo riportarla al
proprio fianco, Oz vi si aggrappò scherzosamente: «Gil ha imparato
a fare il figo ~» lo
prese in giro, neanche a dirlo, osservando con una certa soddisfazione mentre
un lieve rossore gli imporporava le guance di Gilbert e questi spostava lo
sguardo verso un negozio a caso, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Portò la mano a coprire la bocca, momentaneamente
impegnata in uno sbadiglio da record: non si smentiva mai, ogni volta che
mangiava troppo, irrimediabilmente finiva con l’essere intontito almeno per la mezz’ora
successiva. Per quello, e per la camminata fatta nella mattinata per il
mercato, sostavano ora in piazza, approfittando dell’aria non troppo gelida
considerando che erano ormai in pieno inverno.
Delle due commissioni che Gilbert aveva da fare – mandare
una lettera a casa Nightray e ritirare un paio di libri ordinati tempo addietro
– avevano provveduto ad entrambe prima di avventurarsi nel mercato dal quale
erano usciti solo quando la fame si era fatta sentire.
L’entusiasmo di Oz era stato contagioso fin
dall’inizio e dopotutto, proprio come lui, anche Gilbert non aveva avuto molte
occasioni di andare ad un mercato.
Forse l’unica eccezione risaliva a quando faceva parte
della servitù di casa Bezarius, ma per il resto le sue possibilità in quel
senso erano cessate nel momento in cui era ufficialmente diventato un Nightray,
facendo sì che il mercato di città diventasse un luogo non consono a lui – a
detta del Duca Nightray, quantomeno.
C’era da aggiungere poi che Oz aveva mantenuto fede a
quanto detto quando, recandosi a ritirare i libri, erano passati davanti alle
bancarelle all’inizio del mercato: «Ora che ci penso, siamo vicino a Natale
quasi, dovrei iniziare a fare i regali.» aveva osservato.
E le buste contenenti pacchetti ora ai piedi del
biondo parlavano per lui.
«Quanti te ne mancano ancora?» domandò Gilbert,
accennando alle suddette buste con l’aria di chi sì, festeggia il Natale, ma
non concepisce né il perché di tanti regali, né soprattutto l’entusiasmo
dell’andare a farli col risultato di girare per ore nei negozi – e
conseguentemente farsi saltare i nervi.
Forse lui era di parte perché non sapeva mai dove
mettere le mani, quindi meno regali aveva da fare e meglio era.
«Vediamo…» soppesò Oz: «Ho trovato già qualcosa per
Alice e Noah, quindi con loro sono a posto.» iniziò, facendo mente locale.
«Per Ada so cosa prendere, poi ci passerà un altro
giorno. Avevo una mezza idea di un regalo a Marcus, ma la sensazione che me lo
tirerebbe dietro mi fa desistere.» ammise con un ridacchiare leggero e divertito,
mentre Gilbert aveva la visione di un Marcus Wellesday che lanciava pacchi
regalo dietro un Oz in fuga.
«Per Aedan non ho un’idea neanche vaga.» rivelò con un
sospiro quasi teatrale; Gilbert alzò un sopracciglio perplesso: «Aedan? Intendi
Shaye, quello che sta sempre con Sparrow o che lavora con Sirjan?» domandò.
Oz annuì, e nello stesso momento si rese conto che
agli occhi di Gilbert doveva essere nuova quanto strana l’immagine del più
giovane amico di Aedan al punto da fargli un regalo di Natale.
Il biondo abbozzò un sorrisetto: «Mi ha dato una mano
ad ambientarmi all’inizio. E… con i compiti per recuperare il programma.»
spiegò – e non era una bugia, se per “ambientarmi” si intendeva un Aedan che
quasi gli ordinava di andare ad incontrare Sirjan, e se con “compiti” si
implicava cercare di sopravvivere alle stranezze di cui Latowidge sembrava
essere piena zeppa.
In quel caso sì, Aedan era stato quasi vitale, ma questo a Gilbert avrebbe
evitato di spiegarlo.
«Quindi in realtà,» riprese Oz «si tratta più di un
pensiero che non di un regalo vero e proprio. Ma non ho idee lo stesso, non so
cosa gli piace e cosa no.» concluse, e dopo poco parve abbandonare il tentativo
di pensare a qualcosa e scegliere la via del “aspetterò con ansia che
l’ispirazione scenda su di me come un velo divino”.
«A parte Aedan poi hai finito?» chiese Gilbert,
occhieggiando i pacchetti troppo numerosi perché fossero solo quelli di Alice e
Noah.
Oz sorrise furbo, scuotendo la testa: «No, ho già
fatto anche per Alyster e Sirjan. Ma mi manca il tuo ovviamente, non posso
fartelo se siamo insieme.» gli fece notare, divertito dallo scostare lo sguardo
altrove di Gilbert, accompagnato da un burbero quanto scontato «Non c’è
bisogno.»
«Quando andrò a prendere il regalo ad Ada» riprese Oz:
«prenderò anche quello per Jack. Poi avrò finito.» aggiunse.
Calò un silenzio in cui Gilbert non volle e
probabilmente non ebbe nemmeno il coraggio di chiedere nulla, anche se una
domanda – o forse era da definirsi semplicemente pensiero – gli era venuta quasi
spontanea.
Chissà da
quanto tempo Oz a Natale portava un pacchetto che nessuno avrebbe mai scartato
su una tomba.
Nessuno dei due provò a sbloccare quella situazione di
stallo creatasi come la mattina, quando si erano incontrati per recarsi in
città: Oz dondolava infantilmente i piedi avanti e indietro, colpendo appena di
tanto in tanto il bordo della fontana dove erano seduti con il tacco delle
scarpe.
Gilbert, invece, guardava semplicemente di fronte a
sé.
«Lavoro davvero troppo, addirittura ho le allucinazioni
e vedo le sgradevoli facce dei miei studenti anche quando sono lontano da loro ♪» sentirono pronunciare e
sebbene il tono canticchiato e le parole decisamente sgarbate non lasciassero
troppi dubbi su chi fosse ad aver parlato, si voltarono entrambi a cercare la
figura in questione.
Nel caso di Gilbert, probabilmente si rifiutava psicologicamente
di credere di aver indovinato di chi si trattasse.
Tuttavia era chiaro che il Destino non amava il
maggiore dei Nightray: fu ovvio quando sia lui che Oz videro Xerxes Break
avanzare in loro direzione.
Con accanto Rufus Barma, che aveva la stessa
espressione di chi si chiedeva – di nuovo – perché Dio lo stesse punendo in
questo modo, con un collega come Break appeso infantilmente e come una
ragazzina al suo braccio.
«Ti do un indizio Xerxes: li vedo anche io, e non ho
mai sofferto di allucinazioni.» gli fece presente, il tono ironico, mentre a
sua volta portava lo sguardo su i due studenti.
Oz li fissò entrambi di rimando, rivolgendogli il
sorrisetto strafottente già sfoggiato una volta sia con l’uno che con l’altro:
«Non è carino sentir dire da un professore che le facce dei suoi studenti gli
risultano sgradevoli.» osservò casualmente, senza alzarsi, Gilbert al suo
fianco che sospirava.
Sapeva per esperienza che con Xerxes non c’era
speranza: se lo ignoravi, non ti mollava.
Se lo provocavi, nemmeno.
In sostanza, fin quando si sarebbe divertito, era
probabile che il docente non li avrebbe lasciati stare – salvo che tentassero
la fuga con qualche scusa, ma Gilbert non avrebbe mai messo la mano sul fuoco
in merito ad un loro successo.
«Oh, oh, signor Bezarius, che cattivo.» commentò
falsamente toccato dalle parole del biondo: «Ma in fondo lei mi tratta male,
quindi la parola “sgradevole” si adatta abbastanza, giusto?» canticchiò, mentre
lo stesso Gilbert notava Barma alzare gli occhi al cielo.
Forse era quella la loro speranza: se anche Barma non
aveva alcuna intenzione di stare lì a far divertire il lato infantile di Break,
avrebbero potuto sfruttarlo per defilarsi – e Gilbert non aveva dubbi sul fatto
che Barma avrebbe gradito passare oltre fingendo di non averli visti. Di certo
non era, fra gli appartenenti al corpo docente, quello che amava gli studenti
più di tutti al punto da passarci un pomeriggio insieme.
Proprio no.
Dunque Gilbert si alzò, spostando l’attenzione su
Break per qualche breve istante, portandola poi definitivamente su Oz: «Abbiamo
ancora qualche commissione da svolgere. Con permesso.» si rivolse educatamente
come da prassi ad entrambi i professori, le parole che chiaramente suggerivano
al biondo di prendere le sue buste e andarsene con lui senza fare troppe
domande.
Sorprendentemente, Break non disse nulla per
trattenerli; anzi, si voltò verso Rufus, l’espressione divertita – sadicamente
divertita – dando poi voce ad uno smielato: «Rufus, non sei commosso? Il signor
Nightray è cresciuto, ora cerca di restare da solo con la sua dolce metà, non
ti fa tenerezza? ♥»
insinuò, guardando quindi Gilbert con gli occhi amorevoli di una madre – e
c’era da capire cosa fosse più inquietante.
Se Break con uno sguardo amorevole nei suoi confronti,
o il fatto che il suddetto sguardo fosse quello di una madre anziché quello di
un padre.
In ogni caso, l’effetto fu immediato: Gilbert divenne
indiscutibilmente paonazzo, balbettando qualcosa di indistinto che fu coperto
dalle parole di Rufus – dopo un colpo che casualmente aveva incontrato la testa
di Break, che era ora occupato ad imbronciarsi comunicando il suo “dolore per
la freddezza di Rufy” ad Emily.
«Buon proseguimento.» fu il suo congedo rivolto ai due
studenti prima di dargli le spalle e portarsi dietro anche Break.
Oz agitò la mano come un bambino in segno di saluto –
non aveva certo dimenticato il colloquio con Rufus Barma e quanto ne era
conseguito, ma non voleva dare a Gilbert motivo di preoccuparsi inutilmente.
«Piuttosto» prese il discorso: «pensavo che Xerxes e
Barma si odiassero. Almeno dall’ultima volta che li ho visti insieme in mensa,
e poi Barma sembra mal sopportare un po’ tutti. Non pensavo andassero insieme
in città.» ammise, incuriosito dalla cosa.
Gilbert, il rossore ancora in parte visibile e una
mano portata dietro la nuca in un meccanico gesto di disagio, commentò
istintivamente: «Probabilmente le voci che circolano sul fatto che stanno
insieme sono vere.» disse.
Oz divenne la personificazione della sorpresa: «Eh?!»
esclamò, fissando Gilbert, il quale al momento si stava probabilmente
maledicendo per l’indiscrezione.
«Così dicono, ma non so niente di preciso. Xerxes non
è molto discreto, comunque.» commentò, riferendosi al docente appeso al braccio
di Barma senza preoccuparsi troppo di cosa la gente potesse pensare della cosa
– anche se era comprensibile: Break sembrava a malapena preoccuparsi di se
stesso, quindi…
«Però» obiettò Oz pensandoci su: «Barma non sembra
amante delle indiscrezioni.» osservò, vedendo Gilbert annuire. Anche se,
dovette ammettere il biondo, era pur vero che per quanto infastidito, Rufus non
se lo era scrollato di dosso nemmeno in loro presenza.
O si era arreso o, a conti fatti, non lo faceva per
scelta.
«Strano comunque che tu lo senta da me per la prima
volta.» sentì dire al più grande, voltandosi verso di lui con espressione
interrogativa: «È quasi in cima alla lista di pettegolezzi che fanno le ragazze
della nostra scuola.» chiarì poi, con l’aria di chi da quei pettegolezzi
cercava di tenersene lontano il più possibile – e che probabilmente ne era
toccato in prima persona in qualche modo.
Oz sorrise in un modo che a Gilbert ricordava fin
troppo bene l’infanzia e cose come essere appeso casualmente ad un albero o
simili: «Che c’è?» domandò infatti sulla difensiva.
Oz si avvicinò a lui di qualche passo.
«Cosa dicono su di te, Gil?» domandò infatti; Gilbert
si ritrasse nemmeno il biondo lo avesse minacciato con qualche arma, dopodiché
gli aveva dato le spalle allontanandosi con un: «Proprio un bel niente.»
«Eddaaaai, dimmelo Gil!» lo pregò Oz ridacchiando,
seguendolo mantenendosi di proposito qualche passo dietro di lui.
L’altro lo ignorò in maniera piuttosto palese, non
facendo altro se non accrescere i sospetti del più giovane; si erano
allontanati un po’ dalla piazza, e complice l’orario successivo al pranzo le
vie risultavano meno affollate, al contrario dei ristoranti in cui gli era
capitato di gettare un’occhiata attraverso i vetri che davano sulle strade.
Oz aumentò un po’ il passo, affiancando Gilbert: «E va
bene, non dirmelo, ma smetti di fare l’offeso.» lo riprese bonariamente,
sbirciando il viso dell’altro.
Sembrava più vicino all’esasperazione tipica di quando
veniva preso in giro che non seccatura o offesa vere e proprie.
Oz tacque, vedendolo sospirare e rilassarsi appena –
segno che aveva imparato a riconoscere, anche se quando erano ancora a casa
Bezarius per lui era sinonimo di “Gil sta abbassando la guardia” e quindi che
sì, stava per averla vinta di nuovo.
«Uffaaa» si lamentò il biondo: «lascia perdere quello
che dice Xerxes.» lo riprese Oz, come se i ruoli sul maggiore e il minore d’età
fossero invertiti.
Portò entrambe le braccia ad incrociarsi dietro la
testa, continuando a camminare: «Tanto che Gil non mi ama nel profondo lo
sappiamo tutti.» aggiunse in falso tono melodrammatico, fermandosi poi notando
che Gilbert era rimasto indietro di qualche passo lasciando che Oz lo
superasse.
Sempre nella stessa posizione, si voltò verso di lui,
notando che stava immobile, gli occhi non proprio visibili a causa della
frangia: «Gil?» lo chiamò, perplesso.
Quando il moro alzò lo sguardo puntandolo su di lui,
Oz vide sul suo viso un’espressione che non vi aveva mai scorto prima di
allora: era arrabbiata, frustrata.
Da cosa, non lo capiva, ma non ci fu davvero bisogno
di fargli domande.
«Non hai alcun diritto di rimproverarmi una cosa
simile!» gli sbottò contro, così improvvisamente e in maniera talmente diversa
dal suo solito modo di fare, che Oz istintivamente si ritrovò a sciogliere la
posizione delle braccia e portarle lentamente ai propri fianchi senza quasi
accorgersene, incapace di distogliere lo sguardo dall’altro.
«Non dirlo mai più!» aggiunse Gilbert, senza calmare
quel tono che dell’impronta placida e gentile di sempre non aveva nulla al
momento; se solo non fosse stata immotivata ai suoi occhi in quel momento, Oz
avrebbe potuto azzardare di scorgervi ansia per qualcosa che non riusciva
proprio ad identificare.
Non si spostò nemmeno quando sentì le mani di Gilbert
stringere la presa sulle sue spalle, il viso più vicino senza che il biondo si
fosse accorto dell’avanzare dell’altro verso di lui: «Non me ne sono andato per
mia volontà quella volta. Ho continuato a tornare in quella casa, sempre,
continuamente, ogni volta che potevo. Non era solo per Jack, maledizione, era
anche per te!» parlò, e lo faceva palesemente senza pensare troppo, incapace in
quel momento di dosare le parole e le cose da dire come invece era solitamente
tipico di lui.
«Quando ho saputo della morte di Jack… sarei voluto
tornare per rimanere, ma non potevo più. Ma questo non significa che io non mi sia preoccupato! E da quando sono a
Latowidge, sapere di te solo da Ada, perché eri ancora chiuso in quella casa…
Non sai niente di cosa ho pensato quando ti ho trovato nell’atrio di quella scuola!
Non sapevo nemmeno che pensare, pensavo che… in tutti gli anni che sono passati
pensavo che tu fossi stato completamente sommerso dalla morte di Jack.» rivelò,
la stretta che si faceva ancora più forte sulle spalle di Oz.
Il biondo chiuse appena un occhio, per riflesso,
sentendo un leggero dolore dovuto proprio alla forza che Gilbert stava mettendo
nella presa.
Ma il moro non l’allentò comunque, quasi non avesse
colto quel cambiamento nell’espressione del più giovane.
«Tu invece… sembrava che stessi bene.» commentò,
abbassando il tono, l’espressione che mutava in una mesta mista ad una
sfumatura di rabbia ancora presente.
«Tu sorridevi. Proprio come quando ero ancora il tuo
servitore.» pronunciò, e ad Oz per un attimo parve un’accusa, pur sapendo razionalmente
che non lo era davvero.
«Ho pensato che non sapevo più nemmeno chi avevo
davanti. Avevo immaginato di tutto ma non che tu fossi in grado di sorridere
come se non fosse successo nulla. E ho capito che probabilmente stavi mentendo
e mi ha fatto rabbia.» quasi ringhiò l’ultima parola: «Sembra che tu non riesca
a fidarti di nessuno, né di chi conoscevi prima, né di conosci da quando sei a
Latowidge. Anzi.» si interruppe un attimo, fissandolo per qualche istante e
abbassando lo sguardo deviandolo dal viso del biondo sul quale era stato
puntato per il resto del tempo.
«Sembra che tu non riesca a fidarti soprattutto
delle persone che ti conoscono da prima.»
«Smettila.» pronunciò Oz, fermando qualsiasi possibile
aggiunta da parte dell’altro. Le braccia ora abbandonate lungo i fianchi, lo
sguardo fisso a terra, l’espressione seria: «Di cosa mi stai accusando?»
mormorò piano.
Forse a quelle parole Gilbert si ridestò da qualsiasi
stato lo avesse portato a parlare a quel modo quando in casi normali non lo avrebbe fatto.
O, semplicemente, si rese conto di quel qualcosa che
già una volta, in passato, gli aveva suggerito di tacere anche quando i dubbi e
le paure erano tanti.
Il cuore di mio
fratello,
è qualcosa che non
riesco più a capire,
aveva detto Ada:
tuttavia so che se
cercassi di osservarlo,
sicuramente finirei
per tradirlo.
Per questo lascio
che si mostri
solamente quando lo
lascia intravedere.
Ma anche lui, Gilbert, non era più quello di allora.
Quello che in un momento simile si sarebbe scusato, prendendosi anche le colpe non sue oltre che le proprie.
Egoisticamente non avrebbe voluto lasciar scappare Oz da quella conversazione ora che aveva avuto l’occasione di parlarne – anche se aveva sempre pensato di farlo in maniera più pacifica e meno opprimente per il biondo.
Tuttavia era egoista forse, ma non stupido.
Sospirò, senza dire nulla, allentando anche la presa sulle spalle di Oz; una mano si allontanò, tornando al proprio fianco, immobile. L’altra invece andò dietro le spalle dell’altro, attirandolo a sé, insinuandosi poi fra i capelli biondi sulla nuca.
Un abbraccio indubbiamente goffo, neanche a dirlo.
«Ti sto accusando di essere stupido.» replicò burbero: «Non sono più un bambino. Sono in grado di addossarmi i problemi delle persone che mi stanno a cuore.»
Forse più tardi Oz lo avrebbe preso in giro per
quell’atteggiamento, ma tutto sommato sarebbe andato bene comunque.
Alice sospirò annoiata, fissando per la quarta volta
la stessa riga del libro che aveva davanti.
Noah, di fronte, la spiò di sottecchi ma non commentò:
non aveva avuto il minimo dubbio nemmeno per un attimo sul fatto che Alice si
sarebbe annoiata a fargli compagnia mentre studiava – lui stesso che avrebbe
dovuto essere concentrato stava per addormentarsi, quindi…
Tuttavia quando la ragazza gli aveva chiesto di sua
sponte di fargli compagnia non si era sentito certo di dirle di no: in primis,
l’apprezzava. Alice era una persona che gli era simpatica, e alcuni suoi
atteggiamenti lo divertivano.
Sembrava un po’ una bambina, o così aveva notato
quando si era soffermato ad osservarla, specie quando era con Oz; inoltre, era
convinto che la richiesta fosse stata dovuta anche all’assenza del compagno di
stanza in questione.
«Vuoi che facciamo una pausa?» le chiese quindi
gentilmente, alzando lo sguardo dal libro e incontrando in breve quello di lei.
Alice lo fissò: «Hai finito?»
«Macché.» commentò lui, stiracchiandosi con ben poca
eleganza allungandosi sulla sedia. La sentì sbuffare e ridacchiò appena: «Se
vuoi possiamo fare davvero una pausa comunque. Servirebbe anche a me.» ammise,
occhieggiando il libro di matematica quasi schifato.
Vide Alice alzarsi e sistemarsi appena la divisa con
gesti veloci e meccanici: «Vado in mensa, ti porto quello che trovo.» borbottò
burbera e un po’ scontrosa.
Tuttavia Noah non riuscì proprio a prendersela per
quello, avendo imparato quantomeno a riconoscere i rari sprazzi di gentilezza
gratuita di Alice; si limitò quindi a sorriderle annuendo, tornando poi agli
esercizi.
Lei bofonchiò qualcosa, uscendo nel corridoio e
avviandosi verso la mensa.
O così avrebbe voluto fare, se solo voltando il primo
angolo diretta alle scale qualcuno non l’avesse chiamata; si voltò, cercando la
fonte della voce nel corridoio e trovandolo vuoto.
Inarcò un sopracciglio, perplessa, facendo per
voltarsi e proseguire.
Alice!
Tornò a guardare dalla parte opposta a quella verso
cui si stava dirigendo, l’aria palesemente infastidita: di nuovo, il corridoio
sembrava deserto.
Chiunque fosse, non era affatto divertente.
Alice! Alice,
vieni!
Non era razionale, ma muovere nuovi passi in direzione
della voce fu del tutto istintivo.
Destra, scale, sinistra; il nome che riecheggiava nel
completo silenzio.
Almeno fin quando, così com’era apparso dal nulla,
scomparve inghiottito dalla calma del corridoio quando era praticamente a metà;
osservò lo spazio confusa.
Colse una risata, dietro di sé: vicina, divertita dal
suo smarrimento. Lo avvertiva chiaramente come se fosse stata lei stessa a
ridere a quel modo.
Si voltò di scatto, quasi convinta che come poco prima
non vi avrebbe trovato nulla: invece si stupì di avere una figura così vicina.
Un abito bianco, capelli chiarissimi tanto da sembrare del medesimo colore
della stoffa.
Un vestito elaborato, il cui unico colore era una
fiore rosso al petto.
Un sorriso di insano e immotivato divertimento, e un
viso perfettamente identico al proprio; sgranò gli occhi sorpresa, non
potendolo evitare, muovendo qualche passo indietro.
«Chi sei?!» la interrogò nell’immediato, sulla
difensiva.
L’altra rise per quella reazione: «Dicono che si
soffre, quando le persone amate non ci riconoscono. A me però viene da ridere,
in questo caso.» osservò, beffarda.
Alice la guardò male: «Perché dovrei riconoscerti se
non ti ho mai vista prima?!» sbottò, senza staccarle gli occhi di dosso.
La vide portare con un gesto elegante la mano a
coprire la bocca, ridendo in maniera udibile: «Bugiarda, bugiarda!» esclamò,
girando con grazia su se stessa come se ballasse.
Scomparve alla sua vista, ed Alice capì dov’era solo
quando ne colse la voce di nuovo alle proprie spalle: «Alice è un bugiarda…»
sussurrò.
«Non ti sei mai riflessa nell’acqua, Alice?» la
interrogò, un mormorio basso vicino all’orecchio dell’altra. La castana fece
per spintonarla via, ma era già sparita per tornare al suo posto di fronte a
lei, dov’era prima.
«Non ti guardi mai allo specchio, Alice?» domandò
ancora, osservandola con l’aria divertita di chi conosce la risposta e trova un
passatempo di tutto rispetto prendersi gioco dello smarrimento e della
confusione altrui finché anche gli altri non arrivano alla medesima soluzione.
Si avvicinò, i passi lenti: «Ti sei dimenticata di me,
sei cattiva.» si lamentò infantilmente «E dire che io non mi sono mai
dimenticata di te. Ho ricordato io, per te.» sussurrò quasi a volerla mettere
al corrente senza essere udita da orecchie indiscrete e, al tempo stesso,
insinuarle il dubbio e il senso di colpa.
Alice si accigliò, ringhiandole quasi contro un: «Tu
cosa ne sai, dei miei ricordi?»
La vide muoversi con passetti più piccoli, in un ritmo
che probabilmente rispecchiava una melodia presente solo nella sua testa,
perché non erano movimenti prevedibili come dei normali passi.
La notò girare ancora una volta su se stessa,
iniziando a spazientirsi del tutto: «Sto parlando con te!» tuonò contro di lei;
e lei rise, sparendo per l’ennesima volta alla sua vista.
«Io so tutto di te. So quello che ricordi e quello che
hai dimenticato. Quello che hai voluto, e quello che hai rifiutato. So chi hai
amato, chi hai odiato, chi ami ora e chi odi ora.» sussurrò alle sue spalle,
una mano che le aveva cinto la vita e l’altra che era salita a prenderle il
mento.
Non c’era niente di sensuale in quel movimento, né
malizia: era solo qualcosa di inquietante, paragonabile ad un animale che
striscia e si insinua persino negli abiti.
Come quel tono che penetrava fin dentro le ossa e la
testa, in ogni fibra del corpo, lasciando dietro di sé un senso di paura e
disgusto.
«So anche chi è colpevole e chi innocente. Ricordo
ogni lacrima che hai versato. Io di te conosco tutto Alice, e tu una volta
conoscevi tutto di me. Non vuoi che te lo dica?» chiese poi, lasciando in
sospeso per qualche istante.
«Non vuoi che ti dica chi era per te Jack Bezarius?»
sussurrò, una provocazione.
O una tentazione, forse.
La castana diede uno strattone, liberandosi della
presa senza incontrare poi molta resistenza; la fissò con un misto di
sentimenti nello sguardo, alcuni anche in forte contrasto fra loro.
A giudicare dal sorrisetto soddisfatto che l’altra le
rivolse, comunque, doveva esserci anche ciò che si era prefissata di scatenare
in Alice.
Le bastò un solo passo per esserle vicina abbastanza
da dover solo allungare la mano per sfiorarle una guancia: «Io posso dirtelo se
vuoi. Perché io e te siamo la stessa persona.» confermò infine quanto,
guardandola, poteva essere il sospetto più fondato di tutti.
Alice, l’espressione fra l’offeso e l’indignato,
allontanò la mano con uno schiaffo, osservando la figura davanti a sé sparire
lentamente.
Abbassò lo sguardo per qualche istante, prima di voltarsi
e tornare sui suoi passi, allontanandosi di corsa da quel corridoio per andare
a rifugiarsi nella sua stanza, dimentica anche di Noah che l’aspettava in
biblioteca.
Scese velocemente le scale da cui era venuta, sparendo
a sua volta.
Dopo le parole che gli aveva rivolto, all’inizio era
stato difficile sperare di non dover rientrare in dormitorio in breve per la
situazione creatasi.
Invece, malgrado tutto e benché avessero passato un
buona parte del tragitto fino al bar nel completo silenzio limitandosi a
camminare l’uno di fianco all’altro, Oz si era dimostrato contento di
continuare l’uscita come doveva essere all’inizio.
Certo, un velo di qualcosa che ora quantomeno lo
impensieriva era presente, com’era ovvio che fosse, ma non era stato nulla che
non potesse almeno essere messo in secondo piano parlando degli argomenti più
disparati, come l’esame in più di storia che Oz avrebbe dovuto sostenere per
testare di aver effettivamente recuperato la parte di programma in cui aveva
manifestato lacune a causa del trasferimento al secondo anno.
Dopo la tanto agognata merenda al bar avevano fatto
qualche giro vago, decidendosi comunque a rientrare abbastanza presto sia per
il buio che con l’inverno calava molto prima, sia perché l’aria aveva iniziato
a rinfrescarsi al punto da giustificare a breve la neve che certamente
avrebbero avuto in occasione del Natale.
Avevano varcato la soglia del cancello di Latowidge, e
percorso il sentiero che conduceva all’edificio che ospitava la mensa,
desiderosi entrambi di rifugiarsi nel calore accogliente della sala che
sicuramente sarebbe stata già riempita dal chiacchiericcio di alcuni studenti.
Ebbero conferma quando entrarono in mensa, notando già
parecchi tavoli occupati; Gilbert vide Vincent fargli cenno dal tavolo dove di
solito mangiavano, notando con lui anche Elliot, Reo ed Echo.
Augurò quindi una buona cena ad Oz, abbozzando un
sorriso lieve anche a mo’ di scusa, accennando a sua volta ai fratelli al
tavolo.
A quel punto, Oz si mosse automaticamente verso il
tavolo dove entrando aveva notato Noah e Marcus; dopo aver preso la propria
cena ed essersi seduto da un po’, chiese di Alice che non si era ancora fatta
vedere.
Noah gli spiegò quindi che nel pomeriggio avevano
studiato in biblioteca e che lei si era allontanata dicendo che sarebbe passata
dalla mensa e poi tornata, specificando che non vedendola arrivare era andato
prima lì in sala e poi nel dormitorio femminile dove aveva chiesto di lei ad
una ragazza che gli aveva aperto – dal momento che l’ingresso nel dormitorio opposto
al proprio era severamente vietato.
La ragazza si era assentata il tempo necessario
probabilmente ad andare e tornare dalla stanza della castana: quando gli aveva
di nuovo aperto, aveva detto che Lewis lamentava di non sentirsi troppo bene e
che non sarebbe scesa.
«Strano» commentò però Noah: «non sembrava stare male.
Che abbia mangiato troppo quando è scesa da sola?» ponderò abbastanza
ingenuamente forse.
Oz si disse preoccupato, tuttavia convennero insieme
che non sarebbe stato possibile né di grande utilità passare dal dormitorio
femminile per chiedere altro; specie considerando che in ogni caso
difficilmente avrebbero potuto parlare a quattr’occhi.
Mangiarono quindi con calma, parlando del più e del
meno, lasciando che ad un certo punto la conversazione si soffermasse
sull’incontro tra genitori e insegnanti del giorno seguente.
«Il mio vecchio è a dir poco esaltato. E non so se è
un bene.» commentò Noah pensoso, salvo l’impietoso commento di Marcus: «Non è
un bene nemmeno se preghi perché lo sia di fronte a una stella cadente e lo
ripeti per dieci volte di seguito anziché tre.»
Oz lo trovò a suo modo divertente – nulla di vagamente
simile al rassicurante, ma spiritoso almeno sì.
Osservò pigramente Noah e Marcus battibeccare – più il
primo con se stesso che non con la partecipazione attiva di Marcus – finché
quest’ultimo non decretò con tutta la tranquillità del mondo che sì, lui stava
andando a dormire e no, nulla lo avrebbe separato dalla calma della sua stanza.
Oz annuì, augurandogli la buonanotte, processo che
ripeté quando vide Noah seguirlo quasi subito.
Solo, il compagno di stanza attese che Marcus fosse
abbastanza lontano per chinarsi sul tavolo verso di Oz: «Non far caso al suo
cattivo umore. È per l’incontro di domani. Non ama mio padre, ma in confronto a
come tiene in considerazione sua madre si può dire che abbia un’adorazione per
il mio vecchio.» disse, lasciando ad intendere senza difficoltà che tipo di
rapporto potessero avere Marcus e sua madre.
Oz fece appena in tempo a vedere il compagno di stanza
sparire fuori dalla mensa – non
aspettarmi, stasera mi fermo da Marcus, aveva detto – che si sentì
picchiettare appena sulla spalla.
Voltandosi, si ritrovò a guardare Vincent.
Abbozzò istintivamente un sorriso leggero: «Ciao.»
pronunciò, vedendo l’altro ricambiare con espressione cordiale.
«Ciao, finito di mangiare?» chiese il più grande,
aspettando la sua risposta piuttosto che sbirciare direttamente il piatto
dell’altro. Oz annuì, dando un’occhiata piuttosto fugace al tavolo verso il
quale aveva visto Gilbert dirigersi quando erano entrati lì, e notandolo vuoto.
Probabilmente gli altri avevano finito e se ne erano
già andati.
«Allora ti dispiace se ti chiedo di parlare un
attimo?» sentì domandare all’altro, osservandolo per qualche istante perplesso
a quella sorta di invito. Tuttavia non aveva motivi per non stare almeno ad
ascoltarlo, dunque si alzò semplicemente in una muta risposta alla sua domanda.
Vincent pronunciò un: «Grazie.» guidandolo quindi
fuori dalla sala. Da lì deviarono verso l’esterno prima e verso il dormitorio
poi, camminando senza troppa fretta.
Cosa strana, però, Vincent non accennò a nessun
discorso, almeno fin quando non furono abbastanza vicini al loro dormitorio: a
quel punto, anziché dirigersi direttamente verso l’ingresso deviò leggermente
sulla sinistra, motivandolo con un «preferisco parlare fuori, in sala ci sono
orecchie indiscrete e non mi va a genio.»
Per questo Oz lo aveva nuovamente assecondato.
Voltando appena un angolo dell’edificio però, il
biondo si ritrovò a cozzare contro il muro in maniera anche abbastanza violenta
e una mano alla base del collo che aveva spinto forte e vi sostava in qualche
modo minacciosa.
Aprendo gli occhi che istintivamente aveva chiuso, si
ritrovò a fissare quelli dissimili di Vincent, il cui viso si era avvicinato e
mostrava un’espressione diversa da quella affabile che gli aveva visto
indossare come una maschera ogni giorno.
«C’è una cosa che credo non capirai mai, se non te la
dico in questo modo, perciò perdona i modi bruschi. Senza rancore, ok?» gli
disse, per un attimo l’ombra del sorriso divertito di sempre di nuovo ad
incurvargli le labbra.
Oz lo osservò, sentendo che la mano sul collo per ora
non stringeva ne aveva intenzione di farlo.
Dunque sorrise di rimando, con lo stesso sorriso
arrogante che aveva rivolto a Break e a Rufus Barma quando si era ritrovato a
confrontarsi con loro e che sembrava ormai tipico di quando qualcosa minacciava
di oltrepassare quel muro tutto sommato ancora spesso che restava quasi sempre
fra sé e gli altri.
Vincent forse ne fu piacevolmente stupito, perché
pronunciò un divertito: «Complimenti, nemmeno una piega di fronte alla
rivelazione di un Vincent per niente amichevole e sorridente. Ti ha avvisato la
mia adorata cugina, suppongo.» disse, fingendo il commento casuale.
Oz sorrise appena più ampiamente: «Anche, ma non
l’avevo ascoltata a dire il vero. È solo che sono abituato alle maschere.»
commentò con un eccesso di superbia forse.
Se ne era accorto, Oz.
Sarebbe stato il colmo il contrario, se proprio lui
che indossava una maschera non fosse stato in grado di riconoscere quella degli
altri.
«Touché.» disse solamente Vincent, prima che quel
sorriso leggero scatenato dalla curiosa reazione di Oz sparisse una seconda
volta.
«Te lo dico sperando che sia l’unica volta che dovrò
farlo.» riprese senza lasciargli il tempo di far spaziare nuovamente
l’argomento: «Gil è tutto per me.» pronunciò, quasi cogliendo di sorpresa Oz.
Che c’entrava esattamente Gilbert?
«Lui è la persona più importante. Non ho bisogno di
altri, se c’è Gil. E nemmeno lui ha bisogno di altri che non sono io. Tu non
sai niente di noi, né di me né di lui.» continuò, l’espressione seria quanto Oz
non gli avrebbe attribuito mai dovendo scommetterci su: «Chiunque tenti di
allontanarlo da me, chiunque lo renda triste diventa un mio nemico in quello
stesso istante.» proseguì Vincent, stringendo appena la presa sul collo del più
giovane, quanto bastava a palesargli maggiormente la sua presenza sottolineando
al contempo la situazione in cui versavano.
«Perciò vattene, non immischiarti. Gilbert non ha alcun bisogno di te.»
Oz si ripromise di uccidere Noah nel sonno non appena
gli fosse capitata l’occasione.
Perché, davvero, non era proponibile farsi svegliare
come l’altro aveva fatto quella mattina: come gli aveva accennato, aveva
dormito da Marcus senza rientrare nella stanza che condivideva con Oz.
Quest’ultimo lo aveva reputato un bene in realtà: non
avere nessuno in stanza dopo quella specie di incontro con Vincent gli aveva
permesso di non doversi preoccupare di non far scoprire niente a Noah.
Aveva persino cercato di riflettere sulle parole del
più grande, cercando di dare un senso alla sua richiesta di allontanarsi da
Gilbert; più che altro aveva tentato di comprendere in quale modo e perché Vincent
sembrasse ritenerlo un pericolo per il moro.
Vi aveva rinunciato comunque quando malgrado tutto,
avendo passato tutto il giorno fuori, aveva sentito le palpebre iniziare a
farsi pesanti.
Ora, poteva capire che Noah fosse entusiasta – cercava
di obbligarsi a non pensare da cosa
derivasse l’aria soddisfatta del compagno a dirla tutta – ma era fuori da ogni
concezione umana che tale entusiasmo dovesse trasformarsi in un risveglio
traumatico per lui.
Insomma: andava bene tutto, ma la prossima volta che Noah
decideva di imitare un assalto dall’alto sul suo letto con lui sopra,
svegliandolo più per l’involontaria gomitata nel fianco che non per l’aver
smosso il materasso, Oz gli avrebbe fatto mangiare i calzini che lasciava in
giro uno per uno.
Ed per la cronaca: erano tanti.
Sbadigliò, mentre si avviavano nell’atrio dove già
altri studenti erano andati a prendere i propri genitori intervenuti per i
colloqui.
«Mamma mia Oz, su con la vita!» lo spronò Noah, al
quale rifilò un’occhiata eloquente a cui il compagno ridacchiò.
Decise di lasciar perdere la questione risveglio.
«Come mai non sei con Marcus? Pensavo che i vostri
genitori venissero insieme.» disse Oz, riferendosi alla loro condizione di
fratellastri – anche se visto il resto tendeva un tantino a dimenticarsene.
Noah, le mani in tasca, scosse la testa: «No, beh,
oggi no. Nel senso, non sono ancora ufficialmente sposati, quindi ognuno segue
il colloquio del proprio figlio.» spiegò brevemente, l’aria comunque
tranquilla.
«Com’è la madre di Marcus?» chiese incuriosito anche
dal commento di Noah la sera precedente prima che se ne andasse con il
fratellastro dalla mensa.
«Mh… beh, a me piace. Meglio della mia sicuramente.»
replicò, senza soffermarsi comunque a parlare della propria madre: «Cecile è
brillante, ed è simpatica. Ma Marcus non ci va tanto d’accordo.» aggiunse,
ripetendosi riguardo l’ultimo punto.
L’attenzione del biondo però era stata catturata da
qualcos’altro.
«La madre di Marcus si chiama Cecile?» domandò,
sorpreso come se fosse la prima volta che sentiva quel nome.
Noah annuì: «Sì, ma non ricordo il cognome da non
sposata. Perché?» chiese perplesso, occhieggiando il compagno di stanza al
proprio fianco.
Questi sorrise con dolcezza e qualcos’altro che Noah
non seppe cogliere con precisione, ma non diede altri segni di particolari
cambiamenti.
«No, è solo un po’ nostalgico. Cecile era anche il
nome di mia madre.» rivelò, e l’utilizzo del passato bastò a Noah per capire
che non era il caso di fare domande, anzi, sarebbe stato meglio cambiare
discorso.
«A me piacciono gli incontri come questo. Vedendo i
genitori ti spieghi un sacco di cose su come sono i figli. Per esempio l’anno
scorso, vedendo il padre di Sirjan e Alyster, ho capito perché lui è così
rigido. Lei mi sa che ha preso da sua madre invece, perché il padre non sorride
così tanto come lei.» osservò, probabilmente riportando alla mente la figura
del genitore in questione.
Oz ridacchiò, immaginandosi un Sirjan adulto, burbero
e baffuto magari.
«Oh, e il padre di Aedan?» domandò incuriosito e preso
dal discorso.
«Sai che non me lo ricordo chi è? Forse l’ho visto di
sfuggita senza sapere che era lui. Comunque considerando il figlio, non penso
sia tanto tenero pure lui.» cercò di analizzare per farsi un’idea.
In effetti, pensò Oz, alla luce del ruolo di Aedan di
guardia del corpo e del modo di pensare di se stesso e della propria salute che
sembravano avergli inculcato, era quasi certo che il padre di Aedan non fosse
un tipo che potesse stargli simpatico.
Nel frattempo avevano raggiunto l’atrio, gremito di
studenti con le divise in perfetto ordine e tanti adulti tutti insieme, cosa a
cui a Latowidge non erano affatto abituati.
«Io sono curioso anche di vedere tuo padre, Oz.
Com’è?» chiese Noah, l’entusiasmo di un ragazzino nella voce.
Il biondo parve pensarci su qualche attimo mentre con
lo sguardo cercava la sorella: «Mio padre, beh, lui è…» iniziò, ma fu
interrotto da una voce che chiamava Noah e alla quale dopo qualche istante il
ragazzo rispose con un «Ohi!»
Quando si voltò per vedere a chi avesse risposto, Oz
intravide un uomo che non faticò assolutamente a riconoscere come il padre del
compagno di stanza pur vedendolo per la prima volta. Non tanto per l’aspetto
prettamente fisico: l’uomo, sul metro e ottanta, aveva un fisico abbastanza
slanciato ma nulla di eclatante mentre Noah non era proprio altissimo.
I capelli erano lunghi, di un biondo cenere e tenuti
in ordine da una coda bassa che poggiava morbidamente sulla spalla sinistra;
gli occhi forse erano chiari e avvicinandosi Oz riconobbe il colore come
azzurro.
Quello che somigliava al figlio in maniera
impressionante era il modo di sorridere che entrambi avevano.
Oz aveva seguito Noah nel suo avvicinarsi al padre, e
non poté non ridere apertamente quando Keynes senior fermò l’abbraccio-assalto
del figlio con uno scappellotto dietro la testa.
Seguito da un: «Sei una capra in matematica!» al quale
Noah aveva assunto un’espressione che era dapprima un tentativo di far pena al
padre e che si era poi trasformata in un sorrisetto strafottente.
«Pa’, in confronto a com’eri te in matematica avrò un
premio alla fine dell’anno.» lo prese bonariamente in giro, tanto che per un
attimo – precisamente mentre il signor Keynes malediva senza celarlo troppo il
proprio figlio dandogli dello sciagurato – Oz si era chiesto chi fosse il
figlio e chi il padre.
O se, piuttosto, non fossero solo fratelli.
«Oh, tu devi essere Oz, il compagno di stanza di
questo tipo assolutamente irrecuperabile.» riprese il signor Keynes notando Oz.
«Eddai pa’!» lo riprese offeso Noah, senza peraltro
essere preso granché in considerazione – volutamente – dal padre. Questi invece
si rivolse nuovamente ad Oz, allungando una mano verso di lui.
«Piacere, Christopher Keynes, il padre di Noah.» si
presentò; Oz andò a stringere prontamente la mano con la propria, il sorriso
che gli salì spontaneo alle labbra: «Piacere mio, Oz Bezarius.» pronunciò a sua
volta, anche se sembrava che Noah avesse parlato di lui e che quindi non ce ne
fosse bisogno.
Trattenersi a parlare con il padre di Noah fu una delle
cose che Oz fece più volentieri mentre aspettava in quel punto Ada, che in
breve li raggiunse poco dopo Marcus e sua madre – il primo sembrava di umore
alquanto discutibile, mentre Cecile si era dimostrata abbastanza vicina alla
descrizione di Noah dal poco che Oz aveva potuto evincere.
A distrarli dalle chiacchiere senza importanza che
stavano facendo in attesa che anche il signor Bezarius li raggiungesse, proprio
il richiamo di questi verso la propria figlia li portò a spostare tutti insieme
lo sguardo nella direzione da cui era venuta la voce.
Zai Bezarius, i capelli biondi che divennero visibili
quando tolse il cappello, aveva un portamento e un’espressione fiera e un po’
severa, ma che Cecile commentò come “cortese ed educata” prima che il diretto interessato
li raggiungesse del tutto.
Ada lo baciò sulle guance con un sorriso timido tipico
dei suoi, mentre Oz chinò appena rispettosamente il capo; avevano quindi
presentato il padre anche agli altri presenti e Zai si era detto piacevolmente
sorpreso dalla facilità con cui Noah aveva saputo prendere suo figlio.
Aveva poi insistito perché Ada riferisse ai genitori
di Karin Hamilton, la sua compagna di stanza, che aveva avuto modo di conoscere
gli anni passati che dopo i colloqui del figlio maschio li avrebbe incontrati
di nuovo con piacere.
La maggiore dei suoi figli si era quindi allontanata
dal piccolo gruppo per il tempo sufficiente ad eseguire la richiesta del padre
e nel contempo quest’ultimo aveva scambiato qualche parola con i genitori di
Noah e Marcus.
Quando Ada fu di ritorno, Zai si congedò da loro: «Con
permesso, inizierei da mio figlio per gli incontri con i docenti.» disse,
posando una mano sulla spalla di Oz, quasi a guidarlo verso la direzione giusta
e rivolgendosi quindi a lui.
«Vogliamo andare, Jack?» pronunciò.
Oz, un sorriso tra il mesto e il comprensivo sul viso,
annuì appena: «Sì, padre.» senza osare portare lo sguardo sul gruppo da cui si
allontanò con il genitore.
Noah per contro sembrava essersi gelato sul posto,
mentre un’espressione di rassegnazione e preoccupazione si faceva strada sul
volto di Ada.
Forse, pensò Noah, era questo che Oz aveva iniziato a
dirgli prima che si interrompessero per andare incontro a Christopher – mio padre, beh, lui è…
...lui non mi chiama mai con il mio nome.
Note
Iniziamo con i
disclaimer sennò me li dimentico. La frase in apertura è della canzone
“Bodies”, di Robbie Williams.
Poi. Mi dispiace, sembra che io non riesca a fare i
capitoli più corti in modo che risultino magari meno pesanti T_T *si flagella*
Credo che questo sia comunque quello con più shonen-ai
concentrato (fra i riferimenti alla MarcusNoah, quelli alla RufusBreak e le
scene di pseudo-dichiarazioni di Gilbert e Oz x° E la gelosia di Vincent XD);
in parte spero di essermi fatta perdonare almeno un pochino per quanto poco
tratto la GilOz – che sarebbe anche il pairing base, coff.
È che Gilbert mi sta terribilmente scomodo, lo
ammetto, non so muoverlo come vorrei ç_ç”
Comunque, sono apparsi anche Christopher (il papino di
Noah) e Zai *odia* E vi abbandono fino al prossimo capitolo alle vostre
congetture sul perché Zai chiami Oz “Jack” *ammicca preparandosi a ricevere
minacce di morte*
Passiamo ai ringraziamenti
Meimei: nipotah
*A* Addirittura sono riuscita a farti pensare “povero Oz”? Oddio *se lo segna
sul calendario* E ormai mi sono arresa al fatto che Sirjan possa essere odiato,
quindi vai tranquilla ùwù”
Noah sarebbe capace di creare un club per l’uccisione
del grassone, quindi non scherziamoci tanto su: è idiota abbastanza per
prendere la cosa in considerazione XD
Miranda è cattiva tanto quanto è divertente muoverla:
e la scena tra Noah e Oz non voleva essere a sfondo yaoioso, ma credo sia
normale che venga recepita in quel modo *muor*
Grazie dei complimenti, anche se non vorrei far piangere
nessuno T_T *però si sente lusingata*
Spero ti piaccia anche questo capitolo <3
Fiamma Drakon: Rufus
insegnante io lo studierei per una vita come soggetto unico nel suo genere XD
Mi fa piacere trovare nelle recensioni che quello che
io sento rispetto ai personaggi possa arrivare tramite quello che scrivo (Break
più unico che raro nel suo genere, la tristezza di Jack e il resto); ti
ringrazio per i complimenti e di continuare a seguirmi, spero che ti piaccia
allo stesso modo anche questo capitolo 12 ^^
LitaChan (che ormai è una fedelissima XD): grazie <33 Alla parte del concerto tenevo
particolarmente, quindi non posso che essere più che felice e soddisfatta del
fatto che ti sia rimasta impressa e che abbia comunicato qualcosa.
Grazie di seguirmi sempre, ed ecco a te il nuovo
capitolo *-*/
Yoko891: aww.
Sì, sono un’autrice schifosamente di parte sui pg di cui scrive e perciò godo
internamente di aver fatto sì che Alyster ti facesse tenerezza <3 *gode* E
mi dispiace di aver fatto venire voglia di buttarsi dal balcone *gya*
Jack purtroppo non c’è verso: già è normalmente un pg
malinconico nonostante il modo di fare quasi sempre allegro, in Rinnega data la
sua situazione non miglioro molto l’umore che aleggia intorno a lui temo x°
E brava, ama Sirjan che lui ha bisogno di amore.
Ecco il risvolto yaoieggiante u_u olé! *alza pugno in
aria*