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Autore: Flair_of_fire    01/03/2010    3 recensioni
É un'arte delicata, cercare di conquistare un tedesco, ma niente che un affettuoso italiano non possa gestire. [ItaliaxGermania, Gertalia]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’Autrice: FattoFattoFatto ~ballodellavittoria~ Mi scuso per qualsiasi casino grammaticale, ma… blah È FINITA YAAAY.
Avvertimenti: non Betata, uno stile di scrittura più o meno strano, abuso di virgole, abbastanza fluff da mandarvi in coma. C:
Pairing: Italia/Germania (non è che l’ordine sia evidente orz)
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Finesse – Delicatezza ~ Flair-of-fire


I arance

“Attento~!”fu l’unico avvertimento che Germania ebbe prima di essere colpito con qualcosa di piccolo, tondo e solido. La cosa rimbalzò sulla sua fronte mentre girava all’angolo della strada. Quando aveva cominciato a cercare il gracile Italiano non si aspettava tutto ciò. No di certo.
Guardò in basso, vedendo un’arancia che rotolava lungo il marciapiede, danzando attraverso il pavimento senza vita e sulle crepe. Strofinando il punto sul quale era stato colpito, nel caso in cui del succo dell’arancia si fosse versato (non era successo), Germania seguì il tragitto dell’arancia e continuò a percorrere il marciapiede. Si fermò bruscamente di fronte a ciò che vide.
Delle persone, grandi e piccole, vecchie e giovani, maschi e femmine, che correvano nella piazza di ciottoli lanciandosi arance a destra e a manca mentre si nascondevano, urlavano piene di gioia e che in generale si divertivano come matti. Le parole gridate, urlate, cantate in Italiano vorticavano tra la folla, soprattutto la gloria che la guerra fosse in effetti combattuta con le arance.


II penne sul pavimento

“Cos’è stato tutto quello, ieri?” chiese Germania, sedendo dietro alla sua scrivania, con gli occhiali poggiati sul suo naso forte e i documenti in attesa di essere letti, facendo a gara per la sua attenzione sul legno levigato. Ma gli occhi azzurri erano al momento impegnati sull’Italiano che stava girando nel suo ufficio. Piccoli “ve~” si diffondevano candidamente nell’aria mentre Italia esaminava il noioso, stantio ufficio, trovando crepe nella pittura e polvere tra le mattonelle del pavimento. Quando la domanda dell’alleato ruppe il non troppo silenzio, si avvicinò alla scrivania e appoggiò i gomiti sulla superficie, il mento rotondo affondato nelle mani e, dopo aver fatto innocentemente cenno in aria, “cos’era cosa?”
Una scivolata, un colpo di gomito e la tazza di metallo che conteneva le penne rotolò sul pavimento con un rumore sorprendente. Le penne si aprirono a ventaglio sul legno.


III risuonare

Una campana risuonò nella piazza, continuando il suo lamento per minuti prima che gli occupanti la sentissero al di sopra delle grida, delle risate e del sangue che pulsava nelle loro vene. Come se fosse un segnale, quelli vestiti di bianco (una maglietta, una sciarpa o semplicemente con del trucco sul viso) si fermarono e si spostarono da una parte della piazza, ridendo a crepapelle, chiacchierando e ansimando. Gli altri, tutti quelli che avevano qualcosa di verde, fecero lo stesso, girandosi e incespicando verso l’altro muro di edifici.
Germania stette vicino all’angolo della strada, ignorato dai cittadini pieni di adrenalina, e osservò confuso. Non capiva.


IV “quid pro quo” (una cosa per l’altra)

Riecheggiò un grido, decisamente Italiano, di scherno e senza fiato.
Un uomo solo, non giovane, ma nemmeno vecchio, stava in piedi nella terra di nessuno tra i due gruppi divergenti, un largo gilè che gli svolazzava attorno e imprecazioni sputacchiate dalle sue labbra. Un gruppo di quelli in bianco, girati, sibilava di rabbia. L’uomo in verde raccolse la polpa d’arance dal pavimento di ciottoli e la lanciò, il succo che schizzava direttamente sulla faccia di uno dei suoi avversari. Scoppiò una risata.
Fu allora che Germania capì che quel folle solo che lanciava maledizioni era Romano, ma il tipo tranquillo fu velocemente circondato dai bianchi. Erano molto più larghi di lui.
Mentre entrambe le folle cominciarono a stringersi, Germania si rese conto di non essere così lontano dall’azione come aveva pensato in precedenza. Infatti, si stava avvicinando sempre più mentre la rissa si espandeva, bimbo contro adulto, donna contro uomo, bianco contro verde; i movimenti furiosi, uniti alle arance, spinsero Germania più vicino al centro. Sapeva di poterne uscire, lo sapeva, ma a cosa sarebbe servita la lotta? Ce n’erano davvero troppi e persino con la forza della sua nazione era incapace di risalire in superficie dopo che un bel po’ di corpi che combattevano l’avevano colpito.
Germania si sentiva schiacciato sotto il peso dei corpi su altri corpi che si contorcevano. Allora, una mano afferrò la sua, non per aggredire, ma per qualcosa di più sottile. E tuttavia la stretta era salda. Tra i corpi aggrovigliati, era tirato, mentre si intrecciava, si piegava, si agitava, si infilava in spazi in cui non sarebbe potuto passare Germania con le sue spalle larghe, ma ce la fece lo stesso.
Finalmente, era fuori all’aria aperta, la possibilità di respirare che lo colpiva quasi quanto i pugni ricevuti. Il respiro entrò violento nei suoi polmoni. Una figura più magra e più piccola correva davanti a lui, un braccio piegato dietro per afferrare la grande mano di Germania con le dita delicate, l’altro che tirava mentre un ritmo batteva per la ritirata. Germania seguiva.
Alla fine, dopo aver svoltato a molti angoli e aver percorso strade strette e deserte, si fermarono, il respiro pesante sulle loro labbra. Germania si girò verso il suo salvatore; caldi occhi color terra di Siena, capelli castano ramato, spalle esili, sorriso vacuo e un ricciolo che si agitava senza stare mai fermo.
“Italia.”


V l’ultimo della fila

Germania era a terra adesso, mani e ginocchia, raccogliendo le penne che erano cadute sul pavimento come minuscoli soldatini giocattolo. Il suo viso si dipinse di disperata rassegnazione mentre le dita raccoglievano ciascuna di esse, ordinandole automaticamente per colore.
Italia si sedette sulla scrivania, agitandosi e scusandosi con spenta allegria, inconsapevole di aver causato anche più caos lassù.
“Cos’era quello, prima?” Germania chiese di nuovo, stando in piedi senza guardare alle sue carte rovinate e fissando Italia.
“Hm?” rispose Italia con un’espressione vuota, interrogandolo tranquillamente.
“Quel momento… Con le arance…?”
“Era il festival del lancio delle arance~!”, cinguettò Italia, “la mia gente si riunisce una volta all’anno e fa una gara in cui ci si lancia delle arance perché una volta c’erano dei padroni cattivi~”
E Germania si sentì come se fosse stato l’ultimo della fila quando Dio aveva distribuito i kit di comunicazione tra tedeschi e italiani.


VI paracadute

Italia volteggiò verso un anziano venditore che si era ritirato dal caos per vendere la sua merce. Il vecchio carro di legno era carichissimo di scatole e mazzi di ciclamini e gigli. Italia prese un ciclamino dallo stelo esile dal mucchio, mentre Germania aspettava in piedi dietro di lui, confuso.
“Un bouquet, per favore~”
L’anziano fece come richiesto, intrecciando le mani per maneggiare ogni fiore con cura, gli steli che si incrociavano, le corolle che si muovevano nella calda aria pomeridiana. Attorno all’intero mazzo era legato un foulard rosso.
“Abbia una buona giornata”, i denti dell’uomo erano leggermente storti, il volto scuro e come il cuoio, ma i suoi occhi parlavano di tempi più giovani.
“Grazie!” trillò Italia, ricevendo il bouquet, e pagò l’uomo, sorridendo gioiosamente.
Si girò, stringendo la mano di Germania nella propria un’altra volta, e cominciò a camminare per la strada.
Germania non vide motivo per resistergli, e così lo seguì, i piedi che si posavano esattamente dietro la traccia strascicata che Italia lasciava.
Italia, sicuro che Germania non si sarebbe allontanato, permise al palmo più largo di scivolare via dal suo. Portò una mano alle corolle dei ciclamini e tirò via delicatamente i petali dalle loro guance rosate. Ogni petalo cadeva dalle sue dita agili, danzando nel vento, lasciando una traccia di paracadute di fata.


VII tre volte al giorno prima dei pasti

“Non è quello che intendevo, Italia”, sospirò Germania, rimettendo le penne nel contenitore e accompagnando il suo alleato giù dalla scrivania.
“Ve~ A cos’altro si potrebbe riferire Germania?”
Dio lo odiava. Germania aveva sempre avuto l’impressione che Italia tramasse con il grande uomo in persona.
“N-Niente.”
Italia piegò la testa da un lato, ma il suo stomaco fece deviare ogni pensiero inquisitore che aveva in mente, “Ah! Cosa andrebbe di mangiare a Germania~?”
“Qualsiasi cosa va bene”, Germania era solo contento di dirlo perché Italia era virtualmente incapace di cucinare cibo cattivo, e la cucina italiana era abbastanza buona, se uno stava attento ai carboidrati assunti.
Italia uscì in fretta dalla stanza, fantasticando su rigatoni e salsa di pomodoro, lasciando Germania a cuocersi nei suoi pensieri e a finire il lavoro pre-pasto che era venuto fuori. Sembrava che fosse diventato un ospite fisso recentemente, da quando Italia aveva deciso che era una buona idea cucinare i pasti per lui.


VIII tatuaggi e piercing

Continuarono a camminare sempre più in là lungo la strada, la luce del sole, la luce del sole distorta tra gli altri palazzi intonacati. Un negozio d’antiquariato, una pizzeria, un caffè, e una bottega di tatuaggi. L’aria capricciosa si fece più acuta contro il netto contrasto tra gli accessori metallici e i simboli demoniaci nella vetrina.


IX dispensa

Crash, bang, thunk! Perchè Germania doveva sistemare le pentole sul ripiano più alto?


X luce rossa

“Ve, Germania”, chiamò Italia, strappando un altro petalo, girandosi in modo tale che il bordo del suo profilo bruciava d’oro e di rosso nel sole del tardo pomeriggio.


XI catrame bollente

Lo studio di Germania sembrava un po’ vuoto. E silenzioso. Abbandonato, perfino. Le carte, bianche come ossa con su la scrittura nera, sembravano desolate. Poco accoglienti, e lui non riusciva proprio a concentrarsi. Quando il forte botto riecheggiò dalla cucina, Germania decise che era il momento di intervenire mentre il suo disordine ossessivo-compulsivo gli sussurrava acute grida di battaglia.
La cucina sembrava intatta, per la maggior parte. Cucchiai, pentole, padelle e pacchi aperti di zucchero di canna era sparsi sull’altrimenti ordinata superficie del bancone. Italia stava in piedi davanti al forno, mescolando in un largo contenitore di titanio qualcosa che sembrava dello spesso, gorgogliante, nero catrame. Doveva usare entrambe le mani per mescolare con la larga paletta di legno, che rimaneva rigida in verticale fuori dal miscuglio. I muscoli delle spalle che lavoravano, le maniche alzate sulle braccia flessuose, le guance rosse e gonfie di fiato.
“Che stai facendo?”
“È una sorpresa~”
A Germania non piacevano le sorprese. Di solito finivano con lui che puliva dei grandi, sperimentali e potenzialmente pericolosi pasticci. Specialmente quando si trattava del gioviale italiano. Ma questo non significava che avrebbe fermato Italia.


XII libellule e lucciole

Un grande disegno dai toni brillanti risaltava sul muro intonacato davanti a cui si era fermato Italia; capricciose libellule verde acqua si intrecciavano su di esso, macchiato con un surreale motivo di punti rosso-dorati delle lucciole.
“Ja?” rispose Germania, un brontolio nel silenzio pensoso.
Italia regge una solo fiore, adesso, i fratelli spogli sparsi sul ciottolato color caramello intenso, il fazzoletto rosso usato per legare il bouquet tenuto sciolto in un pugno rilassato.
“Sta’ fermo”, chiese Italia con un sorriso vago.
Germania quasi non riuscì a tener fede alla richiesta, quando Italia si spostò davanti a lui e lo raggiunse, allungando le braccia a entrambi i lati della testa bionda di Germania, il fazzoletto teso tra le due mani. In punta di piedi, la faccia concentrata di Italia si soffermò da qualche parte sotto il suo mento, le dita che sfioravano la nuca, e il petto che si scontrava con il suo busto di tanto in tanto. Un ultimo tiro al nodo e Italia si diede indietro sui talloni, sorridendo in modo abbagliante.
“Ecco~ Immunità.”


XIII ondata(e) di calore

Onde di calore uscivano dal forno mentre Italia apriva lo sportello, piegandosi per poter tirare fuori la casseruola, riempita di maccheroni, ragù e formaggio.
Canticchiava con aria compiaciuta mentre appoggiava il piatto sulla cucina.


XIV 99’999

“Novantanovemilanovecentonovantanove piatti di pasta sul muro~ novantanovemilanovecentonovantanove piaaaatti~”canticchiò Italia, armeggiando vicino alla cucina, tirando fuori le stoviglie e procurandosi una bottiglia di vino da una riserva di cui Germania non sapeva.
L’italiano stava facendo il suo solito rituale in attesa che la pasta si raffreddasse prima di servirla. “Prendine uno, passalo in giro, novantanovemilanovecentonovantanove piatti di pasta sul muro~”
Benché il numero da cui Italia partiva per il conto alla rovescia sembrava ridicolmente alto a Germania.
“Germania… Cosa viene dopo novantanovemilanovecentonovantanove?” Italia volteggiò per guardare il biondo appoggiato allo stipite della porta della cucina.
“Novantanovemilanovecentonovantotto”, replicò Germania con un sospiro.
“Ah~”Italia mormorò con un’espressione vaga, “Non so contare così in alto.”
Germania fece un’espressione confusa, una ruga che si allargava tra le sopracciglia, “ma stavi contando numeri più altri di quello proprio ora.”
Italia semplicemente sorrise e ridacchiò, “sciocco Germania~ Ah!” saltò su e corse al piatto di pasta e si sedette al tavolo, “si mangia!”
A quanto pareva gli italiani avevano un timer incorporato.


XV separato

“Ah, no!”urlò Italia, alzandosi di botto dalla sedia.
Germania lo guardò, spaventato. Aveva la mano sul macinapepe, che ancora si stava muovendo per rimetterlo al suo posto accanto al portatovaglioli.
“Non separarli”, Italia spostò il portatovaglioli e spinse il sale vicino al pepe, la sua mano che sembrava quasi delicata vicino a quella di Germania. Sorrise e lanciò un’occhiata a Germania, “sono come migliori amici. Sale e pepe, no? Che stanno uno accanto all’altro… Non è meglio così?”
Germania potette soltanto fissarlo di rimando. Lo guardava, interdetto, le sopracciglia alzate. Lentamente, allontano la sua mano da quella di Italia e posò lo sguardo sul piatto di pasta. Prese un’altra forchettata di pasta e la portò alla bocca, mormorando pensoso “Credo di sì.”
Italia semplicemente gli sorrise.


XVI ragione di esistere

Germania abbassò lo sguardo sul fazzoletto attorno al suo collo, “immunità da cosa, esattamente?”
Italia mormorò, sorridendo pigramente a Germania e facendo diventare l’aria più calda; più densa, come della calda salsa di pomodoro. Perché, altrimenti, per Germania sarebbe stato così difficile respirare?
Una risata, una piroetta e il punto di risa e urla distanti ricominciò.
“Arance~!”
E Germania ancora non capiva.


XVII metropolitana

“Il tuo sistema di trasporti è orribile.”dichiarò Germania, sospirando in risposta, “ e nessuno segue le regole del traffico.”
“Cosa sono le ‘regole del traffico’, Germania~?” chiese Italia curioso, sporgendo il mento sul morbido palmo, i gomiti contro il bordo del tavolo.
Il biondo lo guardò spaventato per un momento, ma si riprese in fretta, “le luci: il rosso vuol dire fermarsi, giallo vuol dire dare la precedenza e così via.”
“Le luci tonde sui pali alti come questo~?” Italia fece cenno con la mano, mimando in aria la forma con un dito delicato.
“Sì.”
“Ve~ Quelle sono delle decorazioni carine! Guidare è così noioso senza le luci carine, non trovi, Germania?”
E in quel momento, Germania seppe che c’era, in effetti, qualcosa persino più difficile e tortuoso da capire della Metropolitana di Londra: la mente di Italia.


XVIII la prossima cosa più bella

“Ve~”cominciò Italia in quel suo modo di fare sembrare quel semplice suono come una domanda, “perché Germania era a Ivrea?”
Le sopracciglia bionde si aggrottarono,“dove?”
“Il festival,”mormorò Italia, raccogliendo col cucchiaio il liquido viscoso – prima era nero, ma poi si era schiarito a una glassa nocciola – dalla pentola sui fornelli e mettendolo in una coppa poco profonda. Si girò e tese la coppa Germania, sorridendo, “il festival delle arance~”
Germania prese semplicemente la ciotola ed emise un brontolio non meglio descritto. Provò a cambiare argomento con molto tatto, “perché certe arance erano rosse?”
“Oh!” cominciò Italia eccitato, sedendosi con la sua ciotola, “sono arance sanguigne~ Buone quasi quanto i pomodori!”


XIX numerico

123

Gli occhi di Germania aperti, il respiro bloccato, i muscoli in tensione e uno sguardo cauto al piccolo italiano.

456

Si stava avvicinando sempre più. Un luccichio nei suoi grandi, liquidi occhi color cioccolato. Anche quando non si poteva avvicinare di più; più in alto, Italia premeva in avanti e in su. Un’agile mano si sollevò tra di loro per accarezzare dolcemente la mascella quadrata di Germania.

789

Caldo. Una pigra giornata sul Mar Mediterraneo; onde azzurre sciabordavano tranquillamente contro le calde sabbie dorate. E Germania era cosciente del perché esattamente si dicesse che gli italiani facessero svenire le donne. Labbra contro labbra, non era così che Germania avrebbe pensato che fosse un bacio, ma non avrebbe iniziato a lamentarsi.

987

Si stava dando indietro adesso. Cullandosi all’indietro sui talloni, perso ogni contatto. L’aria fresca che formicolava contro la carne calda.

654

Un passo, due, all’indietro, le mani giunte dietro si dondolavano in modo innocente.

321

Un sorriso, emozioni che la mente di Germania non poteva controllare. Un sorriso che non era “felice”, ma non era una delle maschere di Italia. Era dolorosamente vero. Fisicamente doloroso. Nonostante ciò, Germania sperò di poter tornare al suo nono battito del cuore e fermarsi, per avere la possibilità di decifrare le emozioni, invece di lasciare che il bruno si girasse. Ma adesso era impotente…
“Italia?”


XX tra paradiso e terra

“Italia. Devo chiederti – “
“ – non è divertente? Perché non era un pomodoro, era un’arancia sanguigna, ma i turisti non sanno queste cose; si confondono sempre – “
“Italia.”
“- Ve, non è buono per Gemania? Ho avuto la ricetta da America, almeno penso fosse America, solo che c’era un orso polare e non pensavo avesse orsi polari, ma non importa, perché era buona – “
“Italia …”
“ – perché è come cioccolato e a Germania il cioccolato piace … vero?” continuò disperatamente Italia, gli occhi aperti e imploranti.
Sapeva cosa stava per chiedergli Germania.
Sapeva quale sarebbe stata la sua risposta.
Non voleva sentire un rifiuto diretto perché sapeva che avrebbe distrutto la sua decisione.
Ma Germania non si fermò o arrestò. La sua voce non esitò. La sua mente aveva rimuginato sullo stesso pensiero ancora e ancora ed era giunto a quella conclusione. Chiedere a Italia.
“Perché mi hai baciato?”
Il bruno strinse le labbra, il suo sguardo guizzò via per poi tornare su Germania; via e di nuovo indietro. Le dita premute leggermente contro le posate sporche. Per un istante, Germania credette che non avrebbe risposto. Poi con un sorriso sviante, “l’ho fatto?”
“Sì.”
Se Italia stava sperando che Germania sarebbe stato confuso dal suo brusco cambio di comportamento, fu deluso.
“Ve~ Germania …” Italia abbandonò il sorriso di plastica, sostituito da uno sguardo preoccupato. Lo sguardo si mosse da un’altra parte, non su qualcosa in particolare, e tornò indietro quasi immediatamente. Germania era quasi distratto dai languidi occhi color moka di Italia. Quasi.
“Lo voglio sapere,” la sua voce non era severa, non chiedeva una risposta, ma Italia si sentì obbligato a rispondere. Inspirò piano, le sottili, morbide labbra che si separavano, gli occhi che si chiudevano tremando mentre si preparava a parlare.
Esitante, cauto, preoccupato, e tuttavia ancora in qualche modo fiducioso, “Germania … Ludwig, sto dicendo questo come Feliciano … Non come Italia, come me stesso; Intendo, sono Italia, ma …” la sua voce usciva gentile e bassa in un ritmo cullante, muovendosi lentamente dal nervoso all’appassionato, “sei così fantastico e forte e io … Sono così preso da te, da … da tutto e se potessi cucinerei un milione di piatti di pasta; penne e rigatoni e spaghetti; e prenderei una stella cadente e la terrei con te per sempre, per sempre e spererei – Posso stare con te per sempre finchè non mi sopporterai più?”
Un morbido silenzio attutiva tutto intorno a loro, le parole di Italia permeavano la stanza e suonavano come qualcosa che Germania pensò di dover riconoscere, e probabilmente riconosceva, da qualche parte in fondo agli angoli polverosi dei suoi ricordi.
“Voglio stare con te.”
E ora Italia era in piedi, con la sedia spinta indietro sul pavimento di linoleum della cucina. Si mosse lungo il bordo del tavolo con movimenti semplici, quasi a grandi passi, le dita di una mano che seguivano delicatamente una traccia sul tavolo, le sopracciglia corrugate sul largo, innocente volto levigato. Germania guardò questa lenta processione con occhi sfocati, la sua mente fluttuava in un ricordo nebuloso, sospeso tra il suo corpo materiale sulla terra e un giovane, innocente, primo amore in paradiso.
“Non mi lascerai andare?”
Italia stava in piedi davanti a lui, il volto abbassato finchè non distava che di un movimento, un tocco, un respiro, l’interrogativo sospeso acuto tra di loro. Germania doveva aver fatto qualche cenno che gli andava bene, che la sua testa non girava per la confusione e la nostalgia e un mezzo ricordo doloroso ma così dolce, perché Italia lo stava baciando di nuovo. Piano, dolcemente; le labbra flessibili contro le sue, una mano che passava sulla sua spalla per poi scivolare sull’incavo del collo, fermandosi prima che le dita incominciassero ad accarezzare la nuca. Era tutto un po’ opprimente, e Germania era ancora confuso, ma forse, forse era così che doveva essere. Forse il punto non era capire completamente, ma semplicemente lasciarsi prendere nel turbinio di emozioni che sentiva, i sentimenti tumultuosi in fondo al cuore, sentimenti che aveva sentito in rarissime occasioni, il caldo ristagnare della paura dell’ignoto e il saldo pilastro che è l’intangibile sentimento che provava nei confronti di suo fratello, tuttavia in un modo più concentrato, opprimente. E, a queste emozioni, Germania si lasciò andare.
“Ti prego,” mormorò Italia, così vicino, così vicino, “ti prego fallo. Farò del mio meglio, lo prometto davvero, davvero.”
In che cosa Italia avrebbe fatto del suo meglio Germania non lo scoprì mai, perché l’altro gli stava di nuovo lasciando piccoli, dolci baci; lungo la mascella, lungo il naso, ma sempre tornando alle sue labbra e indugiandovi. Adesso una mano era sul suo petto, vicino alla clavicola, e Germania ne era conscio. Piccola, ma per nessun motivo una mano di donna, sapeva che Italia non era una donna. Anche se forse era lontano dagli uomini a cui Germania era abituato, Italia era comunque un uomo.. E gli va bene? Quel calore e quell’emozione e quella confusione? Cautamente, istintivamente, Germania sposta le mani, una poggiata sul fianco di Italia, l’altra sul suo viso, così può chiudere gli occhi – perché è molto, molto imbarazzante e maldestro e – castamente bacia Italia di rimando, poi si tira indietro lentamente, assaporando, “sì.”
Quando Germania apre i suoi penetranti occhi blu, incontra il sorriso struggente di cui solo Italia è capace e lo attira a sé, felice di non averlo respinto.
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F.I.N.E.

Note della traduttrice: Awww. Non potevo non tradurla. L'ho letta qualche mese fa, mi è piaciuta, in quanto trovare un Italia non descritto come un imbecille cerebroleso è raro, e ho cominciato a lavorarci. Qualche giorno fa l'ho rivista, l'ho finita e ho chiesto all'autrice, Flair-of-fire, il permesso di pubblicarla. É stata gentilissima e disponibilissima ed eccomi qui.

Spero piaccia a voi quanto è piaciuta a me.

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