“Alle
12:30, sala degli infermieri.”
Così
recitava il biglietto che, da più di mezzora,
stringevo nel palmo della mano.
Sapevo
che avrei dovuto gettarlo nell’immondizia,
proseguire il mio percorso verso l’uscita
dell’ospedale e andare a mangiare
qualcosa nel bar accanto; d’altro canto sapevo anche che non
l’avrei mai fatto.
Ogni
volta che ripercorrevo con lo sguardo quella
scrittura elegante, fluida, decorosa… riuscivo a vedere le
sue mani grandi stringere
una penna e tracciare quelle poche parole, e una forza troppo forte a
cui
oppormi spingermi verso il luogo da lui indicato.
Le
mie gambe si muovevano da sole, conducendomi da
lui: eterna dannazione e fonte di sofferenza.
In
poco tempo giunsi davanti alla sala degli
infermieri, il corridoio era vuoto e il silenzio regnava sovrano; la
pausa
pranzo era decisamente il miglior momento della giornata.
Il
mio sguardo cadde inevitabilmente sulla mia
mano appoggiata alla maniglia della porta, presi un respiro profondo e,
gettando un’ultima occhiata al corridoio, entrai.
Lui
era lì, voltato di spalle, intento a sfilarsi
il camice.
Sentendomi
entrare si voltò e, quando i miei occhi
incontrarono i suoi, il mio cuore perse un battito: smeraldo e
cioccolato si
fusero insieme, il suo sguardo scivolò sul mio corpo in una
lenta carezza per
poi tornare al mio viso.
“Ciao.”
Sussurrò, passandosi una mano fra i
capelli bronzei.
Le
sue labbra si tesero in un sorriso, mentre con
lentezza si avvicinava a me; sentivo il cuore battere forsennato nel
mio petto.
“Ciao
Edward.” I nostri occhi erano incatenati,
legati da qualcosa di indissolubile, imbarazzata li abbassai.
Quando
arrivò dinnanzi a me, avvertii le sue dita
sollevarmi il mento obbligandomi a ritornare con lo sguardo nel suo; le
sue
labbra si appoggiarono delicatamente sulle mie, trascinandomi in un
vortice di
lussuria e passione.
La
sua lingua accarezzava il mio labbro inferiore,
le mie mani erano tra i suoi capelli: morbidi, scompigliati…
impossibile farne
a meno.
Con
decisione la sua lingua chiese il permesso di
accedere alla mia bocca, improvvisamente mi separai da lui.
Non
potevo permettere che tutto questo
proseguisse, era troppo per me… Lui, stava diventando troppo
per me.
“No!”
Esclamai, allontanandomi dal suo corpo.
Lui
mi guardava interrogativo: “No cosa, Bella?”
“Voglio
farla finita con questa storia, io… io non
posso più sostenere questa situazione Edward.”
Lo
vidi inarcare un sopracciglio, ghignò divertito
per poi riavvicinarsi a me; con furia si riappropriò
delle mie labbra.
“Mmm…
Ho smesso di crederci quando me lo hai detto
per la terza volta, mia piccola Bella.”
Che
razza di bastardo! Sapeva che non ero capace
di resistergli, lo sapeva e ne approfittava da tempo ormai.
Sentii
le sue mani raggiungere il mio fondoschiena
e sollevarmi da terra, mi spinse contro gli armadietti del personale e
la mia
schiena toccò il metallo freddo di questi ultimi;
rabbrividii mentre la sua
lingua accarezzava il lobo del mio orecchio destro.
Non
volevo che continuasse, ma allo stesso tempo
pretendevo che mi prendesse lì, senza esitare.
“Il
dottor Cullen è
desiderato in
oncologia”
Irritato
scagliò un pugno contro il muro, si
allontanò da me e raggiunse lo specchio, per rendersi
presentabile; si rimise il
camice e in fretta abbandonò la stanza.
Sentii
le lacrime spingere agli angoli degli occhi
e, ormai sola, non mi trattenni, le lasciai scivolare lungo le guance
scossa da
forti singhiozzi.
Ecco
cosa faceva più male: l’indifferenza.
Dopo
il sesso non c’era mai nient’altro, si
rialzava, si rivestiva e senza una parola mi lasciava lì
sola, sola e umiliata;
e io, come una stupida, continuavo ad obbedire al suo richiamo, non
ancora
stanca di quella continua umiliazione.
Quella
sera, una volta rientrata a casa ascoltai i
messaggi in segreteria: mia madre mi pregava di richiamarla al
più presto,
aveva qualcosa di urgente da dirmi.
Sbuffando
presi il cordless e composi il suo numero,
rispose al secondo squillo, segno che era davvero impaziente di
comunicarmi la
notizia.
“Bella?”
La sua voce entusiasta mi riscosse dal
mio stato di trance.
“Ciao
mamma, ho ascoltato il tuo messaggio… dimmi.”
Cercai di sembrare felice nel risentirla, ma quel giorno niente mi
avrebbe risollevato
il morale.
“Oh
giusto! Tesoro tuo padre ha ottenuto una
promozione e venerdì sera il suo superiore ci ha invitato a
cena, ovviamente
sei compresa nell’invito! Tuo padre ci tiene
tanto… Verrai?” Sospirai, sapendo
già di non poter rifiutare.
“Certo
mamma, non posso mancare. Congratulati con
papà anche da parte mia!”
“Certo
tesoro, un abbraccio.” Riagganciò, e io mi
lasciai cadere sul divano sbuffando.
Una
cena di lavoro non era di certo il modo migliore
per trascorrere il venerdì sera, pensai facendo zapping fra
i vari canali.
Non
c’era niente di interessante nemmeno in
televisione, non mi restava altro che commiserarmi… era
quello il punto a cui
non volevo arrivare.
Prima
che potessi fare qualcosa di avventato, come
tirare fuori una maxi confezione di gelato dal frigo, chiamai Angela e
la
convinsi ad uscire insieme.
Era
sabato sera, eravamo a New York, non potevo
permettermi di stare lì a tormentarmi per un idiota; per lui
era solo sesso?
Benissimo.
Alle
21:00 in punto Angie passò a prendermi con la
sua vecchia Ford, scesi in fretta le scale e la raggiunsi sul sedile
del
passeggero.
“Wow
Bella! Vuoi fare colpo eh?” Ridacchiò,
osservando il mio abbigliamento per la serata.
Volevo
essere al massimo, per questo avevo scelto
di indossare un abito che mi arrivava appena a metà coscia
accompagnato da
scarpe con tacco alto, mi sarei divertita e lui non sarebbe stato tra i
miei
pensieri.