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Autore: Tetide    25/03/2010    13 recensioni
Un tormento sconosciuto, un richiamo dal passato; le due metà di un'anima sola che si trovano riunite, dopo millenni. Detto così sembra facile... in realtà, il travaglio di queste due anime prende le mosse da ragioni ben più presenti e concrete. Oscar ed André, ancora una volta, si confermano uniti da un legame indissolubile, un legame più forte anche della morte. Questa storia è dedicata a Ninfea 306.
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6 CAPITOLO 6

Luce. Immensa, accecante.
Luce di una latitudine calda, assolata, ricca di frutti e vegetazione.
E mura. Altissime mura che non si lasciano violare dalla fitta vegetazione, dai boschi lussureggianti, fitti come jungle.
Cerchi concentrici, alternati, di terra e d’acqua: torri che coronano le mura; i cerchi sono disposti a digradare, come delle grandi scalinate; sulla cima, sorge il tempio.
Alla base, c’è il porto; all’ingresso del porto, tre colossali statue, tra le gambe delle quali entrano le navi; in cima alle statue, atterrano i velivoli.
Vi è un osservatorio, ed una grande piazza; ovunque, statue grandissime degli déi(1).
Vi sono studiosi, saggi e guerrieri; ma la casta più importante in assoluto è quella dei sacerdoti: ad essa tutte le altre sono subordinate(2).
Cammino per le vie, oggi è giorno di mercato; c’è il sole sembrano tutti felici. Vado al lavoro.
Mi chiamo Derania, e sono l’ultima discendente di un’antica casata di guerrieri ormai caduta in rovina. La mia famiglia non possiede più nulla, ad eccezione della casa dove abitiamo, io, mia madre e mio fratello Mon. Nostro padre è stato giustiziato tanto tempo fa, quando, a capo di un gruppo di famiglie guerriere, osò opporsi allo strapotere dei sacerdoti che volevano continuare all’infinito le guerre.
Per mio padre, la guerra era una follia pura. Che senso aveva distruggere ed uccidere vite, solo per appropriarsi di territori e ricchezze? Gli esseri umani devono vivere felici ed in pace, diceva.
Ma i sacerdoti non la pensavano così. Per loro, la ricchezza era tutto. E la volevano, ad ogni costo. E conoscevano un solo modo per ottenerla: la guerra. Uccidere, devastare i territori altrui, solo per portar via le loro ricchezze. Ed alla guerra, avevano consacrato l’intero apparato della città: un esercito immenso, fortissimo, addestrato rigorosamente; le famiglie con più figli maschi venivano premiate, poiché fornivano guerrieri ulteriori all’esercito; ciò, di converso, penalizzava fortemente le donne: d’altronde, a ben vedere, ogni penalizzazione della donna nasce da questa delirante esaltazione del maschio guerriero e della guerra.
Da questa falsa etica, fatta di devastazione e morte.
Da questa logica del tutto illogica, più adatta alla bestia che all’uomo, dell’uccidere per poter prendere.
Prendere: non conoscevano altra parola all’infuori di questa.
Possedere.
Ed il loro immenso potere glielo permetteva, un potere che nasceva dalla superstizione del popolo, che temeva le loro presunte doti magiche, e dall’avidità dei guerrieri, che da loro ottenevano privilegi.
Ma non tutti i guerrieri erano così. Vi erano anche guerrieri come mio padre, che non tolleravano questo sistema basato solo sull’odio e sull’ingiustizia: non tolleravano il clima di terrore che i sacerdoti avevano creato, condannavano il riprovevole stato di soggezione in cui erano tenute le donne, e fustigavano apertamente il terrore instillato nel popolo al fine di spingerlo a pagare le tasse, tasse che, ovviamente, avrebbero finanziato le guerre.
I sacerdoti non conoscevano la parola Amore.
Mio padre ed altri si unirono in una congiura per rovesciare il potere, e poter dare ad Atlantide un governo giusto ed umano.
Ma una notte, la loro congiura fu scoperta.
Furono tutti arrestati e giustiziati, nell’unico, atroce modo che veniva usato dai sacerdoti: infilati nell’olio bollente.
E le loro famiglie, vennero ridotte alla miseria, e private del titolo nobiliare un tempo posseduto.
Tra queste, la mia.
Ed ora, dobbiamo lavorare per vivere.
Mi sto recando al mercato, come ogni mattina, per vendere i frutti della terra che mia madre e mio fratello coltivano nel campo dietro la nostra casa; là, mi aspettano i miei amici: lavoriamo assieme, come un’unica famiglia. Ci vogliamo bene.
“Buongiorno a tutti!” dico arrivando,
“Ciao, Derania!” mi risponde Varan, uno dei miei amici più cari; anche sua madre partecipò alla congiura, e finì immersa nell’olio bollente; ma nonostante tutto, lui è sempre solare, allegro; tutto il contrario di me, che covo da anni dentro una segreta ed insaziabile sete di giustizia.
Questo popolo sofferente, che si vede portar via tutto ciò di cui ha bisogno per vivere, per vederlo consumato in assurde guerre senza senso, grida in silenzio; ma il suo grido si fa ogni giorno più forte: verrà un tempo nel quale quel silenzio verrà squarciato.
Varan fischietta, allacciandosi meglio la fascia rossa che porta in vita a cingergli la tunica; è girato, mi dà le spalle larghe; vederlo così, per me, ha sempre significato una sorta di protezione, come se mi dicesse “Ci sono io, non aver paura!”.
Lo guardo, con sguardo carico di affetto: Varan è l’altro mio fratello, quello scelto consapevolmente.
Un uomo si avvicina al mio banco; non l’ho mai visto, prima, da queste parti. Lo guardo bene, e mi accorgo che è davvero bello: alto, spalle larghe quasi quanto quelle di Varan, capelli neri tagliati asimmetrici e profondi occhi verdi; un ciuffo ribelle gli cade su di un occhio, conferendogli un’aria misteriosa ed affascinante; di tanto in tanto, lui lo sposta, rivelando uno sguardo intenso e cristallino, accompagnato da un dolce sorriso.
E’ proprio bello, si deve ammetterlo.
Ma anche lui sembra esser attirato da qualcosa di me, perché mi guarda a lungo.
Poi, Varan si avvicina e rompe il silenzio.
“Iram! Che ci fai da queste parti?”,
“La nostra domestica si è ammalata, così ho pensato che questa era una buona scusa per vedere com’è fatto un mercato!”.
Varan sembra conoscerlo; gli si fa più vicino, e gli dà un’amichevole pacca sulla spalla.
“”E bravo il nostro nobile populista! Sai che se qualcuno ti riconosce, e lo va a dire ai sacerdoti, passi un bel po’ di guai?”.
Qui ad Atlantide, è proibito ai nobili mischiarsi alla gente del popolo: chi trasgredisce, viene punito duramente. Le ragioni sono sempre le stesse.
“Non preoccuparti, nessuno mi riconoscerà. La mia faccia si vede poco, qui in giro, dato che sono sempre oltremare per studi; mi prenderanno per un artigiano perdigiorno che tralascia la sua bottega per andare dagli amici!”,
“Sei sempre il solito! Non cambi mai!”. I due ridono; poi Varan si rivolge a me.
“Derania, ti voglio presentare il miglior amico che ho su questa terra assieme e te ed alla tua famiglia: lui è Iram, nobile, ma pazzamente egualitario!”,
“Esageri sempre!!”, risponde lui rivolto all’amico,
“Felice di conoscerti” dico io, e gli porgo la mia mano. Ed allora succede un fatto strano: nello stesso istante in cui la mia pelle sfiora la sua, sento una scossa attraversare le mie dita, e risalire la mano, su fino al polso, per poi perdersi nel braccio.
E so bene cosa vuol dire.
La nostra vecchia indovina, ora morta, ce ne parlava sempre, a me ed a mio fratello: diceva che “quando si incontra la propria anima gemella, si avverte una fitta simile ad una scossa, e da quel momento in avanti, le vostre anime sono legate per sempre: niente e nessuno potrà mai separarle, né le avversità, né gli uomini, né il tempo e lo spazio, né tantomeno la morte. Le anime gemelle sono condannate a cercarsi anche attraverso i secoli”.
Ed io ho appena trovato la mia. Lui.
Anche lui ha provato lo stesso per me?
Le anime gemelle si riconoscono sempre, quando si incontrano.
Ma un mondo intero ci divide.
Lui, un nobile ed io, una contadina.
Lui, un privilegiato ed io, una reietta.
Potremo mai davvero amarci?
Forse, non in questa vita.

“Madamigella, svegliatevi!!”.
Lentamente ed a fatica, Oscar riaprì gli occhi.
Era ancora nella vasca, immersa in quella specie di fluido dentro al quale galleggiavano quegli strani aggeggi in grado di dare quelle scosse (elettrodi, li chiamava il professore); osservando la sua pelle, la vide piena di piccole escoriazioni nei punti in cui probabilmente quegli aggeggi l’avevano toccata; vi erano anche alcune piccole vesciche.
“Allora, dottore? Com’é andata?”,
“Prima uscite da lì e vestitevi. Ho parecchie cose da dirvi, e questa non mi pare la sede più adatta”.

                                        **********

Oscar era rimasta con gli occhi sgranati, la tazza di cioccolata tenuta a mezz’aria e la bocca spalancata per lo stupore.
“IO AVREI RACCONTATO QUESTO?”.
Il medico annuì.
“Esattamente, madamigella. E dai dettagli che ne avete dati, posso affermare che non si trattasse di vostre fantasie”.
Oscar posò la tazza sul tavolino “Ma… ma è assurdo! Queste cose non esistono! Io non ci credo!”,
“Temo che dovrete ricredervi, madamigella. La vostra esperienza di oggi ha il potere di cambiare le convinzioni che vi hanno animata sin qui”,
“Io… vissuta nell’Atlantide! E caduta in disgrazia, per aver cercato di migliorare le abiette condizioni di un popolo tenuto volontariamente in miseria da una casta corrotta! Questa è roba da romanzo!”,
“I romanzi sono molto più vicini alla vita di quanto crediamo. E due vite tra loro apparentemente molto lontane possono divenire all’improvviso molto vicine”,
“E… ditemi… cosa sarebbe stato a fare… affiorare in me certi… come li avete definiti… ricordi inconsci?”,
“Un violento trauma psichico, madamigella. Ma quale sia, non lo conosco”.
Oscar abbassò lo sguardo, pensierosa. Lei sapeva bene quale fosse quel trauma: e riandò col pensiero alla sera del ballo.
“E ditemi, dottore” riprese “se la vostra teoria fosse vera, cosa dovrei fare adesso per far cessare il mio tormento? Il solo ricordare la mia vita precedente è stato sufficiente?”,
“Se l’aveste ricordata per intero, sì: con molta probabilità, in quell’epoca si è prodotta una lacerazione; solo ricomponendo questa lacerazione possiamo chiudere la ferita che, in questa vita, si è aperta in voi”.
Oscar scosse il capo, con fare scettico.
“Madamigella, ascoltate” lo scienziato si sporse in avanti “le cose non succedono mai a caso, soprattutto nelle connessioni con le esistenze passate: i conti, prima o poi, vanno saldati. Se in quel tempo tanto lontano qualcosa vi è stato tolto, forse questo è il tempo per riprenderselo; non dimenticate che c’è Qualcuno sopra di noi, che manovra ciò che nella nostra vita sfugge al nostro controllo, poiché si tratta di cose che ci trascendono immensamente, e che pertanto noi non siamo in grado di comprendere. Forse, da lassù, è stato deciso che ora è arrivato per voi il tempo di chiudere i conti col passato, e questi vostri tormenti non sono che segnali di ciò”.
Osca non seppe cosa rispondere; apparentemente, il ragionamento del medico filava perfettamente, ma quelli erano argomenti con i quali lei non era abituata a trattare: troppo irrazionali, troppo difficili da credere per una persona ordinata e concreta come lei.
E poi, c’era qualcosa che la inquietava più di tutto…
Iram. Anzi, André.
La somiglianza tra i due era innegabile: durante la sua “visione”, Oscar aveva avuto modo di vederlo bene, ed aveva visto che i due erano assai più che simili, erano praticamente identici.
Possibile che André fosse la reincarnazione di Iram, come lei lo era di Derania? Per quanto incredibile ed irrazionale, doveva essere vero.
Come richiamato dai suoi pensieri, in quell’istante, André entrò nella stanza.
Nel vederlo, il viso di Oscar si illuminò: da un bel po’ di tempo, ormai, vederlo le faceva quell’effetto; Andrè era stato l’artefice della riconciliazione tra il suo essere donna ed il suo essere soldato, era l’uomo la cui sola presenza era sufficiente a portarle il sole nel cuore anche in una giornata di pioggia, era l’uomo di cui credeva… sì, ormai lo doveva ammettere, di cui credeva di essere innamorata.
E di chi altri, se non di lui, la da poco consapevolmente donna Oscar avrebbe potuto esserlo? André era la sua ombra, quando lei era la luce, era la sua sicurezza nei pericoli, era la presenza costante che dava un senso alla sua vita, era l’altra metà di sé stessa con cui confrontarsi, la metà più bella, quella che con un sorriso e la sua dolcezza bastava a presentarle davanti la realtà così come essa era, senza orpelli ed artifici, ed attenuandone i lati peggiori.

“Vi debbo lasciare, ora, madamigella” fece Mesmer alzandosi “ho abusato fin troppo della vostra ospitalità, è necessario che io faccia ritorno a corte. Ma se avrete ancora bisogno di me, sarà sempre un onore venire in vostro aiuto”.
Oscar lo accompagnò alla porta. Poco prima di uscire, l’uomo si voltò ed aggiunse:
“Un’ultima cosa, madamigella. Dato che adesso vi siete riconnessa ai vostri ricordi remoti, è possibile che altri momenti della vostra passata esistenza affiorino spontaneamente: il passato può ritornare a pezzi, ora che la porta è stata aperta”.
Detto questo, lo scienziato uscì.
“Cosa ti ha detto quel dottore straniero?” le chiese André una volta che Mesmer se ne fu andato.
Senza rispondere alla sua domanda, Oscar gli disse “Tu credi nelle esistenze precedenti, André?”.

                                      **********

Stavano sdraiati sulla paglia di una stalla abbandonata, nel buio; solo la notte era testimone del loro amore segreto.
“Questa notte, abbiamo infranto ogni regola”, sussurrò lei, il viso appoggiato sul petto nudo dell’uomo,
“E te ne dispiace?”, rimarcò lui,
“No, affatto” la donna sollevò il viso per guardarlo negli occhi “era giusto, Iram!”.
Lui allungò una mano nei suoi capelli per accarezzarla, scendendo poi sulla guancia “Sai cosa ti aspetta se verremo scoperti?” le chiese,
“La marchiatura a fuoco. Ma io non ho paura. Ti amo, Iram”,
“Anche io ti amo, Derania”.
Si baciarono con passione, riprendendo a toccare l’uno la pelle dell’altro, nudi. Derania avvolse il corpo dell’amante con le proprie gambe, stringendolo per farlo suo.
Fecero l’amore ancora, protetti dal silenzio e dal buio; poi rimasero abbracciati, per assaporare la loro vicinanza che, fra non molto, il sorgere del giorno avrebbe di nuovo spezzato.
“La situazione è diventata insostenibile” pensava Iram ad alta voce “il popolo non ha diritti, è ridotto alla totale servitù ed alla miseria; c’è gente che non ha di che mangiare e vede morire di stenti i propri figli! Non può continuare così!”,
“Ed una popolana, per di più figlia di un congiurato giustiziato, ha una storia d’amore con il figlio di una famiglia guerriera e nobile, contravvenendo alla legge che vieta questo genere di unioni per mantenere pura la stirpe dei guerrieri. Questo mondo sta per rovesciarsi!”,
“Sì, è proprio così. Il malcontento serpeggia ovunque, questa volta, e non solo tra pochi nobili illuminati, come ai tempi di tuo padre; se ci sarà una rivolta, la casta dei sacerdoti non avrà scampo”.
Derania si sollevò sulle braccia “Iram, non mi dire che tu… vuoi seguire la strada di mio padre! E’ così?”,
“Perché, tu non vorresti seguire la strada di tuo padre? Non vorresti che tutti vivessero liberi e felici, anziché dover sacrificare tutto ad un’etica di violenza?”.
Lei non seppe rispondergli; si limitò a guardarlo, intensamente.
“Siamo folli, Iram”,
“Tu saresti con me?”,
“Sempre e comunque”.

 Oscar si svegliò di soprassalto, e si mise a sedere nel letto. Un altro sogno che veniva dal passato, da Atlantide. Un altro pezzo del passato che le rivelava un po’ del suo presente.
Ormai, non c’era più bisogno dei magneti.
Decisamente, il passato sta tornando a pezzi, pensò Oscar.

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(1)Ho cercato di mantenere la descrizione data di Atlantide da Platone, con i cerchi concentrici e le statue; il resto l’ho messo di mio.
(2)Sull’organizzazione sociale di Atlantide, mi sono inventata tutto; d’altronde, dovevo pur dare a questa organizzazione un volto disumano, per giustificare gli avvenimenti successivi.

Eccomi qua, sono tornata!! Ed in questo capitolo si chiariscono molte cose. Ho messo molto di mio, mantenendo la descrizione che di Atlantide ha dato Platone solo nella struttura della città; quella della casta dei sacerdoti corrotti è un'invenzione mia, necessaria per ricreare il parallelismo tra la situazione di Atlantide e quella della Francia pre-Rivoluzione.
Adesso, le risposte ai commenti:
Khristh: felice che la storia ti piaccia; era da un pò che volevo scrivere qualcosa di sovrannaturale, ed ho deciso di provare con Lady Oscar; a quanto pare, l'esperimento è andato bene... I nomi li ho inventati, ispirandomi un pò a quelli dell'antica Mesopotamia e dell'antico Egitto;
Beatrix 1291: eh, sì, qui i sogni sono messaggi venuti decisamente dall'alto...
Pry: ho pensato di alternare l'azione al pensiero per non spezzare la continuità del racconto, cercando invece di mantenerlo sempre vivo; non so se ci sono riuscita;
Ninfea 306: a quanto pare, mi hai letto nel pensiero... e spero di avere soddisfatto la tua curiosità con questo capitolo (ma è solo l'inizio ;-));
Patrizialasorella: in effetti, il mesmerismo veniva usato per curare gli "squilibri" nel fluido vitale che, secondo Mesmer, erano causa di molte malattie; ma altrove si dice che l'ipnosi possa far regredire la memoria fino ad una vita passata...
Lady in blue: lo avevo detto che era una scena da rating arancione... d'ora in avanti, le cose andranno da sole;
StregaGrianne: che te ne pare di questo seguito della storia?
Bay: ti ringrazio per aver messo la storia tra i preferiti;
Baby Elisa: e adesso entra in gioco André...
Audeyny: credo di aver messo qualche incongruenza temporale di troppo, in questo capitolo...
Bradamante: come ti sembra la mia descrizione di Atlantide?
Un grande ringraziamento anche a tutti coloro che stanno leggendo senza recensire.







  
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