Elise era nel cortile del castello Ossowiesky, con il suo portatile. Non volendo nemmeno sprecare un giorno, e non sapendo che avrebbe sbagliato orario, si era portato il computer portatile, su cui aveva salvato i testi della sua tesi. C’era una cosa che non la convinceva, o meglio più di una. Per usare le parole di sua madre “ qui qualcosa non quaglia ”, e in quella situazione molte cose, insignificanti da sole, devastanti unite, non quagliavano. La prima riguardava gli avvenimenti accaduti 564 anni fa. Non riusciva a capire chi avesse confessato e fornito diversi indizi: Poitou e Criart erano morti, Rossignol era troppo giovane, de Sille e Briqueville avevano tagliato la corda prima del fattaccio di Nantes, ovvero il sequestro del Vescovo. Ma allora perchè Prelati e Blanchet erano stati giudicati soltanto dal tribunale ecclesiastico?
Forse uno di loro, o entrambi, avevano confessato spontaneamente per evitare la tortura? E avevano denunciato i loro compagni, evitando intenzionalmente di ricordare il loro ruolo. Ora che ci pensava meglio si rese conto che il cognome del sindaco era de Sille, lo stesso del cugino, procacciatore e complice del barone de Rais: Gilles de Sille. Era una strana coincidenza, ma forse il sindaco era un lontano discendente di de Sille, e in modo indiretto di de Rais. Elise si ripromise di parlare con lui, poteva risultare interessante la sua testimonianza. Finito di pensare a questo, le venne in mente un’altra cosa: la padrona dell’alberghetto aveva lo stesso nome della vecchia che rapiva i bambini per poi consegnarli a de Rais! E in quel caso la situazione si complicava, si complicava eccome! Uno era un caso, due una coincidenza, tre era in atto qualcosa, e lei non sapeva cosa, e questo l’angustiava.
Il secondo pensiero era più che altro un accusa contro sé stessa: come poteva aver dimenticato di svegliarsi alle 6:30?
In ogni caso ormai era lì, e sarebbe ripartita soltanto fra due giorni, che succeda quello che deve succedere, pensava Elise.
Così pensando si alzò dall’erba e si avvicinò di soppiatto al castello, quanto le sarebbe piaciuto poterlo visitare. Era già in piedi quando le cadde l’occhio su una finestra dell’antico maniero, e le parve di scorgere un’ombra. Cercò di aguzzare la vista, ma rapida com’era apparsa l’ombra sparì. Elise non sapeva più che cosa pensare, ma oramai era sicura di una cosa: era osservata da qualcuno, che doveva conoscerla da parecchio tempo. Non sapeva chi poteva essere così interessato a lei da seguirla passo passo da Parigi a quello sperduto paesino, ma era determinata a scoprirlo. Fin da bambina odiava essere seguita, ma allora cercava in tutti i modi di seminare lo spione. Oggi aveva un altro piano: le parti sarebbero mutate, e da preda sarebbe diventata predatrice.
Pensò di cominciare andando a vedere a chi apparteneva l’ombra, quello era di primaria importanza. Mentre si avvicinava alla porta per poco non fu schiacciata da quello che un tempo doveva essere un tavolo, che cadde dove lei si trovava cinque minuti prima. Il tavolo, logoro ma ancora pesante dopo tanti anni significava due cose: c’era chi la voleva morta e chiunque fosse non era solo: il tavolo era troppo grande per poter essere stato sollevato e lanciato da una sola persona. Guardandosi le spalle Elise scavalcò il cartello che vietava di entrare, la curiosità era troppa, valeva rischiare.
Era sicura che la porta fosse chiusa, invece si aprì subito. Una cosa la sorprese, il catenaccio era stato rimosso da poco: c’erano ancora i segni della polvere. E la polvere era molto spessa, quindi quel qualcuno era entrato da poco dopo diverso tempo.
Stava per salire le scale quando udì il rumore che fanno più paia di scarpe, c’era qualcuno, ora ne era cortissima!
Tutto il suo coraggio svanì e non aveva ancora messo il piede sul primo scalino che già si rigirava e iniziava a fuggire a gambe levate verso il paesino, terrorizzata a morte e ben decisa a non tornare al castello Ossowiesky per tutta la durata della sua vacanza nel Guèdavan, mai più! Meglio la morte alla paura che aveva provato in quel posto.