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Autore: Lady Chaos    31/03/2010    2 recensioni
Chichi. Tutti la conosciamo come la normale e terrestre moglie di Goku, eppure, ognuno di noi può avere i propri più intimi e nascosti segreti...
[Dal prologo]
[...] La ragazzina iniziò meccanicamente a ponderare sul significato di tutte quelle parole che aveva a mala pena recepito: segnali convulsi e trasmessi alla rinfusa. Forse ci aveva capito poco o niente. Ma a lei andava bene così. « Pan, » le si avvicinò Chichi sedendosi vicino a lei e consegnandole il libro « hai mai tenuto un diario? » Cose da ragazzine, così lei aveva sempre pensato. Chichi la fissò seria. «D’ora in poi dovrai farlo. Per me, e’ un favore che vorrei tu mi facessi, consumalo fino alla fine, voglio che tu scrivi tutto quello che senti, che pensi e che vedi. Credimi, è davvero importante. Ma soprattutto, non entrare mai nello scantinato senza il mio permesso.» La rugosa fronte di Chichi si increspò, mentre le sopracciglia si piegarono improvvisamente.
Stava piangendo.

[Dal capitolo IV]
La solitudine è un sentimento che tace il tuo animo, ti rende un estraneo, uno sconosciuto, un fantasma … Non ci sei e a volte rimani solo proprio per la paura di poterci essere, ti domandi come mai, come potrebbe essere accaduto, quale potrebbe esserne la ragione. Nessuno ti riconosce, ne ti pensa, non ti considera, la solitudine è come un’esistenza fasulla, una dolorosa illusione che infligge terrore ad aprirsi con gli altri e ben presto finiamo per costruirci una barriera difensiva per proteggerci da quelli che pensiamo possano essere pericoli esterni eppure, il più delle volte, non ci accorgiamo che il vero male è dentro di noi.
L’abbandono non è un effimero addio dal quale si può fuggire, è una trappola che ti segnerà per sempre, una sofferenza atroce che ti corrode, non ti lascia il tempo per capire, ma che ti scalfisce alle spalle e tradisce la tua fiducia. E in quel momento cresce dentro di te una rabbia incontrollabile, ti stupisci anche tu stesso quando lo vedi e ti chiedi fin dove mai potresti arrivare, se queste sensazioni così negative e così represse non faranno in modo che tu ti possa autodistruggere. Alla fine a farci del male siamo proprio noi eppure diamo la colpa agli altri, forse siamo consapevoli di essere noi le vere persona imputabili ma per orgoglio o paura non vogliamo ammetterlo. Questi pensieri si annidano nella sua mente, ora nuda maschera d’acciaio, ruvida lastra di ghiaccio, sepolte nell’ombra più oscura soggiogata dall’esaltante effluvio del più dolce veleno offerto dalla tentazione, intorpidite dagli olezzi più amari nel giaciglio dell’Inferno.
Mentre il mondo cambia, spinto da forze oscure e sconosciute, si dovrà provvedere a salvarlo, partendo dalle origini...
[P.S: Per un ripristino del sistema attuato al mio computer (^^") purtroppo ho perso tutte le fanfictions precedenti, di questa fanno parte:
"Sailor Earth and Sailor Vegeta" "La quarta dimensione" (Tentata pubblicazione) e "Halloween Competition Game Lovers" ]
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bra, Goten, Pan, Trunks
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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†Memories Dust†

[Prologo di un'inaspettata regola]



Un ultimo soffio di vento.
Sì, sarebbe ben presto finita, era questione di poco più di una settimana e finalmente, si poteva tornare a godere del delizioso tepore del Sole primaverile. Ebbene. E così era giunto il tanto atteso epilogo del gelido inverno. Si sarebbero presto sciolti i cristalli di ghiaccio, si sarebbe sgelata la neve candida che ricopriva i vasti prati tappezzati di foglie secche e le montagne rocciose, ricoperte di alti alberi dalle perfette chiome color smeraldo anche dopo le burrasche. La fine di quel freddo spietato che ogni volta, non poteva fare a meno di trapassarle la carne come fosse una lama affilata e pronta a dipingere la superficie d’argento di puro sangue, gocciolando sopra la terra fertile e facendo trasparire la luce assassina davanti al firmamento, del freddo spietato che penetrava avidamente tra le ossa mentre impallidiva e batteva i denti, tremava, mentre sentiva il passo felpato e pretenzioso dell’aria ghiacciata, renderla sua succube nel momento in cui contro ogni suo volere e potere, invadeva il calore del suo corpo inerte offerto al vento furioso, le smembrava le viscere, si tuffava nelle vene purpuree … dello stesso freddo spietato che la zittiva, che la faceva rimanere ferma lì dov’era prima, perché ingenua, era uscita dalle sue quattro mura, accalorate da un focolare giacente all‘angolo più solitario del muro, cercando di nutrire il fuoco avido, quasi stanco di emettere le nere fuliggini della combustione. Viveva in quel posto e se ne accorgeva.
Non proferiva alcuna parola. O meglio, voleva farlo proprio in quel momento, puntuale come sempre, sì, forse era quello giusto, di solito parlava anche troppo, ma quella volta che occorreva anche una parola detta si sfuggito,  non riusciva a pronunciare mezza lettera.
Non se l’aspettava.
La mano del silenzio l’aveva prima sfiorata, le aveva lasciato sulla pelle giovane, il morbido tratto del suo tocco sovrannaturale, disumano, superiore, potente: in poche parole: divino. Poi l’aveva  costretta a tacere. Serrava le labbra stupefatta.
Veloce, impalpabile, il suo tocco quasi tagliente non le aveva dato il tempo di realizzare cosa riusciva a vedere intorno a sé o meno, rifletté. Aspettò e poi tacque. Sorrise. Riaprì gli occhi.
Ed era lì, la piccola.
Davanti alla valle innevata, sola e al buio. La burrasca violenta e impetuosa aveva travolto i boschi dei suoi adorati monti con la stessa violenza di un esercito al fronte che scende sul campo di battaglia disposta ad ogni costo a difendere la propria patria dal temibile e pericoloso nemico: dopo che la tempesta aveva lasciato il villaggio in preda alle tenebre più funeste, prosciugando le energie delle piccole e pallide luci che illuminavano i sentieri dei colli, ne aveva osservato i simboli: i segni del suo passaggio.
Ora aveva tutto il suo mondo avanti a se.
Lo tracciava. Lo raffigurava. Lo dipingeva.
Si lasciava guidare dall‘ispirazione improvvisa e appena giunta, accalcata su di lei, sua amica, sua guida, sua compagna.
Riempiva di colore quella tela bianca, pallida e inespressiva.
Con soffici pennellate di passione, ritraeva i colori della vita.
« Mi serve dell’acqua … »
Scattò immediatamente in piedi dallo sgabello e percorse transiti pesanti e rapidi, alzando ritmicamente le braccia rizzate dai fianchi al capo e alternandole simultaneamente, in alto e in basso, incedendo come un soldato e cercando di mantenere stabilità persistente mettendosi alla prova con uno dei pesanti libri del padre sopra la testa.
Si diresse verso la porta dello scantinato, volta alle spalle della casa della nonna.
Una volta arrivata fu costretta a fermarsi davanti alla piccola cupola. Era chiusa a chiave.
Sorrise, provando dentro al cuore un grande senso di tenerezza.
Pensò che molto probabilmente, proprio sua nonna ci si fosse rinchiusa dentro apposta e che volesse rimanere da sola, quando ciò accadeva era perché sentiva incessante il bisogno di riflettere. Su cosa? Non lo aveva ancora capito nessuno. I suoi pensavano che fossero i primi segni di una crisi di mezza età. Fatto stava che la cosa più strana era il motivo che ne stava quasi  “prendendo egoisticamente possesso” per così dire, almeno.
Non permetteva più quasi a nessuno di entrarci. Poteva forse darsi che l’avesse presa come sua unica  “oasi di ricordi” : Là dentro erano conservati i più preziosi cimeli di famiglia, a partire dal costumino che la piccola Chichi indossava sempre da bambina, ai costumi del tutto originali dei suoi genitori, i due Great Sayaman di Satan City di cui lei stessa sin da piccola aveva sempre sentito parlare. Bussò lievemente.
Nessuna risposta.
Si armò di pazienza, ci riprovò.
Il silenzio più assoluto.
Iniziando a innervosirsi fece più pressione ai pugni mettendovi più forza, finchè l’anziana donna, non aprì e con fare alquanto seccato, la guardò in malo modo da capo a piedi.
« Scusami nonna, so che ti dà fastidio, ma mi servirebbe dell’acqua per diluire la tempera e papà aveva messo le botti d’acqua del fiume qui dentro, così … » cercò immediatamente di giustificarsi la ragazzina. Il solito cipiglio severo della donna sparì in un momento, lasciando spazio ad un sorriso appena accennato. «Mia piccola Pan, forse è arrivato il momento per noi di parlare.» Disse, afferrando una specie di libro dalla copertina nera sul pugno destro e richiudendo a chiave il suo scantinato.
La nipote di Goku spalancò gli occhi incredula di fronte a quel fulmineo e parecchio insolito cambiamento d’ umore della nonna. «Parlare? E di cosa?»
«Ognuno di noi ha i propri spazi e gli altri, volendolo o meno, sono tenuti a rispettare la volontà dei primi. » Così Chichi iniziò a discutere di un tema che si preannunciava di già piuttosto lungo, mentre circondando il collo della nipote di fianco a lei con il braccio sinistro in una specie di abbraccio l’accompagnava a casa propria per prepararle la merenda «Questa è ormai diventata una regola a casa nostra e i tuoi genitori ti hanno da sempre insegnato a rispettare le regole. Insomma, lì non puoi più entrare, né tu, né nessun altro, finchè non lo deciderò io. » rispose in tono fermo la nonna, non sembrava poter ammettere discussioni di alcun tipo.
« Nello scantinato? E perché mai? » chiese Pan sorpresa.
Chichi la fissò sorniona e aprì il portone di casa, portando con sé Pan che la seguì in cucina, nel quale tavolo, la più anziana appoggiò il libro nero, per poi dirigersi nella stanza.
« Il tempo è il guardiano delle anime … E’ un elemento fondamentale che vige su di un equilibrio costante sovrapponendolo ad un altro, creando così una catena di eventi che si riscontrano in successione e che finiscono per intrecciarsi a vicenda. Talvolta facendo riscontrare una terribile confusione oppure, possono incatenarsi a ritmo lento e ininterrotto che è quasi impercettibile, si fonde ai nostri sensi e alle nostre percezioni creando una simbiosi quasi mistica, favolosa e crea un potere dalle forze talmente immense da essere inimmaginabili. E’ un filo sottile, può essere più o meno intricato a seconda di come gestiamo i nostri pensieri, le nostre sensazioni o i nostri sentimenti, che regge l’intera storia di una persona, racchiudendone le diverse fasi tra i meandri più nascosti della nostra mente e custodendoli come fossero puro oro in una miniera scavata tra le fosse più profonde, buie, intricate e introvabili. Sono merce preziosissima, fanno parte di noi, sono i nostri ricordi. »
La donna osservò la nipote con la coda dell’occhio, non ci aveva capito nulla, così con lo sguardo le fece capire che quella storia c’entrava con quel libro nero.
«Perché mi stai parlando di questo? » chiese Pan con fare interrogativo e curioso, fu attratta dal libro posto li di fronte a lei.
La signora Son, gentile e premurosa le sorrise e una volta portato in casa propria la nipote, la fece sedere sul tavolo della cucina preparandole un tè.
« Come puoi aver osservato tu stessa, non serve studiare anni e anni per diventare un eccellente scienziato e per saper comprendere questo ciclo di cambiamenti che affrontiamo nella nostra vita, ci è arrivata persino una come me che non ha nemmeno frequentato le superiori. »
« Come … hai .. »
«Fa parte di quello che siamo, del nostro naturale essere, non occorre inventare macchine del tempo per guardare addietro e chiedersi se tutto quello che viviamo abbia un senso o meno, cosa siano il passato, il presente o il futuro … perché è soltanto la nostra forza di volontà a poterci rispondere a questo tipo di domande che spesso capita di porsi. Con ogni nostro gesto rendiamo al mondo quello che sentiamo. Quello che facciamo da bambini ad esempio, farà parte di quella che da adulti ricorderemo come la nostra infanzia. Come quando con tenerezza ricordiamo il nostro passato di bambini ingenui e spensierati e passavamo le notti abbracciati al nostro peluche.»
La ragazzina iniziò meccanicamente a ponderare sul significato di tutte quelle parole che aveva a mala pena recepito: segnali convulsi e trasmessi alla rinfusa. Forse ci aveva capito poco o niente. Ma a lei andava bene così.
« Pan, » le si avvicinò Chichi sedendosi vicino a lei e consegnandole il libro « hai mai tenuto un diario? »
Cose da ragazzine, così lei aveva sempre pensato.
Chichi la fissò seria. «D’ora in poi dovrai farlo. Per me, E’ un favore che vorrei tu mi facessi, consumalo fino alla fine, Voglio che tu scrivi tutto quello che senti, che pensi e che vedi. Credimi, è davvero importante. Ma soprattutto, non entrare mai nello scantinato senza il mio permesso. »
La rugosa fronte di Chichi si increspò, mentre le sopracciglia si piegarono improvvisamente.
Stava piangendo.



 





  
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