Quel giorno si
riunirono lì
A quale velocità
dovrei vivere,
per poterti vedere
di nuovo?
Noah era riuscito a distogliere lo sguardo da Oz e suo
padre che si allontanavano solo quando entrambi erano effettivamente spariti
dalla sua vista voltando l’angolo.
Era stato dapprima confuso dal nome pronunciato dal
padre del compagno di stanza: non era davvero riuscito a capire come fosse
possibile scambiare i figli, ma supponeva che potesse succedere e d’altra parte
non aveva esperienza per escluderlo dal momento che a parte la situazione di
fratellastro di Marcus era sempre stato figlio unico.
Tuttavia, la risposta data proprio da Oz aveva tolto
per certi versi parecchi dubbi riguardo la casualità di quell’errore e per
altri aveva invece non solo suscitato stupore nella maggior parte di loro, ma
anche dato la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.
Forse eccedendo, Noah d’istinto l’avrebbe definito
quasi contorto.
Il silenzio era caduto nel gruppetto che avevano
formato, circondato e messo quasi in contrasto al chiacchiericcio di sottofondo
presente nell’atrio in cui si incrociavano studenti di tutti gli anni con i
propri genitori.
A sbloccare Noah dal momento di confusione in cui
versava fu una mano che si posò sulla sua spalla e che si rivelò essere quella
di Christopher; il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre dopo essersi
incantato a guardare un punto fisso, dopodiché si voltò verso Ada.
La ragazza sembrava sulle spine: le spalle erano
appena curve, cosa che si notava fin troppo a causa di un portamento
solitamente dritto e preciso, tipico di chi è abituato a certi ambienti in cui
esso risulta essere canone di eleganza.
Teneva il viso appena chinato, quasi cercando di
nascondersi in un atteggiamento insicuro e di disagio. Lo sguardo evitava
quello di Noah come anche degli altri presenti, sebbene fosse cosciente del
fatto che a breve sarebbe arrivata la domanda di qualcuno.
Per questo, quando Noah prese la parola rivolgendosi a
lei, Ada non se ne stupì davvero nonostante il leggero sobbalzare nell’alzare
lo sguardo verso di lui avrebbe potuto far pensare il contrario.
«Ada» mormorò il ragazzo, lo sguardo ancora piuttosto
confuso portato su di lei: «vostro padre ha…» pronunciò, interrompendosi, quasi
non riuscisse ad individuare le parole giuste per chiedere quello che voleva
sapere o almeno provare a capire.
Probabilmente lei lo intuì o, molto più semplicemente,
non era la prima volta che si trovava a dover far fronte ad una richiesta del
genere; fu palese quando evitò a Noah di costringersi a trovare l’espressione
giusta anticipandolo: «Nostro padre chiama Oz con un altro nome da… un po’.»
pronunciò, quasi vergognandosene, come se fosse colpa sua.
Noah era ancora piuttosto spaesato: «Ma Jack… voglio
dire, Jack Bezarius non è il fratello maggiore tuo e di Oz? Quello che è…
morto?» chiese, cercando di infondere più tatto possibile alla domanda, conscio
che non doveva essere il massimo sentirselo dire.
Ada inspirò, annuendo: «Jack è morto ormai da cinque
anni.» trovò il coraggio di pronunciare, nel tono quella che doveva essere solo
una sfumatura del dolore provato per la morte del fratello maggiore.
«Si è ammalato giovane. Non era cagionevole di salute,
anche se era abbastanza incosciente da prendere spesso il raffreddore. Non si
accorse nessuno che era malato, sembrava… stare bene come al solito.» raccontò,
e Noah si pentì davvero di averglielo chiesto.
Aveva sempre evitato di domandare qualcosa ad Oz,
laddove possibile, proprio per non ritrovarsi una situazione spiacevole come
quella; inoltre non era stato difficile ipotizzare già a suo tempo che la
perdita doveva aver lasciato un segno indelebile in Oz quanto in Ada, e che
parlarne dovesse costare loro molto più di un po’ di forza e di coraggio.
«Papà è stato male quando la mamma è venuta a mancare.
Lei non era grave come Jack, ma non aveva un’ottima salute, e le medicine e il
chiuso non l’avevano aiutata. Lui ha passato moltissimo tempo nel suo studio,
senza uscirne quasi mai. Per un periodo, noi e Jack eravamo gli unici ad
occupare la tavola. Papà non c’era.» mormorò, il tono che non si alzava mai e a
volte rischiava persino di essere troppo basso per risultare udibile.
Noah fece per prendere parola e dirle di lasciar
stare, ma Ada scosse impercettibilmente la testa: «Quando Jack è morto, sembrava
di essere tornati indietro, a quando se ne era andata la mamma. Papà si chiuse
di nuovo nello studio e… non sappiamo perché. Lui però… da quando è uscito,
continua a chiamare Oz “Jack”. Sembra aver completamente rimosso la morte di
mio fratello maggiore.» spiegò, le mani che si torturavano a vicenda mentre
parlava.
Christopher strinse appena impercettibilmente la presa
sulla spalla del figlio, cercando con la mano libera quella di Cecile, che
incontrò la sua quasi nell’immediato.
«Ho provato a dirgli che Oz, in quel modo, avrebbe
sentito tanta pressione su di sé, come di dover rispondere alle aspettative che
papà aveva rispetto a nostro fratello. Che era un bambino, e che sarebbe
rimasto confuso, e avrebbe sofferto per la mancanza di Jack ancora di più. Ho
provato a spiegarglielo, però… però papà…» si interruppe, un singhiozzo che
sfuggì dalle labbra nel discorso concitato.
Fu Cecile, dopo uno sguardo d’intesa con Christopher,
a prendere in mano la situazione circondando le spalle di Ada in un abbraccio
non eccessivamente informale, ma come probabilmente solo una madre e una donna
avrebbe potuto darle.
Noah per una volta ringraziò mentalmente il chiasso e
la confusione che albergavano costantemente nell’atrio dell’Istituto Latowidge,
e che coprirono i singhiozzi di Ada che pronunciava le ultime parole prima di
lasciarsi andare ad un pianto sommesso.
«Papà mi ha chiesto chi fosse Oz! Lui non ricorda più
di aver avuto anche un secondo figlio maschio!» proruppe prima che i singulti
rendessero incomprensibile ciò che diceva.
Non sarebbe stato corretto dire che il resto di quella
giornata era passato normalmente: Cecile si era occupata di calmare Ada più
possibile, rimandando i colloqui che riguardavano Marcus di un poco.
Christopher aveva incitato Noah a lasciare la ragazza
alle cure della donna, e lo aveva guidato verso i vari uffici in cui si
tenevano gli incontri di quel giorno; il figlio lo aveva seguito, sinceramente
abbattuto: come sempre nel suo caso, aveva agito molto prima di pensare a cosa
stava facendo, e ripensando alla delicatezza dell’argomento e al pianto al
quale si era lasciata andare Ada, si era sentito non solo in colpa, ma anche
molto stupido e immaturo.
Era stato un errore su tutti i fronti, quello di fare
una domanda simile: avrebbe invece dovuto sforzarsi di non chiedere nulla,
anche se fingere di non aver sentito lo scambio fra Oz e suo padre era parso
impensabile.
Per questo si era chiuso nel silenzio mentre camminava
di un paio di passi dietro al padre, ma a sorpresa era stato proprio
Christopher a fermarsi e voltarsi verso di lui prima che raggiungessero
l’ufficio che recava il nome di Liam Lunettes, il docente di letteratura.
«Smetti di fare quella faccia.» lo aveva rimproverato,
fissandolo abbastanza severo, anche se non con l’irritazione tipica di un
richiamo serio da parte di un genitore. Noah aveva alzato lo sguardo confuso,
senza capire e Christopher aveva sospirato rassegnato: quel ragazzino, per
quanto potesse crescere nel futuro, sarebbe rimasto sempre un bambino che gli
dava fin troppo da pensare e che si perdeva subito in un bicchier d’acqua.
«Niente faccia da cane bastonato.» aveva ripreso,
guardandolo seriamente: «Certo, è una domanda che ha riaperto delle ferite,
quella che hai fatto. Ma sarebbe stato ancora più stupido far finta di nulla.
Quello che devi fare ora per rimediare è non dimostrargli una compassione di
cui non si farebbero nulla e rimanere lì, presente per quando quei due fratelli
ne avranno bisogno.» aveva detto, con la saggezza di un adulto che Noah spesso gli
rimproverava scherzosamente di non avere, e che l’uomo mostrava solo quando ce
ne era davvero bisogno come in quel momento.
Malgrado quella rassicurazione sul fatto che ci fosse
davvero qualcosa che potesse fare per l’amico, l’umore di Noah non si era certo
alzato alle stelle, e un’innaturale atmosfera di tristezza era rimasta lì
presente fino alla fine dei colloqui.
Anche quando erano andati a salutare i genitori al
momento di ripartire per lasciare Latowidge, sebbene gli avesse rivolto un
sorriso per camuffare l’umore – Oz era lì vicino a loro, con Ada, a salutare il
padre con lo stesso sorriso che gli aveva rivolto quando lo aveva chiamato con
un nome che non era il suo – Christopher e la stessa Cecile non si erano certo
fatti sfuggire il fatto che non fosse il solito sorriso un po’ stupido e sempre
allegro che aveva a casa.
Quando erano rientrati, Noah aveva accampato la scusa
più stupida del mondo per defilarsi, tanto che Marcus aveva alzato gli occhi al
cielo in maniera criptica solo per chi non sapeva dell’accaduto.
Oz, sebbene probabilmente avesse intuito che doveva
essere successo qualcosa, aveva annuito quando il compagno di stanza aveva
detto di non sentirsi troppo bene con lo stomaco e che quindi preferiva
rientrare in dormitorio per primo.
Aveva mangiato in mensa con Ada, giusto qualche
boccone perché la sorella non si preoccupasse – sembrava fosse già abbastanza
in pensiero per lui, e non voleva peggiorare la situazione; le aveva assicurato
che era tutto a posto, perché andasse a riposare seguendo Karin che in quel
momento si era avvicinata per avvisarla che l’avrebbe preceduta in stanza.
«Sono un po’ scombussolato.» aveva ammesso,
rivolgendole un sorriso leggero, ma con l’intento di tranquillizzarla – era
parte della sua capacità di fingere che tutto andasse bene, quella di dosare
persino i sorrisi, adattandoli alla situazione perché non risultassero fuori
posto e fossero credibili.
«Ma sto bene, perciò vai con Karin.» aveva concluso,
osservandola andare dopo qualche tentennamento e lasciandosi sfuggire un grosso
sospiro per poi alzarsi ed avviarsi a sua volta.
Non bussò alla porta quando arrivò davanti alla
propria camera, entrando direttamente e rischiando che Noah gliela sbattesse in
faccia: per fortuna lo riconobbe prima di farlo.
Lo osservò dallo spazio lasciato aperto, sospirando
profondamente, sollevato.
Oz lo guardò contrariato per l’incontro ravvicinato
che si era risparmiato per miracolo: «Sei impazzito?» gli sfuggì prima di
poterselo evitare.
Notò l’altro sbirciare nel corridoio per quanto gli
era possibile senza dover aprire maggiormente la porta: «C’è qualcuno fuori?»
domandò, prudente, mentre Oz iniziava seriamente a temere il fatto che i
colloqui con i genitori non dovessero avere un buon effetto sull’amico.
«Se intendi qualcuno come tuo padre che imbraccia un
fucile dopo la chiacchierata con la Barma no, non c’è nessuno. Solo il tuo
compagno che si è quasi preso la porta in faccia senza motivo e vorrebbe
entrare per obbligare i mocassini della divisa a non trucidargli ulteriormente i
piedi.» replicò ironico, fissandolo in attesa.
Noah gli rivolse un broncio offeso, aprendo la porta
per lasciarlo passare: «Simpatico davvero, ma stavo cercando di non farci
buttare fuori nel caso fosse qualcuno che controllava e faceva la ronda.»
spiegò, facendosi da parte.
E quando Oz fu entrato, capì anche a cosa si riferiva
Noah: fu evidente quando inquadrò la figura di Alice seduta sul suo letto
intenta a sbriciolare biscotti sulla coperta mentre ne mangiava – e non voleva
davvero sapere da dove fossero usciti.
Sentì Noah chiudere a chiave – certo, pensò, proprio
il massimo per non destare sospetti eh? – spostando lo sguardo appunto sul
compagno quando questi riprese posto sul proprio materasso.
«Alice, che ci fai qui? Pensavo fosse vietato anche
per le ragazze venire nel nostro dormitorio.» fece notare il biondo, alternando
lo sguardo tra lei e il compagno di stanza che ora sembrava più rilassato.
Tanto che ridacchiò, sdraiandosi sul materasso con le
braccia incrociate dietro la testa: «Dillo a me che me la sono ritrovata
davanti quando ho aperto la porta mezz’ora fa.» gli fece presente, mentre la
diretta interessata sembrava troppo interessata ai biscotti per prestare
attenzione al problema.
Oz sospirò appena: «Come mai sei venuta, Alice?»
domandò, tornando poi per un attimo su Noah come se avesse improvvisamente
formulato un’ipotesi plausibile sulla situazione: «…Non ho interrotto qualcosa,
vero?» aggiunse inarcando un sopracciglio.
In realtà era chiaro per entrambi che lo dicesse per
punzecchiarlo, senza crederci davvero.
E anche per questo Noah si sentì tranquillo nel
rispondere, non come sarebbe stato se glielo avessero domandato beccandolo in
stanza con Marcus, tanto per dirne una.
«Oh, un sacco di cose. Non è palpabile il romanticismo
che aleggia qui dentro? Non dirmi che non vedi l’amore che sta sbocciando tra
Alice e i biscotti perché allora dovrò arrendermi al fatto che sei negato per
queste cose, Oz.» gli fece eco, tanto per sottolineare il fatto che ci fossero
tante possibilità di un incontro amoroso tra lui ed Alice quante potevano
essercene tra un pinguino e ghepardo – tanto per dire che erano due cose che
non si sarebbero mai incontrate salvo in uno zoo.
Come lui e Alice che prima di attrarsi
sentimentalmente l’un l’altro avrebbero fatto prima a diventare novantenni con
uno stuolo di nipotini insomma – e non comuni ad entrambi.
Oz fece un sorrisetto, scuotendo la testa e tornando
con lo sguardo sulla compagna che ora lo stava ricambiando: «Sono venuta perché
sei sparito tutto il giorno servo. Dovevo rimproverarti.» si giustificò,
fissandolo imbronciata e facendolo sorridere istintivamente.
Inspiegabilmente, anziché continuare il rimprovero,
analizzò la sua espressione e poi si rivolse a Noah con aria piuttosto
soddisfatta: «Tsk, te l’avevo detto! Visto? Sorride!» dichiarò come se la cosa
le valesse la vittoria di qualche premio.
Oz, perplesso da quella uscita cercò un chiarimento
nel compagno di stanza, ma Noah per tutta risposta rivolse un sorrisetto un po’
impacciato ad Alice, limitandosi ad un: «Va bene, va bene, ammetto che avevi
ragione.» di resa.
Alice si alzò quindi in piedi, dando qualche pacca
leggera ai vestiti per togliere le briciole dei biscotti con cui si era
intrattenuta fino all’arrivo di Oz e si stiracchiò; dopodiché, si rivolse a
Noah, in piedi vicino a lui e in attesa, le mani sui fianchi.
«Ebbene?» lo incalzò.
«Ebbene cosa?» ripeté lui perplesso, osservandola
senza capire; la ragazza sbuffò: «Il mio premio. E poi ho dovuto aspettare qui
mezz’ora per la tua incompetenza.» fece presente, come se a quel punto fosse
chiaro che come minimo aveva diritto ad un riconoscimento.
E Noah rise, portandosi a sedere ed allungando una
mano a scompigliarle con dolcezza i capelli – all’inizio non aveva legato
granché con Alice, continuando a rinchiudersi un po’ da solo, un po’ senza
neanche accorgersene in quella sua caratteristica che lo rendeva compagno di
tutti e amico di nessuno – picchiettando infine contro la sua fronte: «Va bene,
va bene, la prossima volta che andiamo in città ti offro la merenda.» promise.
E solo i presenti potevano capire appieno quanto
questo significasse svuotare parecchio le proprie tasche.
Alice parve dirsi soddisfatta nell’allontanarsi per
raggiungere la porta ed uscire; quasi come un improvviso cambio di scena in un libro,
era bastato che lei voltasse le spalle ai due perché calasse il silenzio quasi
completo – entrambi persi nello stesso tipo di pensieri, la mente che andava
all’incontro che c’era stato nel pomeriggio e gli faceva quasi dimenticare di
essere nella stessa stanza.
Per quello Alice si voltò: Noah ed Oz singolarmente
non erano tipi silenziosi, e in coppia si erano guadagnati – almeno fra i
compagni di anno – la fama di “dove senti casino, di sicuro ci stanno Bezarius
e Keynes di mezzo”.
La castana si soffermò dapprima su Noah, arricciando
il naso come se l’espressione ora assente e giù di tono del compagno la
infastidisse come una questione personale; poi passò su Oz e non seppe dire con
precisione di cosa si trattasse, ma qualcosa le chiuse lo stomaco istantaneamente
– e l’incontro con un’altra se stessa si faceva prepotentemente avanti nella
sua testa, e si mescolava confusamente con un sorriso che prometteva di esserci
per un “per sempre” infantile che non poteva esistere davvero.
Forse fu quella confusione proprio lì nella sua testa
– lei che ragionava con semplicità, che si comportava sempre e solo come si
sentiva di fare, istintivamente – che la spinse di qualche passo vicino ad Oz,
lo sguardo che rifletteva lo smarrimento che ultimamente sembrava quasi darle
la caccia, come in un gioco.
«…Alice, va tutto bene?» chiese lui, notandola vicina
e riscuotendosi dal torpore in cui era caduto, osservandola; la vide allungare
una mano verso di lui, ed istintivamente fece lo stesso, più che altro colto
alla sprovvista da quel modo di fare che non era molto tipico di lei.
«Alice?» la richiamò una seconda volta, e quel che poi
uscì dalla sua bocca fu un lamento di dolore dovuto al morso che senza un
motivo preciso la ragazza gli lasciò sulla mano pochi istanti dopo essere stata
chiamata.
Ancora bellamente attaccata a quella mano – non
stringeva eccessivamente, ma i denti si sentivano eccome – lo fissò
infantilmente come un cagnolino che ha morso il padrone per ripicca.
Oz, un occhio appena socchiuso per quel gesto d’affetto
non proprio indolore, le rivolse un: «Ma che ho fatto stavolta?!» con tono
lamentoso al quale lei rispose solo quando, ritenendosi soddisfatta, si staccò
dalla mano.
«Non lo so, mi andava.» disse, avviandosi
definitivamente alla porta e uscendone, lasciando entrambi a guardarsi con
sguardo a dir poco basito senza capire.
Almeno, prima di scoppiare a ridere entrambi.
Quindici,
contò mentalmente.
Era precisamente la quindicesima volta che sentiva
Noah rigirarsi nel letto al proprio fianco, almeno da quando aveva iniziato a
contare – e supponeva ce ne fossero state almeno altre due o tre prima, quindi
figurarsi.
Inizialmente non ci aveva badato più di tanto, ma alla
lunga il fruscio delle lenzuola e i sospiri – o sbuffi – leggeri di sottofondo
erano diventati udibilissimi, in parte anche perché era sveglio e non riusciva
a prendere sonno.
Almeno per una volta non era l’unico, ecco.
Prima che potesse arrivare a contare la sedicesima
comunque, si ritrovò a socchiudere gli occhi e a coprirli quasi subito con il
braccio per ripararli dalla luce che era stata accesa senza preavviso – era
chiaro a questo punto che l’ultimo fruscio di lenzuola udito fosse stato quello
con cui Noah aveva deciso di alzarsi dal letto.
Mugugnò infastidito dalla luminosità improvvisa,
mentre i suoi occhi chiedevano tacitamente a Noah di spingere l’interruttore e
spegnerla di nuovo, possibilmente subito: a quanto pareva però il loro
desiderio non era destinato ad essere esaudito con tanta celerità.
Sbirciando senza esporsi completamente alla luce sul
soffitto, Oz cercò di capire cosa stesse facendo il compagno di stanza,
specialmente quando colse un rumore abbastanza sinistro e che somigliava anche
troppo allo spostamento di qualche mobile.
Ed ad un’occhiata più attenta, notò che effettivamente
il letto di Noah si muoveva inesorabilmente verso di lui, portando solo a due
ipotesi: o Oz stava impazzendo del tutto e vedeva i mobili muoversi – a quel
punto, poteva aspettarsi che a breve ammiccassero in sua direzione con fare
seducente – oppure era Noah ad essere impazzito e a muoverli senza un perché.
«…Noah?» bofonchiò, senza ricevere risposta almeno
finché non vide il bordo del letto del compagno attaccarsi al suo.
L’attimo dopo la stanza fu di nuovo avvolta
nell’oscurità, e l’unico modo in cui Oz percepì l’altro tornare al letto fu il
rumore leggero che fece sedendosi sul materasso e il seguente fruscio delle
lenzuola che venivano spostate e sistemate. Stava per richiamare di nuovo
l’attenzione di Noah, quando fu egli stesso a parlare: Oz, i cui occhi si
stavano di nuovo abituando al buio piuttosto velocemente, poté notare il
compagno sdraiato su un fianco, il viso in sua direzione probabilmente.
«Non ti fa rabbia?» gli sentì chiedere senza motivo
apparente, tant’è che Oz non capì affatto a cosa si stesse riferendo: «Voglio
dire, senti… so che non dovrei nemmeno tirare fuori l’argomento. Non sono
affari miei, però… però diamine, Oz. Tuo padre, lui…»
«Hai parlato con Ada, vero?» lo interruppe, un sorriso
mesto ad incurvargli le labbra; Noah si sentì come quando aveva chiesto ad Ada
cosa stesse succedendo e l’aveva vista scoppiare a piangere dopo avergli dato
delle spiegazioni che a conti fatti non gli doveva.
Si morse appena il labbro inferiore, ma non pensò a
cose come poter tornare indietro e tenere la bocca chiusa: non aveva peccato di
stupidità nel porre di nuovo una domanda scomoda nell’arco delle stesse
ventiquattro ore, al contrario era stato ben cosciente sia di una possibile
reazione dall’altra parte non proprio positiva, sia della sensazione che gli
avrebbe agitato lo stomaco nell’attesa di quella stessa risposta che sarebbe
dovuta venire.
A rendere il tutto appena peggiore di come forse lo
aveva ipotizzato nella sua testa nell’arco della giornata, era stato il modo di
reagire di Oz, che spesso risultava imprevedibile e inaspettato.
Il tono che aveva usato per fargli quell’unica domanda
era stato quello di chi ovviamente se l’aspettava, quasi avesse scommesso su
quanto sarebbe durato il compagno nell’astenersi dal darle voce.
Come se poi, in fin dei conti, Noah fosse esattamente
come tutti gli altri.
Tuttavia – contrariamente a quanto si stesse agitando
in quel momento nella testa del compagno – Oz non aveva pensato negativamente
di lui: in realtà, in quel tono mesto c’era una tacita richiesta di scusarlo.
Era ben cosciente di due cose che assolutamente non
gli avrebbero mai permesso di prendersela con Noah per una domanda simile: in
primis, la propria situazione, che ad occhi esterni non poteva che sembrare non
solo strana, ma qualche volta addirittura grottesca. Proprio per questo, oltre
che per assicurargli il riposo che gli era stato consigliato dal medico, Oz e
Ada avevano sempre evitato di obbligare il padre a presenziare in quelle
circostanze dove loro sarebbero stati più che sufficienti come rappresentanza
della famiglia Bezarius – specialmente da quando entrambi avevano avuto la loro
cerimonia della maggiore età.
Non era uno stupido, Oz: poteva immaginare facilmente
lo stupore che le persone provavano nel sentirlo chiamare con un nome che non
era il suo e la difficoltà che provassero nell’apprendere che il nome con cui
suo padre gli si rivolgeva ogni volta che si incrociavano era quello di un
fratello morto ormai cinque anni prima.
Era lo stesso misto di stupore e difficoltà che lui
stesso aveva provato la prima volta – insieme alla delusione, al dispiacere,
alla tristezza e alla voglia di scappare via.
E poi, c’era Noah: lui che era una persona
trasparente, di quelle che non riuscivano ad arrovellarsi troppo il cervello
sulle situazioni eccessivamente complesse; lui che era sincero, che pur essendo
per sua stessa ammissione qualcuno che non si era mai fatto coinvolgere al
punto da considerare un compagno come un “migliore amico” o un amico stretto
l’aveva comunque preso a cuore tanto da preoccuparsi per lui ogni volta che il
suo istinto – fin troppo sviluppato davvero – gli suggeriva che qualcosa non
andava.
Noah era curioso per natura, e incapace di lasciar
perdere qualcosa che non lo convinceva, o lo confondeva: perciò Oz quella domanda
se l’era aspettata molto prima.
E capiva, in qualche modo, che se era stata ritardata
era stato solo nel tentativo di trovare il modo migliore di formularla e di
pensare ai pro e ai contro del pronunciarla definitivamente ad alta voce.
Perciò non importava se alla fine, detta in quel modo,
poteva sembrare quasi un’accusa – non che non fosse fastidioso almeno un po’,
ma fintanto che non vi scorgeva ostilità avrebbe comunque potuto far finta di
non aver colto quella sfumatura.
«Sì, ho parlato con Ada.» lo sentì finalmente
rispondere dopo diversi minuti in cui non c’era stato che silenzio da parte di
entrambi: «E penso che…» tentò di proseguire, interrotto proprio da Oz.
«Non c’è niente… che io possa fare.» fu il mormorio
basso, quasi inudibile che arrivò da parte del biondo da un punto imprecisato
di fronte a sé: «So cosa stai pensando, o cosa puoi aver pensato quando lo hai
sentito. Che mio padre sia… un uomo grottesco, vero? O con un certo gusto
dell’orrido, o magari che è un pessimo padre, per quello che fa. Va bene anche
se lo hai pensato.» assicurò, come se anziché di una questione seria l’altro
avesse accennato al fatto che suo padre teneva la cravatta fuori posto.
Noah sgranò appena gli occhi, ascoltandolo: fino a
quel momento non aveva mai fatto troppo caso a quando Oz cercava di rifilargli
delle bugie volte nella maggior parte dei casi a non farlo preoccupare per
questioni – secondo il biondo – di poca importanza. In quel momento però, su un
argomento del genere, non solo non capiva come il compagno potesse ostentare
tanta tranquillità come se non fosse che un semplice spettatore di una
situazione che non lo riguardava da vicino, ma con quale facilità mentiva
spudoratamente e accettava tutto senza nemmeno pensare di provare a cambiare.
Per quanto potesse scusarlo dicendosi che forse ci
aveva provato – almeno a giudicare dalle parole con cui aveva esordito – Noah
non avrebbe mai potuto capire: anche lui aveva avuto un periodo in cui non
c’era stato nulla di più importante che vedere suo padre felice. Anche per
quello aveva cercato di tenersi lontano dalla cosa che amava di più fare o, in
seguito, aveva dipinto di nascosto; per lo stesso motivo aveva limitato la sua
rabbia contro sua madre a sfoghi dentro la sua stanza, quando Chris era al
lavoro. Era stato restio a mostrarlo persino a Marcus, quasi nel timore che in
qualche modo suo padre venisse a saperlo.
Ma era altrettanto vero che Christopher non aveva
dimenticato quanto l’accaduto avesse potuto far soffrire altri che non fossero
lui: mai aveva dimenticato di avere un figlio, e mai aveva pensato anche
solo per un attimo di dare priorità a se stesso piuttosto che a Noah.
Per questo lui non poteva capire Oz, come non poteva
capire affatto suo padre: non poteva immaginare il dolore per la perdita di qualcuno;
era diverso sapere che chi se ne era andato era comunque da qualche parte nel
mondo, o nel tuo stesso paese, ed avere la consapevolezza che invece non
avresti potuto rivederlo mai più.
«Perciò mi stai dicendo… che a te sta bene così? Anche
se pensa che tu sia un’altra persona, anche se dovessi fingere per tutta la
vita di essere tuo fratello?» chiese quasi a bruciapelo, nel tono l’impazienza
di chi aspetta una risposta e spera che sia diversa da quella che teme,
desiderando egoisticamente che possa tranquillizzarlo.
«Va bene così da anni ormai.» fu l’unica risposta che
Oz gli diede, la voglia di non fare altro che nascondersi infantilmente sotto
le lenzuola, dormire e risvegliarsi la mattina dopo come se quella
conversazione non ci fosse mai stata.
«…Io non ci riuscirei mai.» sentì dire a Noah prima
che tacesse, voltandosi a dargli le spalle deciso a dormire – o a chiudere il
discorso comunque.
«Lo so.»
A volte si sperava che la risposta arrivasse
provvidenziale a spazzare via i timori, i dubbi o le incertezze, ma purtroppo
non sempre era davvero così che andava.
Da quella chiacchierata notturna era passata quasi una
settimana, in cui sia lui che Oz sembravano aver tacitamente deciso di comune
accordo di fingere davvero che non ci fosse mai stata: la cosa era stata
facilitata anche dal fatto che, approfittando dell’assenza delle lezioni in
quel periodo antecedente al ballo di Natale di cui già si respirava l’atmosfera
per i corridoi in cui le persone si affaccendavano nei preparativi, ad Oz era
stato comunicata la data per il recupero di Storia.
Dopo aver fatto delle lezioni sulla parte di programma
che costituiva la sua lacuna, Rufus Barma lo aveva avvisato che ci sarebbe
stato un esame per consolidare quanto appreso – e non aveva mancato di
rivolgergli un sorrisetto più che divertito nel comunicarglielo e nel vedere
l’espressione non proprio esaltata di Oz.
Infine, proprio il giorno dei colloqui, gli aveva
comunicato che sarebbe stato nella settimana libera a causa dei preparativi del
ballo: a conti fatti, quindi, gli unici docenti impegnati in lezioni o recuperi
erano i due Barma, mentre gli altri si potevano facilmente incrociare per i
corridoi nel mezzo di scene idilliache.
Come, tanto per fare degli esempi, Xerxes Break che
praticamente giocava al tiro al bersaglio con Liam Lunettes e le palline di
Natale che stavano portando nell’atrio che avrebbe ospitato un grande albero di
Natale, o Alexis Coleman che con un voluminoso filo per quello stesso albero
sistemato attorno al collo di Daniel Wayne se lo tirava dietro chiacchierando
con voce allegra.
Oz era stato quindi impegnato a preparare quell’esame,
e di conseguenza Noah aveva passato la maggior parte del suo tempo con Alice e
Marcus; nel caso di quest’ultimo aveva spesso approfittato del fatto che fosse
in stanza da solo nel dormitorio, in modo da ritardare volutamente una
situazione che vedeva lui ed Oz nella stessa stanza senza sapere bene di cosa
parlare. Nel caso di Alice invece, aveva approfittato del primo pomeriggio
libero utile per chiederle di accompagnarlo a fare i regali di Natale –
offrendole la merenda come promesso.
In quel caso, dimostrando un intuito sempre maggiore
di quanto Noah gliene attribuisse, Alice gli aveva chiesto se per caso lui e Oz
avessero litigato di nuovo.
«No.» le aveva assicurato, sincero visto che
all’effettivo non si poteva davvero parlare di un litigio: «Abbiamo dei punti
di vista diversi su alcune questioni, ma penso sia normale. Non preoccuparti
però, non è niente di così grave.» aveva continuato, osservandola arricciare
appena il naso in un’espressione buffa e poco convinta.
«Menti uno schifo, Keynes.» aveva decretato infine
lei; lui si era limitato a ridere.
Ad ogni modo, non era una bugia quella che aveva detto
alla ragazza, e probabilmente era stato anche per quello che nei giorni
seguenti era tornato tutto alla loro presunta normalità.
«Quando tutta questa roba che implica il ballo sarà
finita io sarò l’uomo più felice di Latowidge, se proprio non di tutto il
mondo.» sbuffò Noah, mentre camminavano per il corridoio.
Oz ridacchiò, osservando uno degli ennesimi gruppetti
di ragazze che incrociavano e che pullulavano in ogni angolo della scuola negli
ultimi giorni: si scambiarono uno sguardo che sembrava più che eloquente,
oltrepassandole.
Solo quando furono abbastanza lontani ed ebbero
voltato un angolo, Noah gli si rivolse: «Con chi ci vai al ballo?» chiese, nel
tono la curiosità tipica di lui con una nota di divertimento che avrebbe dovuto
far presagire il peggio ad Oz.
Il silenzio confermò a Noah che Oz non aveva
esattamente pensato a quella questione negli ultimi giorni – anzi,
probabilmente si era anche impegnato a non doverci pensare.
«Lo sai che sono i ragazzi che devono invitare le
ragazze?» gli fece presente, l’aria di chi ha appena deciso che sarai la sua cavia
per i prossimi dieci minuti come minimo; Oz annuì distrattamente: «Lo so, anche
se non capisco perché mai.»
«Lo dici proprio tu che sei abituato alle cene di gala
o almeno dovresti aver partecipato a più di una?» lo rimbeccò il compagno.
Il biondo lo fissò di sottecchi, con un moto di odio
momentaneo, fiutando la presa per i fondelli – che, conoscendo l’altro, si
sarebbe probabilmente protratta fin dopo quel benedetto ballo.
«Oh beh, avrebbe un senso il tuo aspettare ad invitare
una ragazza, se…» lasciò in sospeso, fissandolo eloquentemente.
«…se?» lo incalzò Oz, osservandolo incrociare le
braccia dietro la testa continuando a camminare: «Se sei tu quello che deve
essere invitato. Per esempio, ma lo dico casualmente eh, da uno dei Nightray.»
lo sfotté.
Non diede modo all’altro di dire nulla, anticipandolo
prima che potesse aprire bocca per lamentarsi dell’ennesima presa in giro su
quel versante: «Come tuo amico, compagno di stanza e fan numero uno della tua
vita sentimentale Oz, mi sento in dovere di dirti le mie preferenze.
Francamente non ti riesco ad inquadrare con Vincent Nightray. Insomma, a parte
che è complesso da capire già da solo, siete entrambi biondi. Sai che essendo
uno che disegna ho un certo senso estetico, quindi mi spiace ma lui non mi convince.»
iniziò, facendo tutto da solo, senza curarsi dell’espressione scioccata di Oz,
probabilmente dovuta all’assurdità di quell’ipotesi appena fatta dall’amico.
Che, comunque, continuò imperterrito.
«Di conseguenza rimangono solo Elliot e Gilbert. Non
dico che tu ed Elliot non siate abbastanza ben accostati insieme, e avete dalla
vostra il fatto che tutte le volte che vi ho visti incrociarvi o vi siete presi
a male parole, o avete pronunciato solo frasi sarcastiche e ironiche degne di
essere rivolte al proprio peggior nemico, oppure lui non ha fatto che
sottolineare con un certo impegno quanto detesti la tua famiglia. E tutto
questo è degno di un romanzo in cui i protagonisti prima si odiano, poi si
amano.» fece notare, l’aria di chi si stava prendendo piuttosto seriamente la
formulazione di quelle ipotesi.
Sospirò, con aria melodrammatica: «Comunque, io tifo
per Gilbert. Perciò non tenermi sulle spine: ti ha già chiesto di andare al
ballo con—»
«Seriamente, la puoi piantare Noah?» borbottò Oz,
fissando prima lui per qualche istante, poi portando lo sguardo di fronte a sé;
la sua sfortuna fu che il rossore che, seppur lieve, gli aveva appena
imporporato le guance era risultato più che visibile per Noah.
E fu chiaro dalla risata che l’altro si fece: «Va bene,
va bene, per adesso ti lascio in pace. Ma quando sarai in crisi, senza sapere
cosa fare, e cercherete comprensione e consigli per la vostra relazione
clandestina, torna pure da me. Io ne so qualcosa, mon ami.» se ne uscì, dando un motivo più che valido ad Oz per
rivolgere nuovamente l’attenzione a lui.
«E da quando tu parli francese?» gli chiese
interdetto.
«Non parlo francese infatti. Ma leggo romanzi degni
delle ragazze: non sono mai intellettualmente complicati, il che li rende
adatti a me. A parte quando sono eccessivamente diabetici, o quando non
preferisco leggere libri di arte o favole per bambini.» chiarì, strizzandogli
l’occhio.
Oz decise che non voleva sapere di più su
quell’argomento, dunque cambiò totalmente discorso, allontanandosi dalla questione
romanzi rosa e gusti discutibili.
«A proposito del ballo, tu parli tanto, ma come
farai?» tentò di punzecchiarlo il biondo, per vendetta: «Marcus se ne starà
buono a guardarti andare al ballo con una ragazza?» insinuò, osservandolo con
la coda dell’occhio mentre si immettevano in un corridoio appena più
trafficato.
«Non ho desideri suicidi per il momento, perciò ho
dovuto trovare qualcosa che potesse soddisfare le tre richieste principali per
quella serata.» replicò Noah nel massimo della tranquillità, suscitando a quel
punto la curiosità di Oz.
«Sarebbero?» lo interrogò infatti.
«Facile: non mettere al corrente tutti il mondo della
nostra situazione non proprio fraterna, trovare una dama che non mi chieda di
ballare ogni due secondi, e far sì che la suddetta dama non scateni l’ira di
Marcus che porterebbe o al tentato omicidio di lei, o al mio andare in bia…» si
interruppe, come se avesse detto davvero troppo stavolta.
«Ok, questo non vuoi saperlo. Comunque, ho trovato una
compagna che fa al caso mio.» proseguì Noah, proseguendo con il nome senza che
ci fosse bisogno per Oz di chiederlo: «Alice.» concluse il compagno.
Ed effettivamente, supponendo che la ragazza
difficilmente si sarebbe staccata dal buffet, poteva anche darsi che per Noah
fosse stata la scelta migliore – ma nessuno avrebbe tolto dalla testa del
biondo il fatto che solo pensarli come una coppia fosse allucinante.
Né nessuno lo avrebbe distolto dall’idea precisa che
Marcus non sarebbe stato contento comunque, nemmeno trattandosi di Alice il cui
rapporto con Noah sembrava quello di due bambini che si facevano i dispetti
ogni tanto per noia, più che qualsiasi altra cosa anche di poco più profonda.
Fu Noah ad attirare nuovamente la sua attenzione,
picchiettando appena con un dito contro la sua tempia: «Quindi, come la
risolverai visto che Alice viene con me?» domandò, il sorriso sempre presente
ad incurvargli le labbra, stavolta senza quella sfumatura di divertimento quasi
sadico.
Oz ci pensò su, riportando lo sguardo sul corridoio
mentre si avviavano per la rampa di scale che conduceva all’atrio: «Avevo
pensato di invitare Sharon, all’inizio.» ammise, trovando l’approvazione del
compagno nel suo annuire.
«Però lei va con Xerxes Break.» aggiunse, nemmeno
avesse notato che, oh, avevano forse lucidato le scale recentemente?
Noah invece ne fu – com’era anche prevedibile – più
che sorpreso, tanto da fermarsi con un: «Eh?!» che distava di poco dallo
scioccato. Oz ridacchiò, decidendo che magari quello poteva essere il preludio
della vendetta che certamente avrebbe architettato ai danni di Noah per le
prese in giro appena subite.
«…Senti, mi distruggi delle certezze dicendomi così
senza darmi una spiegazione. Ero convinto che la relazione di Xerxes con Barma
che è ormai di dominio pubblico almeno a livello di pettegolezzo fosse cosa
assodata. Tipo che a breve si sposavano, roba così.»
«Esagerato.» lo rimbeccò Oz, agitando appena una mano
con fare tipico di chi ritiene la cosa altamente improbabile – anche se doveva
ammettere di aver pensato lo stesso di quella presunta relazione tra Barma e
Xerxes solo per vedersela poi praticamente confermare davanti agli occhi quando
li aveva incontrati in città con Gilbert.
«Anche io ci sono rimasto quando me l’ha detto. A
parte la storia di Barma, più che altro è il fatto che lei è una studentessa e
molto più giovane.» riprese il biondo, gli ultimi gradini che venivano scesi
raggiungendo finalmente l’atrio: «Ma Sharon mi ha spiegato che lui è legato
alla sua famiglia da tanti anni, da quando lei era ancora piccola. Credo, per
quello che ho capito, che il rapporto tra loro sia più simile a quello di un
fratello e una sorella con una certa differenza d’età, che non altro. E
ufficialmente lui ha spesso presenziato al suo fianco, per questo credo si
ripeta la stessa cosa.» concluse, esprimendo ad alta voce il pensiero che aveva
fatto dopo la chiacchierata con la ragazza.
Noah annuì, dando segno di aver capito e anche di
essersi in parte tranquillizzato – seriamente, Oz credeva fosse più per la
conferma che il rapporto Barma-Break di cui era probabilmente fan fosse salvo
che non per aver saputo che non c’erano rapporti fra un quasi trentenne e una
quindicenne.
«Quindi, escludendo Sharon?» lo incalzò nuovamente
Noah, tornando all’attacco.
Oz sbuffò, raggiungendo la mensa: «Ma non lo so!»
sbottò – e prese nota mentalmente di non stuzzicare mai più l’interesse di Noah
Keynes.
«Se ti interessa, ad Alyster non lo puoi chiedere, lei
va con il fratello.» asserì.
«…Non lo avrei chiesto comunque ad Alyster. Anche
perché pensavo la invitasse Elliot.» ammise – in realtà non aveva formulato
quel pensiero per chissà quale atteggiamento rivelatore avesse scorto nel
minore dei Nightray, quanto più per l’aver notato che la ragazza sembrava
essere una delle poche che almeno riusciva a non irritarlo e a non farsi
rispondere male da lui.
Oz sospirò, individuando il tavolo dove di solito
sedevano in gruppo, individuandovi già Marcus ed Alice – e non si guardavano
con amore, motivo per cui il biondo li indicò a Noah affrettando il passo: «Mi
sa che per il momento è meglio andare a mangiare. Anche perché nel pomeriggio
devo fare il ripasso per l’esame.» asserì, un sorrisetto un po’ preoccupato, se
si sapeva scrutarlo bene.
Cosa che Noah per forza di cose ormai si stava
abituando a fare: «Con chi fai il ripasso?» domandò curioso.
«Con Aedan.»
Si lasciò andare contro lo schienale della sedia,
l’aria di un uomo distrutto, sospirando.
Lasciò cadere le braccia al lato del corpo, cercando
di rilassarsi e sbirciando in un secondo momento la persona sul letto di fronte
a lui che sembrava fresca come una rosa.
Non era la prima volta che vedeva Aedan senza la
divisa, anzi era forse la persona che più aveva visto con abiti diversi
all’interno di Latowidge: spesso si era ritrovato a pensare di averlo
incrociato più volte con altre vesti che non con quelle richieste. Ricordava di
averne anche parlato con Alyster, che si era spiegata dicendo semplicemente che
essendo Aedan una guardia del corpo prima che un vero e proprio studente, ad
eccezione delle lezioni gli era consentito girare per i corridoi con abiti più
comodi.
Ed effettivamente, a ben pensarci giacca e camicia non
doveva essere proprio il massimo della comodità per certi movimenti; forse
proprio per questo non gli sembrava una cosa nuova, il fatto che ora non
indossasse la divisa, specie poi considerando che erano a studiare in
dormitorio.
…Già, studiare.
Quando si era reso conto che non gli avrebbe fatto
male avere qualcuno che lo aiutasse con il ripasso, si era chiesto chi potesse
essere d’aiuto: era stata Ada a consigliargli di chiedere ad Aedan, sostenendo
che se si parlava di studio sicuramente lui era uno dei più indicati.
Non sapeva esattamente come o perché Aedan avesse
accettato – specie considerando il fatto che non si allontanava mai da Ethan
Sparrow se non per qualche specifico lavoro da fare per Sirjan, a detta di Noah
– ad ogni modo ne aveva approfittato.
Ma nessuno gli aveva detto quanto professionale
potesse diventare Aedan Shaye quando si trattava di studiare o far
studiare terze persone; oltretutto, cosa anche inspiegabile almeno secondo i
canoni di studio di Oz Bezarius, non sembrava stancarsi praticamente mai.
Era vero, il biondo non poteva vantare di essere
dedito allo studio a tutte le ore del giorno e della notte, specie poi in
materie che lo annoiavano terribilmente, ma Aedan era qualcosa di allucinante
davvero.
Erano su quei libri da almeno due ore, e sembrava ci
si fosse appena messo, lo sguardo e l’espressione che non tradivano la minima
stanchezza: al punto che Oz, fino a quando l’attimo prima l’altro non aveva
pronunciato la parola “pausa”, aveva seriamente temuto che sarebbe morto prima
di arrivarci, a fare l’esame.
Per lo stesso motivo, quando sentì la porta della
stanza dov’erano aprirsi – quella di Aedan più precisamente, scelta perché
sicuramente meno soggetta a visite improvvise – fu grato a chiunque fosse per
la semplice consapevolezza che la pausa si sarebbe protratta un po’ più a
lungo.
Fu un po’ spiazzato dal veder entrare qualcuno che non
riconobbe subito, ma che a quanto pareva non aveva trovato la stessa difficoltà
nel riconoscere lui; richiudendosi la porta alle spalle e volgendo lo sguardo
verso l’interno, assunse un’aria un po’ sorpresa nel trovarvi qualcuno, forse
aspettandosi che Aedan fosse in giro.
Comunque la sorpresa non durò granché, quasi subito
sostituita da un sorrisetto: «Bezarius.» salutò con naturalezza, nemmeno si
conoscessero bene e si vedessero tutti i giorni.
Aedan alzò lo sguardo dal libro, portandolo in
direzione del nuovo venuto: a giudicare dall’espressione, era qualcuno che
andava e veniva dalla stanza dell’altro come voleva – Oz non ci credeva quasi,
ma gli era sembrato di scorgere sul viso di Aedan un impercettibile mutamento,
anche se non avrebbe saputo definire con precisione cosa esprimesse in quel
momento.
Poi, prima che il moro pronunciasse un saluto, Oz
ricordò finalmente di chi si trattava: glielo aveva indicato Noah, ma non
avendogli mai rivolto la parola e non capitando spesso di incrociarlo per la
differenza di anno, Oz lo aveva rimosso.
«Ethan… Sparrow, giusto?» tentò, osservandolo e
vedendolo annuire mentre si liberava della giacca della divisa, poggiandola
sullo schienale della sedia alla propria scrivania.
«Fate come se non ci fossi, eh?» si raccomandò,
recuperando un libro e portandosi vicino al letto sul quale sedeva Aedan: nel
passargli accanto, portò una mano a scompigliare i capelli del compagno di
stanza in un gesto che sembrava essere abituale, quotidiano.
Aedan lo seguì con lo sguardo finché Ethan non si fu
seduto a sua volta sul letto, sistemandosi in una posizione comoda per leggere:
quando la ebbe trovata, sembrò far caso all’occhiata di Aedan e alzò appena una
mano in sua direzione.
«Tranquillo, tranquillo, è tutto a posto. Sono rimasto
con Marcus in biblioteca finora.» assicurò, rispondendo ad una domanda che
Aedan non aveva posto e che Oz si chiedeva come potesse l’altro averla intuita
senza segnali evidenti.
Ma era assai probabile che nessuno capisse Aedan
meglio di Ethan Sparrow, nemmeno Sirjan che sembrava in qualche modo abituato a
relazionarsi con lui lavorandoci assieme in alcune occasioni; e per contro ad
Aedan sembrò bastare quella rassicurazione ed Oz poté giurare di averlo visto
rilassare appena le spalle.
Immaginò solo in quel momento che doveva aver chiesto
a qualcuno di tenere d’occhio Ethan per lui, o che avesse acconsentito ad
aiutarlo nello studio rinunciando al poter controllare il compagno da vicino
solo sapendolo in un posto non a rischio – con Marcus, in questo caso.
Forse, pensò in quel momento, Aedan si preoccupava
molto più di quanto non desse a vedere e la sua professionalità come guardia
del corpo non era data dal semplice senso del dovere che provava nei confronti
del protetto in quanto tale.
Quasi a confermarglielo, arrivò la scena più astratta
del mondo che mai avrebbe attribuito alla figura di Aedan Shaye: lo vide
poggiarsi sul materasso, distendendosi in buona parte rispetto alla posizione
seduta di poco prima, e lasciare che la testa si appoggiasse proprio sulla
gamba di Ethan.
Quest’ultimo, alzando per pochi istanti lo sguardo dal
libro che nel contempo aveva aperto in corrispondenza del segno cartaceo tra le
pagine, fece un sorrisetto senza dire nulla, lasciandolo fare.
Oz sbatté appena le palpebre, in un misto tra
curiosità e sorpresa in parte: Aedan non era mai stato uno che dava
l’impressione di ricercare il contatto fisico, eppure con il compagno di stanza
pareva quasi un bisogno – ben celato e per nulla esagerato o paragonabile a
quello di una persona con dimostrazioni di affettività o pensiero “normali”,
per così dire, ma un gran passo avanti se si considerava l’indole taciturna e
indifferente dell’altro.
Già… magari Aedan non era poi così male.
«…so?» sentì arrivare solo la fine della frase che
Aedan doveva aver rivolto a lui, visto che lo stava guardando.
Portò una mano a grattarsi distrattamente la nuca,
abbozzando un sorriso: «Scusa, non ti ho sentito.»
«Nel 1254, cos’è successo?» ripeté la domanda l’altro,
lasciando ad intendere che la pausa era finita; Oz tacque, cercando di far
mente locale: «Ehm… la morte dell’allora signore di Revelle?» tentò, non
proprio sicurissimo a dirla tutta, ma l’annuire di Aedan lo tranquillizzò.
Lo vide porgergli il libro: «Se hai domande puoi
farne.» disse, laconico come al solito, ma disponibile; Oz prese il libro dalle
sue mani, occhieggiando la pagina in cui erano. Le scorse in avanti, ricercando
a colpo d’occhio date o avvenimenti che ricordava meno o non ricordava affatto.
Dopo qualche tempo in silenzio, ne intravide una:
«Ecco, nel marzo del 1476…»
«La caduta del regime di Konrad Bishop ad opera di
Jean Vilian, quattro notti.» si fece sfuggire Aedan scioccando un Oz incredulo
che lo fissò.
«…Non dirmi che sai tutto il libro così.» lo pregò, il
tono a metà fra l’ammirazione e la disperazione – se fosse stato davvero in
grado di ricordare così tutte le date, ci sarebbe inequivocabilmente stato
qualcosa di ben poco umano in lui, o non si spiegava.
Aedan però annuì: «Quasi tutte. Le più importanti
almeno.» replicò con semplicità, come se fosse ovvio, ed Oz si chiese se tutte
le guardie del corpo erano così e, nel caso, se non fosse stato il caso di
procurarsene una, possibilmente con il suo stesso aspetto e da mandare a
sostenere l’esame con Barma al suo posto.
Ma giusto così, tanto per stare sicuri.
«…Gennaio 1715.»
«Formazione del governo che stabilisce la
collaborazione delle cinque casate ducali più potenti.»
«Agosto 1532.»
«Colpo di stato dell’allora governatore del territorio
della capitale, Raymond Raine. »
«Novembre 1612.»
«Te la sei inventata, l’unica data di quel periodo è
il 1610 per il cambio di sede della capitale da Revelle a Sabrié.» ribatté
Aedan, fissandolo eloquente.
E a quel punto, ad un’uscita simile, Oz si arrese
all’evidenza che almeno per la Storia Aedan Shaye avesse davvero una memoria
mostruosa e fuori dall’umana concezione.
«Alla buon’ora.» sentì pronunciare con tono stizzito
mentre richiudeva la porta alle proprie spalle; ridacchiò senza nemmeno
controllare da chi fosse venuto il rimprovero, visto che non era la prima volta
e dunque non c’era davvero di vedere per indovinare.
Oltretutto, aveva subito proprio in quell’istante una
sorta di agguato consistente in una sedicenne che gli si buttava letteralmente
addosso – e lui immancabilmente la assecondava, portando una mano a
scompigliarle i capelli: «Vince, Vince, sei arrivato finalmente!» esclamò lei,
mentre il biondo andava a prendere posto sul divanetto dell’ufficio in cui si
era recato.
Charlotte Baskerville lo osservava, le braccia
incrociate al petto, poggiata al bordo della cattedra: i capelli lasciati
sciolti e tenuti in ordine lateralmente solo da alcune forcine, scendevano per
lo più sulle spalle adagiandovisi morbidamente.
Aveva ancora indosso gli abiti che solitamente usava
lì a scuola, durante le lezioni o semplicemente per girovagare nei corridoi le
poche volte che le capitava di farlo: aveva l’espressione di chi non ha proprio
tutta la pazienza a propria disposizione, indispettita da qualcosa o da
qualcuno.
Nel caso attuale probabilmente da entrambi e tutte e
due le cose avevano come medesima causa Vincent Nightray: «Dovevi essere qui
venti minuti fa.» gli fece presente, per quanto cosciente di quanto fosse
inutile in realtà. Da quando si era ritrovata a dover collaborare con lui al di
fuori di occupazioni prettamente scolastiche, aveva imparato che quel ragazzo
raramente era puntuale e ancora più raramente stava davvero ad ascoltare quanto
gli veniva detto, a meno che non rientrasse nella sfera dei suoi interessi
personali.
E i rimproveri più o meno velati di certo non erano
fra quelle poche cose che ascoltava.
«Lo so, sono stato trattenuto.»
«Come al solito, d’altronde.» insinuò lei fissandolo
in maniera piuttosto eloquente, il cipiglio severo che si rilassava appena
risolvendosi in un sospiro rassegnato: tirare la corda con Vincent Nightray non
si era mai dimostrato utile allo scopo, qualunque esso fosse.
Lo osservò sedersi con tutta calma sul divanetto di
fronte a lei, la ragazzina che lo seguiva sistemandosi senza troppi complimenti
in braccio a lui, attirata dal biondo stesso come se fosse la prassi – e,
effettivamente, lo era.
«Allora, cosa c’era di tanto urgente, Lotti?» domandò
lui, abbandonando ogni formalità che le rivolgeva durante gli orari scolastici,
al di fuori di quegli incontri.
«Ho saputo della brillante iniziativa verso Oz
Bezarius. Pensavo che fosse chiaro senza doverti fare degli esempi che cosa
potesse fargli sorgere dei dubbi e cosa invece potesse lasciarlo nell’ignoranza
come ci servirebbe facesse.» gli fece notare, il tono palesemente sarcastico.
Vincent, il sorriso per nulla mutato, al momento
sembrava più interessato alla ragazza di cui cingeva la vita e che stava
giochicchiando con una ciocca di capelli biondi; la vide imbronciarsi: «Non è
stata Zwei a parlare.» chiarì subito, volendo sottolineare che la sua fedeltà
nei confronti del biondo non era vacillata nemmeno per un secondo, al contrario
di quanto potesse sembrare.
«A dire tutto è stata quell’odiosa di Echo.» pronunciò
poi in un sibilo infastidito, guardandosi le mani; Vincent sorrise appena più
ampiamente, una voluta sfumatura maliziosa nell’incurvarsi di labbra mentre la
mano che non cingeva la vita della ragazza andava a prenderle in mento,
obbligandola ad alzare lo sguardo.
«Echo è stata cattiva. Dovrei punirla?» domandò, in un
gioco che Charlotte trovava piuttosto inutile se non per la nota di sadico
divertimento che assumeva tutte le volte.
Quando era entrata in contatto con Vincent Nightray e
la sua servitrice in quel modo, le era stata presentata come Echo: presto era
stato però chiaro che ci fosse qualcosa di strano, di particolare. Non ci era
voluto molto perché finisse con l’incrociare anche Zwei.
Perché esattamente ci fossero due personalità così
marcatamente distinte, o da cosa fossero causate, erano cose che Charlotte non
aveva mai avuto modo di scoprire; doveva però anche ammettere di non essersi
impegnata più di tanto nell’investigare. Ai fini dei loro scambi di
informazioni o della loro cosiddetta “collaborazione”, non era una cosa che
aveva necessariamente bisogno di sapere.
Dunque, semplicemente se ne era tenuta fuori.
Più palese era stato il modo molto diverso con cui
Zwei ed Echo si approcciavano a quel Vincent; senza contare poi che, a dispetto
di quanto si potesse credere dalla totale assenza di pudore e scrupoli da parte
di Zwei, era una personalità scomoda da gestire.
Non che Echo fosse molto più incline a parlare senza
il permesso del suo padrone, ma Zwei era totalmente ingestibile da quel punto
di vista.
«Sì, puniscila, Vince! Trattala male! Perché non la
feriamo, Vince?» la sentì quasi canticchiare quelle parole, l’eccitazione nel
tono al pensiero di cosa esse riflettessero palese.
Zwei era ingestibile perché animata più da follia e
crudeltà che non da altri sentimenti. Quello che non capiva era il continuo e
perpetuo assecondarla di Vincent, come se non temesse minimamente che questo un
giorno avrebbe potuto portare lui stesso a perderne il controllo di cui
disponeva invece ora.
«Mh, non posso proprio Zwei.» replicò costernato, una
falsa cortesia: aveva imparato che Vincent Nightray non era mai sincero.
…Probabilmente proprio per quello erano in grado di
lavorare decentemente insieme per quel che gli serviva: erano perfettamente
coscienti di nascondersi la maggior parte delle cose e di mentirsi a vicenda
senza mai rivelare completamente all’altro le proprie intenzioni, ma erano
altresì certi che sulle cose davvero importanti non mentisse nessuno dei due.
«Perché no, Vince?!» esclamò l’altra, il tono appena
più stridulo e irritato per quella negazione.
Lui se la strinse addosso, il viso vicino al suo:
«Perché se ferissi Echo, ferirei anche Zwei, no?» sussurrò maliziosamente da
quella scarsa distanza.
«Se avete finito di fare i vostri comodi, non ti ho
chiamato nel mio ufficio per lo sfogo dei tuoi ormoni adolescenziali, Vince.» lo sfotté, sottolineando quanto
potessero farsi i loro comodi altrove senza farle perdere tempo.
Lui rise infantilmente, rivolgendo lo sguardo verso di
lei: «Non essere gelosa, Lotti.» la prese in giro, rischiando qualche istante
dopo che un blocco di fogli dall’aria non leggerissima si abbattesse sulla sua
testa – se non accadde fu solo perché si spostò prontamente lasciando che
affondassero nella parte superiore della poltrona.
«E tu non chiamarmi Lotti. Tanto più che non mi
interessano i ragazzini.» aggiunse, un sorrisetto malizioso che stavolta partì
come una chiara provocazione da parte sua anziché dal biondo.
Prese posto sul divanetto di fronte a lui, un tavolino
basso fra loro sul quale poggiò quello che sembrava un fascicolo bello pieno.
Vincent vi rivolse la sua attenzione, senza
rispondere: «E quello?» la interrogò subito, un’occhiata curiosa ai fogli che
da quella posizione era impossibile sbirciare.
«Quelli sono i compiti che devo correggere, lascia
perdere.» replicò l’altra: «Piuttosto, non sarà che ti è passato per la testa
che minacciare poco velatamente Oz Bezarius non era esattamente il massimo per
tenerlo all’oscuro delle cose per il tempo utile?»
«Non vedo perché. Tanto, da accordi, prima o poi lo
scoprirà lo stesso.» replicò lui annoiato, l’interesse per il fascicolo sparito
appena scoperto di cosa si trattasse.
«Non va bene per niente! Se ti sto assecondando è solo
perché Bezarius è l’unico che può mettermi in contatto con quello lì. Ma questo
non significa che puoi fare come ti pare, visto e considerato che abbiamo un
accordo.» gli fece presente, irritata.
Vincent, una mano che sfiorava appena la pelle sotto
il bordo della camicia della divisa di Zwei, sorrise appena, enigmatico:
«L’odio di una donna è proprio pericoloso.» osservò casualmente, ritrovandosi
un attimo dopo con Charlotte protesa verso di lui dopo aver facilmente aggirato
il tavolino, una lama vicino al suo collo con la stessa espressione che se gli
stesse porgendo una caramella.
Il sorriso che le incurvava le belle labbra connotava
quella nota di divertimento che solitamente era più tipica di lui che non di
lei: «Hai ragione, l’odio di una donna è pericoloso. Perciò vediamo di far sì
che non te ne attiri troppo addosso, mh?» sussurrò.
Lui la osservò per un attimo piacevolmente sorpreso,
guardandola poi tornare dritta e recuperare i fascicoli di compiti da poggiare
in cattedra, dandogli le spalle.
«Vedi di ricordartelo, l’accordo che abbiamo.» disse,
aprendo la porta in un tacito invito ad andarsene: «Non mi importa cosa dici o
fai a Bezarius. Ma non prima che mi faccia incontrare con Jack.» chiarì, mentre
Vincent alzatosi e assicuratosi che Zwei rimanesse lì – almeno finché non fosse
tornata Echo – aveva raggiunto la porta.
Si chinò appena verso di lei: «Se me lo dici in questo
modo, professoressa, di certo non potrò proprio far finta di averlo
dimenticato.» osservò con falsa innocenza, varcando poi la soglia e
richiudendosi lui stesso la porta alle spalle.
«Tsk, ecco perché odio i ragazzini.» sbottò lei,
allontanandosi.
Aveva lasciato che Noah andasse avanti, dal momento
che si era preparato prima di lui: alla fine, caso aveva voluto che avesse
dovuto recuperare l’esame proprio il giorno del ballo, dunque la mattinata
l’aveva praticamente spesa in compagnia di Rufus Barma – e suvvia, se lo
sarebbe volentieri evitato.
L’esame era stato fissato per le dieci del mattino, ma
Noah gli aveva consigliato di andarci con largo anticipo e lo aveva
accompagnato nel caso in cui non ci fosse stato nessuno, per tenergli
compagnia.
Di certo non c’era la folla lì presente, ma erano una
decina di studenti: tra questi, Oz non aveva faticato a riconoscere Echo,
scoprendo che anche lei avrebbe dovuto fare quell’esame – trattandosi si una
servitrice, aveva ipotizzato Noah, probabilmente partiva svantaggiata rispetto
alla maggior parte degli studenti che invece aveva avuto una certa istruzione
anche prima di Latowidge.
Era stato in quell’occasione che Oz aveva chiesto alla
compagna di andare al ballo insieme; a sorpresa, Echo aveva accettato – in
realtà più che altro non aveva rifiutato, ma fondamentalmente per Oz il
significato era il medesimo.
Perciò a quel punto non aveva più avuto un vero e
proprio motivo per non andare e attardarsi; avanzava ora per il sentiero
esterno che collegava i dormitori all’edificio centrale in cui non solo l’atrio
ma anche le sale più grandi avrebbero ospitato l’evento.
L’unica pecca probabilmente era proprio quella, quel
tratto esterno, per quanto breve: la neve ultimamente era caduta con più
frequenza, quasi a voler sottolineare la presenza imminente di un bianco
Natale, facendo sì che ci fosse ancora più euforia fra gli studenti – e, c’era
da dirlo, di qualche insegnante.
Aveva comunque raggiunto l’entrata che dava sull’atrio
abbastanza facilmente, avendo anche la fortuna di trovare un momento in cui non
stesse nevicando.
L’appuntamento con Echo era stato per le otto meno un
quarto, vicino al grande albero che da un paio di giorni occupava un angolo
dell’atrio, finalmente completato; così, quando entrò varcando la soglia, non
faticò molto a ritrovare quel punto.
Vi si diresse, notando quanto probabilmente la maggior
parte degli studenti fosse già nell’altra sala in attesa dell’inizio ufficiale
del ballo fissato per le otto; con un’occhiata poté quindi facilmente
indovinare di essere arrivato per primo rispetto ad Echo – in un certo senso
soddisfatto, dopotutto per quella sera era il cavaliere e doveva essere un
gentiluomo impeccabile.
Si mise quindi vicino all’albero, così da poter
facilmente osservare l’atrio e al tempo stesso essere individuabile per Echo
senza grossi sforzi: sentiva il vociare arrivare dalla sala attigua, e provò ad
immaginare come potessero averla sistemata per l’occasione; a detta di Noah,
facevano sempre le cose in grande in occasioni come quella.
Si voltò, sentendosi toccare la spalla, non trovando
nessuno dietro di sé: per un attimo, qualcosa dentro di lui quasi gli impose di
inquietarsi per quello.
Era diventata una strana e non proprio benvoluta
prassi, il fatto che ogni qual volta avesse una sensazione insolita questa
dovesse necessariamente concretizzarsi in un fenomeno che di normale aveva poco
– in compenso una volta su due almeno si rivelava abbastanza pericoloso però.
Si voltò nuovamente, imponendosi di non farci caso:
doveva essere un po’ di suggestione e niente di più, dal momento che aveva
controllato e non c’era niente.
O quantomeno lo pensò e se lo ripeté mentalmente fino
a che non ebbe la sensazione che quel tocco ci fosse sul serio sulla spalla:
l’idea di ignorarlo gli attraversò la mente, ma che lui fosse sempre stato tipo
da darla vinta alla propria curiosità non era mai stato un mistero per nessuno,
tanto meno per se stesso.
Quasi sperò di non trovare nulla.
Invece, non senza sorpresa, si ritrovò ad osservare
una ragazza: i capelli lunghi e scuri, lisci, la cui frangia le copriva appena
il viso e l’abito bianco e semplice, nulla di elaborato che potesse far pensare
di primo impatto alla partecipazione ad un ballo più o meno ufficiale come era
quello.
Non era certo di conoscerla, a dire il vero: gli dava
la sensazione tipica di qualcuno che sicuramente da qualche parte hai già
visto, ma al tempo stesso non trasmette la familiarità delle persone con cui
parli ogni giorno.
Avrebbe potuto pensare facilmente ad una compagna di
corso con cui però non aveva mai avuto modo di parlare, perché avrebbe
facilmente spiegato la cosa: tuttavia non poteva farlo.
Il fatto stesso che lei fosse non esattamente
corporea, almeno a guardarla e a discapito del tocco che poteva giurare di aver
avvertito sulla spalla, gli suggeriva che si trattasse di quel qualcosa che era
stato uno degli ultimi argomenti di conversazione con Sirjan.
Lei rimase immobile ad osservarlo per diversi istanti,
dopo i quali non fece altro che muovere le labbra, come per dire qualcosa,
senza che però Oz riuscisse a cogliere alcun suono preciso.
Assunse un’espressione quasi di scusa, senza nemmeno
rendersene conto, e lei allungò una mano a cercare di sfiorare o prendere le
sue – non avrebbe saputo dire con esattezza quale fosse il suo intento.
Fu strano: non riuscì ad afferrargliele davvero – cosa
che convinse quasi del tutto Oz di avere davanti proprio uno degli spiriti
menzionati da Sirjan e Alyster – ma la sensazione di essere sfiorato da
qualcosa, qualcosa senza un nome preciso, la ebbe ugualmente.
Come un tocco, ma non un tocco vero e proprio;
qualcosa che né nella sua testa, né tanto meno a qualcun altro avrebbe saputo
spiegare decentemente.
«Chi…?» tentò con cautela, la sensazione che avrebbe
potuto facilmente spaventarla con un qualsiasi gesto involontario che lei
avrebbe potuto interpretare come una minaccia forse; si diede dello stupido, in
un primo momento: non era proprio normale stare a preoccuparsi di fare del male
a qualcosa che non riusciva nemmeno a toccare propriamente.
Vide lo sguardo di lei farsi persino più malinconico
di quanto non fosse apparso già al primo sguardo.
…Si aspettava cosa da lui? Forse che la riconoscesse?
«Ah, io… non ricordo bene. Ci siamo già… incontrati?»
tentò, osservandola, una mano che istintivamente si era allungata un po’ in sua
direzione.
Lei la osservò, quasi stesse decidendo se fidarsi o
meno; tuttavia, fece appena in tempo a guardarla rivolgere la sua attenzione a
qualcosa che si trovava oltre le sue spalle, prima che sparisse completamente
in brevissimo tempo.
«Che fai?» sentì pronunciare alle proprie spalle,
voltandosi velocemente e inquadrando la figura di Echo che lo osservava;
sorrise istintivamente: «Piccola Echo!»
«Ho detto che è Echo e basta.» grugnì lei
immediatamente, facendolo ridacchiare.
«Guardavo l’albero, deve essere quello a cui ho visto
lavorare Coleman e Wayne!» replicò, il sorriso subito al proprio posto,
rivolgendo uno sguardo più attento a lei.
Indossava un abito carino, un po’ più sbarazzino di
quelli che aveva visto indossare alle dame più adulte di qualche festa a cui la
sua famiglia era stata invitata: era di un bel blu, non eccessivamente scuro e
riprendeva il nastro che le legava i capelli più corti lasciando invece libere
le ciocche che già normalmente le incorniciavano il volto.
«Che carina ~!» canticchiò, osservandola arrossire
divertito e porgendole il braccio da bravo cavaliere: «Andiamo?» chiese, il
tono cortese un po’ per gioco, un po’ per reale gentilezza, aspettando che
l’altra – un po’ impacciata, ma immaginava fosse normale visto che
probabilmente non era abituata – accettasse il suo invito per avviarsi dapprima
verso la sala, e poi varcarne la soglia entrandovi del tutto.
Lo osservò entrare in sala con la ragazza al servizio
dei Nightray, lo sguardo chiaro che aveva accarezzato con nostalgia e dolcezza
la figura del più giovane prima che sparisse dal suo campo visivo.
Solo allora, sicuro dell’assenza di persone nell’atrio
si spostò dal proprio nascondiglio – anche se definirlo tale era comunque in
qualche modo sbagliato: pochissime persone li vedevano, specialmente se non
desideravano essere visti. Era anche per quello che gli era permesso rimanere
in quella scuola, dopotutto.
Bastava non rompere il patto che c’era.
Fu seguito quasi subito da una figura più minuta, in
quel momento tutta presa a giocare con la sua treccia: lui la lasciava fare,
per nulla infastidito, rivolgendole anzi uno sguardo accondiscendente; e
pensare che Alice non era affatto pericolosa, quando si riusciva a non farla
agitare.
Sospirò appena: il vero problema era la presenza di
luoghi in quell’istituto in cui lui non potesse assolutamente recarsi.
«Jack, Jack, balliamo anche noi quando comincia la
musica?» chiese lei, abbandonando la treccia che era stata il suo
intrattenimento fino a quel preciso istante, portandosi davanti al biondo
saltellando appena tra un passo e l’altro.
Lui le sorrise nuovamente, annuendo: «Certo Alice, se
ti fa piacere, balleremo anche noi.» le assicurò con dolcezza. Lei sorrise
raggiante, suscitandogli un moto di tenerezza nell’osservarla.
«Sì, balliamo!» ripeté nuovamente, quasi a dare ancora
più enfasi alla questione, neanche fosse la cosa più importante del mondo – e a
pensarci seriamente per un attimo, si disse Jack, probabilmente era davvero
fondamentale per lei.
«Ehi, Jack» si sentì chiamare una seconda volta:
«Persino quella lì si è fatta vedere, eh? Non senti più confusione da qualche
giorno?» chiese, il tono divertito come se fosse per una festa a simile a
quella che stava per iniziare nella stanza accanto.
Il biondo portò lo sguardo sul punto in cui poco prima
aveva visto apparire e poi scomparire Lacie, lo sguardo ora preoccupato: «Credo
sia perché anche gli altri lo sentono.» sussurrò a se stesso, senza che Alice
lo udisse.
«Comunque, ho davvero una brutta sensazione.» aggiunse,
stavolta udibile anche per lei, che danzava con l’aria nell’atrio mentre la
musica nell’altra stanza iniziava a suonare.
Entrati nella sala principale del ballo, erano
ammutoliti entrambi, ritrovandosi a fissare a bocca aperta come dei bambini che
si meravigliano per ogni cosa la grande sala.
Seppure i lampadari elaborati e la grandezza
dell’ambiente fossero entrambe cose a cui erano abituati vivendo in
quell’istituto, altrettanto non poteva dirsi dell’atmosfera che si respirava ad
ogni passo.
Le prime cose che erano saltate all’occhio erano state
alcune decorazioni natalizie, non eccessive né troppo abbondanti nella
quantità, ma belle e di una certa eleganza.
Per lo più si trattava di nastri rossi che
richiamavano uno dei classici colori natalizi, e solo in alcuni punti sporadici
– spesso in corrispondenza delle finestre più grandi – si scorgeva qualche
vischio; alle pareti erano state accostate lunghe tavolate con tutti i cibi
possibili ed immaginabili, mentre in altre due più piccole erano state organizzate
le bevande più varie, con più di una persona a servirle.
Probabilmente, fu il primo pensiero di Oz quando fu in
grado di scostarsi mentalmente dallo stupore che aveva colto sia lui che Echo,
l’effetto di meraviglia generale era in gran parte dovuto agli occupanti della
sala: se anche gli abiti degli uomini e dei ragazzi non differivano molto tra
loro se non per modello, essendo tutti per la maggior parte di colore nero e
spezzati nel monocolore solo dalla camicia bianca o, in casi più rari, da accessori
minimi come cravatte, nastri, foulard o fiori all’occhiello, le ragazze
offrivano uno spettacolo assai più vario.
Data la possibilità come in occasione del concerto
svoltosi quello stesso mese, avevano dato sfoggio di una vasta gamma di colori
nei loro abiti: quando Oz aveva iniziato a guardarsi intorno alla ricerca dei
compagni e li aveva individuati insieme a formare un gruppo abbastanza
numeroso, la cosa gli era parsa quasi più evidente.
Aveva invitato Echo a raggiungerli con lui,
indicandoglieli, e si erano diretti appunto verso di loro.
Il primo a notarli era stato Noah, che Oz aveva già
visto con il suo abito quando era uscito dalla stanza e che notò essere di poco
diverso da quello di Marcus – comprensibile se si provava a supporre che fossero
stati entrambi scelti da Cecile.
Pantaloni semplici e neri, camicia bianca – per una
volta, anche nel caso di Noah, tenuta in ordine dentro i calzoni – e giacca
scura poco più lunga della vita; sia Noah che Marcus avevano optato per un
nastrino sotto il colletto della camicia, simile a quello che erano abituati a
portare per la divisa, nero per entrambi.
Con loro c’erano Alice, in un abito rosso non
eccessivamente elaborato ma abbastanza elegante per l’occasione, i capelli
tenuti in due code come ogni giorno, ma adornate con due nastri della stessa
tonalità dell’abito.
Subito dopo, Oz riconobbe la sorella: Ada aveva i
capelli ordinati in un chignon elaborato e ornato di un fermaglio dal tema
floreale, sul lillà, in ripresa del colore dell’abito, appena più chiaro
dell’accessorio. Le fasciava il corpo rendendo giustizia alle forme e lasciando
le spalle scoperte: portava dei guanti corti e gli rivolse un sorriso nel
vederlo.
Accanto a lei stavano la sua compagna di stanza Karin
Hamilton, in un abito di un blu appena più chiaro di quello di Echo, i lunghi
capelli corvini legati in una treccia e tenuti su in un chignon meno elaborato
di quello di Ada ma ugualmente elegante che le lasciava scoperto il viso
sorridente; era affiancata da Clifton Lafayette, i cui capelli scuri erano
legati in una coda bassa e ordinata da un nastro blu scuro, l’abito di poco
differente da quello degli altri ragazzi in sala, la giacca solo appena più
lunga tanto da arrivare leggermente sopra il ginocchio.
Teneva il braccio semi piegato, nella classica
posizione che permetteva alla sua dama – Karin, suppose senza doversi impegnare
troppo per indovinare – a poggiarvi la mano come la ragazza al suo fianco stava
facendo.
«Ton-ton, so che ti chiediamo un grandissimo sforzo,
ma essere uomo per una volta? Stai arrossendo come una ragazzina!» sentì
qualcuno sfottere Clifton e, spostando lo sguardo, intravide anche Sally
McFinch.
I capelli corti erano lasciati sciolti, ordinati da
una fascia sul verde chiaro in tinta con l’abito lungo poco oltre le ginocchia
e quindi più simile a quello di Echo; Clifton in quel momento le rivolse
un’occhiata eloquente, mentre Karin ridacchiava sommessamente divertita e
interveniva a fare da piacere tra l’amica e il proprio cavaliere: «Sally, non
stuzzicarlo.» la pregò gentilmente.
Oz sorrise divertito, spostando lo sguardo verso il
resto della sala: vicini all’orchestra che si stava evidentemente organizzando
per l’inizio della serata ormai prossimo, intravide Rufus e Miranda Barma che
parlavano e non troppo distanti da loro lo stesso facevano Xerxes Break e
Alexis Coleman.
Poté individuare facilmente anche Daniel Wayne, che
era accanto alla preside Cheryl.
Stava per passare in rassegna un’altra parte della
sala quando sentì una voce familiare più vicina di quanto non l’avesse notata
poco prima: «Buonasera.» colse, voltandosi e ritrovando Alyster ormai in
prossimità del loro gruppo.
Sulla sedia a rotelle, alle sue spalle stava Sirjan,
che rivolse loro un cenno leggero del capo; indossava lo stesso abito che gli
avevano visto al concerto, quando aveva suonato: l’unica differenza era data
dal nastro sotto il colletto della camicia, color ghiaccio. Ancora una volta,
poté notare facilmente Oz, dello stesso colore dell’abito della sorella,
semplice e senza particolari disegni sulla stoffa, che le fasciava il fisico
esile lasciando in parte scoperte le spalle laddove non nascoste dalle bretelle
a fascia.
Teneva i capelli legati in una treccia morbida,
adagiata sulla spalla sinistra e sorrideva con gentilezza come sempre: «State
tutti benissimo.» si complimentò con il gruppo in generale.
Oz le sorrise di rimando, ricambiando il complimento,
mentre Noah azzardò a farsi più vicino a lei facendo un inchino di tutto
rispetto e prendendole con delicatezza la mano, mimando un bacio sul dorso
senza tuttavia sfiorarlo con le labbra, come buona educazione imponeva.
Alyster sorrise divertita, portando la mano libera a
coprire appena la bocca nell’atto: «La professoressa Barma sarebbe molto fiera
se ti vedesse.» commentò, bonariamente scherzosa, e Noah ridacchiò facendole
l’occhiolino dopo che fu tornato dritto.
Oz le si rivolse, approfittando di un attimo di
silenzio generale: «Hai già incrociato Elliot?» domandò, più per curiosità che
per necessità di incontrare l’altro.
Lei scosse la testa, occhieggiando nei dintorni: «Non
ancora, ma penso arriverà a breve insieme ai fratelli.» replicò, alzando appena
una mano in un cenno di saluto che, seguendo la direzione in cui era rivolto,
Oz e il resto del gruppo poterono intuire fosse diretto ad Aedan che entrava in
quel momento nella sala al fianco di Ethan.
Fu così che Noah e Marcus si congedarono dal gruppo
per dirigersi a salutarli – Ethan, gli aveva detto Noah, era una delle poche
persone che potesse azzardare a definire amico di Marcus.
Quasi nello stesso momento, Alyster e Sirjan fecero lo
stesso e il loro posto, quasi fosse stato un accordo, fu preso da due dei
Nightray.
Gilbert e Vincent si erano infatti avvicinati al loro
gruppo riconoscendoli: un po’ ad imitazione del concerto anche loro vestivano
gli stessi abiti ed entrambi avevano i capelli legati in una coda bassa come
Clifton; nel caso di Vincent era più ordinata e legata da un nastro rosso,
mentre per Gilbert i capelli che sfuggivano al nastro blu erano di più, ma non
per questo davano un’impressione di disordine.
Vincent sorrise loro ampiamente, tanto che dentro di
sé – non lo espresse al resto del mondo perché proprio non era il caso di
rovinare e rovinarsi la festa – Oz si ritrovò a pensare che il mezzano dei tre
Nightray doveva avere fra le sue molte qualità innate la faccia di bronzo.
Apprese poco dopo che si trattava del cavaliere di sua
sorella per quella sera – si impegnò tanto a mascherare la sorpresa, ma non fu
certo di riuscirci e nulla mise definitivamente a tacere la vocina che
martellante, nella sua testa, gli ripeteva qualcosa come: “vendetta personale”
e “tu ti avvicini a mio fratello, io mi avvicino a tua sorella”.
Era stato difficile far mantenere la calma, quando era
successo.
All’inizio probabilmente se ne erano accorti in pochi,
ma dai più vicini ai più distanti dal punto in cui era accaduto – in
un’inquietante somiglianza con il classico effetto domino – diverse teste si
erano voltate fra il vociare e alcuni toni che colti di sorpresa erano stati
più spaventati di altri.
Oz non era tra i più vicini, ma a fargli capire che
qualcosa non andava era stato vedere Aedan che veloce era sfrecciato verso la
porta principale, sparendovi oltre.
Cercando nelle immediate vicinanze, a quel punto non
era stato troppo difficile individuare uno spazio vuoto tra la folla; era quasi
riuscito ad avvicinarsi quando Gilbert lo aveva raggiunto, palesandogli la sua
presenza con un braccio attorno alle spalle.
«Gil, che succede?» aveva chiesto, non proprio
allarmato dal momento che non sapeva di cosa si trattasse, ma con una sfumatura
di iniziale preoccupazione nel tono.
Lui l’aveva guardato, l’espressione seria, incerto se
rispondere o meno; poi l’aveva sospinto leggermente verso la porta, senza
dargli possibilità di muoversi nella direzione opposta e quando erano stati
quasi fuori si era chinato verso di lui.
«Alyster si è sentita male.» aveva pronunciato.
Non gli era stato possibile vederla subito, e si erano
anche chiesti come fosse stato possibile portarla in infermeria visto che dalla
porta principale né lei né Sirjan erano usciti.
Fuori dall’infermeria, quando l’avevano raggiunta,
avevano trovato Noah e Marcus, che probabilmente avevano accompagnato Ethan per
ricondurlo dov’era Aedan.
E, poco distanti, Elliot e Reo.
Aedan era uscito dall’infermeria solo dopo una ventina
di minuti, ma il fatto che avesse assicurato a tutti loro di tornare ai
dormitori o alla festa a seconda dell’opzione che preferivano, aveva
tranquillizzato tutti loro che erano lì ad aspettare.
Alyster rimase al letto per il mese seguente.
Note dell’autrice
Un parto.
Questo capitolo mi ha
succhiato via l’anima. E sappiate che mi sono obbligata a finirlo entro marzo
e_e *anche perché il ritardo si sarebbe protratto fino alla morte altrimenti*
Che dire? La frase in apertura
è dell’anime “5 centimetres per second”, carino da vedere se avete voglia di
deprimervi profondamente alla comoda cifra di soli tre episodi (ma a me è
bastato il primo 8D)
Pian piano vi rifilo
informazioni, anche se dosarle è sempre un problema; è apparsa anche Lotti-san
*A* *festeggia*
E ci provo a scollinare
dalle 16 pagine di capitolo ma niente, mi vengono e me ne accorgo che è sempre
troppo tardi XD
Ho provato anche a gettarvi
qualche scena shonen-ai qua e là, visto che più andremo avanti, più avrò talmente
tanta roba nella trama da gestire che sarà un pelo più difficile 8D
Vogliatemi bene lo stesso,
ne?
Ringraziamenti
makotochan: ahimé sì, Oz non ha lo
spirito da fangirl, ma come ci siamo già dette in separata sede, Noah
sopperisce la mancanza XD *muor* Gil ha imparato a fare il figo… sarà, ma io
ridevo come una scema, e dire che sono io a scrivere 8D
Quella lì che trattava così
Alice, è la Will of Abyss, che non mi metto a spiegarti con precisione qui chi
sia, ma per quanto riguarda “Rinnega il tuo nome” al momento è un presunto
spirito con le sembianze e il nome di Alice stessa 8D *attenta a non
spoilerare*
Christopher e Noah sono
un’arma impropria contro Marcus fondamentalmente e sono troppo stupidi insieme,
come si è visto XD In questo capitolo sono stati un pelo più seri – per la
serie: i miracoli avvengono ogni tanto – e qualcosa si è capita anche del
perché Zai scazza i nomi dei figli come se sbagliasse marca di assorbenti (??)
Spero ti abbia soddisfatta
il capitolo ùwù
Gioielle: del rapporto Gil-Oz abbiamo
largamente già discusso, quindi non starò a ripetermi qui. Non posso che
dichiararmi soddisfatta che lo sforzo di accozzarli insieme in tutti i modi che
la mente dell’autrice possa concepire siano stati di tuo gradimento XD Gilbert
pseudo-seme era un mio sogno proibito, lo ammetto: più che altro, povero,
sembra che faccia il seme solo per questioni di fisicità causa Abisso (nel
manga)! Diamogli una possibilità! XD
La scena Marcus-Noah, o
quantomeno l’accenno, è giusto che venga intesa senza essere commentata u_u;
quanto a Vincent e Oz sì, è quella di cui ti avevo accennato.
In conclusione ho una sola
cosa da dire: se temevi che fosse solo l’inizio dell’angst che ho intenzione di
propinarvi beh, ci hai azzeccato in pieno *ammicca*
Fiamma Drakon: Break E’ una fidanzatina
appiccata al suo uomo! *muore* XDDD
La Volontà si è aggiunta (e
qui è pure riapparsa), perché mi ero ripromessa di mettere dentro tutti i
personaggi di PH, fosse stato anche solo per comparsa, non potendo dare a tutti
un ruolo di peso. Certo, se la Mochizuki smettesse di sfornarne io non dovrei
lambiccarmi il cervello per cercare di inserire anche i nuovi con scarsi
risultati, ma vabbé XD
Felice che ti sia piaciuto
il precedente capitolo e spero che anche questo sia stato di tuo gradimento – e
che la questione Zai-Oz-Jack sia un pelo più chiara soddisfacendo la tua
curiosità <3
Gweiddi at Ecate: innanzitutto, ti
ringrazio per i tanti complimenti. Pensare che tendi a non lasciare recensioni
ma che la fanfiction in qualche modo ti abbia spinta a farlo è già di per sé un
grosso traguardo per me.
Per quanto riguarda la presenza di Lotti, come detto anche su ho rimediato XP Doveva arrivare il suo momento, tutto qui u.u
Che
dire se non un continuo grazie per riscontrare l’IC, per la trama che ti ha
presa, per gli interrogativi per i quali non attenterai alla mia vita (XD), per
dire che ti suscita emozioni quello che scrivo e non ultimo per amare Noah, che
più di altri personaggi originali è stato una scommessa a quanto pare ben
riuscita.
Spero
che anche questo capitolo possa appassionarti allo stesso modo <3