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Autore: Shichan    31/03/2010    5 recensioni
«Non è cosa che ci riguardi. Latowidge vede studenti arrivare e studenti andarsene.»
«Quello è uno studente che non deve stare affatto qui.»
«Lo consideri una minaccia?» lo sfotté palesemente, sebbene il tono sembrava rimanere comunque piuttosto pacato, come poco prima. Un nuovo verso stizzito, simile ad uno schiocco di labbra che con la scarsa illuminazione non gli era possibile scorgere con lo sguardo.
Ma dopotutto, non aveva bisogno di vedere. Erano compagni da molti anni; sapeva “osservare” anche solo ascoltando.
«Non incrocerà la tua strada. E nemmeno la mia.» assicurò, concedendosi infine di chiudere gli occhi.

[Personaggi: Un po' tutti]
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Noah era riuscito a distogliere lo sguardo da Oz e suo padre che si allontanavano solo quando entrambi erano effettivamente spariti dalla sua vista voltando l’angolo

Quel giorno si riunirono lì

 

A quale velocità dovrei vivere,

per poterti vedere di nuovo?

 

 

Noah era riuscito a distogliere lo sguardo da Oz e suo padre che si allontanavano solo quando entrambi erano effettivamente spariti dalla sua vista voltando l’angolo.

Era stato dapprima confuso dal nome pronunciato dal padre del compagno di stanza: non era davvero riuscito a capire come fosse possibile scambiare i figli, ma supponeva che potesse succedere e d’altra parte non aveva esperienza per escluderlo dal momento che a parte la situazione di fratellastro di Marcus era sempre stato figlio unico.

Tuttavia, la risposta data proprio da Oz aveva tolto per certi versi parecchi dubbi riguardo la casualità di quell’errore e per altri aveva invece non solo suscitato stupore nella maggior parte di loro, ma anche dato la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato.

Forse eccedendo, Noah d’istinto l’avrebbe definito quasi contorto.

Il silenzio era caduto nel gruppetto che avevano formato, circondato e messo quasi in contrasto al chiacchiericcio di sottofondo presente nell’atrio in cui si incrociavano studenti di tutti gli anni con i propri genitori.

A sbloccare Noah dal momento di confusione in cui versava fu una mano che si posò sulla sua spalla e che si rivelò essere quella di Christopher; il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre dopo essersi incantato a guardare un punto fisso, dopodiché si voltò verso Ada.

La ragazza sembrava sulle spine: le spalle erano appena curve, cosa che si notava fin troppo a causa di un portamento solitamente dritto e preciso, tipico di chi è abituato a certi ambienti in cui esso risulta essere canone di eleganza.

Teneva il viso appena chinato, quasi cercando di nascondersi in un atteggiamento insicuro e di disagio. Lo sguardo evitava quello di Noah come anche degli altri presenti, sebbene fosse cosciente del fatto che a breve sarebbe arrivata la domanda di qualcuno.

Per questo, quando Noah prese la parola rivolgendosi a lei, Ada non se ne stupì davvero nonostante il leggero sobbalzare nell’alzare lo sguardo verso di lui avrebbe potuto far pensare il contrario.

«Ada» mormorò il ragazzo, lo sguardo ancora piuttosto confuso portato su di lei: «vostro padre ha…» pronunciò, interrompendosi, quasi non riuscisse ad individuare le parole giuste per chiedere quello che voleva sapere o almeno provare a capire.

Probabilmente lei lo intuì o, molto più semplicemente, non era la prima volta che si trovava a dover far fronte ad una richiesta del genere; fu palese quando evitò a Noah di costringersi a trovare l’espressione giusta anticipandolo: «Nostro padre chiama Oz con un altro nome da… un po’.» pronunciò, quasi vergognandosene, come se fosse colpa sua.

Noah era ancora piuttosto spaesato: «Ma Jack… voglio dire, Jack Bezarius non è il fratello maggiore tuo e di Oz? Quello che è… morto?» chiese, cercando di infondere più tatto possibile alla domanda, conscio che non doveva essere il massimo sentirselo dire.

Ada inspirò, annuendo: «Jack è morto ormai da cinque anni.» trovò il coraggio di pronunciare, nel tono quella che doveva essere solo una sfumatura del dolore provato per la morte del fratello maggiore.

«Si è ammalato giovane. Non era cagionevole di salute, anche se era abbastanza incosciente da prendere spesso il raffreddore. Non si accorse nessuno che era malato, sembrava… stare bene come al solito.» raccontò, e Noah si pentì davvero di averglielo chiesto.

Aveva sempre evitato di domandare qualcosa ad Oz, laddove possibile, proprio per non ritrovarsi una situazione spiacevole come quella; inoltre non era stato difficile ipotizzare già a suo tempo che la perdita doveva aver lasciato un segno indelebile in Oz quanto in Ada, e che parlarne dovesse costare loro molto più di un po’ di forza e di coraggio.

«Papà è stato male quando la mamma è venuta a mancare. Lei non era grave come Jack, ma non aveva un’ottima salute, e le medicine e il chiuso non l’avevano aiutata. Lui ha passato moltissimo tempo nel suo studio, senza uscirne quasi mai. Per un periodo, noi e Jack eravamo gli unici ad occupare la tavola. Papà non c’era.» mormorò, il tono che non si alzava mai e a volte rischiava persino di essere troppo basso per risultare udibile.

Noah fece per prendere parola e dirle di lasciar stare, ma Ada scosse impercettibilmente la testa: «Quando Jack è morto, sembrava di essere tornati indietro, a quando se ne era andata la mamma. Papà si chiuse di nuovo nello studio e… non sappiamo perché. Lui però… da quando è uscito, continua a chiamare Oz “Jack”. Sembra aver completamente rimosso la morte di mio fratello maggiore.» spiegò, le mani che si torturavano a vicenda mentre parlava.

Christopher strinse appena impercettibilmente la presa sulla spalla del figlio, cercando con la mano libera quella di Cecile, che incontrò la sua quasi nell’immediato.

«Ho provato a dirgli che Oz, in quel modo, avrebbe sentito tanta pressione su di sé, come di dover rispondere alle aspettative che papà aveva rispetto a nostro fratello. Che era un bambino, e che sarebbe rimasto confuso, e avrebbe sofferto per la mancanza di Jack ancora di più. Ho provato a spiegarglielo, però… però papà…» si interruppe, un singhiozzo che sfuggì dalle labbra nel discorso concitato.

Fu Cecile, dopo uno sguardo d’intesa con Christopher, a prendere in mano la situazione circondando le spalle di Ada in un abbraccio non eccessivamente informale, ma come probabilmente solo una madre e una donna avrebbe potuto darle.

Noah per una volta ringraziò mentalmente il chiasso e la confusione che albergavano costantemente nell’atrio dell’Istituto Latowidge, e che coprirono i singhiozzi di Ada che pronunciava le ultime parole prima di lasciarsi andare ad un pianto sommesso.

«Papà mi ha chiesto chi fosse Oz! Lui non ricorda più di aver avuto anche un secondo figlio maschio!» proruppe prima che i singulti rendessero incomprensibile ciò che diceva.

 

 

Non sarebbe stato corretto dire che il resto di quella giornata era passato normalmente: Cecile si era occupata di calmare Ada più possibile, rimandando i colloqui che riguardavano Marcus di un poco.

Christopher aveva incitato Noah a lasciare la ragazza alle cure della donna, e lo aveva guidato verso i vari uffici in cui si tenevano gli incontri di quel giorno; il figlio lo aveva seguito, sinceramente abbattuto: come sempre nel suo caso, aveva agito molto prima di pensare a cosa stava facendo, e ripensando alla delicatezza dell’argomento e al pianto al quale si era lasciata andare Ada, si era sentito non solo in colpa, ma anche molto stupido e immaturo.

Era stato un errore su tutti i fronti, quello di fare una domanda simile: avrebbe invece dovuto sforzarsi di non chiedere nulla, anche se fingere di non aver sentito lo scambio fra Oz e suo padre era parso impensabile.

Per questo si era chiuso nel silenzio mentre camminava di un paio di passi dietro al padre, ma a sorpresa era stato proprio Christopher a fermarsi e voltarsi verso di lui prima che raggiungessero l’ufficio che recava il nome di Liam Lunettes, il docente di letteratura.

«Smetti di fare quella faccia.» lo aveva rimproverato, fissandolo abbastanza severo, anche se non con l’irritazione tipica di un richiamo serio da parte di un genitore. Noah aveva alzato lo sguardo confuso, senza capire e Christopher aveva sospirato rassegnato: quel ragazzino, per quanto potesse crescere nel futuro, sarebbe rimasto sempre un bambino che gli dava fin troppo da pensare e che si perdeva subito in un bicchier d’acqua.

«Niente faccia da cane bastonato.» aveva ripreso, guardandolo seriamente: «Certo, è una domanda che ha riaperto delle ferite, quella che hai fatto. Ma sarebbe stato ancora più stupido far finta di nulla. Quello che devi fare ora per rimediare è non dimostrargli una compassione di cui non si farebbero nulla e rimanere lì, presente per quando quei due fratelli ne avranno bisogno.» aveva detto, con la saggezza di un adulto che Noah spesso gli rimproverava scherzosamente di non avere, e che l’uomo mostrava solo quando ce ne era davvero bisogno come in quel momento.

Malgrado quella rassicurazione sul fatto che ci fosse davvero qualcosa che potesse fare per l’amico, l’umore di Noah non si era certo alzato alle stelle, e un’innaturale atmosfera di tristezza era rimasta lì presente fino alla fine dei colloqui.

Anche quando erano andati a salutare i genitori al momento di ripartire per lasciare Latowidge, sebbene gli avesse rivolto un sorriso per camuffare l’umore – Oz era lì vicino a loro, con Ada, a salutare il padre con lo stesso sorriso che gli aveva rivolto quando lo aveva chiamato con un nome che non era il suo – Christopher e la stessa Cecile non si erano certo fatti sfuggire il fatto che non fosse il solito sorriso un po’ stupido e sempre allegro che aveva a casa.

Quando erano rientrati, Noah aveva accampato la scusa più stupida del mondo per defilarsi, tanto che Marcus aveva alzato gli occhi al cielo in maniera criptica solo per chi non sapeva dell’accaduto.

Oz, sebbene probabilmente avesse intuito che doveva essere successo qualcosa, aveva annuito quando il compagno di stanza aveva detto di non sentirsi troppo bene con lo stomaco e che quindi preferiva rientrare in dormitorio per primo.

Aveva mangiato in mensa con Ada, giusto qualche boccone perché la sorella non si preoccupasse – sembrava fosse già abbastanza in pensiero per lui, e non voleva peggiorare la situazione; le aveva assicurato che era tutto a posto, perché andasse a riposare seguendo Karin che in quel momento si era avvicinata per avvisarla che l’avrebbe preceduta in stanza.

«Sono un po’ scombussolato.» aveva ammesso, rivolgendole un sorriso leggero, ma con l’intento di tranquillizzarla – era parte della sua capacità di fingere che tutto andasse bene, quella di dosare persino i sorrisi, adattandoli alla situazione perché non risultassero fuori posto e fossero credibili.

«Ma sto bene, perciò vai con Karin.» aveva concluso, osservandola andare dopo qualche tentennamento e lasciandosi sfuggire un grosso sospiro per poi alzarsi ed avviarsi a sua volta.

Non bussò alla porta quando arrivò davanti alla propria camera, entrando direttamente e rischiando che Noah gliela sbattesse in faccia: per fortuna lo riconobbe prima di farlo.

Lo osservò dallo spazio lasciato aperto, sospirando profondamente, sollevato.

Oz lo guardò contrariato per l’incontro ravvicinato che si era risparmiato per miracolo: «Sei impazzito?» gli sfuggì prima di poterselo evitare.

Notò l’altro sbirciare nel corridoio per quanto gli era possibile senza dover aprire maggiormente la porta: «C’è qualcuno fuori?» domandò, prudente, mentre Oz iniziava seriamente a temere il fatto che i colloqui con i genitori non dovessero avere un buon effetto sull’amico.

«Se intendi qualcuno come tuo padre che imbraccia un fucile dopo la chiacchierata con la Barma no, non c’è nessuno. Solo il tuo compagno che si è quasi preso la porta in faccia senza motivo e vorrebbe entrare per obbligare i mocassini della divisa a non trucidargli ulteriormente i piedi.» replicò ironico, fissandolo in attesa.

Noah gli rivolse un broncio offeso, aprendo la porta per lasciarlo passare: «Simpatico davvero, ma stavo cercando di non farci buttare fuori nel caso fosse qualcuno che controllava e faceva la ronda.» spiegò, facendosi da parte.

E quando Oz fu entrato, capì anche a cosa si riferiva Noah: fu evidente quando inquadrò la figura di Alice seduta sul suo letto intenta a sbriciolare biscotti sulla coperta mentre ne mangiava – e non voleva davvero sapere da dove fossero usciti.

Sentì Noah chiudere a chiave – certo, pensò, proprio il massimo per non destare sospetti eh? – spostando lo sguardo appunto sul compagno quando questi riprese posto sul proprio materasso.

«Alice, che ci fai qui? Pensavo fosse vietato anche per le ragazze venire nel nostro dormitorio.» fece notare il biondo, alternando lo sguardo tra lei e il compagno di stanza che ora sembrava più rilassato.

Tanto che ridacchiò, sdraiandosi sul materasso con le braccia incrociate dietro la testa: «Dillo a me che me la sono ritrovata davanti quando ho aperto la porta mezz’ora fa.» gli fece presente, mentre la diretta interessata sembrava troppo interessata ai biscotti per prestare attenzione al problema.

Oz sospirò appena: «Come mai sei venuta, Alice?» domandò, tornando poi per un attimo su Noah come se avesse improvvisamente formulato un’ipotesi plausibile sulla situazione: «…Non ho interrotto qualcosa, vero?» aggiunse inarcando un sopracciglio.

In realtà era chiaro per entrambi che lo dicesse per punzecchiarlo, senza crederci davvero.

E anche per questo Noah si sentì tranquillo nel rispondere, non come sarebbe stato se glielo avessero domandato beccandolo in stanza con Marcus, tanto per dirne una.

«Oh, un sacco di cose. Non è palpabile il romanticismo che aleggia qui dentro? Non dirmi che non vedi l’amore che sta sbocciando tra Alice e i biscotti perché allora dovrò arrendermi al fatto che sei negato per queste cose, Oz.» gli fece eco, tanto per sottolineare il fatto che ci fossero tante possibilità di un incontro amoroso tra lui ed Alice quante potevano essercene tra un pinguino e ghepardo – tanto per dire che erano due cose che non si sarebbero mai incontrate salvo in uno zoo.

Come lui e Alice che prima di attrarsi sentimentalmente l’un l’altro avrebbero fatto prima a diventare novantenni con uno stuolo di nipotini insomma – e non comuni ad entrambi.

Oz fece un sorrisetto, scuotendo la testa e tornando con lo sguardo sulla compagna che ora lo stava ricambiando: «Sono venuta perché sei sparito tutto il giorno servo. Dovevo rimproverarti.» si giustificò, fissandolo imbronciata e facendolo sorridere istintivamente.

Inspiegabilmente, anziché continuare il rimprovero, analizzò la sua espressione e poi si rivolse a Noah con aria piuttosto soddisfatta: «Tsk, te l’avevo detto! Visto? Sorride!» dichiarò come se la cosa le valesse la vittoria di qualche premio.

Oz, perplesso da quella uscita cercò un chiarimento nel compagno di stanza, ma Noah per tutta risposta rivolse un sorrisetto un po’ impacciato ad Alice, limitandosi ad un: «Va bene, va bene, ammetto che avevi ragione.» di resa.

Alice si alzò quindi in piedi, dando qualche pacca leggera ai vestiti per togliere le briciole dei biscotti con cui si era intrattenuta fino all’arrivo di Oz e si stiracchiò; dopodiché, si rivolse a Noah, in piedi vicino a lui e in attesa, le mani sui fianchi.

«Ebbene?» lo incalzò.

«Ebbene cosa?» ripeté lui perplesso, osservandola senza capire; la ragazza sbuffò: «Il mio premio. E poi ho dovuto aspettare qui mezz’ora per la tua incompetenza.» fece presente, come se a quel punto fosse chiaro che come minimo aveva diritto ad un riconoscimento.

E Noah rise, portandosi a sedere ed allungando una mano a scompigliarle con dolcezza i capelli – all’inizio non aveva legato granché con Alice, continuando a rinchiudersi un po’ da solo, un po’ senza neanche accorgersene in quella sua caratteristica che lo rendeva compagno di tutti e amico di nessuno – picchiettando infine contro la sua fronte: «Va bene, va bene, la prossima volta che andiamo in città ti offro la merenda.» promise.

E solo i presenti potevano capire appieno quanto questo significasse svuotare parecchio le proprie tasche.

Alice parve dirsi soddisfatta nell’allontanarsi per raggiungere la porta ed uscire; quasi come un improvviso cambio di scena in un libro, era bastato che lei voltasse le spalle ai due perché calasse il silenzio quasi completo – entrambi persi nello stesso tipo di pensieri, la mente che andava all’incontro che c’era stato nel pomeriggio e gli faceva quasi dimenticare di essere nella stessa stanza.

Per quello Alice si voltò: Noah ed Oz singolarmente non erano tipi silenziosi, e in coppia si erano guadagnati – almeno fra i compagni di anno – la fama di “dove senti casino, di sicuro ci stanno Bezarius e Keynes di mezzo”.

La castana si soffermò dapprima su Noah, arricciando il naso come se l’espressione ora assente e giù di tono del compagno la infastidisse come una questione personale; poi passò su Oz e non seppe dire con precisione di cosa si trattasse, ma qualcosa le chiuse lo stomaco istantaneamente – e l’incontro con un’altra se stessa si faceva prepotentemente avanti nella sua testa, e si mescolava confusamente con un sorriso che prometteva di esserci per un “per sempre” infantile che non poteva esistere davvero.

Forse fu quella confusione proprio lì nella sua testa – lei che ragionava con semplicità, che si comportava sempre e solo come si sentiva di fare, istintivamente – che la spinse di qualche passo vicino ad Oz, lo sguardo che rifletteva lo smarrimento che ultimamente sembrava quasi darle la caccia, come in un gioco.

«…Alice, va tutto bene?» chiese lui, notandola vicina e riscuotendosi dal torpore in cui era caduto, osservandola; la vide allungare una mano verso di lui, ed istintivamente fece lo stesso, più che altro colto alla sprovvista da quel modo di fare che non era molto tipico di lei.

«Alice?» la richiamò una seconda volta, e quel che poi uscì dalla sua bocca fu un lamento di dolore dovuto al morso che senza un motivo preciso la ragazza gli lasciò sulla mano pochi istanti dopo essere stata chiamata.

Ancora bellamente attaccata a quella mano – non stringeva eccessivamente, ma i denti si sentivano eccome – lo fissò infantilmente come un cagnolino che ha morso il padrone per ripicca.

Oz, un occhio appena socchiuso per quel gesto d’affetto non proprio indolore, le rivolse un: «Ma che ho fatto stavolta?!» con tono lamentoso al quale lei rispose solo quando, ritenendosi soddisfatta, si staccò dalla mano.

«Non lo so, mi andava.» disse, avviandosi definitivamente alla porta e uscendone, lasciando entrambi a guardarsi con sguardo a dir poco basito senza capire.

Almeno, prima di scoppiare a ridere entrambi.

 

Quindici, contò mentalmente.

Era precisamente la quindicesima volta che sentiva Noah rigirarsi nel letto al proprio fianco, almeno da quando aveva iniziato a contare – e supponeva ce ne fossero state almeno altre due o tre prima, quindi figurarsi.

Inizialmente non ci aveva badato più di tanto, ma alla lunga il fruscio delle lenzuola e i sospiri – o sbuffi – leggeri di sottofondo erano diventati udibilissimi, in parte anche perché era sveglio e non riusciva a prendere sonno.

Almeno per una volta non era l’unico, ecco.

Prima che potesse arrivare a contare la sedicesima comunque, si ritrovò a socchiudere gli occhi e a coprirli quasi subito con il braccio per ripararli dalla luce che era stata accesa senza preavviso – era chiaro a questo punto che l’ultimo fruscio di lenzuola udito fosse stato quello con cui Noah aveva deciso di alzarsi dal letto.

Mugugnò infastidito dalla luminosità improvvisa, mentre i suoi occhi chiedevano tacitamente a Noah di spingere l’interruttore e spegnerla di nuovo, possibilmente subito: a quanto pareva però il loro desiderio non era destinato ad essere esaudito con tanta celerità.

Sbirciando senza esporsi completamente alla luce sul soffitto, Oz cercò di capire cosa stesse facendo il compagno di stanza, specialmente quando colse un rumore abbastanza sinistro e che somigliava anche troppo allo spostamento di qualche mobile.

Ed ad un’occhiata più attenta, notò che effettivamente il letto di Noah si muoveva inesorabilmente verso di lui, portando solo a due ipotesi: o Oz stava impazzendo del tutto e vedeva i mobili muoversi – a quel punto, poteva aspettarsi che a breve ammiccassero in sua direzione con fare seducente – oppure era Noah ad essere impazzito e a muoverli senza un perché.

«…Noah?» bofonchiò, senza ricevere risposta almeno finché non vide il bordo del letto del compagno attaccarsi al suo.

L’attimo dopo la stanza fu di nuovo avvolta nell’oscurità, e l’unico modo in cui Oz percepì l’altro tornare al letto fu il rumore leggero che fece sedendosi sul materasso e il seguente fruscio delle lenzuola che venivano spostate e sistemate. Stava per richiamare di nuovo l’attenzione di Noah, quando fu egli stesso a parlare: Oz, i cui occhi si stavano di nuovo abituando al buio piuttosto velocemente, poté notare il compagno sdraiato su un fianco, il viso in sua direzione probabilmente.

«Non ti fa rabbia?» gli sentì chiedere senza motivo apparente, tant’è che Oz non capì affatto a cosa si stesse riferendo: «Voglio dire, senti… so che non dovrei nemmeno tirare fuori l’argomento. Non sono affari miei, però… però diamine, Oz. Tuo padre, lui…»

«Hai parlato con Ada, vero?» lo interruppe, un sorriso mesto ad incurvargli le labbra; Noah si sentì come quando aveva chiesto ad Ada cosa stesse succedendo e l’aveva vista scoppiare a piangere dopo avergli dato delle spiegazioni che a conti fatti non gli doveva.

Si morse appena il labbro inferiore, ma non pensò a cose come poter tornare indietro e tenere la bocca chiusa: non aveva peccato di stupidità nel porre di nuovo una domanda scomoda nell’arco delle stesse ventiquattro ore, al contrario era stato ben cosciente sia di una possibile reazione dall’altra parte non proprio positiva, sia della sensazione che gli avrebbe agitato lo stomaco nell’attesa di quella stessa risposta che sarebbe dovuta venire.

A rendere il tutto appena peggiore di come forse lo aveva ipotizzato nella sua testa nell’arco della giornata, era stato il modo di reagire di Oz, che spesso risultava imprevedibile e inaspettato.

Il tono che aveva usato per fargli quell’unica domanda era stato quello di chi ovviamente se l’aspettava, quasi avesse scommesso su quanto sarebbe durato il compagno nell’astenersi dal darle voce.

Come se poi, in fin dei conti, Noah fosse esattamente come tutti gli altri.

Tuttavia – contrariamente a quanto si stesse agitando in quel momento nella testa del compagno – Oz non aveva pensato negativamente di lui: in realtà, in quel tono mesto c’era una tacita richiesta di scusarlo.

Era ben cosciente di due cose che assolutamente non gli avrebbero mai permesso di prendersela con Noah per una domanda simile: in primis, la propria situazione, che ad occhi esterni non poteva che sembrare non solo strana, ma qualche volta addirittura grottesca. Proprio per questo, oltre che per assicurargli il riposo che gli era stato consigliato dal medico, Oz e Ada avevano sempre evitato di obbligare il padre a presenziare in quelle circostanze dove loro sarebbero stati più che sufficienti come rappresentanza della famiglia Bezarius – specialmente da quando entrambi avevano avuto la loro cerimonia della maggiore età.

Non era uno stupido, Oz: poteva immaginare facilmente lo stupore che le persone provavano nel sentirlo chiamare con un nome che non era il suo e la difficoltà che provassero nell’apprendere che il nome con cui suo padre gli si rivolgeva ogni volta che si incrociavano era quello di un fratello morto ormai cinque anni prima.

Era lo stesso misto di stupore e difficoltà che lui stesso aveva provato la prima volta – insieme alla delusione, al dispiacere, alla tristezza e alla voglia di scappare via.

E poi, c’era Noah: lui che era una persona trasparente, di quelle che non riuscivano ad arrovellarsi troppo il cervello sulle situazioni eccessivamente complesse; lui che era sincero, che pur essendo per sua stessa ammissione qualcuno che non si era mai fatto coinvolgere al punto da considerare un compagno come un “migliore amico” o un amico stretto l’aveva comunque preso a cuore tanto da preoccuparsi per lui ogni volta che il suo istinto – fin troppo sviluppato davvero – gli suggeriva che qualcosa non andava.

Noah era curioso per natura, e incapace di lasciar perdere qualcosa che non lo convinceva, o lo confondeva: perciò Oz quella domanda se l’era aspettata molto prima.

E capiva, in qualche modo, che se era stata ritardata era stato solo nel tentativo di trovare il modo migliore di formularla e di pensare ai pro e ai contro del pronunciarla definitivamente ad alta voce.

Perciò non importava se alla fine, detta in quel modo, poteva sembrare quasi un’accusa – non che non fosse fastidioso almeno un po’, ma fintanto che non vi scorgeva ostilità avrebbe comunque potuto far finta di non aver colto quella sfumatura.

«Sì, ho parlato con Ada.» lo sentì finalmente rispondere dopo diversi minuti in cui non c’era stato che silenzio da parte di entrambi: «E penso che…» tentò di proseguire, interrotto proprio da Oz.

«Non c’è niente… che io possa fare.» fu il mormorio basso, quasi inudibile che arrivò da parte del biondo da un punto imprecisato di fronte a sé: «So cosa stai pensando, o cosa puoi aver pensato quando lo hai sentito. Che mio padre sia… un uomo grottesco, vero? O con un certo gusto dell’orrido, o magari che è un pessimo padre, per quello che fa. Va bene anche se lo hai pensato.» assicurò, come se anziché di una questione seria l’altro avesse accennato al fatto che suo padre teneva la cravatta fuori posto.

Noah sgranò appena gli occhi, ascoltandolo: fino a quel momento non aveva mai fatto troppo caso a quando Oz cercava di rifilargli delle bugie volte nella maggior parte dei casi a non farlo preoccupare per questioni – secondo il biondo – di poca importanza. In quel momento però, su un argomento del genere, non solo non capiva come il compagno potesse ostentare tanta tranquillità come se non fosse che un semplice spettatore di una situazione che non lo riguardava da vicino, ma con quale facilità mentiva spudoratamente e accettava tutto senza nemmeno pensare di provare a cambiare.

Per quanto potesse scusarlo dicendosi che forse ci aveva provato – almeno a giudicare dalle parole con cui aveva esordito – Noah non avrebbe mai potuto capire: anche lui aveva avuto un periodo in cui non c’era stato nulla di più importante che vedere suo padre felice. Anche per quello aveva cercato di tenersi lontano dalla cosa che amava di più fare o, in seguito, aveva dipinto di nascosto; per lo stesso motivo aveva limitato la sua rabbia contro sua madre a sfoghi dentro la sua stanza, quando Chris era al lavoro. Era stato restio a mostrarlo persino a Marcus, quasi nel timore che in qualche modo suo padre venisse a saperlo.

Ma era altrettanto vero che Christopher non aveva dimenticato quanto l’accaduto avesse potuto far soffrire altri che non fossero lui: mai aveva dimenticato di avere un figlio, e mai aveva pensato anche solo per un attimo di dare priorità a se stesso piuttosto che a Noah.

Per questo lui non poteva capire Oz, come non poteva capire affatto suo padre: non poteva immaginare il dolore per la perdita di qualcuno; era diverso sapere che chi se ne era andato era comunque da qualche parte nel mondo, o nel tuo stesso paese, ed avere la consapevolezza che invece non avresti potuto rivederlo mai più.

«Perciò mi stai dicendo… che a te sta bene così? Anche se pensa che tu sia un’altra persona, anche se dovessi fingere per tutta la vita di essere tuo fratello?» chiese quasi a bruciapelo, nel tono l’impazienza di chi aspetta una risposta e spera che sia diversa da quella che teme, desiderando egoisticamente che possa tranquillizzarlo.

«Va bene così da anni ormai.» fu l’unica risposta che Oz gli diede, la voglia di non fare altro che nascondersi infantilmente sotto le lenzuola, dormire e risvegliarsi la mattina dopo come se quella conversazione non ci fosse mai stata.

«…Io non ci riuscirei mai.» sentì dire a Noah prima che tacesse, voltandosi a dargli le spalle deciso a dormire – o a chiudere il discorso comunque.

«Lo so.»

A volte si sperava che la risposta arrivasse provvidenziale a spazzare via i timori, i dubbi o le incertezze, ma purtroppo non sempre era davvero così che andava.

 

 

Da quella chiacchierata notturna era passata quasi una settimana, in cui sia lui che Oz sembravano aver tacitamente deciso di comune accordo di fingere davvero che non ci fosse mai stata: la cosa era stata facilitata anche dal fatto che, approfittando dell’assenza delle lezioni in quel periodo antecedente al ballo di Natale di cui già si respirava l’atmosfera per i corridoi in cui le persone si affaccendavano nei preparativi, ad Oz era stato comunicata la data per il recupero di Storia.

Dopo aver fatto delle lezioni sulla parte di programma che costituiva la sua lacuna, Rufus Barma lo aveva avvisato che ci sarebbe stato un esame per consolidare quanto appreso – e non aveva mancato di rivolgergli un sorrisetto più che divertito nel comunicarglielo e nel vedere l’espressione non proprio esaltata di Oz.

Infine, proprio il giorno dei colloqui, gli aveva comunicato che sarebbe stato nella settimana libera a causa dei preparativi del ballo: a conti fatti, quindi, gli unici docenti impegnati in lezioni o recuperi erano i due Barma, mentre gli altri si potevano facilmente incrociare per i corridoi nel mezzo di scene idilliache.

Come, tanto per fare degli esempi, Xerxes Break che praticamente giocava al tiro al bersaglio con Liam Lunettes e le palline di Natale che stavano portando nell’atrio che avrebbe ospitato un grande albero di Natale, o Alexis Coleman che con un voluminoso filo per quello stesso albero sistemato attorno al collo di Daniel Wayne se lo tirava dietro chiacchierando con voce allegra.

Oz era stato quindi impegnato a preparare quell’esame, e di conseguenza Noah aveva passato la maggior parte del suo tempo con Alice e Marcus; nel caso di quest’ultimo aveva spesso approfittato del fatto che fosse in stanza da solo nel dormitorio, in modo da ritardare volutamente una situazione che vedeva lui ed Oz nella stessa stanza senza sapere bene di cosa parlare. Nel caso di Alice invece, aveva approfittato del primo pomeriggio libero utile per chiederle di accompagnarlo a fare i regali di Natale – offrendole la merenda come promesso.

In quel caso, dimostrando un intuito sempre maggiore di quanto Noah gliene attribuisse, Alice gli aveva chiesto se per caso lui e Oz avessero litigato di nuovo.

«No.» le aveva assicurato, sincero visto che all’effettivo non si poteva davvero parlare di un litigio: «Abbiamo dei punti di vista diversi su alcune questioni, ma penso sia normale. Non preoccuparti però, non è niente di così grave.» aveva continuato, osservandola arricciare appena il naso in un’espressione buffa e poco convinta.

«Menti uno schifo, Keynes.» aveva decretato infine lei; lui si era limitato a ridere.

Ad ogni modo, non era una bugia quella che aveva detto alla ragazza, e probabilmente era stato anche per quello che nei giorni seguenti era tornato tutto alla loro presunta normalità.

«Quando tutta questa roba che implica il ballo sarà finita io sarò l’uomo più felice di Latowidge, se proprio non di tutto il mondo.» sbuffò Noah, mentre camminavano per il corridoio.

Oz ridacchiò, osservando uno degli ennesimi gruppetti di ragazze che incrociavano e che pullulavano in ogni angolo della scuola negli ultimi giorni: si scambiarono uno sguardo che sembrava più che eloquente, oltrepassandole.

Solo quando furono abbastanza lontani ed ebbero voltato un angolo, Noah gli si rivolse: «Con chi ci vai al ballo?» chiese, nel tono la curiosità tipica di lui con una nota di divertimento che avrebbe dovuto far presagire il peggio ad Oz.

Il silenzio confermò a Noah che Oz non aveva esattamente pensato a quella questione negli ultimi giorni – anzi, probabilmente si era anche impegnato a non doverci pensare.

«Lo sai che sono i ragazzi che devono invitare le ragazze?» gli fece presente, l’aria di chi ha appena deciso che sarai la sua cavia per i prossimi dieci minuti come minimo; Oz annuì distrattamente: «Lo so, anche se non capisco perché mai.»

«Lo dici proprio tu che sei abituato alle cene di gala o almeno dovresti aver partecipato a più di una?» lo rimbeccò il compagno.

Il biondo lo fissò di sottecchi, con un moto di odio momentaneo, fiutando la presa per i fondelli – che, conoscendo l’altro, si sarebbe probabilmente protratta fin dopo quel benedetto ballo.

«Oh beh, avrebbe un senso il tuo aspettare ad invitare una ragazza, se…» lasciò in sospeso, fissandolo eloquentemente.

«…se?» lo incalzò Oz, osservandolo incrociare le braccia dietro la testa continuando a camminare: «Se sei tu quello che deve essere invitato. Per esempio, ma lo dico casualmente eh, da uno dei Nightray.» lo sfotté.

Non diede modo all’altro di dire nulla, anticipandolo prima che potesse aprire bocca per lamentarsi dell’ennesima presa in giro su quel versante: «Come tuo amico, compagno di stanza e fan numero uno della tua vita sentimentale Oz, mi sento in dovere di dirti le mie preferenze. Francamente non ti riesco ad inquadrare con Vincent Nightray. Insomma, a parte che è complesso da capire già da solo, siete entrambi biondi. Sai che essendo uno che disegna ho un certo senso estetico, quindi mi spiace ma lui non mi convince.» iniziò, facendo tutto da solo, senza curarsi dell’espressione scioccata di Oz, probabilmente dovuta all’assurdità di quell’ipotesi appena fatta dall’amico.

Che, comunque, continuò imperterrito.

«Di conseguenza rimangono solo Elliot e Gilbert. Non dico che tu ed Elliot non siate abbastanza ben accostati insieme, e avete dalla vostra il fatto che tutte le volte che vi ho visti incrociarvi o vi siete presi a male parole, o avete pronunciato solo frasi sarcastiche e ironiche degne di essere rivolte al proprio peggior nemico, oppure lui non ha fatto che sottolineare con un certo impegno quanto detesti la tua famiglia. E tutto questo è degno di un romanzo in cui i protagonisti prima si odiano, poi si amano.» fece notare, l’aria di chi si stava prendendo piuttosto seriamente la formulazione di quelle ipotesi.

Sospirò, con aria melodrammatica: «Comunque, io tifo per Gilbert. Perciò non tenermi sulle spine: ti ha già chiesto di andare al ballo con—»

«Seriamente, la puoi piantare Noah?» borbottò Oz, fissando prima lui per qualche istante, poi portando lo sguardo di fronte a sé; la sua sfortuna fu che il rossore che, seppur lieve, gli aveva appena imporporato le guance era risultato più che visibile per Noah.

E fu chiaro dalla risata che l’altro si fece: «Va bene, va bene, per adesso ti lascio in pace. Ma quando sarai in crisi, senza sapere cosa fare, e cercherete comprensione e consigli per la vostra relazione clandestina, torna pure da me. Io ne so qualcosa, mon ami.» se ne uscì, dando un motivo più che valido ad Oz per rivolgere nuovamente l’attenzione a lui.

«E da quando tu parli francese?» gli chiese interdetto.

«Non parlo francese infatti. Ma leggo romanzi degni delle ragazze: non sono mai intellettualmente complicati, il che li rende adatti a me. A parte quando sono eccessivamente diabetici, o quando non preferisco leggere libri di arte o favole per bambini.» chiarì, strizzandogli l’occhio.

Oz decise che non voleva sapere di più su quell’argomento, dunque cambiò totalmente discorso, allontanandosi dalla questione romanzi rosa e gusti discutibili.

«A proposito del ballo, tu parli tanto, ma come farai?» tentò di punzecchiarlo il biondo, per vendetta: «Marcus se ne starà buono a guardarti andare al ballo con una ragazza?» insinuò, osservandolo con la coda dell’occhio mentre si immettevano in un corridoio appena più trafficato.

«Non ho desideri suicidi per il momento, perciò ho dovuto trovare qualcosa che potesse soddisfare le tre richieste principali per quella serata.» replicò Noah nel massimo della tranquillità, suscitando a quel punto la curiosità di Oz.

«Sarebbero?» lo interrogò infatti.

«Facile: non mettere al corrente tutti il mondo della nostra situazione non proprio fraterna, trovare una dama che non mi chieda di ballare ogni due secondi, e far sì che la suddetta dama non scateni l’ira di Marcus che porterebbe o al tentato omicidio di lei, o al mio andare in bia…» si interruppe, come se avesse detto davvero troppo stavolta.

«Ok, questo non vuoi saperlo. Comunque, ho trovato una compagna che fa al caso mio.» proseguì Noah, proseguendo con il nome senza che ci fosse bisogno per Oz di chiederlo: «Alice.» concluse il compagno.

Ed effettivamente, supponendo che la ragazza difficilmente si sarebbe staccata dal buffet, poteva anche darsi che per Noah fosse stata la scelta migliore – ma nessuno avrebbe tolto dalla testa del biondo il fatto che solo pensarli come una coppia fosse allucinante.

Né nessuno lo avrebbe distolto dall’idea precisa che Marcus non sarebbe stato contento comunque, nemmeno trattandosi di Alice il cui rapporto con Noah sembrava quello di due bambini che si facevano i dispetti ogni tanto per noia, più che qualsiasi altra cosa anche di poco più profonda.

Fu Noah ad attirare nuovamente la sua attenzione, picchiettando appena con un dito contro la sua tempia: «Quindi, come la risolverai visto che Alice viene con me?» domandò, il sorriso sempre presente ad incurvargli le labbra, stavolta senza quella sfumatura di divertimento quasi sadico.

Oz ci pensò su, riportando lo sguardo sul corridoio mentre si avviavano per la rampa di scale che conduceva all’atrio: «Avevo pensato di invitare Sharon, all’inizio.» ammise, trovando l’approvazione del compagno nel suo annuire.

«Però lei va con Xerxes Break.» aggiunse, nemmeno avesse notato che, oh, avevano forse lucidato le scale recentemente?

Noah invece ne fu – com’era anche prevedibile – più che sorpreso, tanto da fermarsi con un: «Eh?!» che distava di poco dallo scioccato. Oz ridacchiò, decidendo che magari quello poteva essere il preludio della vendetta che certamente avrebbe architettato ai danni di Noah per le prese in giro appena subite.

«…Senti, mi distruggi delle certezze dicendomi così senza darmi una spiegazione. Ero convinto che la relazione di Xerxes con Barma che è ormai di dominio pubblico almeno a livello di pettegolezzo fosse cosa assodata. Tipo che a breve si sposavano, roba così.»

«Esagerato.» lo rimbeccò Oz, agitando appena una mano con fare tipico di chi ritiene la cosa altamente improbabile – anche se doveva ammettere di aver pensato lo stesso di quella presunta relazione tra Barma e Xerxes solo per vedersela poi praticamente confermare davanti agli occhi quando li aveva incontrati in città con Gilbert.

«Anche io ci sono rimasto quando me l’ha detto. A parte la storia di Barma, più che altro è il fatto che lei è una studentessa e molto più giovane.» riprese il biondo, gli ultimi gradini che venivano scesi raggiungendo finalmente l’atrio: «Ma Sharon mi ha spiegato che lui è legato alla sua famiglia da tanti anni, da quando lei era ancora piccola. Credo, per quello che ho capito, che il rapporto tra loro sia più simile a quello di un fratello e una sorella con una certa differenza d’età, che non altro. E ufficialmente lui ha spesso presenziato al suo fianco, per questo credo si ripeta la stessa cosa.» concluse, esprimendo ad alta voce il pensiero che aveva fatto dopo la chiacchierata con la ragazza.

Noah annuì, dando segno di aver capito e anche di essersi in parte tranquillizzato – seriamente, Oz credeva fosse più per la conferma che il rapporto Barma-Break di cui era probabilmente fan fosse salvo che non per aver saputo che non c’erano rapporti fra un quasi trentenne e una quindicenne.

«Quindi, escludendo Sharon?» lo incalzò nuovamente Noah, tornando all’attacco.

Oz sbuffò, raggiungendo la mensa: «Ma non lo so!» sbottò – e prese nota mentalmente di non stuzzicare mai più l’interesse di Noah Keynes.

«Se ti interessa, ad Alyster non lo puoi chiedere, lei va con il fratello.» asserì.

«…Non lo avrei chiesto comunque ad Alyster. Anche perché pensavo la invitasse Elliot.» ammise – in realtà non aveva formulato quel pensiero per chissà quale atteggiamento rivelatore avesse scorto nel minore dei Nightray, quanto più per l’aver notato che la ragazza sembrava essere una delle poche che almeno riusciva a non irritarlo e a non farsi rispondere male da lui.

Oz sospirò, individuando il tavolo dove di solito sedevano in gruppo, individuandovi già Marcus ed Alice – e non si guardavano con amore, motivo per cui il biondo li indicò a Noah affrettando il passo: «Mi sa che per il momento è meglio andare a mangiare. Anche perché nel pomeriggio devo fare il ripasso per l’esame.» asserì, un sorrisetto un po’ preoccupato, se si sapeva scrutarlo bene.

Cosa che Noah per forza di cose ormai si stava abituando a fare: «Con chi fai il ripasso?» domandò curioso.

«Con Aedan.»

 

 

Si lasciò andare contro lo schienale della sedia, l’aria di un uomo distrutto, sospirando.

Lasciò cadere le braccia al lato del corpo, cercando di rilassarsi e sbirciando in un secondo momento la persona sul letto di fronte a lui che sembrava fresca come una rosa.

Non era la prima volta che vedeva Aedan senza la divisa, anzi era forse la persona che più aveva visto con abiti diversi all’interno di Latowidge: spesso si era ritrovato a pensare di averlo incrociato più volte con altre vesti che non con quelle richieste. Ricordava di averne anche parlato con Alyster, che si era spiegata dicendo semplicemente che essendo Aedan una guardia del corpo prima che un vero e proprio studente, ad eccezione delle lezioni gli era consentito girare per i corridoi con abiti più comodi.

Ed effettivamente, a ben pensarci giacca e camicia non doveva essere proprio il massimo della comodità per certi movimenti; forse proprio per questo non gli sembrava una cosa nuova, il fatto che ora non indossasse la divisa, specie poi considerando che erano a studiare in dormitorio.

…Già, studiare.

Quando si era reso conto che non gli avrebbe fatto male avere qualcuno che lo aiutasse con il ripasso, si era chiesto chi potesse essere d’aiuto: era stata Ada a consigliargli di chiedere ad Aedan, sostenendo che se si parlava di studio sicuramente lui era uno dei più indicati.

Non sapeva esattamente come o perché Aedan avesse accettato – specie considerando il fatto che non si allontanava mai da Ethan Sparrow se non per qualche specifico lavoro da fare per Sirjan, a detta di Noah – ad ogni modo ne aveva approfittato.

Ma nessuno gli aveva detto quanto professionale potesse diventare Aedan Shaye quando si trattava di studiare o far studiare terze persone; oltretutto, cosa anche inspiegabile almeno secondo i canoni di studio di Oz Bezarius, non sembrava stancarsi praticamente mai.

Era vero, il biondo non poteva vantare di essere dedito allo studio a tutte le ore del giorno e della notte, specie poi in materie che lo annoiavano terribilmente, ma Aedan era qualcosa di allucinante davvero.

Erano su quei libri da almeno due ore, e sembrava ci si fosse appena messo, lo sguardo e l’espressione che non tradivano la minima stanchezza: al punto che Oz, fino a quando l’attimo prima l’altro non aveva pronunciato la parola “pausa”, aveva seriamente temuto che sarebbe morto prima di arrivarci, a fare l’esame.

Per lo stesso motivo, quando sentì la porta della stanza dov’erano aprirsi – quella di Aedan più precisamente, scelta perché sicuramente meno soggetta a visite improvvise – fu grato a chiunque fosse per la semplice consapevolezza che la pausa si sarebbe protratta un po’ più a lungo.

Fu un po’ spiazzato dal veder entrare qualcuno che non riconobbe subito, ma che a quanto pareva non aveva trovato la stessa difficoltà nel riconoscere lui; richiudendosi la porta alle spalle e volgendo lo sguardo verso l’interno, assunse un’aria un po’ sorpresa nel trovarvi qualcuno, forse aspettandosi che Aedan fosse in giro.

Comunque la sorpresa non durò granché, quasi subito sostituita da un sorrisetto: «Bezarius.» salutò con naturalezza, nemmeno si conoscessero bene e si vedessero tutti i giorni.

Aedan alzò lo sguardo dal libro, portandolo in direzione del nuovo venuto: a giudicare dall’espressione, era qualcuno che andava e veniva dalla stanza dell’altro come voleva – Oz non ci credeva quasi, ma gli era sembrato di scorgere sul viso di Aedan un impercettibile mutamento, anche se non avrebbe saputo definire con precisione cosa esprimesse in quel momento.

Poi, prima che il moro pronunciasse un saluto, Oz ricordò finalmente di chi si trattava: glielo aveva indicato Noah, ma non avendogli mai rivolto la parola e non capitando spesso di incrociarlo per la differenza di anno, Oz lo aveva rimosso.

«Ethan… Sparrow, giusto?» tentò, osservandolo e vedendolo annuire mentre si liberava della giacca della divisa, poggiandola sullo schienale della sedia alla propria scrivania.

«Fate come se non ci fossi, eh?» si raccomandò, recuperando un libro e portandosi vicino al letto sul quale sedeva Aedan: nel passargli accanto, portò una mano a scompigliare i capelli del compagno di stanza in un gesto che sembrava essere abituale, quotidiano.

Aedan lo seguì con lo sguardo finché Ethan non si fu seduto a sua volta sul letto, sistemandosi in una posizione comoda per leggere: quando la ebbe trovata, sembrò far caso all’occhiata di Aedan e alzò appena una mano in sua direzione.

«Tranquillo, tranquillo, è tutto a posto. Sono rimasto con Marcus in biblioteca finora.» assicurò, rispondendo ad una domanda che Aedan non aveva posto e che Oz si chiedeva come potesse l’altro averla intuita senza segnali evidenti.

Ma era assai probabile che nessuno capisse Aedan meglio di Ethan Sparrow, nemmeno Sirjan che sembrava in qualche modo abituato a relazionarsi con lui lavorandoci assieme in alcune occasioni; e per contro ad Aedan sembrò bastare quella rassicurazione ed Oz poté giurare di averlo visto rilassare appena le spalle.

Immaginò solo in quel momento che doveva aver chiesto a qualcuno di tenere d’occhio Ethan per lui, o che avesse acconsentito ad aiutarlo nello studio rinunciando al poter controllare il compagno da vicino solo sapendolo in un posto non a rischio – con Marcus, in questo caso.

Forse, pensò in quel momento, Aedan si preoccupava molto più di quanto non desse a vedere e la sua professionalità come guardia del corpo non era data dal semplice senso del dovere che provava nei confronti del protetto in quanto tale.

Quasi a confermarglielo, arrivò la scena più astratta del mondo che mai avrebbe attribuito alla figura di Aedan Shaye: lo vide poggiarsi sul materasso, distendendosi in buona parte rispetto alla posizione seduta di poco prima, e lasciare che la testa si appoggiasse proprio sulla gamba di Ethan.

Quest’ultimo, alzando per pochi istanti lo sguardo dal libro che nel contempo aveva aperto in corrispondenza del segno cartaceo tra le pagine, fece un sorrisetto senza dire nulla, lasciandolo fare.

Oz sbatté appena le palpebre, in un misto tra curiosità e sorpresa in parte: Aedan non era mai stato uno che dava l’impressione di ricercare il contatto fisico, eppure con il compagno di stanza pareva quasi un bisogno – ben celato e per nulla esagerato o paragonabile a quello di una persona con dimostrazioni di affettività o pensiero “normali”, per così dire, ma un gran passo avanti se si considerava l’indole taciturna e indifferente dell’altro.

Già… magari Aedan non era poi così male.

«…so?» sentì arrivare solo la fine della frase che Aedan doveva aver rivolto a lui, visto che lo stava guardando.

Portò una mano a grattarsi distrattamente la nuca, abbozzando un sorriso: «Scusa, non ti ho sentito.»

«Nel 1254, cos’è successo?» ripeté la domanda l’altro, lasciando ad intendere che la pausa era finita; Oz tacque, cercando di far mente locale: «Ehm… la morte dell’allora signore di Revelle?» tentò, non proprio sicurissimo a dirla tutta, ma l’annuire di Aedan lo tranquillizzò.

Lo vide porgergli il libro: «Se hai domande puoi farne.» disse, laconico come al solito, ma disponibile; Oz prese il libro dalle sue mani, occhieggiando la pagina in cui erano. Le scorse in avanti, ricercando a colpo d’occhio date o avvenimenti che ricordava meno o non ricordava affatto.

Dopo qualche tempo in silenzio, ne intravide una: «Ecco, nel marzo del 1476…»

«La caduta del regime di Konrad Bishop ad opera di Jean Vilian, quattro notti.» si fece sfuggire Aedan scioccando un Oz incredulo che lo fissò.

«…Non dirmi che sai tutto il libro così.» lo pregò, il tono a metà fra l’ammirazione e la disperazione – se fosse stato davvero in grado di ricordare così tutte le date, ci sarebbe inequivocabilmente stato qualcosa di ben poco umano in lui, o non si spiegava.

Aedan però annuì: «Quasi tutte. Le più importanti almeno.» replicò con semplicità, come se fosse ovvio, ed Oz si chiese se tutte le guardie del corpo erano così e, nel caso, se non fosse stato il caso di procurarsene una, possibilmente con il suo stesso aspetto e da mandare a sostenere l’esame con Barma al suo posto.

Ma giusto così, tanto per stare sicuri.

«…Gennaio 1715.»

«Formazione del governo che stabilisce la collaborazione delle cinque casate ducali più potenti.»

«Agosto 1532.»

«Colpo di stato dell’allora governatore del territorio della capitale, Raymond Raine. »

«Novembre 1612.»

«Te la sei inventata, l’unica data di quel periodo è il 1610 per il cambio di sede della capitale da Revelle a Sabrié.» ribatté Aedan, fissandolo eloquente.

E a quel punto, ad un’uscita simile, Oz si arrese all’evidenza che almeno per la Storia Aedan Shaye avesse davvero una memoria mostruosa e fuori dall’umana concezione.

 

 

«Alla buon’ora.» sentì pronunciare con tono stizzito mentre richiudeva la porta alle proprie spalle; ridacchiò senza nemmeno controllare da chi fosse venuto il rimprovero, visto che non era la prima volta e dunque non c’era davvero di vedere per indovinare.

Oltretutto, aveva subito proprio in quell’istante una sorta di agguato consistente in una sedicenne che gli si buttava letteralmente addosso – e lui immancabilmente la assecondava, portando una mano a scompigliarle i capelli: «Vince, Vince, sei arrivato finalmente!» esclamò lei, mentre il biondo andava a prendere posto sul divanetto dell’ufficio in cui si era recato.

Charlotte Baskerville lo osservava, le braccia incrociate al petto, poggiata al bordo della cattedra: i capelli lasciati sciolti e tenuti in ordine lateralmente solo da alcune forcine, scendevano per lo più sulle spalle adagiandovisi morbidamente.

Aveva ancora indosso gli abiti che solitamente usava lì a scuola, durante le lezioni o semplicemente per girovagare nei corridoi le poche volte che le capitava di farlo: aveva l’espressione di chi non ha proprio tutta la pazienza a propria disposizione, indispettita da qualcosa o da qualcuno.

Nel caso attuale probabilmente da entrambi e tutte e due le cose avevano come medesima causa Vincent Nightray: «Dovevi essere qui venti minuti fa.» gli fece presente, per quanto cosciente di quanto fosse inutile in realtà. Da quando si era ritrovata a dover collaborare con lui al di fuori di occupazioni prettamente scolastiche, aveva imparato che quel ragazzo raramente era puntuale e ancora più raramente stava davvero ad ascoltare quanto gli veniva detto, a meno che non rientrasse nella sfera dei suoi interessi personali.

E i rimproveri più o meno velati di certo non erano fra quelle poche cose che ascoltava.

«Lo so, sono stato trattenuto.»

«Come al solito, d’altronde.» insinuò lei fissandolo in maniera piuttosto eloquente, il cipiglio severo che si rilassava appena risolvendosi in un sospiro rassegnato: tirare la corda con Vincent Nightray non si era mai dimostrato utile allo scopo, qualunque esso fosse.

Lo osservò sedersi con tutta calma sul divanetto di fronte a lei, la ragazzina che lo seguiva sistemandosi senza troppi complimenti in braccio a lui, attirata dal biondo stesso come se fosse la prassi – e, effettivamente, lo era.

«Allora, cosa c’era di tanto urgente, Lotti?» domandò lui, abbandonando ogni formalità che le rivolgeva durante gli orari scolastici, al di fuori di quegli incontri.

«Ho saputo della brillante iniziativa verso Oz Bezarius. Pensavo che fosse chiaro senza doverti fare degli esempi che cosa potesse fargli sorgere dei dubbi e cosa invece potesse lasciarlo nell’ignoranza come ci servirebbe facesse.» gli fece notare, il tono palesemente sarcastico.

Vincent, il sorriso per nulla mutato, al momento sembrava più interessato alla ragazza di cui cingeva la vita e che stava giochicchiando con una ciocca di capelli biondi; la vide imbronciarsi: «Non è stata Zwei a parlare.» chiarì subito, volendo sottolineare che la sua fedeltà nei confronti del biondo non era vacillata nemmeno per un secondo, al contrario di quanto potesse sembrare.

«A dire tutto è stata quell’odiosa di Echo.» pronunciò poi in un sibilo infastidito, guardandosi le mani; Vincent sorrise appena più ampiamente, una voluta sfumatura maliziosa nell’incurvarsi di labbra mentre la mano che non cingeva la vita della ragazza andava a prenderle in mento, obbligandola ad alzare lo sguardo.

«Echo è stata cattiva. Dovrei punirla?» domandò, in un gioco che Charlotte trovava piuttosto inutile se non per la nota di sadico divertimento che assumeva tutte le volte.

Quando era entrata in contatto con Vincent Nightray e la sua servitrice in quel modo, le era stata presentata come Echo: presto era stato però chiaro che ci fosse qualcosa di strano, di particolare. Non ci era voluto molto perché finisse con l’incrociare anche Zwei.

Perché esattamente ci fossero due personalità così marcatamente distinte, o da cosa fossero causate, erano cose che Charlotte non aveva mai avuto modo di scoprire; doveva però anche ammettere di non essersi impegnata più di tanto nell’investigare. Ai fini dei loro scambi di informazioni o della loro cosiddetta “collaborazione”, non era una cosa che aveva necessariamente bisogno di sapere.

Dunque, semplicemente se ne era tenuta fuori.

Più palese era stato il modo molto diverso con cui Zwei ed Echo si approcciavano a quel Vincent; senza contare poi che, a dispetto di quanto si potesse credere dalla totale assenza di pudore e scrupoli da parte di Zwei, era una personalità scomoda da gestire.

Non che Echo fosse molto più incline a parlare senza il permesso del suo padrone, ma Zwei era totalmente ingestibile da quel punto di vista.

«Sì, puniscila, Vince! Trattala male! Perché non la feriamo, Vince?» la sentì quasi canticchiare quelle parole, l’eccitazione nel tono al pensiero di cosa esse riflettessero palese.

Zwei era ingestibile perché animata più da follia e crudeltà che non da altri sentimenti. Quello che non capiva era il continuo e perpetuo assecondarla di Vincent, come se non temesse minimamente che questo un giorno avrebbe potuto portare lui stesso a perderne il controllo di cui disponeva invece ora.

«Mh, non posso proprio Zwei.» replicò costernato, una falsa cortesia: aveva imparato che Vincent Nightray non era mai sincero.

…Probabilmente proprio per quello erano in grado di lavorare decentemente insieme per quel che gli serviva: erano perfettamente coscienti di nascondersi la maggior parte delle cose e di mentirsi a vicenda senza mai rivelare completamente all’altro le proprie intenzioni, ma erano altresì certi che sulle cose davvero importanti non mentisse nessuno dei due.

«Perché no, Vince?!» esclamò l’altra, il tono appena più stridulo e irritato per quella negazione.

Lui se la strinse addosso, il viso vicino al suo: «Perché se ferissi Echo, ferirei anche Zwei, no?» sussurrò maliziosamente da quella scarsa distanza.

«Se avete finito di fare i vostri comodi, non ti ho chiamato nel mio ufficio per lo sfogo dei tuoi ormoni adolescenziali, Vince.» lo sfotté, sottolineando quanto potessero farsi i loro comodi altrove senza farle perdere tempo.

Lui rise infantilmente, rivolgendo lo sguardo verso di lei: «Non essere gelosa, Lotti.» la prese in giro, rischiando qualche istante dopo che un blocco di fogli dall’aria non leggerissima si abbattesse sulla sua testa – se non accadde fu solo perché si spostò prontamente lasciando che affondassero nella parte superiore della poltrona.

«E tu non chiamarmi Lotti. Tanto più che non mi interessano i ragazzini.» aggiunse, un sorrisetto malizioso che stavolta partì come una chiara provocazione da parte sua anziché dal biondo.

Prese posto sul divanetto di fronte a lui, un tavolino basso fra loro sul quale poggiò quello che sembrava un fascicolo bello pieno.

Vincent vi rivolse la sua attenzione, senza rispondere: «E quello?» la interrogò subito, un’occhiata curiosa ai fogli che da quella posizione era impossibile sbirciare.

«Quelli sono i compiti che devo correggere, lascia perdere.» replicò l’altra: «Piuttosto, non sarà che ti è passato per la testa che minacciare poco velatamente Oz Bezarius non era esattamente il massimo per tenerlo all’oscuro delle cose per il tempo utile?»

«Non vedo perché. Tanto, da accordi, prima o poi lo scoprirà lo stesso.» replicò lui annoiato, l’interesse per il fascicolo sparito appena scoperto di cosa si trattasse.

«Non va bene per niente! Se ti sto assecondando è solo perché Bezarius è l’unico che può mettermi in contatto con quello lì. Ma questo non significa che puoi fare come ti pare, visto e considerato che abbiamo un accordo.» gli fece presente, irritata.

Vincent, una mano che sfiorava appena la pelle sotto il bordo della camicia della divisa di Zwei, sorrise appena, enigmatico: «L’odio di una donna è proprio pericoloso.» osservò casualmente, ritrovandosi un attimo dopo con Charlotte protesa verso di lui dopo aver facilmente aggirato il tavolino, una lama vicino al suo collo con la stessa espressione che se gli stesse porgendo una caramella.

Il sorriso che le incurvava le belle labbra connotava quella nota di divertimento che solitamente era più tipica di lui che non di lei: «Hai ragione, l’odio di una donna è pericoloso. Perciò vediamo di far sì che non te ne attiri troppo addosso, mh?» sussurrò.

Lui la osservò per un attimo piacevolmente sorpreso, guardandola poi tornare dritta e recuperare i fascicoli di compiti da poggiare in cattedra, dandogli le spalle.

«Vedi di ricordartelo, l’accordo che abbiamo.» disse, aprendo la porta in un tacito invito ad andarsene: «Non mi importa cosa dici o fai a Bezarius. Ma non prima che mi faccia incontrare con Jack.» chiarì, mentre Vincent alzatosi e assicuratosi che Zwei rimanesse lì – almeno finché non fosse tornata Echo – aveva raggiunto la porta.

Si chinò appena verso di lei: «Se me lo dici in questo modo, professoressa, di certo non potrò proprio far finta di averlo dimenticato.» osservò con falsa innocenza, varcando poi la soglia e richiudendosi lui stesso la porta alle spalle.

«Tsk, ecco perché odio i ragazzini.» sbottò lei, allontanandosi.

 

 

Aveva lasciato che Noah andasse avanti, dal momento che si era preparato prima di lui: alla fine, caso aveva voluto che avesse dovuto recuperare l’esame proprio il giorno del ballo, dunque la mattinata l’aveva praticamente spesa in compagnia di Rufus Barma – e suvvia, se lo sarebbe volentieri evitato.

L’esame era stato fissato per le dieci del mattino, ma Noah gli aveva consigliato di andarci con largo anticipo e lo aveva accompagnato nel caso in cui non ci fosse stato nessuno, per tenergli compagnia.

Di certo non c’era la folla lì presente, ma erano una decina di studenti: tra questi, Oz non aveva faticato a riconoscere Echo, scoprendo che anche lei avrebbe dovuto fare quell’esame – trattandosi si una servitrice, aveva ipotizzato Noah, probabilmente partiva svantaggiata rispetto alla maggior parte degli studenti che invece aveva avuto una certa istruzione anche prima di Latowidge.

Era stato in quell’occasione che Oz aveva chiesto alla compagna di andare al ballo insieme; a sorpresa, Echo aveva accettato – in realtà più che altro non aveva rifiutato, ma fondamentalmente per Oz il significato era il medesimo.

Perciò a quel punto non aveva più avuto un vero e proprio motivo per non andare e attardarsi; avanzava ora per il sentiero esterno che collegava i dormitori all’edificio centrale in cui non solo l’atrio ma anche le sale più grandi avrebbero ospitato l’evento.

L’unica pecca probabilmente era proprio quella, quel tratto esterno, per quanto breve: la neve ultimamente era caduta con più frequenza, quasi a voler sottolineare la presenza imminente di un bianco Natale, facendo sì che ci fosse ancora più euforia fra gli studenti – e, c’era da dirlo, di qualche insegnante.

Aveva comunque raggiunto l’entrata che dava sull’atrio abbastanza facilmente, avendo anche la fortuna di trovare un momento in cui non stesse nevicando.

L’appuntamento con Echo era stato per le otto meno un quarto, vicino al grande albero che da un paio di giorni occupava un angolo dell’atrio, finalmente completato; così, quando entrò varcando la soglia, non faticò molto a ritrovare quel punto.

Vi si diresse, notando quanto probabilmente la maggior parte degli studenti fosse già nell’altra sala in attesa dell’inizio ufficiale del ballo fissato per le otto; con un’occhiata poté quindi facilmente indovinare di essere arrivato per primo rispetto ad Echo – in un certo senso soddisfatto, dopotutto per quella sera era il cavaliere e doveva essere un gentiluomo impeccabile.

Si mise quindi vicino all’albero, così da poter facilmente osservare l’atrio e al tempo stesso essere individuabile per Echo senza grossi sforzi: sentiva il vociare arrivare dalla sala attigua, e provò ad immaginare come potessero averla sistemata per l’occasione; a detta di Noah, facevano sempre le cose in grande in occasioni come quella.

Si voltò, sentendosi toccare la spalla, non trovando nessuno dietro di sé: per un attimo, qualcosa dentro di lui quasi gli impose di inquietarsi per quello.

Era diventata una strana e non proprio benvoluta prassi, il fatto che ogni qual volta avesse una sensazione insolita questa dovesse necessariamente concretizzarsi in un fenomeno che di normale aveva poco – in compenso una volta su due almeno si rivelava abbastanza pericoloso però.

Si voltò nuovamente, imponendosi di non farci caso: doveva essere un po’ di suggestione e niente di più, dal momento che aveva controllato e non c’era niente.

O quantomeno lo pensò e se lo ripeté mentalmente fino a che non ebbe la sensazione che quel tocco ci fosse sul serio sulla spalla: l’idea di ignorarlo gli attraversò la mente, ma che lui fosse sempre stato tipo da darla vinta alla propria curiosità non era mai stato un mistero per nessuno, tanto meno per se stesso.

Quasi sperò di non trovare nulla.

Invece, non senza sorpresa, si ritrovò ad osservare una ragazza: i capelli lunghi e scuri, lisci, la cui frangia le copriva appena il viso e l’abito bianco e semplice, nulla di elaborato che potesse far pensare di primo impatto alla partecipazione ad un ballo più o meno ufficiale come era quello.

Non era certo di conoscerla, a dire il vero: gli dava la sensazione tipica di qualcuno che sicuramente da qualche parte hai già visto, ma al tempo stesso non trasmette la familiarità delle persone con cui parli ogni giorno.

Avrebbe potuto pensare facilmente ad una compagna di corso con cui però non aveva mai avuto modo di parlare, perché avrebbe facilmente spiegato la cosa: tuttavia non poteva farlo.

Il fatto stesso che lei fosse non esattamente corporea, almeno a guardarla e a discapito del tocco che poteva giurare di aver avvertito sulla spalla, gli suggeriva che si trattasse di quel qualcosa che era stato uno degli ultimi argomenti di conversazione con Sirjan.

Lei rimase immobile ad osservarlo per diversi istanti, dopo i quali non fece altro che muovere le labbra, come per dire qualcosa, senza che però Oz riuscisse a cogliere alcun suono preciso.

Assunse un’espressione quasi di scusa, senza nemmeno rendersene conto, e lei allungò una mano a cercare di sfiorare o prendere le sue – non avrebbe saputo dire con esattezza quale fosse il suo intento.

Fu strano: non riuscì ad afferrargliele davvero – cosa che convinse quasi del tutto Oz di avere davanti proprio uno degli spiriti menzionati da Sirjan e Alyster – ma la sensazione di essere sfiorato da qualcosa, qualcosa senza un nome preciso, la ebbe ugualmente.

Come un tocco, ma non un tocco vero e proprio; qualcosa che né nella sua testa, né tanto meno a qualcun altro avrebbe saputo spiegare decentemente.

«Chi…?» tentò con cautela, la sensazione che avrebbe potuto facilmente spaventarla con un qualsiasi gesto involontario che lei avrebbe potuto interpretare come una minaccia forse; si diede dello stupido, in un primo momento: non era proprio normale stare a preoccuparsi di fare del male a qualcosa che non riusciva nemmeno a toccare propriamente.

Vide lo sguardo di lei farsi persino più malinconico di quanto non fosse apparso già al primo sguardo.

…Si aspettava cosa da lui? Forse che la riconoscesse?

«Ah, io… non ricordo bene. Ci siamo già… incontrati?» tentò, osservandola, una mano che istintivamente si era allungata un po’ in sua direzione.

Lei la osservò, quasi stesse decidendo se fidarsi o meno; tuttavia, fece appena in tempo a guardarla rivolgere la sua attenzione a qualcosa che si trovava oltre le sue spalle, prima che sparisse completamente in brevissimo tempo.

«Che fai?» sentì pronunciare alle proprie spalle, voltandosi velocemente e inquadrando la figura di Echo che lo osservava; sorrise istintivamente: «Piccola Echo!»

«Ho detto che è Echo e basta.» grugnì lei immediatamente, facendolo ridacchiare.

«Guardavo l’albero, deve essere quello a cui ho visto lavorare Coleman e Wayne!» replicò, il sorriso subito al proprio posto, rivolgendo uno sguardo più attento a lei.

Indossava un abito carino, un po’ più sbarazzino di quelli che aveva visto indossare alle dame più adulte di qualche festa a cui la sua famiglia era stata invitata: era di un bel blu, non eccessivamente scuro e riprendeva il nastro che le legava i capelli più corti lasciando invece libere le ciocche che già normalmente le incorniciavano il volto.

«Che carina ~!» canticchiò, osservandola arrossire divertito e porgendole il braccio da bravo cavaliere: «Andiamo?» chiese, il tono cortese un po’ per gioco, un po’ per reale gentilezza, aspettando che l’altra – un po’ impacciata, ma immaginava fosse normale visto che probabilmente non era abituata – accettasse il suo invito per avviarsi dapprima verso la sala, e poi varcarne la soglia entrandovi del tutto.

 

Lo osservò entrare in sala con la ragazza al servizio dei Nightray, lo sguardo chiaro che aveva accarezzato con nostalgia e dolcezza la figura del più giovane prima che sparisse dal suo campo visivo.

Solo allora, sicuro dell’assenza di persone nell’atrio si spostò dal proprio nascondiglio – anche se definirlo tale era comunque in qualche modo sbagliato: pochissime persone li vedevano, specialmente se non desideravano essere visti. Era anche per quello che gli era permesso rimanere in quella scuola, dopotutto.

Bastava non rompere il patto che c’era.

Fu seguito quasi subito da una figura più minuta, in quel momento tutta presa a giocare con la sua treccia: lui la lasciava fare, per nulla infastidito, rivolgendole anzi uno sguardo accondiscendente; e pensare che Alice non era affatto pericolosa, quando si riusciva a non farla agitare.

Sospirò appena: il vero problema era la presenza di luoghi in quell’istituto in cui lui non potesse assolutamente recarsi.

«Jack, Jack, balliamo anche noi quando comincia la musica?» chiese lei, abbandonando la treccia che era stata il suo intrattenimento fino a quel preciso istante, portandosi davanti al biondo saltellando appena tra un passo e l’altro.

Lui le sorrise nuovamente, annuendo: «Certo Alice, se ti fa piacere, balleremo anche noi.» le assicurò con dolcezza. Lei sorrise raggiante, suscitandogli un moto di tenerezza nell’osservarla.

«Sì, balliamo!» ripeté nuovamente, quasi a dare ancora più enfasi alla questione, neanche fosse la cosa più importante del mondo – e a pensarci seriamente per un attimo, si disse Jack, probabilmente era davvero fondamentale per lei.

«Ehi, Jack» si sentì chiamare una seconda volta: «Persino quella lì si è fatta vedere, eh? Non senti più confusione da qualche giorno?» chiese, il tono divertito come se fosse per una festa a simile a quella che stava per iniziare nella stanza accanto.

Il biondo portò lo sguardo sul punto in cui poco prima aveva visto apparire e poi scomparire Lacie, lo sguardo ora preoccupato: «Credo sia perché anche gli altri lo sentono.» sussurrò a se stesso, senza che Alice lo udisse.

«Comunque, ho davvero una brutta sensazione.» aggiunse, stavolta udibile anche per lei, che danzava con l’aria nell’atrio mentre la musica nell’altra stanza iniziava a suonare.

 

 

Entrati nella sala principale del ballo, erano ammutoliti entrambi, ritrovandosi a fissare a bocca aperta come dei bambini che si meravigliano per ogni cosa la grande sala.

Seppure i lampadari elaborati e la grandezza dell’ambiente fossero entrambe cose a cui erano abituati vivendo in quell’istituto, altrettanto non poteva dirsi dell’atmosfera che si respirava ad ogni passo.

Le prime cose che erano saltate all’occhio erano state alcune decorazioni natalizie, non eccessive né troppo abbondanti nella quantità, ma belle e di una certa eleganza.

Per lo più si trattava di nastri rossi che richiamavano uno dei classici colori natalizi, e solo in alcuni punti sporadici – spesso in corrispondenza delle finestre più grandi – si scorgeva qualche vischio; alle pareti erano state accostate lunghe tavolate con tutti i cibi possibili ed immaginabili, mentre in altre due più piccole erano state organizzate le bevande più varie, con più di una persona a servirle.

Probabilmente, fu il primo pensiero di Oz quando fu in grado di scostarsi mentalmente dallo stupore che aveva colto sia lui che Echo, l’effetto di meraviglia generale era in gran parte dovuto agli occupanti della sala: se anche gli abiti degli uomini e dei ragazzi non differivano molto tra loro se non per modello, essendo tutti per la maggior parte di colore nero e spezzati nel monocolore solo dalla camicia bianca o, in casi più rari, da accessori minimi come cravatte, nastri, foulard o fiori all’occhiello, le ragazze offrivano uno spettacolo assai più vario.

Data la possibilità come in occasione del concerto svoltosi quello stesso mese, avevano dato sfoggio di una vasta gamma di colori nei loro abiti: quando Oz aveva iniziato a guardarsi intorno alla ricerca dei compagni e li aveva individuati insieme a formare un gruppo abbastanza numeroso, la cosa gli era parsa quasi più evidente.

Aveva invitato Echo a raggiungerli con lui, indicandoglieli, e si erano diretti appunto verso di loro.

Il primo a notarli era stato Noah, che Oz aveva già visto con il suo abito quando era uscito dalla stanza e che notò essere di poco diverso da quello di Marcus – comprensibile se si provava a supporre che fossero stati entrambi scelti da Cecile.

Pantaloni semplici e neri, camicia bianca – per una volta, anche nel caso di Noah, tenuta in ordine dentro i calzoni – e giacca scura poco più lunga della vita; sia Noah che Marcus avevano optato per un nastrino sotto il colletto della camicia, simile a quello che erano abituati a portare per la divisa, nero per entrambi.

Con loro c’erano Alice, in un abito rosso non eccessivamente elaborato ma abbastanza elegante per l’occasione, i capelli tenuti in due code come ogni giorno, ma adornate con due nastri della stessa tonalità dell’abito.

Subito dopo, Oz riconobbe la sorella: Ada aveva i capelli ordinati in un chignon elaborato e ornato di un fermaglio dal tema floreale, sul lillà, in ripresa del colore dell’abito, appena più chiaro dell’accessorio. Le fasciava il corpo rendendo giustizia alle forme e lasciando le spalle scoperte: portava dei guanti corti e gli rivolse un sorriso nel vederlo.

Accanto a lei stavano la sua compagna di stanza Karin Hamilton, in un abito di un blu appena più chiaro di quello di Echo, i lunghi capelli corvini legati in una treccia e tenuti su in un chignon meno elaborato di quello di Ada ma ugualmente elegante che le lasciava scoperto il viso sorridente; era affiancata da Clifton Lafayette, i cui capelli scuri erano legati in una coda bassa e ordinata da un nastro blu scuro, l’abito di poco differente da quello degli altri ragazzi in sala, la giacca solo appena più lunga tanto da arrivare leggermente sopra il ginocchio.

Teneva il braccio semi piegato, nella classica posizione che permetteva alla sua dama – Karin, suppose senza doversi impegnare troppo per indovinare – a poggiarvi la mano come la ragazza al suo fianco stava facendo.

«Ton-ton, so che ti chiediamo un grandissimo sforzo, ma essere uomo per una volta? Stai arrossendo come una ragazzina!» sentì qualcuno sfottere Clifton e, spostando lo sguardo, intravide anche Sally McFinch.

I capelli corti erano lasciati sciolti, ordinati da una fascia sul verde chiaro in tinta con l’abito lungo poco oltre le ginocchia e quindi più simile a quello di Echo; Clifton in quel momento le rivolse un’occhiata eloquente, mentre Karin ridacchiava sommessamente divertita e interveniva a fare da piacere tra l’amica e il proprio cavaliere: «Sally, non stuzzicarlo.» la pregò gentilmente.

Oz sorrise divertito, spostando lo sguardo verso il resto della sala: vicini all’orchestra che si stava evidentemente organizzando per l’inizio della serata ormai prossimo, intravide Rufus e Miranda Barma che parlavano e non troppo distanti da loro lo stesso facevano Xerxes Break e Alexis Coleman.

Poté individuare facilmente anche Daniel Wayne, che era accanto alla preside Cheryl.

Stava per passare in rassegna un’altra parte della sala quando sentì una voce familiare più vicina di quanto non l’avesse notata poco prima: «Buonasera.» colse, voltandosi e ritrovando Alyster ormai in prossimità del loro gruppo.

Sulla sedia a rotelle, alle sue spalle stava Sirjan, che rivolse loro un cenno leggero del capo; indossava lo stesso abito che gli avevano visto al concerto, quando aveva suonato: l’unica differenza era data dal nastro sotto il colletto della camicia, color ghiaccio. Ancora una volta, poté notare facilmente Oz, dello stesso colore dell’abito della sorella, semplice e senza particolari disegni sulla stoffa, che le fasciava il fisico esile lasciando in parte scoperte le spalle laddove non nascoste dalle bretelle a fascia.

Teneva i capelli legati in una treccia morbida, adagiata sulla spalla sinistra e sorrideva con gentilezza come sempre: «State tutti benissimo.» si complimentò con il gruppo in generale.

Oz le sorrise di rimando, ricambiando il complimento, mentre Noah azzardò a farsi più vicino a lei facendo un inchino di tutto rispetto e prendendole con delicatezza la mano, mimando un bacio sul dorso senza tuttavia sfiorarlo con le labbra, come buona educazione imponeva.

Alyster sorrise divertita, portando la mano libera a coprire appena la bocca nell’atto: «La professoressa Barma sarebbe molto fiera se ti vedesse.» commentò, bonariamente scherzosa, e Noah ridacchiò facendole l’occhiolino dopo che fu tornato dritto.

Oz le si rivolse, approfittando di un attimo di silenzio generale: «Hai già incrociato Elliot?» domandò, più per curiosità che per necessità di incontrare l’altro.

Lei scosse la testa, occhieggiando nei dintorni: «Non ancora, ma penso arriverà a breve insieme ai fratelli.» replicò, alzando appena una mano in un cenno di saluto che, seguendo la direzione in cui era rivolto, Oz e il resto del gruppo poterono intuire fosse diretto ad Aedan che entrava in quel momento nella sala al fianco di Ethan.

Fu così che Noah e Marcus si congedarono dal gruppo per dirigersi a salutarli – Ethan, gli aveva detto Noah, era una delle poche persone che potesse azzardare a definire amico di Marcus.

Quasi nello stesso momento, Alyster e Sirjan fecero lo stesso e il loro posto, quasi fosse stato un accordo, fu preso da due dei Nightray.

Gilbert e Vincent si erano infatti avvicinati al loro gruppo riconoscendoli: un po’ ad imitazione del concerto anche loro vestivano gli stessi abiti ed entrambi avevano i capelli legati in una coda bassa come Clifton; nel caso di Vincent era più ordinata e legata da un nastro rosso, mentre per Gilbert i capelli che sfuggivano al nastro blu erano di più, ma non per questo davano un’impressione di disordine.

Vincent sorrise loro ampiamente, tanto che dentro di sé – non lo espresse al resto del mondo perché proprio non era il caso di rovinare e rovinarsi la festa – Oz si ritrovò a pensare che il mezzano dei tre Nightray doveva avere fra le sue molte qualità innate la faccia di bronzo.

Apprese poco dopo che si trattava del cavaliere di sua sorella per quella sera – si impegnò tanto a mascherare la sorpresa, ma non fu certo di riuscirci e nulla mise definitivamente a tacere la vocina che martellante, nella sua testa, gli ripeteva qualcosa come: “vendetta personale” e “tu ti avvicini a mio fratello, io mi avvicino a tua sorella”.

 

 

Era stato difficile far mantenere la calma, quando era successo.

All’inizio probabilmente se ne erano accorti in pochi, ma dai più vicini ai più distanti dal punto in cui era accaduto – in un’inquietante somiglianza con il classico effetto domino – diverse teste si erano voltate fra il vociare e alcuni toni che colti di sorpresa erano stati più spaventati di altri.

Oz non era tra i più vicini, ma a fargli capire che qualcosa non andava era stato vedere Aedan che veloce era sfrecciato verso la porta principale, sparendovi oltre.

Cercando nelle immediate vicinanze, a quel punto non era stato troppo difficile individuare uno spazio vuoto tra la folla; era quasi riuscito ad avvicinarsi quando Gilbert lo aveva raggiunto, palesandogli la sua presenza con un braccio attorno alle spalle.

«Gil, che succede?» aveva chiesto, non proprio allarmato dal momento che non sapeva di cosa si trattasse, ma con una sfumatura di iniziale preoccupazione nel tono.

Lui l’aveva guardato, l’espressione seria, incerto se rispondere o meno; poi l’aveva sospinto leggermente verso la porta, senza dargli possibilità di muoversi nella direzione opposta e quando erano stati quasi fuori si era chinato verso di lui.

«Alyster si è sentita male.» aveva pronunciato.

Non gli era stato possibile vederla subito, e si erano anche chiesti come fosse stato possibile portarla in infermeria visto che dalla porta principale né lei né Sirjan erano usciti.

Fuori dall’infermeria, quando l’avevano raggiunta, avevano trovato Noah e Marcus, che probabilmente avevano accompagnato Ethan per ricondurlo dov’era Aedan.

E, poco distanti, Elliot e Reo.

Aedan era uscito dall’infermeria solo dopo una ventina di minuti, ma il fatto che avesse assicurato a tutti loro di tornare ai dormitori o alla festa a seconda dell’opzione che preferivano, aveva tranquillizzato tutti loro che erano lì ad aspettare.

Alyster rimase al letto per il mese seguente.

 

 

Note dell’autrice

Un parto.

Questo capitolo mi ha succhiato via l’anima. E sappiate che mi sono obbligata a finirlo entro marzo e_e *anche perché il ritardo si sarebbe protratto fino alla morte altrimenti*

Che dire? La frase in apertura è dell’anime “5 centimetres per second”, carino da vedere se avete voglia di deprimervi profondamente alla comoda cifra di soli tre episodi (ma a me è bastato il primo 8D)

Pian piano vi rifilo informazioni, anche se dosarle è sempre un problema; è apparsa anche Lotti-san *A* *festeggia*

E ci provo a scollinare dalle 16 pagine di capitolo ma niente, mi vengono e me ne accorgo che è sempre troppo tardi XD

Ho provato anche a gettarvi qualche scena shonen-ai qua e là, visto che più andremo avanti, più avrò talmente tanta roba nella trama da gestire che sarà un pelo più difficile 8D

Vogliatemi bene lo stesso, ne?

 

Ringraziamenti

 

makotochan: ahimé sì, Oz non ha lo spirito da fangirl, ma come ci siamo già dette in separata sede, Noah sopperisce la mancanza XD *muor* Gil ha imparato a fare il figo… sarà, ma io ridevo come una scema, e dire che sono io a scrivere 8D

Quella lì che trattava così Alice, è la Will of Abyss, che non mi metto a spiegarti con precisione qui chi sia, ma per quanto riguarda “Rinnega il tuo nome” al momento è un presunto spirito con le sembianze e il nome di Alice stessa 8D *attenta a non spoilerare*

Christopher e Noah sono un’arma impropria contro Marcus fondamentalmente e sono troppo stupidi insieme, come si è visto XD In questo capitolo sono stati un pelo più seri – per la serie: i miracoli avvengono ogni tanto – e qualcosa si è capita anche del perché Zai scazza i nomi dei figli come se sbagliasse marca di assorbenti (??)

Spero ti abbia soddisfatta il capitolo ùwù

 

Gioielle: del rapporto Gil-Oz abbiamo largamente già discusso, quindi non starò a ripetermi qui. Non posso che dichiararmi soddisfatta che lo sforzo di accozzarli insieme in tutti i modi che la mente dell’autrice possa concepire siano stati di tuo gradimento XD Gilbert pseudo-seme era un mio sogno proibito, lo ammetto: più che altro, povero, sembra che faccia il seme solo per questioni di fisicità causa Abisso (nel manga)! Diamogli una possibilità! XD

La scena Marcus-Noah, o quantomeno l’accenno, è giusto che venga intesa senza essere commentata u_u; quanto a Vincent e Oz sì, è quella di cui ti avevo accennato.

In conclusione ho una sola cosa da dire: se temevi che fosse solo l’inizio dell’angst che ho intenzione di propinarvi beh, ci hai azzeccato in pieno *ammicca*

 

Fiamma Drakon: Break E’ una fidanzatina appiccata al suo uomo! *muore* XDDD

La Volontà si è aggiunta (e qui è pure riapparsa), perché mi ero ripromessa di mettere dentro tutti i personaggi di PH, fosse stato anche solo per comparsa, non potendo dare a tutti un ruolo di peso. Certo, se la Mochizuki smettesse di sfornarne io non dovrei lambiccarmi il cervello per cercare di inserire anche i nuovi con scarsi risultati, ma vabbé XD

Felice che ti sia piaciuto il precedente capitolo e spero che anche questo sia stato di tuo gradimento – e che la questione Zai-Oz-Jack sia un pelo più chiara soddisfacendo la tua curiosità <3

 

Gweiddi at Ecate: innanzitutto, ti ringrazio per i tanti complimenti. Pensare che tendi a non lasciare recensioni ma che la fanfiction in qualche modo ti abbia spinta a farlo è già di per sé un grosso traguardo per me.

Per quanto riguarda la presenza di Lotti, come detto anche su ho rimediato XP Doveva arrivare il suo momento, tutto qui u.u

Che dire se non un continuo grazie per riscontrare l’IC, per la trama che ti ha presa, per gli interrogativi per i quali non attenterai alla mia vita (XD), per dire che ti suscita emozioni quello che scrivo e non ultimo per amare Noah, che più di altri personaggi originali è stato una scommessa a quanto pare ben riuscita.

Spero che anche questo capitolo possa appassionarti allo stesso modo <3

   
 
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