CAPITOLO 21
- PLEASE, SAVE THE QUEEN -
«Quindi non è su quest’isola che li ritroveremo ma su quella successiva?»
Rufy annuì per rispondere affermativamente alla domanda che la sua cartografa
gli aveva appena posto.
C’erano voluti un paio di giorni di navigazione per far sì che i due
riuscissero a ritagliarsi un attimo di tempo lontano da occhi e orecchie
indiscrete. Fortunatamente, i turni di vedetta notturna erano venuti loro incontro
ed ora stavano lì, in piena notte, a discutere sulle informazioni che il
capitano aveva raccolto dallo scontro con il marine.
«In pratica, una volta arrivati su Mime, non dovremo fare altro che aspettare
il riposizionamento del logpose e partire immediatamente» continuò la rossa «Mi
chiedo, però, come faranno a raggiungerla Robin e Jacques visto che sono prigionieri.»
Il capitano alzò le spalle «Questo non lo so, mi è stato solo detto che ce
l’avrebbero fatta senza il nostro aiuto.»
Nami sbuffò «Potremo fidarci? In fin dei conti sono nostri nemici» si massaggiò
una tempia «E’ anche vero, però, che potevano metterci un po’ più di
convinzione nel venirci dietro. Forse sono davvero dalla nostra parte… ma
perché?»
«Che ti frega?» le chiese il moretto «L’importante è che ci aiutino, no?»
«Uhm…» rimuginò, invece, l’altra «Non mi piace non capire quel che sta
succedendo. Soprattutto mi manda in bestia il fatto che qualcuno di noi possa
essere un traditore.»
«Non dire sciocchezze, Nami!» la riprese il ragazzo «Nessuno di noi è una spia,
è sicuramente qualcuno che ci segue dall’esterno.»
«Ah, non devo dire sciocchezze?» gli rispose lei a tono «Allora perché ti sei
confidato solo con me? Perché non hai chiamato tutti a raccolta e non hai
raccontato ogni cosa? Anche tu non sai più di chi ti puoi fidare, Rufy!»
Il capitano non rispose
“«Ti fidi?»
«Sì»
«Anche se non sai niente di loro?»
«Sì»”
Nella sua mente saettarono le parole che il cavaliere gli
aveva rivolto tempo prima e la sua mano, poggiata sul tavolo della cucina, si
strinse d’istinto in un pugno.
Proprio in quel momento la maniglia della porta girò, gelando il sangue ad
entrambi: chi era? Da quanto tempo era lì? Che cosa aveva sentito?
«Zoro…» sussurrò Nami, tirando un silenzioso sospiro di sollievo non appena
l’uscio si aprì. Di certo non poteva essere lui la spia, così come non potevano
esserlo Sanji, Chopper, Usop e Franky. Il traditore, se era davvero a bordo,
non poteva che essere uno degli ultimi tre arrivati.
«Bravi!» esordì lo spadaccino bloccandole il flusso di pensieri «E’ così che
controllate la navigazione, facendo salotto?»
«L’ho controllata pochi minuti fa» spiegò la rossa stizzita «Sia il tempo che
il mare sono stabili, possiamo permetterci un po’ di relax. Tu, piuttosto, che
ci fai sveglio a quest’ora?»
«Avevo sete…» fu la semplice risposta dell’altro.
«Tieni.» gli disse lei lanciandogli la chiave del frigo.
«Ehi!» sbottò il capitano improvvisamente «Com’è che a lui l’hai data subito?»
E quella domanda per poco non fece strozzare lo spadaccino col sakè che si era
appena portato alle labbra «Cosa?»
Nami avvampò e sparò dritta sulla fronte del compagno la tazza vuota del tè,
poi si rivolse al moretto «A te la chiave
non l’ho data perché ti saresti spazzolato tutte le provviste!» ringhiò con
una dentatura degna delle belve più feroci.
«Ma sei cretina?» sbraitò a sua volta Zoro, portando una mano al bernoccolo che
gli si era appena formato sulla fronte «Perché cavolo mi hai colpito?»
«E me lo chiedi anche?!» continuò lei alzandosi dalla panca e mostrandogli il
pugno.
Rufy non capì il motivo di tanto nervosismo ma non poté fare a meno di
scoppiare a ridere «Siete troppo divertenti ragazzi!»
La cartografa ruggì qualcosa di non meglio definito. Lo spadaccino, invece, non
se ne curò e andò a sedersi al tavolo con loro «Si può sapere che cosa state
nascondendo, voi due?»
Fu così che il capitano smise di ridere e la navigatrice si quietò «E’ da un
po’ che siete strani, direi dal giorno in cui siamo fuggiti da quella ragazzina
e dal comandante.»
«Come hai fatto ad accorgertene?» gli chiese Nami incredula.
«Anche se non sembra…» le rispose lui « … questo babbeo qui…» indicò Rufy al
suo fianco con un pollice « … è un libro aperto per me. E anche tu, cara la mia
mocciosa, non hai quasi più segreti.»
Incredibilmente la rossa non si alterò per la frecciata che le era appena stata
rivolta, anzi, sorrise bonaria ma non gli rispose, si limitò ad abbassare il
capo.
Il capitano, invece, gonfiò le guance indeciso sul da farsi.
«Non importa» sentenziò Zoro, prendendo un altro sorso di sakè «Io mi fido di
voi» sospirò «So che non avresti mai lasciato l’isola se non avessi avuto la
certezza che Robin e Jacques non erano più lì, neanche se avessi avuto tutta la
Marina alle calcagna. Qualunque cosa tu abbia in mente, sei il mio capitano e,
quindi, ti seguirò. Anche se, devo ammettere, sapere che almeno tu ne sei al
corrente… » aggiunse riferito a Nami « … mi rende un po’ più tranquillo.»
Rufy non disse niente, si limitò a sorridere e a calarsi il cappello sugli
occhi. D’improvviso, poi, si alzò e sfoderò la sua dentatura allegra e
sfavillante «Bene, visto che ora qui ci sei tu, io me ne vado a dormire.»
«Che coooosa?» sbottò lo spadaccino alzandosi a sua volta, ma l’altro se l’era
già svignata.
«Non dirmi che ti dispiace rimanere qui con me» lo stuzzicò la compagna.
Lui si voltò nella sua direzione «Non dire sciocchezze, mocciosa» ghignò
andandosi a sedere al suo fianco.
«Il solito buzzurro» mugugnò la rossa prima di appoggiarsi al suo petto. Stette
un attimo in silenzio poi continuò «Mi dispiace non poterti dire nulla ma…»
«Smettila di pensarci…» la interruppe « … te l’ho detto, ho piena fiducia in
voi: lui è il mio capitano e tu…» sorrise portandole una mano fra i capelli « …
sei la mia irascibile e taccagna metà. La mia vita vi appartiene. Fate ciò che
volete, quello che conta è che li riportiate da noi»
Hina si era presa ancora qualche giorno di tempo. Doveva essere assolutamente
certa che nessuno l’avrebbe scoperta, per questo controllò minuziosamente la
frequenza con cui l’assistente del Dottor Graves andava a verificare le
condizioni del prigioniero e si assicurò che la lumaca mera da lui utilizzata
fosse stata usata quella e quella volta soltanto.
Controllò le poche provviste che le erano rimaste, l’orario ed, infine, il
prigioniero: era esausto, troppi i giorni che non mangiava, non dormiva e le
occhiaie profonde, unite al colore cianotico della sua pelle – per tutto il
sangue perduto – gli davano un aspetto a dir poco spettrale. Era il momento
giusto per agire.
Jacques lanciò un’occhiata all’angolo più buio della stanza accanto alla sua,
non che fosse riuscito a scorgere qualcosa di preciso, data la forte luce che
lo accecava, ma sapeva con certezza che c’era qualcuno. Che cosa ci stava a
fare lì? Incredibile che Miguel non se ne fosse ancora accorto ma, forse, era
troppo sicuro di sé per prestarvi attenzione.
La vista gli si annebbiò sotto l’ennesimo colpo e mugolò di dolore: stava
letteralmente andando fuori di testa. Se solo fosse riuscito a liberarsi ma non
poteva farcela con le sue forze, braccato com’era da quel macchinario
infernale, aveva bisogno d’aiuto.
Esattamente allora la marine decise di mostrarsi e, non appena il cavaliere la
riconobbe, i suoi occhi si dilatarono per lo stupore «La Gabbia Nera… »
pronunciò prima che la sua bocca si storcesse sotto l’ennesima scarica di
dolore «Che cosa ci fai qui?» la interrogò.
«Sono qui per aiutarti…» gli spiegò lei avvicinandosi.
Jacques rimase sorpreso da quell’affermazione e sul suo viso si dipinse
un’espressione di incredulità nonostante avesse appena ricevuto una nuova
pugnalata «Che cosa hai detto?»
Ma Hina non ripeté ciò che aveva detto, diede un’ultima occhiata disgustata al
macchinario che aveva di fronte e, prima che il coltello potesse ripartire
verso l’addome del prigioniero, con un semplice gesto della mano lo spense.
All’uomo non sembrò vero, niente più colpi ma prima che potesse gioirne
spalancò gli occhi per due improvvise stilettate ai polsi: libero dai bracciali
cadde a terra in ginocchio «Ma che diavolo?»
«Mi dispiace…» gli disse lei « … ma non avevo le chiavi. Tanto puoi guarirti,
no?»
«Quello non è un problema, grazie» rispose lui mentre il sangue, ora libero di
riformarsi completamente, tornava a colorare la sua epidermide e le ferite ai
polsi si rimarginavano «Perché mi stai aiutando?» le chiese mentre si rimetteva
in piedi.
Hina lo guardò negli occhi, sostenendo il suo sguardo senza timore «Sinceramente?
Non ne ho idea…» sospirò « … ma sembra che le mani in cui sei finito siano
molto più pericolose del fatto di averti in libertà. Ho recuperato questo»
aggiunse lanciandogli il suo mantello «E questo, ti servirà» concluse dandogli
un eternalpose.
Jaques prese ogni cosa «A cosa mi servirà?»
«A ritrovare la tua ciurma» gli spiegò la donna guardandosi attorno, non
avevano altro tempo da perdere lì «Ora seguimi, hai qualcun altro da portare
via con te»
Il cavaliere inarcò un sopracciglio confuso, era tutto così strano «Chi?»
«La Figlia dei Demoni…»
«Che cosa? Robin è qui?!» l’uomo non riuscì a credere alle proprie orecchie
tanto che si spinse a prendere la marine per le spalle «Sta bene? Dov’è?»
Hina rimase un attimo interdetta: era stato un lampo ad afferrarla, quasi non
se n’era accorta, e il suo volto sembrava così… felice? Poi si riprese
scrollando le spalle con violenza e liberandosi dalla sua presa «Non toccarmi,
non puoi prenderti certe confidenze, pirata»
Lui comprese e riportò le braccia, prima rimaste a mezz’aria per l’improvvisa
reazione di lei, lungo il corpo. Tuttavia non abbassò lo sguardo, rimase in
attesa di una risposta.
Risposta che non tardò ad arrivare «Ti porterò da lei, seguimi.»
Sindel recuperò in un attimo il lumacofono portatile dalle tasche della morbida
felpa, solo una persona poteva chiamarlo a quel numero e, certo dell’assoluta
sicurezza di quella chiamata, rispose «Perché mi stai chiamando?»
«I prigionieri?»
Il moro faticò a comprendere «Sono stati consegnati, come programmato.»
«Allora non capisco…» proseguì la persona dall’altro lato, ascoltò per qualche
secondo il silenzio del ragazzo poi continuò «Smoker ha avvicinato la ciurma.
Pensavo l’avesse mandato il quartier generale perché qualcosa era andato
storto. Ma, se così non è stato, perché?»
Sindel ci pensò brevemente «Non mi risulta che il Cacciatore Bianco abbia
ricevuto ordine di avvicinare la ciurma di Cappello di Paglia. Cosa è successo
di preciso?»
«A quanto pare, il commodoro ha avvicinato il capitano e l’ha sfidato ad un uno contro uno , sfida che non si è
risolta con un vincitore anche se il pirata non era ben ridotto. C’è stato
anche un inseguimento ma la ciurma è riuscita a fuggire.»
«Non mi risulta fosse neanche nelle vicinanze della vostra posizione» considerò
il moro.
L’altra persona sospirò «Questo è tutto.»
Lui annuì, la comunicazione finì. C’era qualcosa che non quadrava: certo, era
risaputo del conto aperto che il Cacciatore aveva con Cappello di Paglia, ma
anche se avesse saputo della sua posizione perché fare tanta strada per un
tentativo così misero di cattura? Anche se, in effetti, la spia non aveva visto
lo scontro nel quale il marine poteva aver messo tutta la sua forza… però…
Il caso Flotta dei Sette era
momentaneamente sospeso, vista l’improvvisa impossibilità di rintracciare i
rimanenti membri, quindi, aveva tutto il tempo per indagare.
“Allo studioso di Ohara che leggerà
questo scritto, perché so che non potrebbe essere altrimenti,
sappi che sono veramente dispiaciuta che ti sia ritrovato nella mia stessa
condizione. Non so se riuscirai a leggere prima questo scritto o ti verrà
sottoposta la stele. So di per certo, però, se sei un vero figlio dell’Albero
della Conoscenza, che se dovesse essersi verificata la seconda ipotesi tu non
sia riuscito a completare la lettura. Sarà questo che dovrai fare, anche se
dovrai affrontare nuovamente quel testo abominevole, ma solo così potrai capire
perché ho partecipato a questo progetto.
Ammetto che a spingermi ad entrare a farne parte è stata la sete di conoscenza
che così tanto ci caratterizza, solo l’idea di poter leggere un antico scritto
era bastata a farmi accettare, per poi arrivare all’amara scoperta. A quel
punto avrei potuto cercare di fuggire, ma non ho potuto.
Nel corso degli anni alcune fasi del progetto erano state portate in chiaro e
per quanto la possibilità che, con innumerevoli esperimenti, arrivassero al
prodotto finale fosse remota, affidarsi al caso era una scelta troppo rischiosa
per non parlare delle numerose vite ancora innocenti che avrebbero spezzato
senza alcuno scrupolo, sarebbe stata una vera carneficina. Fu così che mi
convinsi a leggere tutto e, incredibilmente, scoprii che esisteva un modo per
poter arginare i danni, tuttavia, troppo effimero per potervi contare. Perciò decisi
che avrei finto di seguire il progetto per poi distruggerlo: ero disposta a
macchiarmi dei loro stessi crimini e a morire per salvare il mondo da
quell’antica minaccia.
Un po’ superbo e sciocco, forse, ma ero giovane e piena di ideali. Alla fine, però,
non riuscii più a portare a termine il mio piano… perché? Perché, finalmente,
avrei potuto dare un figlio a mio marito e tradire non significava più mettere
solamente in gioco la mia vita.
Così, prima di lasciare tutto per crescere mia figlia, puntai ogni cosa su
quella remota possibilità e scelsi, inoltre, coloro che avrebbero potuto
cercare di fermare il tutto se quella speranza fosse risultata vana.
Dopo due anni passati meravigliosamente con la mia famiglia, mio marito partì
per un viaggio e non fece mai più ritorno, morendo in circostanze misteriose.
Il dolore della perdita si mescolò alla sicurezza che la sua morte fosse
collegata alla mia partecipazione al progetto maledetto. Decisi di lasciare mia
figlia, sebbene fu una delle scelte più difficili della mia vita.
Tornai su quest’isola appena in tempo per salvare la mia unica speranza dallo
smistamento: un bambino di tre anni di cui nessuno si era mai occupato, nemmeno
sapeva parlare. Convinsi il capo del progetto ad affidarlo a me e, così,
iniziai ad educarlo nel corso degli
anni. Fino ad oggi.
Al momento, le mie ultime ricerche mi hanno condotto alla scoperta del luogo in
cui giace uno strumento che sarà per lui molto importante, ho già un amico che
saprà custodirlo fino al momento opportuno. Il tempo di rimanere qui per noi è
quasi giunto al termine: una volta abbandonata quest’isola non potrò più
prendermi cura di lui, io devo tornare da mia figlia e sarebbe troppo
pericoloso portarlo con me. Sarà il futuro a decidere se avrò vinto o meno questa
folle scommessa.
E’ questo che voglio dirti, studioso di Ohara, non gettare la tua vita
ribellandoti ma fingi, fingi di aiutarli e stilla, in questo assurdo progetto
dove l’uomo si diverte a fare Dio, il gene della speranza.”
Robin richiuse il foglio che aveva tra le mani dopo averlo letto per
l’ennesima volta in quei giorni. L’aveva tenuto con sé, il dottore neanche se
n’era accorto. Ripensò alle parole della madre, aveva vinto la scommessa…
sorrise… di certo non senza complicazioni.
«Una scommessa davvero azzardata, mamma» sussurrò sfiorando ancora la carta con
le dita.
La bambina al suo fianco si girò agitata nel sonno, la donna le regalò una
carezza sul capo che ebbe il potere di calmarla subito. Era riuscita a farla
tornare a mangiare e, garantendo che le avrebbe impedito di farsi del male, era
riuscita a convincere il dottore a liberarla dalle catene. Tuttavia non era
ancora riuscita ad ottenere la fiducia necessaria a farla uscire da quella
cella, condizione che valeva anche per lei durante la notte. Ancora meno poteva
sperare che il collare di agalmatolite le venisse tolto.
Tornò col pensiero alle parole della madre: aveva deciso di non farli
incontrare da bambini perché l’aveva ritenuto troppo pericoloso. Decisamente
curioso il destino, senza contare che il loro era andato ben oltre dall’essere
un semplice incontro. E se il destino l’aveva voluta lì e le aveva fatto
trovare quello scritto, l’avrebbe assecondato, per questo aveva deciso che
avrebbe seguito ciò che Nico Olvia le aveva lasciato.
Così aveva finito la lettura della stele e aveva scoperto com’aveva potuto
nascere Jacques dal corpo di Morte, perché sì, era proprio il contrario di
quello che aveva sempre creduto: il corpo dell’uomo che amava era stato creato
per essere Morte, non Jacques. Lui era nato per una piccola sequenza di codice
genetico in più, grazie a sua madre.
Sapere che, ad un certo punto dell’esperimento erano necessari degli ovuli e
degli spermatozoi umani, l’aveva indotta alla disperata ricerca dei nomi dei
donatori: la sola idea che Jacques avrebbe potuto essere suo fratello era a dir
poco agghiacciante. Era bastato spiegare al dottore di aver bisogno di più
tempo per documentarsi al meglio e l’aveva ottenuto. In questo modo aveva
scoperto i donatori degli altri tre cavalieri, nomi che non le dicevano niente,
ma non quelli di Jacques sebbene avesse potuto tirare, comunque, un sospiro di
sollievo quando trovò un documento in cui Olvia rifiutava categoricamente di
diventare una donatrice. Le rimanevano ancora pochi documenti da controllare ed
erano proprio nella cella assieme lei, in modo che potesse consultarli anche
durante il suo momento di reclusione. Quello, però, non era il momento, ora era
tempo di riposarsi.
Si sdraiò sulla branda accanto alla sua piccola compagna di prigionia, era
incredibile come quella bambina le si fosse affezionata e pensare che ancora
non conosceva nemmeno il suo nome. Ancora non sapeva cosa ci facesse lì, in
nessun documento aveva trovato una spiegazione della sua presenza, ma anche
quella sarebbe stata una cosa che avrebbe scoperto. E, con quella convinzione,
si assopì.
Tristan finì di sistemare la sua parte di bucato appena raccolto e, dopo un
sonoro sbuffo, si sedette sul suo letto. Era così cambiata l’aria che tirava su
quella nave: da quando erano spariti Robin e Jacques, la vita di bordo aveva
perso la vivacità e la situazione era persino peggiorata quando erano stati
costretti dall’inseguimento di Smoker ad abbandonare l’isola dove li avevano
persi. Rufy era strano, quasi rassegnato a qualcosa che non poteva gestire;
Zoro seguiva i suoi movimenti in disparte e gli altri, semplicemente, tiravano
avanti nelle loro mansioni aspettando che qualcosa si smuovesse. Quella più
strana, però, era Nami: concentrata al massimo sulla navigazione, come se sfogasse
nel suo compito ogni frustrazione. Non avrebbe saputo dirlo con certezza ma,
delle volte, sembrava che gli rivolgesse degli sguardi glaciali. Forse poteva
essere la sua immaginazione: quell’aria pesante ormai lo stava opprimendo, non
c’era da stupirsi se stava diventando paranoico. Il ragazzo, però, non poteva
sapere quello che passava per la testa della rossa: Nami, infatti, aveva
cominciato ad analizzare i vari fatti ed escludendo i compagni di sempre, si
era dedicata ad analizzare gli ultimi tre arrivati. I suoi sospetti, infine,
erano cominciati a concentrarsi su di lui, in fin dei conti Tristan era l’unico
ad essere salito di sua volontà sulla loro nave, li aveva addirittura cercati
mentre Claire ed Alyssa erano state portate lì loro malgrado.
L’ennesimo sbuffo ed il blu si alzò, aveva decisamente bisogno di prendere un
po’ d’aria e di constatare se ci fosse stata terra in vista, cercare di
distrarsi un po’ avrebbe giovato di sicuro a tutti anche se immaginava, appena
messo piede a terra, sarebbe scattata la caccia alle informazioni: magari
avrebbero fatto l’ennesimo buco nell’acqua ma di sicuro sarebbe stato meglio
del senso d’impotenza che comportava l’essere bloccati in mare aperto sulla
nave.
Dopo aver attraversato il corridoio, il ragazzo si ritrovò a salire le scale e
con calma arrivò in coperta: il ponte era deserto in quel momento, solo a poppa
riuscivano ad intravedersi alcuni enormi pesi usati dallo spadaccino nei suoi
allenamenti. Sorrise tra sé, Zoro era un pazzo. Si voltò e si diresse verso la
polena, luogo preferito del capitano al momento rintanato chissà dove, e fissò
l’orizzonte: quel che video lo pietrificò. Perché, sebbene fosse ancora
distante, era impossibile non riconoscere l’enorme castello al centro esatto
dell’isola… era troppo presto… non era assolutamente possibile… come diavolo
avevano fatto ad essere già arrivati fin lì?
“ «Possibile che non possa girare l’occhio un momento senza che tu sparisca in
un attimo da qualche parte? E’ quasi incredibile come tu riesca a non perderti
in questo labirinto.»
La donna entra nella stanza e si avvicina, passo dopo passo, al bambino che ha
di fronte e solo allora si accorge su cosa il piccolo sia così concentrato.
Olvia, infatti, nel cercarlo, non aveva prestato particolare attenzione al
percorso fatto e si era ritrovata nella sala dei cilindri, il luogo dove tutto
aveva avuto inizio. Era proprio uno di quelli ad averlo rapito, in particolare
quello bianco… il suo.
L’archeologa non ha il coraggio di dirgli nulla mentre lui osserva quel vetro
con sguardo attento, vi appoggia le mani sopra e le ritira subito dopo quasi
intimorito.
«Mamma…» è questa parola a riscuoterla, pronunciata dal piccolo in direzione
del vetro gelido. Avverte un groppo in gola per quella situazione così triste e
con una mossa rapida lo circonda con le braccia.
Il bambino sgrana gli occhi per lo stupore, sebbene lei sia sempre molto
affettuosa con lui, quella è la prima volta che lo abbraccia e in quel momento
pensa che sarebbe bello se il contatto materno fosse così dolce e caldo, non
gelido e distaccato com’è in realtà.
«Sarò io la tua mamma, almeno per un po’»
Quelle parole lo lasciano interdetto, come può una persona fare da madre?
Lei nota il suo smarrimento e sorride passandogli dolcemente una mano sul capo
«Non fare quella faccia, le mamme sono prima di tutto donne. Anch’io sono una
madre sai?»
Lei una mamma? Non è possibile.
«Guarda» continua lei mostrandogli un piccolo pezzo di carta «vedi questa è la
mia bambina, ha quasi la tua età»
Il piccolo guarda la bambina sulla foto, sa cos’è perché una l’ha già vista,
anche se per poco tempo, ma quella che sta vedendo è così… bella? Con quel
piccolo sorriso e gli occhi grandi e azzurri, così simili a quelli della donna
che ha accanto. Niente a che vedere con l’aria arrabbiata e gli occhi gialli
della prima che aveva visto. Di riflesso guarda se stesso nel vetro, non
assomiglia per niente a quella cosa che ha di fronte. Assottiglia gli occhi
chiari, quasi arrabbiato con ciò che l’ha ingannato poi si gira e prende la mano
di colei che per un po’ sarà la sua nuova mamma.”
«Caine, che diavolo stai facendo? Non abbiamo tempo da perdere» lo riprese
Hina voltandosi nella sua direzione accortasi, poco prima di imboccare il nuovo
corridoio, che il pirata non la stava più seguendo.
Lo sguardo di Jacques, fino ad un secondo prima completamente perso nel
passato, riprese lucidità. Con uno scatto levò la mano dal vetro del grosso
cilindro… che cosa aveva visto? Sì, era sicuro di aver visto qualcosa ma perché
non riusciva a ricordare? Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri, la
marine aveva ragione, non avevano tempo da perdere. Non appena riprese a
seguirla, però, si rese conto di conoscere perfettamente il percorso e si
bloccò.
«Che c’è ancora?» lo interrogò di nuovo la Gabbia Nera, ormai stava decisamente
perdendo la pazienza: non si rendeva conto che stavano rischiando grosso? Lei
si era esposta irrimediabilmente in quella faccenda, farsi beccare sarebbe stata
la fine di tutto, probabilmente anche della sua vita.
«Forse è meglio che tu vada». Le sue parole la riscossero «Come?»
Lui la guardò, con quegli occhi dal colore così strano «Hai già fatto fin
troppo per me. Immagino che se riuscissero a trovarti per te sarebbero guai
grossi. Vai via, è la cosa migliore.»
Un pirata che si preoccupava per la sorte di un marine? Assurdo…quanto un
marine che aiutava un pirata a fuggire!
«E come speri di poter trovare Nico Robin in questo labirinto? Hai ancora
bisogno del mio aiuto»
«No…» ribadì Jacques « … io so
come arrivare a dov’è rinchiusa. Non c’è
bisogno
che continui ad accompagnarmi.»
Hina era stupefatta «Com’è possibile?»
«Non lo so» rispose sinceramente l’uomo «Ma sono sicuro di conoscere il
tragitto. Fra poco Miguel si accorgerà della mia assenza ed inizierà a
cercarmi, tu non dovrai più essere qui.»
La marine valutò la situazione: lasciarlo andare era troppo rischioso,
soprattutto dopo quello che avevano messo in gioco, d’altra parte lui era così
maledettamente sicuro di quel che diceva… «D’accordo prendi la donna e vattene
da qui. Vai ad ovest, dovrai camminare per diverse ore ma, alla fine, arriverai
ad una caletta nascosta fra la vegetazione. Lì troverete una barca abbastanza
robusta da farvi giungere alla prossima isola. Per trovarla userete il logpose
già magnetizzato che troverete a bordo. Arrivati all’isola, però, dovrete
ripartire subito con una nave più grande seguendo la rotta indicata
dall’eternalpose che ti ho già consegnato.»
«Perfetto» annuì il cavaliere «Allora le nostre strade si dividono qui,
grazie.»
Hina scosse il capo «Non farci l’abitudine pirata, non appena questa storia
sarà finita sarai il primo che catturerò.»
Jacques ghignò «Allora tu sarai la prima da cui scapperò.» poi si voltò e sparì
nell’ennesimo corridoio.
La donna sbuffò, Smoker gli aveva detto che i pirati della ciurma di Cappello
di Paglia erano unici nel loro genere ma averci a che fare era tutta un’altra
storia.
Basta, il suo compito l’aveva svolto ed era inutile continuare a rimanere lì:
era ora di andarsene, imboccò un altro corridoio e sparì nella penombra.
«Che ridicoli» sentenziò il dottor Graves riponendo un paio di lettere.
Miguel distolse l’attenzione dal libro che aveva in mano «Che succede?»
«Niente…» gli rispose l’altro «Stavo solo valutando i nostri committenti.»
«E sarebbero ridicoli?» gli chiese il più giovane inarcando un sopracciglio.
Dorian sorrise «Certo che lo sono, pensano davvero che non mi accorga dei loro
penosi tentativi di accaparrarsi i miei servigi esclusivi. E trovo molto
divertente il fatto che cerchino di fregarsi a vicenda.»
Il biondo ghignò «Ad uno dei due dovrà pur cedere alla fine.»
«Certo» considerò l’altro «Ma molto alla fine. Il nostro è un progetto molto
dispendioso e finché si può è meglio assicurarsi le sovvenzioni di entrambi,
poi vedremo chi farà la più vantaggiosa offerta finale.»
«A proposito di questo… pensa veramente che Nico Robin abbia deciso di
collaborare?»
Il dottore sospirò «Non posso prevedere il futuro ma, per adesso, si è
comportata egregiamente: sta consultando le varie documentazioni e i primi dati
che mi ha sottoposto soddisfacevano le mie aspettative.»
L’altro non capì «Aspettative?»
«Ti basti sapere che ho i mezzi adatti per evitare qualsiasi tipo d’imbroglio.»
Miguel alzò le spalle «Va bene, non mi interessa sapere altro» diede uno
sguardo all’orologio attaccato alla parete «E’ l’ora che vada a dare la buona
notte al nostro prigioniero.»
Dorian sogghignò «Vedi di non farlo morire…»
«Le dispiacerebbe?» ironizzò il biondo prima di uscire dalla porta.
«Beh…» considerò Graves « … un
po’ sì, visto che è una mia creatura.»
Robin si svegliò di soprassalto non appena sentì il primo colpo sbattere contro
la porta della sua cella: in quella penombra non si riusciva a distinguere
nulla, istintivamente richiamò i suoi poteri ma poi si ricordò che non poteva
usarli. Quindi, rimase semplicemente in guardia mentre accanto a lei anche la
bambina si svegliava visibilmente spaventata.
Bastò ancora un colpo e le sbarre caddero rumorosamente verso l’’interno,
qualcuno ansimò ed entrò «Robin!»
Alla donna non sembrò vero sentire pronunciare il proprio nome da quella voce,
scattò in piedi in un attimo «Jacques!»
Si ritrovò fra le sue braccia ancor prima di rendersene conto, a quanto pareva
erano riusciti a prendere anche lui. Nell’appoggiarsi al suo corpo, però,
avvertì il contatto con l’umido e l’appiccicoso dei suoi vestiti «Questo è il
tuo sangue!» constatò allarmata.
«Non ti preoccupare, sto bene adesso.» cercò di tranquillizzarla lui ma, non
appena lei gli sfiorò il naso con le dita, si ritrasse trattenendo un gemito.
«Non mi pare, perché quello non è guarito?»
Il cavaliere sbuffò «Questo non è il momento, non abbiamo tempo: dobbiamo
andare prima che si accorgano che sono riuscito a scappare» cercò di esaltarla
iniziando a tirarla per un braccio.
«Aspetta!» lo bloccò lei.
«Che c’è ancora?» le chiese innervosito, Miguel poteva arrivare da un momento
all’altro ed aveva la tremenda sensazione che un eventuale scontro sarebbe
stato tutto tranne che semplice.
«Non possiamo lasciarla qui» continuò la mora liberando il braccio dalla sua
presa.
Jacques si accorse solo in quel momento della piccola che, impaurita, cercava
di tenersi il più possibile lontano da lui «Che cosa ci fa una bambina qui?»
«Non lo so, è per questo che dovremo portare con noi anche questi» aggiunse lei
prendendo alcuni plichi carichi di fogli «Ma soprattutto dobbiamo salvarla!»
affermò risoluta mentre un debole alone azzurrognolo spuntava fra il mantello
all’altezza del collo del cavaliere.
«D’accordo» affermò prima ancora di riuscire a formulare quel pensiero,
stupendosi per quella risposta affermativa immediata. Scosse la testa come a
voler riprendere controllo sulla sua mente. «Dovremo camminare parecchio, la
porterò io. Dovrai usare i tuoi poteri per depistare le nostre tracce.»
«Questo non posso farlo» lo informò lei mostrandogli il collarino.
«Agalmatolite» il cavaliere dovette trattenersi dall’imprecare, non c’era più
tempo «E va bene, ci penso io… anche se non ti piacerà» un sorriso fugace
scomparve con la stessa velocità con cui era apparso, dal viso del cavaliere. I
suoi occhi si fecero glaciali ed i denti stridettero: bastò portare una mano al
collo della cow-girl per liberarla in un attimo da ciò che la opprimeva.
«Questi li prendo io» aggiunse raccogliendo i cocci del collare «E’ meglio che
continuino a credere che tu non possa usare i tuoi poteri. E adesso, ti prego,
andiamocene da qui» la supplicò.
«Andiamo» si trovò d’accordo la donna e si voltò verso la bimba , saldamente attaccata
ai suoi fianchi «Non ti preoccupare, puoi fidarti di lui.»
Jacques si avvicinò alle due chinandosi verso la più giovane «Coraggio piccola,
adesso ce ne andiamo da qui» le disse porgendole la mano.
La bimba non riuscì a credere alle sue orecchie, non aveva mai sentito un uomo
rivolgersi a lei con un tono così dolce e un sorriso così caldo. Sebbene nella
penombra il suo aspetto fosse piuttosto spaventoso, decise di fidarsi della
donna a cui tanto si era affezionata e si lasciò prendere dalle sue braccia.
Una sensazione strana, ma piacevole.
«Jacques, vieni fuori! Lo so che sei qui maledetto bastardo!» ringhiò la voce
rabbiosa del biondo.
La piccola tremò fra le braccia del cavaliere «Maledizione, Miguel» imprecò
lui.
«Che cosa?» esclamò Robin stupita «Il tuo naso…» constatò.
«Ti ho detto che ti spiegherò dopo. Ormai ci ha quasi raggiunto, voi andate
avanti, io cercherò di bloccarlo»
«Non te lo permetterò» si oppose lei alterata, non sapeva cosa Miguel facesse
lì, né perché sembrava avere una voce così adulta o perché sembrava lo odiasse
così tanto, ma di una cosa era certa: non avrebbe lasciato Jacques a combattere
contro l’unica persona al mondo che era seriamente in grado di ucciderlo.
Ripensò a quel bagliore azzurro di poco prima, la collana… «Ti ordino di portarci via da qui, subito!»
Il cavaliere cercò di aprire la bocca per ribattere ma quella non si aprì, al
contrario, la testa annuì decisa, un braccio rese più ferrea la stretta sulla
bambina mentre l’altro andò ad arpionare una mano della cow-girl e, un attimo
dopo, le gambe iniziarono a correre: ligie esecutrici dell’ordine, decise a non
fermarsi fino a che non l’avessero eseguito.
Dopo una notte passata attraccati in un porticciolo secondario, a jolly roger
nascosto, la ciurma poté finalmente scendere a terra. Lo stupore di trovarsi
sulla sabbia, come nell’isola di una delle loro più grandi amiche, fu grande.
«Wohooo! Potremo rivedere Bibi!» esordì
Rufy, la cui gioia di poterla incontrare aveva momentaneamente lenito l’ansia
per i suoi due compagni.
«Non dire sciocchezze!» ringhiò Nami rifilandogli un pugno in testa «Questo
posto assomiglia solo ad Alabasta, ma non lo è. Guardate là.»
Chopper sgranò gli occhi guardando il punto indicato dalla navigatrice «Ma
quello è il castello della mia Drum!»
«Si può sapere che diavolo di posto è questo?» grugnì lo spadaccino «Perché
copiano altri luoghi?»
La rossa alzò le spalle come se la cosa non le importasse, in realtà sapeva
bene che se quel luogo si chiamava Mime un
motivo doveva pur esserci.
«Volete dire che voi avete visitato questi posti?» domandò Claire stupefatta,
lei aveva appena cominciato a viaggiare.
«Sì e molti altri ancora.» le rispose Usop «Se vuoi posso raccontarti di quella
volta che, da solo, ho sconfitto un esercito intero di uomini celesti.»
«Frena l’entusiasmo nasone, nessuno ha voglia di sentire le tue frottole al
momento» sbuffò Sanji sogghignando.
«Perché no? Sarebbe stato divertente…» lo contraddisse la biondina, a Tristan
avrebbe fatto bene. Lei, così sensibile alle emozioni altrui, si era accorta di
come quella situazione l’avesse depresso. Si guardò attorno… ma… «Dov’è
Tristan?»
Tutti controllarono «Qui con noi non c’è» constatò Franky.
«Magari è rimasto sulla nave» cercò una spiegazione il giovane medico.
«Controllo io» si offrì Alyssa e, in un attimo, era di nuovo sul ponte dell’imbarcazione:
si concentrò ed interrogò i suoi sensi felini che le rimandarono il suono del
mare e l’urlo di qualche gabbiano ma nessuno che potesse ricondursi alla
presenza a bordo del ragazzo. Così tornò dagli altri «No, sulla nave non c’è»
li informò.
«Probabilmente avrà voluto farsi un giro da solo» suggerì il cecchino «Non è
neanche la prima volta che succede.»
Sanji si grattò la nuca seccato «Avrebbe almeno potuto avvisare.»
«Già» gli diede ragione Chopper «Soprattutto nella situazione in cui ci
troviamo adesso.»
«Rufy, che facciamo?» gli chiese Nami voltandosi verso di lui.
Il capitano rimase in silenzio a riflettere per un attimo «Andiamo» disse
infine «Informiamoci su quanto dovremo rimanere qui, nel frattempo Tristan
potrebbe tornare. Andremo tutti insieme, nessuno si dovrà allontanare dal
gruppo. Sono stato chiaro?»
Il resto della ciurma annuì ed iniziò ad avviarsi con lui in quel deserto
artificiale.
Camminarono per un po’, prima di rendersi conto che in quella parte non
avrebbero trovato le informazioni che stavano cercando. Decisero di chiedere e,
così, vennero indirizzati alla zona commerciale verso est.
Al carpentiere quasi si strinse il cuore a riconoscere in quella riproduzione i
canali della sua città ed a ricordare tutto ciò che avevano passato per
liberare Robin quella volta. Il fatto che la donna non fosse con loro in quel
momento, e lui sapeva molto bene il perché, rendeva tutto ancora più triste.
Nel mezzo di quei pensieri Franky avvertì la mano del proprio capitano e, nell’espressione
risoluta che gli trovò sul viso, trovò la certezza che tutto si sarebbe
risolto.
Esattamente in quel momento, però, un enorme maxi-schermo iniziò a trasmettere
un’immagine fissa accompagnata da un musica solenne. La gente attorno a loro si
fermò di colpo, ignorando completamente le loro precedenti occupazioni e chinò
il capo in tono reverenziale.
La ciurma si lanciò un’occhiata interrogativa, poi l’immagine sfumò e lasciò
spazio alla figura di un uomo e di una donna vestiti in abiti regali,
chiaramente i sovrani di quel paese.
Erano una coppia assai strana a dir la verità: il re, un uomo a dir poco
insignificante se immaginato spoglio della sua carica, era affiancato da una
regina assai più giovane e avvenente di lui.
Niente di strano, pensò Nami tra sé: i matrimoni combinati, per quanto li
ritenesse disgustosi, erano pratica piuttosto comune tra le famiglie nobili. Una
cosa che non andava, però, c’era eccome: lo sguardo della ragazza, impossibile
da non notare vista la tonalità di verde dei suoi occhi che spiccavano su un
viso incorniciato da lunghissimi e mossi capelli blu, era completamente spento,
perso in chissà quale luogo, come se la sua mente fosse lontana chilometri da
quella sala del trono.
«Popolo di Mime, questo messaggio straordinario da parte del vostro re. Gli
anni della paura sono finiti: colui che da venticinque anni minaccia la stabilità
del nostro regno, da questo momento non sarà più un problema. Il nemico della
monarchia è, finalmente, stato catturato» esordì il sovrano alzandosi dal trono
«Guardate come oggi è stata cancellata l’onta di disonore che gravava su questo
paese.» Non appena l’uomo ebbe finito di pronunciare quelle parole, l’inquadratura
scivolò di lato e mostrò un ragazzo incatenato, tenuto a bada da alcune guardie.
Lo stupore fu generale ma, mentre la gente commentava indignata, la ciurma era
allibita: il prigioniero era uno di loro, l’unico che mancava all’appello
quella mattina.
«Eccovi Tristan Lange, figlio di Lange il traditore. E come suo padre, anche
lui sarà punito in modo esemplare affinché nessun altro osi mai più sfidare le
leggi di questo paese!»
«Lo so che mi stai sentendo!» urlò improvvisamente il ragazzo dai capelli blu
«Non pensare a me ma salvala ti prego, salva la regina!»
Quella fu l’unica frase che riuscì a pronunciare, poi un semplice gesto del re
fece partire la reazione delle guardie: il maxi-schermo si spense.
TO BE CONTINUED...
Mi scuso infinitamente come al solito ma l'ultimo anno sembra essere
particolarmente impegnativo, giusto adesso ho appena finito di litigare
con la stampante che non mi vuole metter su carta la relazione di un
progetto -.- Neanche a dirlo, ha vinto lei.
Via, vi lascio anche perché è l'una passata ù__ù
Ringraziamenti dovuti a chi segue questa storia, anche se ha un andamento un po' altalenante ^^.
Alla prossima e buona notte :P