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Autore: yesterday    13/04/2010    20 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Giulia, il mio coraggio.
A Martina, la mia coscienza.



1.22 Jewels: precious stones used to decorate valuable things. PART TWO

 


Le mie priorità erano radicalmente cambiate; incredibile quanto mezz’ora di viaggio fosse in grado di far sbollire la rabbia e far crescere imponente l’insoddisfazione.
Forse era merito della progressiva lontananza tra me ed Hayama, veloce tanto quanto quella corsia preferenziale che faceva aspettare un‘interminabile coda di automobilisti, o forse quell’inversa proporzionalità che legava me, all’aumentare dei chilometri di distanza, a quella sempre più vivida immagine della ragazzina che aveva osato suonare alla mia porta.
In tutta onestà, se non fossi stata tanto certa che il distacco tra me ed il mio ex ragazzo era permanente e definitivo, mi sarei quasi definita gelosa. Ma no, che assurdità.
Controllai maniacalmente l’orologio che portavo al polso. Prima considerazione: ero in ritardo, Fuka probabilmente me l’avrebbe fatto notare, come me lo faceva notare sempre. Era nella sua indole.
Seconda considerazione: erano passati ventotto minuti e quattordici (quindici, sedici, diciassette) secondi da quando avevo lasciato a casa Hayama e quella. Chissà se erano già arrivati al dunque, o comunque chissà che stavano facendo.
Scossi la testa. No, no.
Per quanto mi facesse evidentemente schifo sapere del mio ex ragazzo a casa mia da solo con una mia vecchia conoscenza, non era la rabbia, il sentimento dominante. O almeno, non più.
Onestamente? Non desideravo altro che lamentarmi. Nel senso pieno, petulante e lagnoso del termine.
Lamentarmi, punto e basta. Poi dormirci sopra, evitare di rodermi il fegato di rabbia (perché al rivederlo sarebbe riaffiorata, oh sì), possibilmente, ma il bisogno primario era esattamente quello: una lamentela in piena regola.
Le porte del tram sfilarono di fronte a me; non appena calcolai che lo spazio fosse sufficiente per permettermi di scendere, scattai verso il marciapiede.
E non m'importava nemmeno della folla di gente che passeggiava per le vie di Osaka ovest, delle vetrine allettanti e neanche di un grande cartellone che ritraeva me posare per un'alquanto nota e costosa marca d'abbigliamento. Avevo bisogno di vedere Fuka, bere un tè – ecco, il tè e la compagnia di Mama sarebbero stati il massimo, ma era un discorso fuori dalla mia portata, Mama e il suo tè erano a Tokyo – e cominciare a – sì, di nuovo, indovinato – lamentarmi.
« Sana, fermati! »
Mi voltai di sfuggita, non ancora consapevole di chi fosse il proprietario della voce, anche se avrei dovuto immaginarlo.
Fuka si sbracciava dall'altro lato della strada, sorridendo.
Tutto ciò che riuscii a regalarle, di risposta, fu una breve smorfia, che in comune con un sorriso altro non aveva che gli angoli della bocca curvi verso l'alto.
Attraversò la strada e mi raggiunse, e io quasi non me ne accorsi.
« Sana, hai una faccia » constatò, dopo avermi stampato un bacio sulla guancia destra.
Mi strinsi nelle spalle.
Camminammo velocemente per la via principale e scese quel silenzio, quello denso di sottintesi e quello del "capisco, ne parliamo arrivate a casa".
E, arrivata a casa, non avrei avuto scampo: o parlare o parlare, nessun'altra possibilità.
Si fermò di fronte ad un grande palazzo, e solo allora mi guardai intorno: inutile dirlo, Fuka aveva scelto un quartiere davvero carino, non molto lontano dalla baia.
Con un gesto della mano mi invitò ad entrare, e schiacciò il pulsante 5 dell'ascensore.
Riuscì a stupirmi: stare in silenzio così a lungo non era da lei, e mi preparai psicologicamente alla raffica di domande a cui mi avrebbe sottoposta, non appena entrata in casa. Almeno, con lei, mi sarei di certo potuta lamentare.
Infilate le chiavi nella serratura, quest'ultima scattò e la porta si aprì.
Entrai in quello che senza il minimo dubbio doveva essere il salotto, chiaro, sui toni dell'azzurro, limpido. Proprio come Fuka. Non che Fuka fosse azzurra, ma volendo era il colore che le avrei affibbiato con più probabilità.
« Diciamo che la casa la vedrai dopo » con un moto circolare della sinistra indicò l'ambiente « prima dimmi che è successo »
Il tono, ovviamente, non ammetteva repliche.

 


***



« Non ci posso credere, quel ragazzo è.. »
« Già » confermai, sicura del fatto che qualsiasi aggettivo a cui la mia amica stava pensando fosse meno offensivo di quelli a cui ero ricorsa io durante il tragitto in tram.
Le mie aspettative non erano state deluse: Fuka aveva cominciato subito con le domande, una dopo l'altra, tanto che per la prima mezz'ora ebbi l'impressione di trovarmi in uno di quei programmi televisivi in cui si rispondeva con la prima parola che veniva in mente.
E poi riuscii a sfogare tutto il mio malumore.
« Sana, ho un dubbio che mi devi assolutamente chiarire. Ma sappi che sarò schietta » mise le mani avanti.
Al che riuscii addirittura a sorridere: « E quando mai non lo sei? »
Puntò per un attimo gli occhi al soffitto, poi si ricompose.
« Capisco che la situazione che ti sei trovata davanti non fosse esattamente la migliore, ma... questa tua reazione, a cosa è dovuta? » si abbandonò ad una leggera smorfia, timorosa di non essersi spiegata bene « Voglio dire, non è che provi ancora qualcosa per lui? »
Era sempre la solita, sempre lei e la sua convinzione che Akito mi avesse spezzato il cuore...
« Non ci pensare proprio. Non sto male, sono furiosa. Come diamine ha anche solo pensato ad una cosa del genere? Voglio dire, siamo stati insieme così tanto tempo, è ovvio che non avrebbe dovuto! Se lui ora è per la teoria "una botta e via, in amicizia, magari un bis in futuro" buon per lui – cosa vuoi che ti dica – ma almeno la decenza di non farmele incontrare! » esplosi.
Mi guardò, scettica. Ancora non l'avevo convinta.
 « Fuka, è una questione di rispetto. E lui non ne ha » conclusi, lapidaria.
« Non metto in dubbio la sua mancanza di tatto, sia chiaro. E' solo che ti vedo sconvolta, e non capisco bene dove finisce la rabbia e dove inizia la gelosia, sempre se di gelosia si tratta »
Sbuffai, di quel passo sarei tornata a casa così tardi che persino Akito si sarebbe preoccupato - il che era veramente tutto dire - la cosa migliore era dire tutto, e dirlo immediatamente.
« Per quanto tu creda nella tua teoria del ragazzo gelido e della ragazza col cuore a brandelli, proverò a spiegartelo lo stesso. Non sono ipocrita; dopo tutto quello che abbiamo passato insieme » tentai di minimizzare, ma in quel momento Sana l’attrice non era presente « è normale che sia una persona importante per me. Per quanto sia statisticamente provato che il novantanove virgola nove percento del tempo lo passo a pensare a quanto sia diventato un detestabile mulo, è stata la storia più importante della mia vita. Almeno, fin ora. »
Potevo quasi vederla annuire, certa di aver appena ottenuto una confessione in piena regola da allegare alla sua meravigliosa teoria, nel modo orgoglioso in cui si allega al curriculum vitae una foto in cui si è usciti benissimo; mi affrettai ad aggiungere: « Ed è proprio quando fai quella faccia, Fuka, che ti sbagli. Non è quel tipo di gelosia. Non è affatto gelosia! E‘ solo strano vedere qualcuno che un tempo definivi tuo rifarsi una vita più velocemente di te.. Oltre al fatto che lo fa in maniera irrispettosa ed odiosa, e.. »
Mi bloccai.
Evidentemente mi dovevo essere addormentata sul divano, e il sogno in cui ero incappata altro non poteva essere che una sorta di parodia perversa della mia vita. Tanto per cominciare, quando mai era successo che io parlavo ininterrottamente per - altra occhiataccia da maniaca all’orologio, seconda considerazione sempre presente in quell’angolino del mio cervello - ..la fenomenale bellezza di sette minuti, e Fuka stava zitta ad ascoltare, senza interrompermi come al solito?
La osservai, era stranamente calma. Tentai con un esempio, se non era un sogno con quello l‘avrei sicuramente fatta scatenare. E vedere Fuka programmare minuziosamente qualcosa di losco è paragonabile alla visita a La Mecca per un musulmano: da fare almeno una volta nella vita.
 « Ora, facciamo finta che tu e Takaishi non stiate più insieme – per carità, spero resterete insieme ancora a lungo, ma entra in quest'ottica » mi fermai per darle il tempo di immaginare « e che viviate ancora qui, sotto questo tetto. Dimmi Fuka, come reagiresti se ti trovassi di fronte le sue, umh, amiche? »
Attesi, e Fuka non mi deluse nemmeno stavolta.
Chiuse a pugno la mano che teneva poggiata sul tavolo, e gli occhi per un momento le arsero. Era entrata nella parte.
« Come prima cosa, gli staccherei i gioielli! » e capii, soffocando una risata per l'espressione con cui aveva scelto di esprimersi, che eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Cominciai a rilassarmi, per potermi godere meglio la scena.
« Poi credo che gli righerei la macchina, poi forse gli brucerei l'armadio. E assumerei qualcuno per gonfiarlo di botte... Anche se per me è più facile, il massimo di Takaishi è una corsa per il quartiere una volta al mese, Akito invece è cintura nera di Karate » si perse per un istante nei meandri del suo cervello che, ci avrei scommesso, erano molto più interessanti dei miei.
Dopo il suo bruciante discorso ero arrivata ad una definizione precisa: Fuka era il mio coraggio. O per meglio dire, il coraggio che mi mancava.
Lo era sempre stata, sin dai tempi delle medie. Entrambe avevamo sempre parlato molto, ma con una sostanziale differenza: io mantenevo un quarto dei propositi, raggiungevo solo un quarto degli obiettivi. Ero deludente, sotto quest’aspetto.
Se Fuka fosse stata al posto mio, invece, la macchina sicuramente l’avrebbe mortalmente sfigurata, l’armadio ridotto a cenere, il povero Takaishi pestato a sangue.. E senza gioielli. Entrambi.
« In definitiva » ammise, calmandosi « sei stata anche troppo gentile »
Aya e Tsuyoshi non erano dello stesso parere, invece.
Mentre aspettavano che prendessi il tram, non avevano fatto segreto del fatto che l'allusione al "premio settimanale" fosse stata un po' esagerata, a loro avviso. Ma poco male, era questione di punti di vista.
Fosse stata la reazione di Fuka, allora che l'aggettivo "esagerata" avrebbe calzato alla perfezione. Mi sentii rincuorata, e continuai a snocciolare tutti i dettagli dell'incontro.
Dopo la mia brillante richiesta di informazioni sulla situazione sentimentale della giovane donzella alla porta, Akito era ricomparso, l'aveva invitata ad entrare e, molto gentilmente, aveva congedato il resto dei presenti con un bel "Ma voi non dovevate uscire?". Sempre il solito galantuomo.
« Come pensi di comportarti, quando tornerai a casa? » sviò un po' l'argomento.
Appoggiai il mento sulla superficie del tavolo, assorta. « Non lo so » confessai « credo che ci penserò durante il ritorno in tram. Ho scoperto che il tragitto mi facilita in qualche modo il flusso dei pensieri »
« Cioè? »
 Sorrisi. « Cioè non credevo che il mio vocabolario di offese circa il signor Akito Hayama fosse così vasto »

 


***

 

Ore undici e quarantasette, palazzo qualsiasi di Osaka centro. Direzione: appartamento Sana.
Dopo aver bazzicato per circa venti minuti (fermata del tram – entrata del palazzo, entrata del palazzo – fermata del tram, fermata del tram – entrata del palazzo) decisi che era un orario accettabile per rincasare.
E se anche non lo fosse stato, chi se ne importava.
In realtà avevo scoperto che il tram mi facilitava solo la scoperta di nuovi e sorprendenti aggettivi per Akito Hayama, ad esempio "puerile". Chi mai avrebbe immaginato che la mia testa avrebbe potuto partorire un simile attributo? Akito era un immaturo. Era decisamente puerile.
Annuii.
In soldoni: non avevo minimamente pensato a come comportarmi, e non avevo nemmeno vagliato le possibili reazioni di lui.
Perchè nonostante avessi tutte le ragioni del mondo, si trattava di Hayama, e il suo cervello non molto perspicace (ero addirittura arrivata al punto di ricamarci sopra figure retoriche quali la litote, che ero fermamente convinta di aver rimosso un minuto e quarantadue secondi dopo averla sentita nominare in classe, ma mai sottovalutare i benefici di un viaggio in tram) avrebbe anche potuto convincersi di avere qualche strana sorta di...ragione.
Mi massaggiai le tempie – queste elucubrazioni mentali non da me erano piuttosto snervanti – e optai per le scale piuttosto che per l'ascensore. Improvvisa claustrofobia?
In ogni caso fu una pessima idea, arrivata al pianerottolo del quarto piano ero semplicemente stremata.
Contrassi tutti i muscoli del corpo quando mi ritrovai di fronte alla porta, e cercai di non pensare che circa tre ore prima in quel punto aveva poggiato i piedini la cara Keiko.
Trovai con facilità le chiavi ed aprii la porta, tesa.
Aya e Tsuyoshi erano seduti sul divano, guardavano una sit-com in seconda serata sul primo canale. Spensero la televisione e mi invitarono ad avvicinarmi, ma rimasi al mio posto, impalata accanto alla porta spalancata, pronta ad uscire.
« E' ancora qui? » chiesi guardinga, indicando la mia stanza.
« No. Siamo tornati un quarto d'ora fa ed era già andata via » si strinse nelle spalle il mio amico.
Tanto meglio.
Tirai un sospiro di sollievo, chiusi la porta e, dopo essermi liberata di cappotto e borsa e sotto due paia d'occhi apprensivi all'inverosimile, abbassai la maniglia della porta che conduceva al campo minato con mano fin troppo tremante.
La stanza era in ordine - a parte per i vestiti che avevo accatastato nel cassetto di Akito quel pomeriggio, e che lui molto gentilmente aveva usato per sommergere il mio letto - lui era seduto sul suo letto, intento ad inviare una mail con il cellulare. (*)
Cercai di non guardarlo, o sicuramente la nausea mi avrebbe vinta.
Non parlò, non parlai. Piegai diligentemente ogni capo abbandonato sul mio letto e lo sistemai nella mia parte di armadio; mi pizzicavano gli occhi dalla rabbia e dallo schifo, e mi ringraziai mentalmente per non aver riordinato durante la giornata. Era il genere di mansione che teneva le mani occupate e gli occhi bassi, proprio l’ideale.
Recuperai il pigiama e lasciai la stanza, ma prima di arrivare al bagno una mano mi bloccò per un braccio.
« Sana! » quasi sobbalzai, voltandomi. Per fortuna era solo Aya.
Scossi la testa: chi credevo fosse?
« Non abbiamo sentito volare una mosca, dal salotto, e ci siamo preoccupati. Sarebbe stato molto più ragionevole e molto più da voi sentirvi urlare dal piano terra » sorrise gentilmente, mentre vedevo alla fine del breve corridoio Tsuyoshi che armeggiava con il lettore DVD.
Mi sentii nascere un nodo in gola. Sarebbe stato proprio da noi, in effetti.
Mi strinsi nelle spalle, recuperando l’autocontrollo sufficiente per parlare.
« Meglio così, no? » espirai « Niente schiamazzi notturni »
Tentò di accarezzarmi i capelli, come a consolarmi, ma glielo impedii scuotendo la testa. « C‘è già Fuka che crede che io stia qui a piangere col cuore a pezzi, e lei basta e avanza » avevo la voce rotta, e onestamente, a sentirmi parlare, avrei detto anche io che ero la classica adolescente alla prima delusione amorosa « prima che sia tu che Tsu arriviate alla stessa conclusione, sto così » indicai con un gesto la gola, mirando alla mia voce tremante, prova che in quel momento lei considerava schiacciante  « perché è una situazione che non mi piace. Mi fa schifo dormire nella stessa stanza con lui, stasera. E‘ umano, no? »
Annuì.
« Ciò non significa però che lo ami ancora. Non è così. L‘ho detto anche a Fuka, è una questione di rispetto » conclusi.
Abbassò lo sguardo, torturando il polsino del suo cardigan scuro. Non riusciva a guardarmi.
« Che c‘è? » la incitai, ero di fretta. Volevo cambiarmi, andare sotto alle coperte, sperimentare se il mio letto sortiva gli stessi affetti del tram e dormire. Magari, se possibile, anche dimenticare l’argomento.
« Sì » piantò gli occhi castani nei miei, finalmente decisa « è giusto quel che dici. Ma sei tanto arrabbiata con lui, e non capisco se.. »
« Alt » la fermai con la mano destra alzata, quel discorso l’avevo già sentito « Ci devo solo fare l‘abitudine. Non ho mai avuto modo di rendermi conto da vicino di come sia diventata la vita di Hayama da quando ci siamo lasciati. Sono solo sorpresa »
Scosse di nuovo la testa, stavolta in segno di resa. « Va bene, lasciamo stare. Ne riparleremo. Ci vediamo domani, sogni d‘oro. »
Ricambiai, ed entrai in bagno.
Se qualche ora prima avevo definito Fuka il mio coraggio, Aya senz’altro era la mia coscienza. Quella vocina piccola nel cervello che con le sue domande faceva vacillare tutte le mie convinzioni, tranne una. Perché quella sera non avevo dubbi: come potevo ancora amare uno come Hayama? Era..fuori discussione, soprattutto alla luce dei nuovi fatti.
Mi sentii improvvisamente stupida per essermi preoccupata di una possibile reazione di Akito. Lui non aveva reazioni, mai.
Scossi la testa, ed indossai il pigiama.
Al mio rientro trovai estremamente interessante il pavimento; sembrava tutto immobile, sentii solo il rumore leggero dei tasti premuti da Hayama per la sua dannatissima mail.
Sempre in religioso silenzio mi strinsi nelle coperte, allungai un braccio e spensi la luce.
« Chi ti ha detto di spegnere »
Kami, che malumore. Ma di solito la gente non dovrebbe essere allegra, dopo una seratina come la sua?
Era il pensiero sbagliato, l'irritazione risalì frenetica a galla e soffocai l'ennesimo ringhio.
« Non mi interessa. » lo apostrofai secca, e valse come un "buonanotte".
Siamo sinceri: valse proprio come un "vaffanculo".



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(*) in Giappone non si mandano SMS bensì mail.

 

 

   
 
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