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Autore: DirceMichelaRivetti    20/04/2010    1 recensioni
Questa è la storia di una giovane attrice di strada, piena di sogni e ideali, che torna dopo 5 anni nella propria città d'origine che ora è sotto il controllo di un dispotico duca. Incontrerà vecchi amici e scoprirà cosa sono diventati. Un racconto tra il suo passato e presente, pieno di emozioni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La piccola comitiva di teatranti era giunta alle porte di Forum Lepidi in tarda serata

La piccola comitiva di teatranti era giunta alle porte di Forum Lepidi in tarda serata. Il Sole era già tramontato, il cielo pareva un morbido velo di velluto nero teso sopra alle teste degli uomini, le stelle brillavano di una fredda luce metallica. L’unica luce calda era quella delle torce, appese lungo la cinta. Le mura e i bastioni della città erano alti e possenti, i mattoni non erano rossi ma di quel chiaro marroncino tipico dei castelli medievali e dei coevi palazzi comunali. Quelle fortificazioni toglievano il fiato, così massicce e imponenti, parevano inscalfibili e gettavano nelle persone un senso di nullità: che cos’era un piccolo uomo, destinato alla morte, a confronto di quelle solide pareti millenarie? Qualcuno tra gli attori lo domandò, più per celia che per filosofia, tuttavia Astrea rispose:

“Le persone, caduche e destinate all’oblio, valgono molto più di qualsiasi edificio mozzafiato, se vivono davvero. L’uomo è emozione, passione, sentimento; se non si pone freni, se si lascia trasportare da sé stesso, se non si cura dell’apparenza e di ciò che vuole il maledetto senso comune, allora davvero vive. Se, invece, ha paura, se si lascia condizionare, se cerca disperatamente l’approvazione altrui, allora non fa altro che far sopravvivere il proprio corpo. L’uomo libero è infinitamente superiore a queste mura e a qualsiasi altra cosa di questo mondo materiale; l’uomo timoroso ne è schiavo.” Alcuni degli attori scossero la testa: era sempre la solita filosofa; altri invece annuirono approvando tali parole e iniziando discussioni impegnate tra di loro.

Entrarono in città, si fermarono coi carri in uno spiazzo vicino ai giardini pubblici, si sistemarono un poco, accesero un fuoco per scaldarsi e cucinare; stanchi per il viaggio e in vista della loro prima esibizione a Forum Lepidi, si coricarono tutti quanti abbastanza presto. Prima di mettersi a dormire, tuttavia, Astrea guardò il teatro più importante della città, il terzo più bello della nazione, era stato eretto poco più di due secoli prima, proprio accanto al parco. Lo guardò e tra sé e sé si chiese se i suoi pieni avrebbero mai calcato quel palcoscenico; al momento doveva accontentarsi dei ciottoli delle strade, ma infondo forse era meglio così, in questo modo poteva far emozionare molta più gente ed era ciò che più voleva.

La mattina seguente, di buon ora, gli artisti si recarono in Piazza Alta, montarono alcune tende affinché fungessero da quinte e camerini, poi fu la volta della modesta scenografia; si misero in costume, si truccarono e si prepararono ad entrare in scena. Il più giovane dei teatranti, un ragazzino di sedici anni, pieno di vita e allegria, mascherato da giullare, inizio a suonare la tromba e a richiamare l’attenzione dei passanti con battute di spirito, giochetti di prestigio e altre facezie; quando si fu radunato un pubblico alquanto consistente, ecco che l’attore iniziò a pronunciare il prologo, il sipario si aprì e lo spettacolo ebbe inizio. La folla guardava entusiasta e si lasciava trasportare dalla scena, rideva, piangeva, applaudiva.

D’improvviso, però, giunsero soldati in armi che a gran voce intimavano: “Largo, largo! Sgomberate il passaggio, sta per giungere sua eccellenza il Duca Agakrathos e i suoi fratelli, le loro grazie Halkemidos e Timao. Presto, presto, cedete il passo, fate spazio!” Tutta la gente iniziò a farsi da parte, si accalcò da un lato o l’altro della piazza, aprendo così un ampio corridoio tramite cui sarebbe passato il piccolo corteo. Soltanto gli attori non si erano mossi, pur occupando un tratto della strada, anzi continuavano la loro rappresentazione senza esitare, senza batter ciglio, come se nulla fosse. Irritati, i soldati fecero irruzione sulla scena, ribadirono l’ordine e scaraventarono a terra qualche teatrante che, tuttavia, per un poco rimasero calati nella parte ed improvvisarono. Le guardie erano terribili e irremovibili e si fecero ancor più tremende quando giunsero le tre portantine che trasportavano il Duca e i suoi fratelli e che si dovettero arrestare poiché l’improvvisato palco intralciava il loro tragitto. Halkemidos, seduto alla destra del signore di Forum Lepidi, con calma e freddezza domandò al capo delle guardie che cosa stette succedendo, ma non ottenne da quello una risposta, ci pensò Astrea. La giovane, infatti, camminando impetuosa, con grandi falcate si pose davanti alla portantina centrale e, senza neppure riconoscere i vecchi amici, da quanto era furiosa non aveva neppure fatto caso ai nomi che i soldati avevano annunciato, iniziò a dire: “Non si spezza un’emozione. Non si infrange un sogno. Non si rompe una magia. Avete interrotto uno spettacolo teatrale: che grande errore!” Fissò dritto negli occhi il Duca che aveva assunto un’espressione arcigna e di disgusto, quelle folte ciglia aggrottate, quell’indignato sguardo altezzoso le ricordavano qualcuno e finalmente lo riconobbe. Guardò rapidamente gli altri due e il proprio stupore crebbe a tal punto che non poté fare a meno di esclamare: “Voi? Tu…. Tu sei diventato Duca?” Agakrathos era sbalordito da così tanta spavalderia e da modi così liberi ed irrispettosi, per cui, con la voce vagamente segnata dall’ira, ma pur sempre calma, calda e distaccata, domandò: “Come osi rivolgerti a me in questo modo? Anzi come osi rivolgerti a me?! Tu non dovresti neppure guardarci: abbassa gli occhi, non sei degna. Astrea si lasciò andare a una fragorosa risata e ribatté: “Ma come? Così mi tratti, dopo tutte le volte che abbiamo cenato assieme?”

Agakrathos stentava a credere alle proprie orecchie: non poteva tollerare che una popolana, anzi, ancor meno, una nomade, si permettesse di rivolgersi a lui in quella maniera e che affermasse certe cose per di più! Egli, il Duca, che sempre s’era accompagnato esclusivamente con la creme de la creme, a cena con una del volgo? Impossibile! Che affronto tale insinuazione! Tuttavia c’era qualcosa che non lo convinceva, in effetti quella voce non glie era nuova… e quei lineamenti morbidi e decisi, quei profondi occhi ardenti come tizzoni, quei capelli castano scuri e rosso fiamma, lunghi e boccolosi…… Tutto questo gli ricordava qualcuno, eppure nella mente non gli riaffiorava alcuna memoria ben definita.

Halkemidos era stato gettato nel medesimo stato d’animo del Duca, anche lui era convinto di aver già conosciuto quell’impertinente attrice, questa certezza gli era data non tanto dall’aspetto fisico, ma dall’atteggiamento sprezzante e risoluto.

Solo Timao l’aveva riconosciuta, solo lui la ricordava, ma non ne era sicuro, erano passati ben quattro anni, ella comunque era un po’ cambiata esteriormente; egli sperava in cuor proprio che quella fosse la sua vecchia amica, ma il timore di essersi sbagliato, di essersi illuso, lo tratteneva dall’esclamare il nome di Astrea.

Tutti questi pensieri attraversarono la mente dei tre fratelli in un lampo e nessuno di loro ebbe il tempo di dir nulla per replicare, infatti la teatrante s’era d’improvviso ricordata di un’importantissima questione, per cui s’affrettò a dire: “Uh, scusate un attimo, devo prendere una cosa prima di dimenticarmene, torno subito, attendete un secondo, non di più.” La giovane si infilò dentro a una delle tende e ne uscì recando con sé una busta che porse a Timao annunciando: “Da parte di un carissimo amico comune.” Il nobile lesse rapidamente l’intestazione: A Timao Aristidei, da Duccio. Ora aveva la conferma che quella ragazza era quella ch’ei credeva; si alzò in piedi tutto contento esclamando: “Ma allora sei tu!” Con un balzo che poco si addiceva alla propria posizione sociale, saltò giù dalla portantina dicendo gioioso con la sua profonda voce: “Astrea, Astra! Quanto tempo! Perché non mi hai mai scritto?” La ragazza ricambiò i saluto lietamente.

Nel mentre gli altri due Aristidei si scambiarono un’occhiata che in parte era preoccupata: conoscevano bene il carattere della vecchia semi-amica. Agakrathos iniziò a ricordare tutte le discussioni che avevano avuto, l’astio, tutti i contrasti che erano nati tra loro: monarchia vs democrazia, società piramidale vs uguaglianza sociale, pugno di ferro vs tolleranza e così via. Il Duca sapeva bene che Astrea non lo avrebbe lasciato in pace, sapeva che lei era d’indole ribelle e sediziosa, sapeva che in lei pulsava uno spirito libero, non disposto ad essere domato, che non si sarebbe piegato a lui, che non lo avrebbe mai ossequiato. La soluzione migliore e più razionale era certamente quella di prevenire ogni altra alzata di testa facendola arrestare e fustigare, così come aveva già compiuto con altri soggetti ostili. Tuttavia c’era qualcosa che lo tratteneva, qualcosa che stranamente non era dettato dalla formalità o l’apparenza, bensì da un benevolo sentimento sincero, generato dalla memoria di altri momenti del tempo che fu: era vero, avevano avuto molti animati dibattiti, ma mai veri e propri litigi e spesso avevano anche dialogato serenamente sia di cultura, sia dei reciproci problemi personali. Agakrathos, che era sempre stato intransigente circa il rispetto che gli si doveva tributare, che mai s’era fatto scrupoli  nel punire chi si mostrava indocile, che ormai era noto a tutti per la propria durezza, non riusciva, in nome di quell’antico e debole legame, ad ordinare di mettere ai ferri quella giovane. come agire, dunque? Doveva trovare un modo per evitare a lei la galera e a sé stesso di rovinarsi la reputazione.

Intanto, sapendo anch’egli che doveva dare l’impressione al popolo che quella giovane indisponente, si comportasse in un modo così libero, non per ribellione, ma perché legata a loro, Halkemidos fece cenno di abbassare la propria portantina, si levò in piedi e col capo alto e l’incedere del passo elegante e distinto, che quasi parea brillare di luce propria, avanzò e raggiunse Astrea e, mostrando un sorriso luminoso ma ipocrita, le strinse la mano cordialmente dicendo: “Carissima, che piacere rincontrarti dopo così tanto tempo. Come stai?”

“Benissimo, non posso certo lamentarmi. Voi, invece? Non mi pare ve la passiate male…”

Non ce la passiamo male? Mio fratello è Duca! Oserei dire che la nostra vita sia ottima.

“Convinto tu…” replicò Astrea lasciando intendere che assai dubitava che un uomo di governo potesse esser lieto. Prima che si potesse aggiungere altro o cadere in un imbarazzante silenzio, Agakrathos, dall’altro del proprio trono, annunciò: “Oggi, sarai nostra ospite a pranzo, così potremo parlare a lungo; adesso non possiamo trattenerci oltre, abbiamo questioni importanti da sbrigare. A più tardi.”

I due Aristidei minori risalirono sulle loro portantine, il corteo era pronto per ripartire, quando il capo delle guardie osservò: “Ma il paesaggio è ancora ingombrato da questi attori…. Halkemidos, sapendo che insistere per liberare la strada avrebbe causato soltanto problemi inutili, con finta naturalezza  rispose: “Non essere ridicolo, questi teatranti dovrebbero smontare tutto, perderemmo un sacco di tempo. Se tu ci avessi informati prima avremmo variato fin da subito il nostro tragitto, infondo noi siamo promotori dell’arte e ci dispiace aver interrotto uno spettacolo, lascia che lo riprendano e noi avviamoci per una strada più corta.”

   
 
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