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Autore: DirceMichelaRivetti    23/04/2010    1 recensioni
Questa è la storia di una giovane attrice di strada, piena di sogni e ideali, che torna dopo 5 anni nella propria città d'origine che ora è sotto il controllo di un dispotico duca. Incontrerà vecchi amici e scoprirà cosa sono diventati. Un racconto tra il suo passato e presente, pieno di emozioni.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DON

DON.

Le campane avevano appena cominciato a scandire i tredici rintocchi che annunciavano l’orario, erano quelle del campanile del duomo, massiccio edificio romanico che tuttavia presentava alcuni elementi gotici, ad esempio il rosone e altissime trifore decorate con vetrate variopinte che narravano le vite di molti santi. La basilica si trovava nella piazza centrale di Forum Lepidi, che era anche quella del mercato.

DON.

Nella parte più a Nord del centro della città si ergeva il palazzo Ducale, non era una fortezza, bensì un elegante edificio neoclassico, con molte marmoree colonne ioniche con capitelli corinzi lungo la facciata azzurra su cui si aprivano finestre dai molti bianchi stucchi.

DON.

Davanti ad esso si apriva una vastissima piazza priva di monumenti o fontane, in essa spesso sfilavano i militari, per questo era chiamata piazza d’armi.

DON.

Dietro, invece, cresceva rigogliosamente un immenso parco, attraversato da vialetti di candida ghiaia e solcato da un ruscelletto che formava pure un piccolo laghetto: un vero paradiso.

DON.

Astrea era in piedi, ferma immobile, dal lato opposto della piazza ed esitava ad attraversarla. Da una parte aveva voglia di rivedere gli Aristidei, passare del tempo con loro immergersi nuovamente, per un poco, in un ambiente aristocratico, acculturato, ma falso; dall’altra tremava, non sapeva perché, forse per il fatto che i tre fratelli non fossero più quelli che aveva conosciuto, o forse era solo l’emozione, ma tremava.

DON.

Si decise ad andare. Attraversò la piazza, incerta, molti ricordi si susseguivano rapidamente nella giovane mente: le cene da Eduardo, le chiacchierate, i concerti di musica classica dei tre fratelli che rispettivamente suonavano il pianoforte, l’oboe e il violoncello.

DON.

Era davanti al portale a sesto acuto, retto da due telamoni scolpiti in maniera estremamente realistica, precisi nel dettaglio: muscolatura perfettamente definita, un morbido panneggio increspato nei veli che li avvolgevano, la barba e i baffi scompigliati, lo sguardo e l’espressione di chi fatica a reggere un grande peso.

DON.

Davanti all’ingresso vi era un drappello di sei soldati, indossavano una divisa blu notte con bottoni color dell’oro. Erano armati di tutto punto con spade, pugnali, mazzafrusti e lì accanto, pronti ad essere impugnati, si trovavano archi, balestre e fionde.

DON.

Astrea allungò la mano, l’appoggiò sul pomello d’ottone e ancora indugiò: e se le avessero fatto del male? Ricordò quando, pochi mesi prima di finire il liceo, durante la gita scolastica, esasperata perché la ignorava, lei aveva chiesto ad Agakrathos: “Ma ti sto antipatica?”

“No…… Sono stanco.”

“Non è questione di adesso, è in generale. Capisco che, forse, ti possa essere sembrata assillante ultimamente, ma è solo perché, comunque, una volta avevamo un buon rapporto, ora invece non ci parliamo più e a me piacerebbe rinsaldare quel legame.” Egli aveva ascoltato tutto quanto impassibilmente, la osservò imperturbabile per un istante, poi fece il segno della croce dicendo: “Ti do la benedizione papale.”

DON.

No, non avrebbe potuto farle più male d’allora. Astrea avrebbe preferito mille volte che l’Aristideo, in quell’occasione, le avesse detto di odiarla, infondo l’odio era comunque una forma di rispetto e di considerazione. L’indifferenza faceva male più di ogni altra cosa.

DON.

No, non l’avrebbero ferita, sarebbero stati soli, non c’erano altre persone, non dovevano mantenere un prestigio davanti ad altri amici, erano solamente loro quattro… Inoltre erano passati alcuni anni, anche gli Aristidei erano cresciuti e se ciò non li aveva fatti maturare, almeno erano diventati i signori della città e non dovevano rispondere a nessuno delle proprie azioni e delle proprie frequentazioni.

DON.

Astrea varcò la porta e attraversò un lungo corridoio decorato in stile barocco: l’oro si sprecava! Un maggiordomo, esageratamente elegante per il proprio ruolo, la scortava e le mostrava la strada da percorrere per raggiungere la sala da pranzo. Ovunque ci erano quadri, sculture, arazzi e specchi.

DON.

La porta della sala da pranzo si aprì, erano già seduti Halkemidos e Timao. Il posto di capotavola era libero, riservato per il Duca, quello alla sua destra era appunto occupato dal fratello mediano, quello a sinistra era stato destinato all’ospite che aveva accanto anche il più piccolo dei nobili.

   
 
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