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Autore: __Heilig    13/05/2010    2 recensioni
In breve, quella sera non aveva voglia di essere Tom Kaulitz. Era da un po' che quel pensiero gli tendeva subdoli agguati, ed ora finalmente era esploso con tutta la sua prepotenza: era stufo di essere uno stereotipo ambulante.
Isolde sorrise alle luci della sala, avvertendo decine di paia d'occhi che la fissavano insistenti. Si sentiva a suo agio. Si sentiva padrona di sé. Sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

Disclaimer: questa fanfiction non è a scopo di lucro, né vuole offendere nessuno. I Tokio Hotel non mi appartengono, i fatti non sono reali ma di mia invenzione.
Detto questo, Buona Lettura! {H.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You say I'm fixed, but I still feel broken

(That Day; Tokio Hotel)


Tic tic tic.

Il rubinetto perdeva nel bagno della suite 130.

Era l'hotel più lussuoso in cui avesse mai messo piede – e lui, di hotel, ormai se ne intendeva – con tende di pesante velluto bordeaux e lampade decorate in oro zecchino, eppure il rubinetto perdeva.

Tic tic tic.

A torso nudo, soltanto un asciugamano bianco legato intorno ai fianchi, Tom Kaulitz osservò attentamente l'immagine che lo specchio davanti a sé gli rimandava: il jet-lag non è uno scherzo, questo dicevano chiaramente le occhiaie violacee che si ritrovava – comprensibilmente – dopo giorni di sonno pessimo o quasi assente. Ma tutto sommato, aveva il suo fascino anche così; anzi, forse l'aspetto stanco gli dava un'aria più interessante, più vissuta. Certo era che non si sarebbe messo fondotinta, correttore o altre sciocchezze simili. Già gli scocciava lasciarsi truccare per forza quando avevano servizi fotografici e apparizioni televisioni. Almeno per quella sera, dato che non erano previsti né telecamere né paparazzi, si sarebbe risparmiato la tortura.

Tic tic tic.

Quel maledetto sgocciolio s'infilò di nuovo tra i suoi pensieri. Innervosito, Tom assestò un colpo a piena mano al rubinetto, senza peraltro risolvere nulla e anzi facendosi un gran male.

Mordendosi le labbra per non gridare o bestemmiare, si trascinò verso il letto sfatto, dove aveva posato i vestiti per la serata. Senza alcuna voglia, iniziò ad infilarsi i boxer.

Si chiese se non fosse malato: avrebbe preferito restarsene in camera a strimpellare la sua chitarra, o anche a dormire, piuttosto che scendere nella sala super-lussuosa gremita di gente noiosa e raccomandata.

Non aveva voglia di bere. Non aveva voglia di guardare le gambe, i culi e le tette delle ragazze che gli si sarebbero inevitabilmente affollate intorno. Non aveva nemmeno voglia di chiudersi in ascensore con una di loro, la più carina o la più disponibile. In breve, quella sera non aveva voglia di essere Tom Kaulitz. Era da un po' che quel pensiero gli tendeva subdoli agguati, ed ora finalmente era esploso con tutta la sua prepotenza: era stufo di essere uno stereotipo ambulante.

Ma non era quello il momento. Doveva scendere e sarebbe sceso: non si sarebbe tirato indietro.

Finì di vestirsi scacciando gli ultimi dubbi e rimandando le riflessioni all'indomani.



Con la mano ferma e decisa, Isolde Wilson finì di sistemare gli ultimi dettagli del suo trucco impeccabile. Si concesse un'ultima occhiata compiaciuta allo specchio prima di gettarsi sulle spalle il cappotto e infilare la porta con passo deciso. Era bella ma non perfetta, e sapeva benissimo entrambe le cose; ma sapeva anche che comportandosi come se fosse irresistibile, lo sarebbe diventata agli occhi di tutti. Era un piccolo ed indispensabile trucco che aveva imparato da sua madre fin da quand'era bambina, ed aveva sempre funzionato alla perfezione.

E quella sera soprattutto ne aveva estremo bisogno.

Salì in macchina e mise in moto, ripassando mentalmente la strada da percorrere.

Poteva farcela, anzi ce l'avrebbe fatta sicuramente, se lo sentiva. Abbassò il finestrino e lasciò che l'aria fredda della sera le accarezzasse la pelle liscia e pallida del viso. Aveva freddo, ma le piaceva: le dava la sensazione di essere viva in ogni centimetro del suo corpo. Come se un centinaio di spilli pungenti la stimolassero con lievi ma continue punture a tenere tutti i sensi all'erta. In più, poteva sentire ogni nervo tendersi, pronto a reagire al minimo stimolo; si sentiva come un predatore in agguato, pronto a balzare sulla preda, e in un certo senso lo era.

Sì, quella sera era decisamente in forma.



Nella sala, tutto era esattamente come Tom si aspettava: luci, musica, cocktail raffinati, cravatte e camicie stirate, minigonne più o meno visibili, scollature più o meno piene, tacchi vertiginosi. Tutto come sempre, tutto come gli era sempre piaciuto; ma quella sera decisamente qualcosa non girava per il verso giusto. Decise che si sarebbe appartato in un angolo da solo – per quanto potesse essergli possibile, con tutta quella gente e soprattutto quelle ragazze che non aspettavano altri che lui – con una bottiglia di vodka. Una volta ubriaco, poi, i casi erano due: o l'alcol gli avrebbe dato la carica che quella sera sembrava mancargli e allora la mattina

dopo si sarebbe svegliato con uno o più esseri di sesso decisamente femminile e dall'identità imprecisata; oppure sarebbe definitivamente crollato, e allora probabilmente si sarebbe ritrovato al cesso a vomitare con Bill che lo fissava a metà tra la compassione e il disgusto.

In ogni caso, decise che non gli importava cosa sarebbe successo dopo: l'importante era fare qualcosa per uscire da quello stato pietoso.

Pronto a mettere in atto il proprio piano autodistruttivo, localizzò con lo sguardo il bar mentre entrava con gli altri nella sala.

Ehi Tomi, come mai sei così silenzioso stasera?” gli chiese Bill, con la sua migliore vocetta da cerbiatto indifeso.

Devo pareggiare i tuoi difetti” ribatté lui, lanciando un'occhiataccia al gemello. In realtà, gli aveva risposto in modo più acido del necessario, a causa di tutto il nervosismo e l'irritazione che aveva dentro. Se ne accorse subito, ma non disse nulla, in parte per non peggiorare la situazione, e poi perché non aveva nemmeno voglia di discutere.

Georg sbuffò, scambiandosi un'occhiata d'intesa disperata con Gustav.

Ecco che cominciano anche stasera … “ bofonchiò il batterista, ben attento a non farsi sentire dai gemelli.

Erano davvero insopportabili quando iniziavano a discutere per stupidaggini di quel genere; dopo anni che li conosceva, ancora non ci aveva fatto l'abitudine. L'aveva sempre considerato un comportamento molto stupido, infantile e inutile, oltre che fastidioso per chiunque avesse la sfortuna di trovarsi nel raggio di mezzo chilometro. Alla fine, si volevano un gran bene, quei due; erano davvero inseparabili, nessuno dei due sarebbe sopravvissuto un giorno senza l'altro a fianco. Da quando li aveva conosciuti, aveva rivalutato quelle stronzate che si dicono sempre sui gemelli, e aveva scoperto che non erano affatto stronzate: era vero che se uno stava male, stava male anche l'altro, era vero che riuscivano a capire tutto ciò che l'altro stava pensando senza dire mezza parola, solo con uno sguardo veloce. Quello che ancora non capiva era perché avessero tutti questi problemi a sopportarsi e ad ammettere questo legame profondo come quasi nient'altro al mondo. Gustav pensava che fosse una gran fortuna avere qualcuno così accanto; invece, quei due passavano il tempo a prendersi a parole per cose di nessuna importanza. Nessuno dei due aveva un carattere facile, anzi; però avrebbero anche potuto sforzarsi di sopportare più pacificamente i difetti reciproci, come d'altra parte facevano tutti quelli che li conoscevano. Ma niente, non sarebbero mai riusciti a capirlo.

Una gomitata di Georg lo riscosse dalle sue riflessioni.

Stasera ci divertiamo, direi” considerò il bassista con un sorriso che gli si allargava sempre più mano a mano che lasciava lo sguardo vagare sulla folla.

Gustav lo imitò, anche se quello spettacolo non risvegliò la stessa soddisfazione ed eccitazione: certo, era pieno di ragazze belle, bellissime, stupende, modelle e giovani attrici, vincitrici di concorsi di bellezza più o meno famosi, fisici perfetti e sguardi intriganti. Ma lui aveva sempre pensato che fossero un po' tutte uguali, quelle così, un po' tutte vuote, un po' tutte noiose. Sotto quel punto di vista, era molto più simile a Bill che non agli altri due: credeva che un rapporto dovesse essere basato su qualcos'altro oltre all'attrazione fisica, e non gli piaceva “riempire i buchi” con storie da una notte o poco più.

Buona caccia” rispose all'amico con un sospiro, e con una pacca sulle spalle si allontanò da lui, preparandosi ad annoiarsi.


L'ingresso era, come c'era da aspettarsi, gremito di gente: paparazzi, giornalisti, curiosi … soprattutto, c'erano una miriade di ragazze da quindici ai venticinque anni che sembravano del tutto impazzite: spingevano, urlavano e supplicavano i buttafuori di farle entrare. Pregustando i loro sguardi d'odio puro che presto avrebbe sentito bruciarle la nuca, si incamminò con passo deciso verso l'entrata.

Il buttafuori aveva un cipiglio quasi feroce, ma non sembrava molto più che pura facciata per sembrare convincente nel suo ruolo. Scorse Isolde con la coda dell'occhio, e probabilmente stava per dirle, come faceva con tutte le altre, di stare indietro; la ragazza approfittò della breve pausa di stupore dell'uomo, che rimase come pietrificato non appena incontrò il suo sguardo, per dire con la voce più innocente che avesse: “Sono sull'elenco”. Con l'aria di non crederle affatto, il il corpulento buttafuori la squadrò ancora; sembrò che facesse uno sforzo, anche se cercò attentamente di mascherarlo, quando le staccò gli occhi di dosso per controllare la lista.

Nome?”

Isolde Wilson”

L'uomo scorse tutti i nomi con un sopracciglio alzato per arrestarsi quasi alla fine; sorpreso, rialzò gli occhi su di lei.

Ok, entri pure”

Prima che la musica e il chiacchierio della festa la avvolgesse, fu molto soddisfatta di sentire alle sue spalle le urla inferocite di protesta delle ragazze più vicine all'entrata che avevano seguito la scena, e che presumibilmente si affrettarono a raccontare l'accaduto anche a quelle più indietro, dato che i cori di insulti e proteste si gonfiò e la seguì come uno strascico.

Isolde sorrise alle luci della sala, avvertendo decine di paia d'occhi che la fissavano insistenti.

Si sentiva a suo agio. Si sentiva padrona di sé.

Sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.

  
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