Buongiorno
a tutti e buon fine settimana.
Grazie
a coloro che hanno letto questa storia, anche a chi l’ha inserita tra i
preferiti, seguiti e ci l’ha recensita. Ne sono davvero contenta, ci tengo
molto a questo racconto, è un po’ come un sogno per me e le mie due amiche
protagoniste. Questo capitolo è interamente dedicato a voi, Jenny e Daiana, perché
vi adoro indiscutibilmente e non potrei immaginare di stare senza la vostra
amicizia. Siete le persone che più amo e che stimo! Vi voglio bene!!!
Doddola93: eccola la mia sorellina dolce e adorata. Grazie
per le tue parole, essere motivo di orgoglio per te, è lusingante e non so
davvero come sia possibile che tu mi apprezzi così tanto!!! Un giorno dovrai
spiegarmelo. Ti voglio un bene dell’anima, Daiana…
Angyr88: spero che questo capitolo possa farti capire
qualcosina di quello che è successo alla protagonista, quello che succederà,
invece, è tutto da scrivere :). Un bacio e grazie per la recensione.
Ginevrapotter: è bello ritrovarti anche qui, sono felice di
questo! Spero mi seguirai ancora. bacio.
Prima
di concludere voglio ringraziare con il cuore tutti coloro che hanno inserito me
tra gli autori preferiti. Sono onoratissima *__*
Vi
lascio al capitolo e vi ricordo che se qualcuno volesse contattarmi questo è il
link del My
facebook. Inoltre volevo dirvi che ho creato un gruppo sulle mie storie Quelli
che amano le storie di Sognatrice85, se volete farci un salto ne sarò
felice. Buon fine settimana.
Capitolo 1 “Vita a tre”
Correvo.
Correvo
come sempre.
Ero
perennemente in ritardo. Un caso disperato il mio.
Imprecavo
come una turca, mentre sfrecciavo con l’auto per le strade silenziose della
città.
Vi
chiederete: perché proprio come una turca?
Beh
semplice: non si capiva una parola di quello che dicevo. Mi ero trasferita a
Londra da circa tre anni e il mio inglese difettava parecchio, come la mia
auto.
Si,
la mia macchina era decisamente troppo vecchia.
Jenny
mi prendeva sempre in giro, dicendo che “quella vecchia ferraglia” come la chiamava
lei, arrancava quanto me. Sorrisi pensando a lei, a quanto fosse buffa e
monella, nonostante fosse più grande di me di due anni. Doveva fare la mia
sorella maggiore, essere un esempio da seguire e invece, si divertiva a
comportarsi da bambina troppo cresciuta, ma l’amavo anche per questo. La
conoscevo abbastanza da poter affermare con assoluta certezze che era un suo
modo per far stare bene gli altri, nonché un metodo per allontanare la
tristezza. C’era da dire comunque, che quando si doveva essere seri, lo era e
quasi mi spaventava, i suoi occhi sembravano scurirsi, tremavo al solo
pensiero. Non era un caso se c’eravamo trovate: lei mi completava, io ero
troppo coscienziosa, una rompipalle cronica, lei invece, faceva di tutto per
divertirsi e divertire, ridere e far ridere e dovevo ammetterlo: ci riusciva alla grande.
Anche e soprattutto con me. Jenny era una folata d’aria fresca nella mia arida
vita, senza ogni singola cellula di me sarebbe stata diversa. Ormai non potevo
più farne a meno.
Era
la mia vita, la mia quotidianità.
Sbuffai
sonoramente.
Decisamente
Jenny aveva ragione: avevo una vecchia ferraglia come auto.
Sbuffai
di nuovo, poggiando la testa sul volante e mi guardai attorno stancamente, a
quell’ora del mattino non c’era granché di gente in giro. Erano scarse le sette
e tre quarti ed io non avevo dormito molto quella notte. Come del resto era
capitato fin troppo spesso in quegli ultimi due lunghi anni.
Sospirai,
fossilizzando il mio sguardo sul semaforo, pregando si facesse verde al più
presto, altrimenti Carol chi l’avrebbe sentita. A breve il furgoncino coi
rifornimenti sarebbero arrivati ed io dovevo essere lì per sistemare gli
scaffali. Già vedevo il mio capo, o capa come dicevo io scherzosamente, che
sbraitava per il mio ritardo ed io muta, mi prendevo una lavata di capo come
Dio comandava, incapace poi di replicare. Valle a spiegare com’era incasinata
la mia vita!
D’improvviso
il cellulare prese a squillare, le note dei Muse invasero l’abitacolo
dell’auto, risvegliandomi dal mio torpore; cercai il telefonino nella borsa con
una mano, mentre con l’altra continuavo a guidare “Pronto?” risposi senza
neanche vedere chi fosse “Maggie!” un urlo mi squarciò l’orecchio e fui costretta
ad allontanare di poco il cellulare dal mio povero organo lesionato “Ma che
cavolo ti urli, Jenny!” imprecai, la mia amica rise “Oh al diavolo! Si può
sapere che ti prende? Mi chiami per prenderti gioco di me?!?” sibilai tra i
denti irritata “Ti avverto: ho un sonno pazzesco e ho i nervi a fior di pelle,
quindi prego per te che tu abbia alzato
la cornetta solo per dirmi qualcosa di veramente serio!” conclusi inspirando,
il corso di yoga non serviva a un tubo. Il mio nervosismo era sempre alle stelle,
non accennava a diminuire. “Volevo semplicemente farti presente che hai
dimenticato una certa cosa sul tavolo all’ingresso”, storsi naso e bocca,
confusa “Mmm…cosa? Non ricordo” alzai un sopracciglio disorientata. Jenny
sospirò esasperata “Hai proprio la testa da un’altra parte, eh?” disse,
immaginai la sua faccia, non volevo farla preoccupare, aveva già i suoi mille
problemi “Comunque hai dimenticato il plico con i fogli che dovevi consegnare entro
oggi alla Star Box per partecipare a quel concorso” frenai di botto, fermandomi
in mezzo alla strada e attirando le ire e le bestemmie del tassista alle mie
spalle. Come avevo potuto dimenticare una cosa del genere, avevo trascorso
tutta la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, pensando a quel maledettissimo concorso
a cui Daiana mi aveva spinto a partecipare. La sua faccia d’angelo, i suoi
occhioni dolci e la sua vocina tanto dolce e tranquilla, “effetto camomilla”,
come l’avevamo ribattezzata io e Jenny, erano bastate per farmi capitolare. Daiana
o semplicemente Dod, come si faceva chiamare da noi, sue sorelle acquisite, era
la piccola di casa, vent’anni, ma una personalità forte quanto quella di una
persona con anni di esperienza alle spalle. Era saggia, tanto e mi perdevo ad
ascoltarla quando si dilettava a raccontarci qualche sua personale pillola di
saggezza. Aveva di certo una visione della vita tutta sua e amava Londra quanto
me e Jenny. La consideravamo la nostra città natia, nonostante fossimo nate e
cresciute in Italia, in paesi diversi, in tempi diversi, con persone diverse e
poi un giorno ci eravamo trovate tutte da Starbucks a sorseggiare tre caffé
forti, tutte e tre esauste per un lavoro che ci chiedeva tanto, ma allo stesso
tempo ci appassionava. Era bastato guardarci in faccia per iniziare a sorriderci,
da lì in poi fu un crescendo di incontri, fino alla decisione di prendere casa
insieme.
Ferma
in mezzo alla strada ripensavo a quel concorso. Due settimane prima, Daiana era
tornata dal negozio di cd presso il quale lavorava, non aveva neanche salutato
ed era corsa da me in stanza. Ricordo il fiatone, la cassa toracica le si
alzava e abbassava più del dovuto “Doddi stai bene?” le chiesi guardandola
basita, inclinando poi la testa di lato, lei annuì con decisione. Fece qualche
passo in avanti e mi parò dinanzi agli occhi un foglio. Lo fissai stranita
“Leggi!” m’intimò mentre iniziava a respirare in modo più regolare “
Sospirai
frustrata “Sorellina sta tranquilla. Più tardi scendo a fare delle commissioni,
anche perché se non lo faccio il frigo continuerà a piangere e presto saremo
costrette a mangiarci i mobili” risi allegra “Dicevo: siccome devo uscire, mi
allungo dalle tue parti e ti porto i documenti” mi rilassai sul sedile
dell’auto, ringraziando il cielo “Li porterei direttamente al negozio di
musica, ma punto primo devi andarci di persona per firmare le altre carte e
secondo se Dod scopre che te ne sei dimenticata, penserà che lo hai fatto
apposta ed io credo che questa volta, davvero sia stata una tua dimenticanza”
disse dolce “Non l’ho fatto di proposito, ero talmente agitata che ho rischiato
anche di cadere per le scale dell’ingresso” sbuffai, Jenny ridacchiò “Tesoro,
stasera ti preparo una bella camomilla e poi a nanna presto. Ora stai
esagerando, devi riguardarti” sospirò “Lo so” ammisi “Seriamente!” ribatté la
mia amica dall’altro cavo del telefono “Ti lascio andare. Vai o fai tardi”
guardai l’orologio, segnava quasi le otto “Oh cavolo!!! Corro!” e attaccai.
Parcheggiai
l’auto all’angolo del Sussex Gardens, la zona preferita dalla mia piccola
Doddie, lì vicino c’era la statua di Peter Pan, la nostra fiaba preferita.
Altro punto in comune. Sorrisi teneramente, poi inspirai e pregai mentalmente
di essere in tempo.
Entrai
nella piccola biblioteca nella quale lavoravo, Carol era intenta a consultare
delle carte, quando sentì lo scricchiolare della porta, alzò la testa e mi
fissò. Stranamente non disse niente “Buongiorno” salutai educatamente recandomi
poi verso il retro e sistemando borsa e cappotto. Mi stiracchiai braccia e
gambe, pronta per la sistemazione dei libri sugli scaffali “Il furgoncino è
arrivato?” domandai entrando nella stanza “No, è in ritardo” rispose Carlol
continuando a fare quello che stava facendo “Ah capisco” borbottai. “Tante corse per niente” pensai tra me e
me. “C’è stato un incidente” disse poco dopo “Quindi mezza città dall’altra
parte è completamente bloccata, di conseguenza ci vorrà un po’ prima che John
arrivi con i nuovi libri. Nel frattempo, inizia a mettere in ordine lo scaffale
dei classici, almeno ci troviamo parte del lavoro fatto” ordinò “Va bene”
risposi diligente, dirigendomi verso il ripiano indicatomi.
Erano
ore che sistemavo quei libri, non mi stancavo mai, amavo sentire l’odore della
carta invadermi le narici, quello strano profumo che sapeva di nuovo e di
antico misti insieme. Mi davano una strana sensazione di piacevole agiatezza,
come se mi cullassero teneramente, una dolcissima ninna nanna. Leggere mi
aiutava a sognare, a immergermi in quell’universo parallelo che non esisteva
nella realtà, ma nella fantasia di chi, come scrittore, aveva la capacità di
dipingere un mondo diverso fatto di sogni e speranze e non solo: spesso quelle
pagine trasudavano di sofferenza e dolore, ma ti insegnavano a reagire, a
lottare per la tua via, nonostante il patimento. Quando finivo di leggere un
libro mi sentivo più leggera, più carica, ricca dentro di un pezzetto in più,
mi dicevo di essere pronta a tutto, anche a scalare una montagna, ma tutto
quell’entusiasmo durava soltanto qualche ora, fin quando la concretezza del mio
vivere non mi investiva con la sua totale freddezza e le mie ali si
dissolvevano nel nulla. Nuovamente.
“E’
permesso?” udii una voce che avrei riconosciuto tra mille, corsi verso
l’ingresso e sorrisi a Jenny, la vidi guardarsi attorno meravigliata: tutto era
minuziosamente lucidato e ordinato, ma quello che sorprendeva di più era il
posto. Ogni angolo era di legno d’acero lucidato con cura dal figlio di Carlo
sotto mio suggerimento. Mi sembrava un’idea carina creare un luogo che
incuriosisse per la sua atipicità e allo stesso tempo stupisse per la sua
semplicità. Doveva essere piccolo e accogliente, le persone dovevano sentirsi a
proprio agio entrate lì, ritrovare un’atmosfera calorosa, amichevole, dove
magari fermarsi pure qualche ora a leggere. Si, perché la piccola biblioteca
era dotata anche di un angolo lettura e una mini sala bar per discutere di
libri e non. Io amavo quel posto, spesso mi fermavo a guardare le persone
sedute attorno a quei tavoli intente a leggere e mi domandavo cosa mai potesse
passare per le loro menti, chissà se erano mai assaliti dai miei stessi dubbi o
addirittura, dalle mie identiche emozioni. Scossi la testa per riprendermi e mi
rivolsi alla mia amica attirando la sua attenzione con la mano sventolata in
aria “Jenny, sono qui!” esclamai felice di vedere il mio raggio di sole, lei
voltò il viso alla sua destra e mi vide. Sorrise con me e capii che era
altrettanto felice di vedermi.
“Non
sbattere la porta!!!” urlò Jenny a Dod che era rientrata.
Ecco
appunto! Dovevi farci l’abitudine punto e basta.
Giunsi
in cucina anche io e aiutai Jenny a sistemare le provviste, nel frattempo
Daiana posò le casse d’acqua nel piccolo ripostiglio infondo al corridoio e cantava
a squarciagola “We are the champions my friends, and we’ll keep on fighting
till the end. We are the champions, we are the champions no time for
loser cause we are the champions of the world” con tanto di hola, concluse il
suo spettacolo entrando trionfante in cucina con in mano una bottiglia d’acqua
naturale che le faceva da microfono. Io e Jenny prima guardammo lei con un
cipiglio sul volto, poi ci fissammo tra di noi e scoppiammo a ridere con tutto
il cuore. Eravamo entrambe piegate in due per le risate, ma ben presto la
nostra adorata Doddie si unì al nostro coro ilare.
“Ti posso dare una mano?” chiesi a Jenny super concentrata a
preparare il pranzo, aggrottò la fronte pensierosa, poi sembrò ricordarsi di me
e della mia domanda, sbattè le palpebre e poi mi fissò per qualche secondo
senza parlare. “Il sale!” esclamò all’improvviso facendomi saltare “Te lo
prendo” dissi “No, mi sono dimenticata di comprarlo” si battè la mano sulla
fronte, Daiana la scrutò e sorrise “Soré ci voleva una quarta busta della spesa
mi sa!” disse per poi dileguarsi in bagno. Sospirai “Dai Jenny non importa, a
me il risotto piace anche senza sale!” le dissi per tranquillizzarla “Non è
questo che importa!” sbottò, io inarcai un sopracciglio e portai le braccia
sotto al seno “E avanti cos’è che importa?” chiesi leggermente stizzita “Che
hai capito?” rispose lei muovendo le mano in avanti a mò di difesa “Intendevo
dire che il sale qui non serve, è che mi sono semplicemente ricordata che
mancava e bisogna comprarlo” si fermò un attimo “Mi sa che mi sono dimenticata
anche altre cose” sbuffò “Le prenderò io stasera. Dopo scrivimi la lista,
d’accordo? Però ora non farti prendere dall’ansia per questa cosa” la
rassicurai portandole una mano sulla spalla, lei annuì, poi tornò a
concentrarsi sulla cucina.
“Allora che te ne pare?” domandò Jenny guardandomi con gli
occhi traboccanti di lacrime in attesa del mio giudizio. Mi divertii a
stuzzicarla chiudendo gli occhi, portando lentamente il cucchiaio in bocca e
assaggiando il riso lentamente. Molto lentamente. “Mmm” borbottai, scrutai
Jenny aprendo di poco un occhio e la vidi stringere il tavagliolo con la dita
mentre deglutiva rumorosamente, poi spalancai di colpo gli occhi e mi bloccai
“Maggie…è tutto ok?” domandò, Dod vicino a me fissò la mia espressione, ebbi
giusto il tempo di farle l’occhiolino e di tornare poi a guardare l’altra mia
amica. Annuii in risposta alla sua domanda “E…quindi?” chiese tremando “Ok”
dissi soltanto, lasciandola basita “Ok?” ripetè aggrottando la fronte “Che
significa? “ la guardai poi le sorrisi “Significa che questo piatto è
fantastico ed è troppo tempo che non mangio qualcosa di così squisito” risposi
tutto d’un fiato. Jenny sembrò recepire le mie parole a rallentatore, saltò
sulla sedia e mi abbracciò “Come sono contenta!!!” esclamò “Si, si però così mi
strozzi!” tossicai, mentre Jenny continuava a stritolarmi. Alla fine mi lasciò
andare, si accomodò nuovamente a tavola e iniziò a mangiare non smettendo mai
di sorridere. Soprattutto gli occhi. A quel punto mi girai a guardare Dod che
scrutava attentamente la situazione, anche lei sorrideva contenta e questo
suscitò in me una strana emozione, avvertivo il cuore avvolto in una morsa
dolorosa ma allo stesso tempo piacevole. Ero conscia del perchè: il mio
desiderio più grande era vedere sempre quel sorriso, quella spensieratezza,
quella contentezza infinita sul viso delle mie migliori amiche. Era la cosa che
desideravo di più al mondo, perché loro erano la mia vita.