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Autore: Rose_Victoria    24/05/2010    4 recensioni
Ricordo il giorno in cui mio padre entrò in casa con una faccia da funerale:
- Vanessa? -
- Si, papà? -
Stavo mettendo a posto il mio armadio.
- Vanessa, siamo in bancarotta, quel vile di Michael ci ha derubati, dobbiamo lasciare la casa. Ci trasferiremo. -
Mi crollò il mondo addosso, avrei dovuto rinunciare alla mia splendida vita pe… pe… per cos’altro?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CASA

L’aereo atterò a Seattle, dove Embry aveva acquistato una macchina, una Jeep e aveva fatto in modo che la trovassimo davanti all’aereoporto.Caricammo le valige abbassando i sedili posteriori, siccome avevamo molta roba e poi ci avviammo sotto la coltre spessa di nubi e la leggera pioggia dello stato di Washington. Embry sembrava entusiasta, per quanto può esserlo un uomo in bancarotta, di trasferirci a LaPush; per tutto il viaggio non fece che lodare quel luogo, i boschi e il mare… Forse lo fece soltanto per consolarmi, per non farmi pesare troppo il distacco.  
Tentativo inutile.
Non volevo trasferirmi a LaPush. Avevo le mie amiche a New York, avevo la mia vita a New York. Cosa sarebbe stato di me in quella maledetta riserva indiana? Certo, se fossi rimasta a New York avrei ereditato l’impero di mio padre, diventando una ricca ereditiera e un’ imprenditrice famosa. Ma ora? Forse una casalinga, al massimo una cassiera…. Rabbrividii a quel pensiero. Non riuscivo proprio ad immaginare la mia vita da persona comune, io volevo di più, non volevo essere una qualunque: volevo essere io, Vanessa Kristen Trejo. Ad un certo punto la pioggia mi distrasse, aveva preso  a cadere con forza sul parabrezza della macchina.
Mi accorsi che dovevamo essere vicini alla riserva, perché si vedevano persone con la pelle ramata e i capelli lunghi camminare sui marciapiedi.
Eccoci.
Entrammo in una strada. Sul ciglio c’era un cartello: “La Push” e sotto alcune iscrizioni. Sospirai: dal momento in cui sarei entrata là dentro, i miei sogni di gloria sarebbero svaniti. Sempre seguendo la strada giungemmo vicino ad una casetta: era piccola, bassa e in legno. Non c’era il giardino, ma era fiancheggiata da una parte da alcuni alberi, dall’altro lato c’era uno spiazzo di erba tagliata.  “ Fantastico” pensai. Per entrare nella casetta bisognava salire qualche scalino, si raggiungeva un portico e poi finalmente si poteva entrare. La casa era dipinta di blu, aveva le finestre bianche, come tutte le rifiniture. Mi ricordava le classiche case che si trovavano al mare. Embry parcheggiò davanti ai gradini, scese dalla macchina e aprì la porta. Si girò verso di me e chiese: -Non vieni a fare un giro?-
Io annuii e presa la borsa, scesi dalla Jeep e andai verso la mia futura casa. Per fortuna aveva smesso di piovere, ma le nuvole proprio non volevano saperne di andarsene.
Varcai la soglia di casa. Davanti a me c’era una grande stanza, sulla mia destra un mobile con sopra una vecchia Tv e un divano in pelle nera; sulla mia sinistra la cucina, lunga tutta la parete, e tra il divano e la cucina un tavolo.
Notai dopo che la cucina e il tavolo erano rialzati su una specie di palchetto, e che sopra al piano cottura della cucina vi era una finestrella. In corrispondenza della porta d’ingresso, dopo aver attraversato la sala/cucina, c’era il corridoio. Seguii Embry che si era fatto strada fin lì.
Il corridoio presentava quattro porte; la prima a destra era della camera matrimoniale, la seconda sempre a destra di uno sgabuzzino, la prima a sinistra del bagno e quella più isolata della camera singola: camera mia.
Quella casa odorava di vecchio e di chiuso. Bleah.
Per prima cosa, dopo aver scaricato i bagagli dall’auto, aprii quasi tutte le finestre della casa, (tranne quella di camera mia, perché non c’ero ancora entrata). Per mia fortuna la casa non era sporca, papà aveva mandato una donna per pulirla.
Poi misi a fare la cena: avrei cucinato qualcosa di semplice, anche se ero brava a cucinare e sapevo fare molto di più che dei semplici hamburgher alla piastra. Nei cassetti della cucina trovai una vecchia tovaglia e misi quella, poi passai ai bicchieri e alle posate, infine ai piatti.
Quella sera, mentre mangiavamo, regnava il silenzio. Embry non disse nulla, e nemmeno io, perché non seppi cosa dire. Poco dopo avrei iniziato ad andare a scuola. Chissà come sarebbe stato, chi avrei incontrato, come sarei andata…
Nella scuola che frequentavo a New York andavo benissimo, la mia media era perfetta, la mia carriera scolastica era brillante. Ma adesso mi sarei ritrovata a frequentare una scuola pubblica, e avrei dovuto farmi nuove amicizie… L’unica cosa positiva era che avrei smesso di indossare la divisa. Quanto la odiavo! Sembravamo tutti dei damerini immacolati.
Finita la cena rassettai e lavai i piatti, benchè non fossi abituata a farlo. Siccome le valige erano ancora vicino al divano, e io non avevo ancora visto camera mia, decisi di esplorare casa. Trascinai le valige fino alla porta di camera mia e poi aprii. Camera mia era di pianta quadrata, una parete occupata dall’imponente armadio, l’altra parete (quella con la finestra) occupata dalla scrivania e poi il mio letto, un letto ad una piazza e mezza. I mobili erano bianchi, tranne la montatura del  letto che era in ferro battuto, e le pareti erano dipinte di un lilla-grigio scolorito dal tempo. Appoggiai le valige accanto al letto e andai verso la finestra. Aprii gli infissi e poi gli scuretti, poi rimasi a bocca aperta. Dalla mia finestra, infatti, si aveva una splendida visuale sul mare.
Subito fui colpita dagli alberi, che costeggiavano il vialetto, e mi chiesi perché in quella zona mancavano, subito dopo, però, fui incantata dal mare grigio. Mi girai e mi diressi verso il bagno. Anch’esso era di pianta quadrata, le pareti erano però color azzurro scuro e al posto del parquet, per terra, vi erano delle piastrelle azzurre e bianche, montate a mo’ di una scacchiera.
Ritornai in camera mia, tirai fuori la roba dalle valige, la sistemai nell’armadio, poi allo stesso modo, sistemai la scarpe. Così fece anche Embry.
Alla fine, stanca, mi addormantai sul mio nuovo letto.


Se non ricevo un parere, non vado avanti. Ho bisogno di consigli.
  
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