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Autore: Briseide    02/09/2005    6 recensioni
Draco Malfoy ed Hermione Granger. Una catena di equilibri delicati, tenuta in piedi unicamente dalla loro voglia di stare insieme. Poi, arriva l'elemento d'intrusione: Le Labbra Del Miglior Amico. E ora che si fa?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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III capitolo

Home Sweet Home





Quando la mattina dopo aveva aperto gli occhi, la crepa era ancora lì.
Ci aveva pensato tutta la notte, a quella crepa, che era poi un modo più sofisticato di ammettere che aveva cercato disperatamente di distrarsi in qualche modo.
Aveva trovato il sonno soltanto molte ore più tardi, e il risveglio non era stato dei migliori, in quella stanza che non aveva niente a che vedere con lei. In quel letto pieno di cuscini troppo colorati, e con quella foto animata alle sue spalle, nella quale una piccolissima Ginny sulle spalle di uno spavaldo Ron salutava con qualche dente in meno rispetto a quel momento.
In altre circostanze forse Hermione ne sarebbe rimasta intenerita, ma quella mattina valse solo a ricordarle che tutto quello che le era intorno non era per lei. O semplicemente, non ci era più abituata, ma anche questo le costava una enorme fatica, da ammettere.

C’erano molte cose che avrebbe potuto fare, Hermione, e in piedi con un calzino solo e i capelli arruffati, le passò in rassegna, una ad una, come suo solito, Hermione Granger aveva metodo anche nello scegliere a quale errore mettere riparo prima, persino quando aveva soltanto una gran voglia di piangere e di tuffare la testa sotto il cuscino, maledicendosi fino alla fine dei suoi giorni.
Invece ricacciò indietro le lacrime e recuperò il secondo calzino, il che la fece sentire più completa o forse meno sciocca, e le permise di rimettersi a valutare la sua lista.

Avrebbe potuto scendere le scale, cercare Ginny e cercare di sistemare le cose con lei. Tanto per cominciare chiederle scusa per come l’aveva trattata la sera prima. Ma le bastò riflettere un minuto di più, per rendersi conto che non solo non ne aveva molta voglia, ma per di più non vedeva neanche di cosa avrebbe dovuto scusarsi, vista la pessima abitudine di Ginny di mettere il naso in tutti gli affari che non fossero i suoi.

Così mentre decideva che sarebbe andata al lavoro con quella data camicia, pensò anche che Harry forse aveva trovato le parole per spiegarle quell’inspiegabile carenza di affetto improvvisa. Ma nello stesso momento in cui si rendeva conto che mancava un bottone all’appello, le tornava in mente che se Draco fosse venuto a cercarla, non avrebbe affatto giovato alla loro situazione che lei non si facesse trovare, perché era ad un colloquio chiarificatore con Harry, anziché con lui.

Appoggiò la camicia sullo schienale della sedia, e stabiliva che avrebbe domandato a Molly di darle un’occhiata, proprio mentre valutava l’ipotesi che dopotutto era una mattina come tante, e doveva andare ugualmente al lavoro, che quindi tutti quei pensieri erano inutili, e mentre guardava soddisfatta l’altra maglia scelta per la giornata, si ricordava anche che non andava affatto bene niente, all’infuori dell’effetto che quella maglietta faceva su di lei.

Sentiva che il famoso Momento di Sconforto era ormai vicino, quando qualcuno bussò alla porta, e chiese il permesso di entrare con un tono così remissivo e intimorito, che Hermione si sentì quasi in dovere di dargli il permesso di entrare.
Era soltanto Ron, che entrava con un sorriso debole sul viso e una tazza di caffè in una mano, ancora fumante.
- Ti disturbo?
- Mh… no.
Risolvette lei, stupita che quello strano atteggiamento di Ron l’avesse portata persino a dubitare se fosse stata disturbata o meno. Dall’amico che le aveva anche dato un tetto dove stare, tra l’altro.
- Ti ho portato un po’ di caffè. Non hai fatto colazione.
- Grazie.
Rispose Hermione con un sorriso e afferrando la tazza che Ron le porgeva. Per pura casualità, lo sguardo scivolò sull’enorme pendolo in legno tarlato che troneggiava nella parete portante di quella stanza. Il rumore delle lancette pesanti, l’imponenza di quell’enorme gufo che sormontava il quadrante, furono indiscutibili: stava facendo tardi.
Lasciò la tazza nelle mani di Ron e si tuffò con la testa sotto al letto. Nella ricerca forsennata dei documenti che erano diventati la sua preda dalla sera prima, quando aveva disfatto quella misera valigia che aveva portato con sé.
- Hermione… che stai cercando?
La risposta gli giunse soffocata e disturbata dai colpi di tosse della ragazza, a causa della polvere che riposava placidamente sotto a quel letto.
- Dei documenti… importanti. Devo assolutamente farli firmare ad Addington oggi.
Non le giunse alcuna risposta, e tanto meno un cenno di comprensione. Questo la portò a tirare la testa fuori da là sotto e a lanciare a Ron un’occhiata veloce. La guardava sinceramente interdetto, con la tazza ancora in mano e gli occhi spalancati, veramente increduli. Ma lei non aveva tempo né motivo di soffermarsi su quello strano particolare, ed era tornata alla frenetica ricerca di quei documenti da far firmare.
- Ma come? Vai al lavoro oggi?
Aveva infine domandato Ron, come se avesse davanti agli occhi una Hermione Granger diversa dal solito che gli avesse appena detto che aveva intenzione di darsi alla prostituzione o di dare fuoco alla sua libreria.
Hermione sollevò spazientita la testa da sotto la scrivania e sbuffò in sua direzione, alzandosi e spazzolandosi i pantaloni sporchi di polvere.
- Mi sono solo lasciata con il mio ragazzo Ron, non ho preso l’influenza!
Rispose palesemente innervosita.
- No, certo che no!
Ron mise le mani avanti come poté, deciso a fare di tutto pur di non attirare su di sé l’ira di Hermione quella mattina, eppure era quasi convinto che una giornata di vacanza non avrebbe fatto male a nessuno, figurarsi ad Hermione, soprattutto se poteva fornirgli la scusa di prendersi una giornata di ferie per sé.
- E’ solo che, pensavo… Hermione, che succede?
Si interruppe bruscamente, notando Hermione bloccarsi a metà di un azione e perdere rapidamente il colorito dal viso, fino a poco prima arrossato dall’affanno della ricerca. La vide portare una mano davanti alla bocca e spalancare gli occhi e fu certo che da un momento all’altro l’avrebbe dovuta raccogliere dal pavimento. Si preoccupò immediatamente, come nella sua migliore tradizione.
- Che hai? Stai male?
Insistette preoccupato, temendo che nella sua totale incapacità di preparare una banale colazione l’avesse avvelenata. Ma Hermione scosse la testa, senza muovere altro muscolo. Non che così lo tranquillizzasse più di tanto. Tuttavia, la consapevolezza che non stesse seriamente male, consentì a Ron di recuperare fiato per un'altra domanda.
- Hai perso i documenti?
Ipotizzò avvicinandosi a lei. Hermione si morse un labbro, scotendo impercettibilmente la testa ancora una volta. Ron iniziava a preoccuparsi seriamente.
Peggio. Molto peggio.
- Li ho lasciati a casa.
Farfugliò infine, passando dalla tonalità di pallida anemica a mille gradazioni di rosso. Ron la guardò interdetto per almeno due minuti abbandonanti, prima di dare segno di aver compreso qualcosa.
- Andrò a prenderli io.
Si offrì volontario Ron, sempre lieto di avere una scusa per arrivare in ritardo e al tempo stesso l’occasione di fare un favore ad Hermione. Peccato che lei non fosse poi così entusiasta di quella trovata dell’amico, anzi, alla sola idea sembrava aver perso un altro grado di pressione.
- No, Ron. Non sono una bambina, è anche casa mia quella. Vado io, ci vediamo più tardi.
- Sei sicura?
Le domandò lui prendendole gentilmente un polso. Hermione si fermò un attimo a guardarlo negli occhi, in un tacito ringraziamento, poi annuì e uscì di casa, con la consapevolezza di aver detto una grossa bugia.
No, che non ne era sicura.

O meglio, si lo era. Era sicura di voler tornare a casa, ma per non lasciarla mai più. Aveva capito infatti, che l’unica cosa che avrebbe avuto piacere di fare in quella giornata, era tornare da Draco, abbracciarlo ed elencargli tutti i motivi per i quali si era innamorata di lui. Non glielo aveva mai detto a parole sincere come era successo che si fosse innamorata di uno come lui.
Ma sapeva anche che Draco non sarebbe stato disposto ad abbracciarla dopo quello che gli aveva detto.
Sarebbe bastato poco, a dire che era una sciocchezza, una di quelle cose che si dicono quando si è arrabbiati o offesi per un atteggiamento come quello che adottava sempre lui, e allora sarebbe valsa anche come una scusa.
Il punto era un altro, ed era il motivo per cui quella mattina Draco Malfoy era rimasto per ore seduto davanti al camino spento, a fissare il vuoto, e per cui Hermione Granger aveva passato la notte a fissare una crepa: non era propriamente una bugia, quello che gli aveva detto.

°°°

Ron Weasley era una di quelle persone che sembrava fare di tutto perché i suoi difetti prendessero il sopravvento sulle sue umili e timide qualità.
Ma quando si trattava dei suoi amici, cercava sempre di dare il meglio di se stesso, a costo di umiliarsi o di venire meno ad un suo principio o ad una sua convinzione – sbagliati o meno che fossero.
Proprio perché c’era di mezzo la sua Hermione, non si fece troppi scrupoli quella mattina, nel prendere una pergamena ed una piuma, e mettersi seduto al tavolo della cucina, assorto nei suoi pensieri.

Pensava che se fosse stato al posto suo – e ringraziava che non fosse così ogni Dio esistente nel mondo religioso- sarebbe stato sollevato nel sapere che il segreto motivo della propria esistenza stesse bene e avesse un tetto sopra la testa.
E forse proprio perché un tempo aveva provato qualcosa di simile all’amore verso Hermione, in tempi remoti si intende, si convinse ben presto che non era poi così sbagliato.
Scacciò gli ultimi dubbi e le ultime resistenze ripetendosi ogni due parole che lo faceva per il bene di Hermione, per aiutare lei, non di certo… lui.

Ed era per queste riflessioni e considerazioni, che Draco seduto davanti al camino spento di quella casa così fastidiosamente silenziosa, senza di lei, leggeva con gli occhi ridotti a due fessure la grafia minuta e molto tendente al geroglifico egiziano di un Weasley. Un Weasley che scriveva a lui. Già, per dirgli che Hermione era ospite da loro e che nonostante tutto, stava bene.
Nonostante tutto.
Accartocciò la lettera infastidito da quelle due parole. Nonostante tutto, ripeté ancora una volta a mezza voce, quasi volesse convincersi che fosse veramente possibile che fossero state scritte e rivolte a lui.
Se fossi andata a letto con tuo padre per tutti questi anni…
Nonostante tutto Hermione stava bene.
… non avrei sentito la differenza.
Nonostante tutto.
Scagliò la lettera nel camino e diede vita ad un piccolo fuoco per l’occasione.

In quelle fiamme ritrovò se stesso, e la rabbia che riempiva la sua testa e le sue azioni da quando quella porta si era chiusa alle sue spalle, con la stessa violenza con la quale quella sentenza gli era stata sputata in faccia, con veemenza e rancore. E con un lampo di sincerità così violento e rapido che non aveva fatto in tempo a schivare, ed era arrivato, dritto dove doveva arrivare.
Non aveva sentito altra sensazione se non un dolore acuto, e secco, che gli aveva tolto il respiro per il tempo necessario di guardarla dritto negli occhi, l’ultima volta dopo che se ne era andata, e tirare in ballo Potter, l’agente esterno che avrebbe potuto mettere una distanza che gli era indispensabile per recuperare il se stesso di cui voleva disporre.
Per quanto cercasse di tenere a mente che l’offesa era stata rivolta a lui, che l’orgoglio ferito era il suo e che aveva tutto il diritto di essere arrabbiato, non riusciva a far tacere quella voce, la sua voce, che non lo aveva abbandonato un solo secondo.

E quella voce gli ripeteva quelle parole, quella sentenza e quella condanna, che per la prima volta forse nella sua vita, lo aveva inchiodato al muro e privato di qualsiasi difesa. La verità. Il rischio che fosse la verità quella che le sue labbra di fiore avevano pronunciato, velenose come raramente lo erano state. Quella volta non aveva trovato l’antidoto, e quel veleno si era sparso rapido e inesorabile e gli stava rodendo l’anima.

Lo aveva sempre saputo, a cosa sarebbero andati incontro. Lui stesso lo aveva capito per primo, quanto quella rosa sbocciata quasi d’improvviso e con violenza nel giardino dei suoi pensieri, la sua Hermione, potesse fargli male con le spine del suo stelo e con il veleno del suo profumo. Non aveva scoperto niente di nuovo, dopotutto.

A letto con suo padre.
Nessuna differenza.

Sentì il sapore del sangue in bocca, l’amaro che si mischiava al salato di lacrime invisibili, di rabbia e stizza per quel paragone che avrebbe voluto avere il diritto e la ragione, e il potere, di definire indecente e offensivo.
Eppure, l’immagine che aveva trovato a guardarlo, davanti a se stesso, nello specchio quella mattina, lo aveva spaventato.
Non aveva avuto il coraggio di soffermarsi sui propri occhi.

Fu questione di un secondo, ed era già alla porta di casa, diretto verso quella che avrebbe potuto rivelarsi con una spaventosa equa percentuale di probabilità, la sua salvezza o la sua condanna.

°°°

Camminando frettolosamente Hermione svoltò l'angolo e si fermò dopo pochi passi, alzando gli occhi verso l'imponente palazzo che aveva di fronte.
Tirando fuori le chiavi dalla tasca, le inserì nella serratura del cancello nero, spingendolo e notando con piacere che quell'insopportabile cigolio che lo aveva sempre distinto da quello del palazzo vicino era scomparso: non aveva dubbi che fosse stata opera di Draco, forse era finalmente giunto a minacciare il portiere di un licenziamento.
Salì le scale a piedi, veloce, fino a quando non iniziò a correre per gli ultimi tre piani, di modo che quando giunse davanti alla porta avesse una patetica scusa per quel fiato spezzato che le rompeva il respiro, facendola quasi singhiozzare.

Si soffermò a guardare la porta che aveva di fronte e inevitabilmente guardò il campanello lì vicino.
Sorrise passando un dito sulle lettere in ottone che risaltavano, impresse sopra:

Malfoy - Granger

La colse un brivido: non aveva mai letto quei nomi da quando era andata a vivere con lui, abituata ad usare le chiavi, non suonava mai il campanello e per la prima volta aveva letto i loro nomi uno accanto all'altro, conoscendo così l'effetto che le avrebbe fatto.
Strano. Era stato un brivido, forse.
Sorrise al pensiero delle espressioni che avrebbero colto i suoi amici nel leggere quei nomi e quella di Ron, se fosse andato lì per lei: lei stessa stentava a credere che potesse essere successo veramente. Eppure sapeva che non avrebbe saputo trovare la strada per tornare indietro.

Un'improvvisa voglia di quel tepore che quella casa le aveva sempre riservato si impossessò di lei, e la nostalgia dei gesti abituali che compiva spesso non le concesse neanche il tempo di rendersi conto di quello che stava facendo.
Tornò rapidamente indietro, estraendo dalla cassetta delle lettere la posta e finalmente inserì la chiave nella toppa ed entrò in casa.
Il grande salone, reso piccolo e confortevole dalla mobilia che lei e Draco avevano scelto, la salutò insieme alle fiamme del camino.
Richiuse la porta alle spalle e posò le chiavi e la posta sul tavolo, adagiando poi il cappotto sull'attaccapanni.
La casa era immersa nel silenzio, quel silenzio che lei non aveva mai sopportato fin da bambina, ma che Draco le aveva insegnato ad affrontare fino a trovarlo piacevole e rilassante. E quel silenzio in quel momento non le faceva paura, non le metteva ansia e angoscia come un tempo, ma la riscaldò memore dei pomeriggi passati con lui su quel divano, a leggere le fiamme nel camino e scambiarsi qualche sorriso tra le pagine di un libro.

Salì lentamente le scale, arrivando al piano superiore, cancellando una ditata che era rimasta lungo il corrimano. Sicuramente di Draco. Trovò una finestra spalancata che si affrettò a richiudere sbuffando: Draco aveva la mania di lasciar circolare l'aria, fredda o calda che fosse. Serrò la maniglia e si voltò: la loro stanza.
Aprì l'anta di un armadio, annusando il suo profumo e il suo odore: tutto sapeva di lui in quella casa, e si scoprì ad avere paura che il suo profumo invece fosse scomparso dopo che se ne era andata. Accarezzò le maglie riposte in ordine e ben stirate nei ripiani dell'armadio, ricordando la loro morbidezza accertata ogni qual volta lo stringeva in un abbraccio. Spalancò l'anta successiva: una serie di ripiani vuoti le comparve davanti agli occhi. Abbassò lo sguardo ferita.
Chissà se anche lui aveva avuto quel pensiero quando aveva aperto l'armadio. Chissà se si era ritrovato a guardare il loro armadio, a cercare tra gli scaffali le siagarette che ogni tanto si illudeva di riuscire a nascondergli, nel tentativo di farlo desistere a non fumarne una, conoscendo la sua pigrizia di fondo.
Fece per voltarsi, quando una macchia di colore tra i vestiti di Draco attirarono la sua attenzione. Allungando la mano, afferrò una camicia rossa, leggermente scollata: la sua camicia.
Evidentemente l'aveva lasciata lì nella foga di andarsene il giorno prima. Eppure era certa che se l'avesse dimenticata, era comunque nel suo armadio. Non poté fare a meno di sorridere compiaciuta nel rendersi conto che lui l'aveva trovata e posta tra le sue cose.

Ma era già sufficientemente in ritardo, doveva sbrigarsi.
Uscì da quella stanza ed entrò nella stanza adibita a suo studio personale, aprendo il cassetto della scrivania ed estraendo i fogli tanto cercati. Tutti i suoi libri erano ancora lì, in perfetto ordine sulla libreria. Si voltò e tornò al piano di sotto, recuperando le sue cose e uscendo. Chiuse in fretta la porta e ripercorse il viale, evitando di voltare le spalle e guardare ancora una volta quel campanello. Una volta fuori dal cancello si guardò intorno: la strada più breve sarebbe stata svoltare l'angolo e ripercorrere il tragitto di prima, ma non aveva voglia di attraversare per le vie più trafficate della città, e voltandosi a sinistra, si incamminò verso il vicolo secondario.

Quel Marzo non era da considerarsi eccezionalmente freddo, era stato anche meno piovoso del solito, per gli standard inglesi, eppure Hermione sentiva il gelo penetrarle nelle ossa e bloccare ogni suo passo, fino a quando non fu costretta a fermarsi, e a riprendere fiato, scoprendo che il suo respiro era mozzo, e che aveva anche iniziato a non vederci più tanto bene, avendo gli occhi pieni di lacrime calde che non voleva lasciar cadere. Non c’era nessun altro calore che avrebbe voluto, se non quel camino che in inverno non era mai sufficiente a scaldarli da solo… e il corpo di Draco, che chissà dov’era, quella mattina.





TBC



°°°



Ok... ci siamo anche con il terzo, che mi ha messo una tristezza infinita mentre lo scrivevo. -.-
Passo subito subito ai ringraziamenti, importantissimi, a:

- Zacarias : Grazie per l'incantevole recensione! ^^ Harry avrà spazio non ti preoccupare, anche perchè insomma... non per dire, ma il casino l'ha combinato lui! Grazie per la recensione, e inizio già da qui a chiedere scusa se ho perso un pò di capitoli della tua, mi rimetto in paro, ma ho avuto un gran bel da fare. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.

- ADoris: Graaaaaaazie anche a te! Ti ho confuso le idee? Uhm... qui qualcosa dovrebbe apparire più chiaro, ma unicamente in chiave D\Hr. Per i tuoi pupilli... abbi pazienza, che tanto tocca pure a loro! Un bacio, grazie per la recensione!

- Samia : Ciao! Eheh... il caro vecchio Ron non delude mai! Ti piace la mia ironia? Che dire... grazie grazie grazie! Bacio per te. ^^

Ok, levo le tende. Per il prossimo capitolo prevedo un bel pò di fatica nel doverlo scrivere, ma cercherò di non metterci una vita, ecco. Ciao a tutti!

  
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