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Autore: yesterday    02/06/2010    21 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.52: : Wall: one of the vertical sides of a building or room. PART TWO.



Abbassai lo sguardo sul cellulare, che avevo appoggiato sul tavolo nel momento in cui avevo intavolato la mia edificante - e per una volta lo era davvero - conversazione con Hayama.
Il nome “Nao” faceva bella mostra di sé nel display.
« Scusa.. » asserii atona, afferrando l’apparecchio e sgusciando in camera mia - nostra - mentre lui restava seduto a terminare la sua mela.
Non disse nulla.
« Ciao Nao! » lo accolsi allegra.
La sua telefonata significava che ci saremmo visti davvero, e la cosa non poteva farmi che un immenso piacere.
Tra le tante domande - Come stai? Come procede la convivenza forzata? - mi comunicò che i suoi impegni erano stati posticipati, e che non sarebbe arrivato in città prima di una decina di giorni. Che, sommati a quelli già trascorsi dalla sua precedente telefonata, erano purtroppo dodici.
Non lo vedevo da secoli, accidenti!
Mi morsi il labbro inferiore.
Ma il ventisei - aveva già parlato con il suo agente - non ci sarebbe stato per nessuno, se non per la sottoscritta.
Sorrisi.
Peccato che qualcuno, in cucina, di certo non ne sarebbe stato felice.
Anzi.
Quello fu esattamente, come si suol dire, l’inizio della fine.

Cena. Appartamento di Sana, Akito, Aya, Tsuyoshi.
Hayama non aveva fatto che evitarmi per tutto il pomeriggio, ed io sbuffando l’avevo dovuto accettare di buon grado. Da un lato, ma solo da un lato, potevo anche capirlo: se veramente detestava Kamura - e alla luce dei fatti era una cosa ormai chiara - trovarselo un bel pomeriggio a casa nostra non doveva essere piacevole.
Ma d’altronde, erano problemi suoi: poteva essere civile con la gente un po’ più spesso.
Sì.
« Nao quando viene a trovarti? » Akito ruppe il chiacchiericcio di Aya e Tsu.
Lo guardai soltanto: aveva una faccia da schiaffi, lui col suo sorrisino da presa in giro stampato in faccia, non sembrava nemmeno lo stesso con cui avevo parlato poche ore prima.
« Tra dieci giorni » risposi meccanicamente, concentrandomi sul piatto.
« Evviva » gonfiò la parola come se veramente ne fosse felice.
Sentii la rabbia invadermi. Lo trafissi con un’occhiataccia.
« Se non ti va bene.. »
« Ragazzi, cercate di non litigare, almeno a tavola. » ma Aya in risposta ricevette soltanto due sopracciglia sollevate.
« Se non mi va bene? » mi sfidò Akito, finto controllato dietro al suo muro.
« Oh, va al diavolo. »

***

Alzai un muro anch’io, dentro la mia testa, per evitare di pensarci. Camminavo per il corridoio che mi avrebbe condotta alla mia prima lezione da universitaria, il mattino successivo, in faccia due occhiaie da paura e sulle spalle il malumore dettato da una notte insonne, l’ennesima.
Mi infastidiva. Mi infastidiva tanto.
Per la verità - pensai aprendo la porta dell’aula, ignorando gli sguardi degli sconosciuti e sedendomi in terza fila - c’erano fin troppe cose che mi infastidivano.
Prima tra tutte: l’altro Hayama. Quello dietro il muro, quello con cui dividevo la stanza. Perché, parliamoci chiaro, in sette giorni di convivenza forzata il novantotto percento del tempo avevamo litigato. Ma quella mattina il fastidio era più pungente: il due percento delle giornate passate insieme le avevo trascorse con il mio Akito.
Sapere che in fondo c’era ancora ma si faceva vedere tanto di rado, mi imbestialiva.
Non capivo il motivo di una fuga continua, come ormai mi era chiaro essere la sua.
L’altra parte di fastidio era data dall’avversione di Hayama verso Naozumi.
Avversione reciproca, ma almeno Nao la mascherava meglio - per forza, in effetti lui era un attore.
Ma comunque.
Una domanda retorica, un discorso puramente infantile, certo, ma la questione che mi frullava in testa era solo una: perché diavolo non potevamo andare tutti - tutti! - d’accordo?
Alzai gli occhi verso la grande cattedra, e mi resi conto che un uomo sulla cinquantina vi si era già seduto.
E stava parlando.
Ed io non avevo ascoltato nemmeno una sillaba.
Ottimo, no?
« Io insegno Sociologia della Comunicazione. (*) Forse dovrei dirvi tecnicamente di cosa si tratta, ma non lo farò. »
Oh, io e quell’uomo saremmo di certo andati d’accordo.
« Lo scoprirete da soli. »
Okay, forse non così tanto d’accordo..
« Avete dieci giorni, a partire da questo momento, per analizzare il modo in cui comunicate con la persona con cui avete più difficoltà ad interagire. Può essere un vostro coetaneo che vorreste conoscere, un ex fidanzato, un genitore. A voi la scelta. » e sorrise, inarcando i baffi grigi.
Io mi ero fermata alle parole “un ex fidanzato”. Perché era Hayama la persona con cui comunicavo nel peggiore dei modi, non c’era il minimo dubbio. E “analizzarlo” suonava proprio male, in particolar modo se lui passava le sue giornate ad ignorarmi, o peggio a prendermi per i fondelli.
Lanciai un’occhiata al resto degli studenti, che erano corrucciati almeno quanto lo ero io.
Una ragazza alzò la mano, seconda fila.
Il professor - cercai nella borsa il foglietto in cui avevo appuntato i nomi, doveva esserci, doveva! - ..Saitou le diede parola con un cenno del mento.
« Mi scusi, ma io credevo che qui studiassimo gli effetti della comunicazione di massa sui vari gruppi di individui » affermò sicura.
Ed io compresi solo allora cosa fosse, quella Socioqualcosa.
Saitou-sama annuì. E sorrise enigmatico.
Diavolo, quell’uomo sembrava un rebus vivente.
« Esatto. Ma voi avete imparato a correre in bicicletta prima di camminare? »
Beh, se per lui un compito simile era camminare..

***

Osservai sconsolata la prima pagina del mio quaderno, durante l’ora di pausa.
Le prime tre righe, occupate dalla mia grafia disordinata, citavano la richiesta del tizio di Sociologia della Comunicazione - e dovevo ancora capire se io e quell’uomo saremmo andati d’accordo o meno. Anche quello, probabilmente, sarebbe rimasto un enigma.
« Sei Sana Kurata, vero? »
Alzai il viso verso il proprietario di quella voce.
Ed ero assolutamente allucinata: speravo che la frase “sei Sana Kurata, vero?” fosse stata un’esclusiva del primo giorno.
Mi ritrovai davanti a due ragazzi ed una ragazza.
Lei era piccola, minuta, molto carina. I capelli innaturalmente biondi raccolti in una treccia a lato della testa. Accanto a lei c’era un ragazzo abbastanza alto, che di sicuro aveva un paio d’anni più di me - e di lei, che a occhio e croce doveva essere una mia coetanea - capelli ed occhi neri come la pece. Il classico giapponese.
L’altro era leggermente spostato dai due, e sorrideva. Sembrava un tipo simpatico, ma la prima cosa che saltava agli occhi erano i suoi, di occhi: azzurri.
Mi resi conto dalle loro occhiate di essere rimasta in silenzio un po’ troppo a lungo. Scoppiai a ridere, imbarazzata.
« Scusatemi. Sì, sono io! »
Si rilassarono anche loro.
Il ragazzo con gli occhi azzurri parlò: « Piacere. Lei è Sayuki, lui è il suo ragazzo, Sota » indicò la coppia « io invece sono Den. »
« Piacere mio » li salutai con un cenno del capo.
Rimasero impalati di fronte a me.
Il ragazzo che si chiamava Den si grattò la testa.
« Diciamo tanti saluti ai convenevoli: vorremmo che tu fossi la nostra ricerca di Sociologia. »

Il primo giorno, perché la conversazione non fosse solamente univoca, parlammo tutti e tre di noi, in generale.
Scoprii che Den, come il nome e gli occhi suggerivano, era giapponese solo a metà; sua madre era di Helsinki.
Sayuki e Sota stavano insieme da secoli, e quando me lo comunicarono non riuscii a non paragonarli, osservando il pavimento, a me ed Akito. Con una grossa - e palese - differenza.
Scrivevano un sacco di appunti, sembravano quasi giornalisti a caccia di gossip; anche qui una differenza: loro non erano affatto fastidiosi.
Alle due li salutai, promettendo loro che ci saremmo rivisti il giorno successivo - tra le tante cose seguivamo circa le stesse lezioni, quindi sarebbe stato facile ritrovarci tra la marea di studenti - e schizzai alla velocità della luce verso la mia ultima lezione di quel giorno.
Ero in ritardo, ma almeno niente magliette da uomo - e iniziai a pensare che davvero, davvero a casa avevo una bella gatta da pelare.

« Hayama? »
« Che vuoi? »
« Devo fare un compito per Sociologia della Comunicazione. »
« E per quale assurdo motivo chiedi a me? »
Mi strinsi innocentemente nelle spalle. « Dovrei analizzarti. »
Riuscii a farlo scoppiare a ridere.

Sota sognava di diventare un giornalista, di scrivere articoli e diventare famoso.
Sayuki, invece, aveva finito per iscriversi a Scienze della Comunicazione solamente perché si era piazzata bene in graduatoria. Avrebbe deciso poi, diceva.
Io e Den eravamo in alto mare riguardo al futuro, invece. Ci guardammo negli occhi esasperati e passammo alla domanda successiva.

« Kurata, te lo devo ancora ripetere che non voglio casino in camera mia? »
« Hayama, te lo devo ancora ripetere che quella è anche camera mia? Non ti scaldare, non è mica venerdì. »
« Sposta le tue cose nella tua metà di stanza, la mia la voglio libera dalle tue schifezze. »
Mi trascinai in camera, abbandonando l’allettante confezione di pasticcini.
« Hayama, tu ce l’hai un sogno? » chiesi, le braccia imbrattate di vestiti.

Sayuki e Sota si erano conosciuti in prima media, e non si erano più lasciati.
Den era fin troppo libertino, ma fondamentalmente capii che aveva il terrore di perdere la testa per qualcuna tanto da non controllarsi più. Den aveva la paura folle di soffrire. Anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
Io, dal canto mio, risposi dicendo di essere single ma convivente col mio ex ragazzo.
Non sto qui a dirvi le loro reazioni.

« Dove hai buttato la mia camicia, Kurata? »
« Non ne ho la più pallida idea, se tu lasci in giro le tue cose e non le trovi, non darmene la colpa, Hayama! »
« Senti da che pulpito viene la predica! »
Aprii la mia anta di armadio e ripescai la sua camicia. Sì, gliel’avevo nascosta io.
Faceva parte del piano.
« Oh, quanto si vede che sei uno sciocco single alla deriva.. » dissi porgendogliela, citando la frase di un vecchio film.

Sayuki adorava cucinare - ed era molto brava.
Sota, di conseguenza, adorava mangiare. E, fortunato lui, non ingrassava.
Den dipingeva. Assurdo, io non l’avrei davvero mai detto.
Io non sapevo cosa rispondere, e Sayuki commentò al posto mio che, dato il programma alla radio che registravo con Fuka, di certo a me piaceva aiutare le persone.

« Non provare a negarlo, Hayama! »
« Non sono stato io! »
« Certo, certo. Un giornale di Karate appoggiato sul tavolo e la mia porzione di sushi scomparsa: sei stato tu, è palese! »
Ghignò, ma smise di infastidirmi. Non poteva arrampicarsi sugli specchi, sapevo meglio di lui cosa adorava.

La paura più grande di Sayuki erano i ragni. Li detestava.
Sota era claustrofobico, e Den aveva paura di finire le tempere proprio quando aveva l’ispirazione per un nuovo disegno.
Io avevo paura di restare sola.

E avevo paura del buio, in effetti; rincasò dal suo meraviglioso venerdì - era uscito lui, chissà perché - e il fascio di luce, invece di irritarmi a morte, mi rassicurò.
Mantenendomi in modalità arrabbiata - era pur sempre un venerdì - mi liberai delle coperte e, grazie al sonno, riuscii addirittura a sembrare ingenua, nel chiederglielo.
« Hai ancora paura delle altezze, Hayama? »
Finse di non sentirmi, e continuò ad ignorarmi.

Al sabato niente università, ma avevamo preparato le domande già il giorno prima.
Sayuki non avrebbe mai fatto un tatuaggio. La sola idea la terrorizzava.
Sota, per ovvi motivi, non sarebbe mai entrato in un sottomarino. Nemmeno a pagarlo, diceva.
Den non avrebbe mai e poi mai comprato un criceto. Li considerava inutili.
Io non avrei mai smesso di sorridere.

Lo aspettai sveglia. Lui, e le sue convinzioni riguardo ai miei sabato sera. Lui, le sue convinzioni e la sua odiosa simpatia.
Aprì la porta.
« Vorrei un paio di scarpe, Hayama »
Nemmeno mi guardò.
Lo seguii, mentre apriva lo sgabuzzino. E quasi mi crollò la mandibola vedendo dove aveva nascosto tutte le mie scarpe.
« Senza scarpe acceleri i tempi. Nessuno te le deve togliere. Dovresti ringraziarmi, Kurata. »
« La smetterai mai coi tuoi infantili dispetti? »

Avevamo preparato anche quelle per la domenica.
Il ricordo più triste di Sayuki era la morte del padre.
Per Sota, invece, il trasferimento.
Per Den quando perse un lavoro a cui teneva parecchio.
Per me la malattia.

Aprii distrattamente l’armadio, alla ricerca di qualcosa da indossare per la cena coi miei amici più Akito.
Afferrai il primo indumento disponibile ma lo riposi subito: niente più vestito blu.
E capii, anche senza chiederglielo, quale fosse uno tra i ricordi più tristi di Hayama.

Il regalo più bello che avessero mai fatto a Sota era una vacanza a Londra, città che amava.
A Sayuki il giocattolo che desiderava, a circa due anni. Ricordava ancora la felicità esorbitante.
A Den la possibilità di andare a trovare la madre ad Helsinki durante le vacanze estive di ogni anno, dopo la separazione dei genitori.
Quando risposi “Mama”, rimasero sorpresi. E gli spiegai che era stato davvero un regalo, per me, aver ricevuto come madre proprio lei. (**)

Lo scoprii frugando tra le sue cose, l’ennesimo pomeriggio in cui - odiosamente - mi impose di limitare la confusione alla “mia parte di stanza”. Come se poi ci fosse stato per davvero, il confine tra lui e me, mio e suo. Che cosa stupida.
Aprii uno scatolone e ci trovai dentro un modellino di dinosauro.

Il decimo giorno tirarono le somme. E, mio malgrado, mi resi conto che avevano recepito molto meglio della sottoscritta come dovesse essere svolto quel compito.
Mi chiesero di ripetere tutto quel che mi ricordavo di loro. Sorprendentemente ricordai correttamente quasi tutto.
Mi applaudirono fino a spellarsi le mani, poi, tra risate e caffè alla mano, brindammo alla nostra ottima comunicazione.

Mi ignorava più del solito, e il suo malumore era alle stelle.
Era anche pronto a scappare a correre non appena Nao fosse entrato in casa.
Proprio detestabile, come sempre.
Una piccola parte di cervello considerò che gran parte dei dialoghi li ricordavo correttamente anche per quanto ricordava me e lui, ma di certo la nostra comunicazione era pessima.
Una il sarcasmo, l’altro il sottotesto. (***)
« Sarai emozionata, no? » Hayama, paradossalmente, mi aveva appena sfilato di mano quel “una il sarcasmo”.
« Sarai un idiota, no? » lo fulminai con lo sguardo.
« Te lo concedo, questa era proprio bella. »
Sentivo la tensione nella sua voce.
Hayama stava fingendo, aveva di nuovo attorno il suo fedele muro.
« Tante grazie. »
E la cosa non mi rendeva felice.






 

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(*) Sociologia della Comunicazione, branca della sociologia che studia nel dettaglio le implicazioni socio-culturali generate dalla mediazione simbolica. Essa studia in particolare i mezzi di comunicazione di massa, esaminando come lo stesso messaggio mediatico abbia, a seconda del contesto culturale, economico e sociale in cui viene ricevuto, conseguenze differenti sui gruppi sociali. Fonte: Wikipedia e l'infinitamente paziente Valentina. <3
(**) La storia di Sana. Visto che è presente anche nella versione Anime non è spoiler dire che Misako ha trovato Sana.
(***) da 1.42, Chain.


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