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Autore: BigMistake    15/06/2010    2 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II: Follia.

L’alba era passata da ore ormai e l’elfo aveva goduto dei benefici degl’estratti del Papavero con polvere sciolta della radice di Mandragora. Le conoscenze officinali della ragazza erano assai curiose. Nemmeno i più saggi guaritori umani osavano utilizzare tali piante, velenose se eccedute, ma la fanciulla non appariva spaventata dalla potenza distruttiva della natura. Quando riaprì gli occhi, Legolas percepì immediatamente il profumo di bucato assieme all’essenza di rosa che levitava poco al di sotto il suo naso all’altezza del petto. Scostò le coperte e con stupore vide le fasce pulite cingergli la spalla. Le iridi, tornate al loro spendente colore, circumnavigarono tutt’intorno a lui notando che altre cose erano cambiate durante la sua incoscienza notturna. Il focolaio era stato spento e la conca di metallo che lo ammaestrava era scomparsa, lasciando al suo posto la casacca lavata e rammendata. La manifattura di tale riparo non era minimamente comparabile alla raffinatezza delle ricamatrici degl’Eldar, tuttavia era meglio che girare tra le guerriere a torso nudo. Tentò di sedersi per poterla afferrare dai piedi del letto ed indossare nuovamente, ma il dolore alla spalla era ancora vivido e pulsante. Ritrasse il braccio cercando di liberarlo dal peso dell’indolenzimento con piccoli movimenti circolari. Non sembrava passare nemmeno con quei gesti, rimanendo sempre presente ad ogni minimo spostamento. Mentre ancora se ne stava seduto fra le coperte dinoccolando la spalla, l’entrata della tenda si mosse. Riconobbe quasi immediatamente le parole arcaiche accompagnate da quella melodiosa voce padrona dei suoi sogni. Perché Adamante adesso regnava nei voli pindarici dell’elfo indiscussa. La fanciulla portava i capelli raccolti in una pesante e lunga treccia da cui poteva ammirare quei riflessi dorati della chioma castana e dagli occhi traspariva la notte di mancato riposo. Trascinavano gli evidenti segni della stanchezza impressa con un lieve cerchio scuro appena visibile da sotto il cuoio, ormai immancabile compagnia del suo viso. La pelle era più pallida del giorno precedente eppure non si risparmiò un delicato e solare sorriso. Era l’unica a compiere tale gesto tra le sue compagne, di solito sempre serie ed arrabbiate con i prigionieri. Invero il principe elfico non era come tutti gl’altri e meritava quindi un trattamento di riguardo, che poteva consistere semplicemente nel non sputare contro la terra su cui camminava. Il disprezzo era una delle più assidue armi di governo utilizzate: per una Gothwin vinya | S - Amazzone |, come venivano denominate da dopo la Visita dell’Astro, odiare l’altro sesso era obbligatorio e quasi inculcato dalle leggende retaggio delle proprie madri, le quali raccontavano la propria presa di posizione contro la schiavitù imposta dall'uomo che rinchiudeva le mogli in una gabbia fatta da un focolaio domestico e tanti bambini. Adamante le vedeva come fisime sbagliate, fatte di leggi ed impliciti obblighi ormai obsoleti, ma aveva smesso da tempo di ribbellarsi a tali regole, si limitava ad una sorta di apatica rassegnazione, comandata dallo sconforto della perdita di una persona cara. Legolas, seppur non aveva avuto molti contatti con le altre guerriere, aveva notato come fosse diversa la fanciulla che si era prodigata alla sua salvezza, iniziando da quella maschera che nascondeva il viso della ragazza. Perché la portava? Non aveva fatto altro nei suoi sogni che togliere quell’artefatto di pelle conciata ma l’unica immagine che vedeva era uno specchio di sé. Il dubbio che dietro di essa celasse uno sfregio di battaglia era sorto, senza provare alcun disgusto, solo una brama martellante di conoscere indiscretamente i suoi segreti. Quella fanciulla aveva distrutto la sua immagine austera di principe elfico, nei millenni in cui aveva solcato il suolo della Terra di Mezzo non aveva mai provato un simile sentimento di curiosità morbosa, tanto da porsi ogni sorta di domanda riguardo solo ed esclusivamente Adamante, sebbene la situazione richiedesse calma e sangue freddo per molti altri motivi. La ragazza aveva scosso il suo remissivo spirito passionale, lo spingeva verso lidi sconosciuti delle emozioni, lo rendeva meno etereo e più umano in un certo senso.

“Ben’alzato, noto con piacere che le mie cure vi hanno giovato!” l’elfo non replicò in alcun modo, troppo occupato nello studio delle movenze di Adamante che si sedette sul ciglio del letto, sollevando la benda dal suo petto per controllare. “Ottimo!" affermò fiera del suo operato "Stanno regredendo, sembra che la convalescenza di voi elfi sia molto più veloce! Callial sarà contenta di poter ripartire presto queste terre sono pericolose e troppo allo scoperto per noi!” l’ultima frase la pronunziò con un tono infinitesimale, con quella zavorra mesta che aveva ogni qual volta il nome della sorella tornava fra i suoi pensieri. Legolas rimase in silenzio, incerto se rivolgere i quesiti nati con l’ausilio della notte. Ricordava la sera precedente in maniera indelebile: le sue sapienti mani muoversi per salvarlo, il proprio linguaggio sulle sue labbra pronunciato con la scioltezza di un pari razza, il suo imperioso comando di non proferire mai il suo nome e quella maschera che non gli permetteva d’ammirare un importante tratto di viso. “Questa mattina, prima di venirvi a medicare, sono passata dal vostro amico per portargli le nuove sulla ferita in via di guarigione …” Adamante prese una ciotola di legno dove riversò dell’acqua e degl’oli essenziali profumati, mescolando gl'ingredienti accuratamente.

“Questa mattina avete detto?”

“Si elfo, siamo nelle prime ore del meriggio, avete dormito molto ma era necessario per evitarvi inutili sofferenze!” la guaritrice sciolse le bende lasciando il petto glabro e dalla pelle di alabastro completamente scoperto. Legolas fu preda di un inutile imbarazzo, che venne subito percepito dalla ragazza come un irrigidimento dei muscoli facciali. La mascella dell’elfo si contrasse, gli occhi ebbero un leggero sussulto, le mani afferrarono la coperta adagiata sulle sue gambe quasi strappandola. “Sono un’esperta delle arti mediche, elfo, non fatevi coinvolgere da sciocchi pudori! Non siete il primo essere maschile di cui vedo le nudità!” un’altra sensazione lo colse che sulle prime non seppe identificare con precisione. Gli appariva come un bollore divampato dal centro del suo petto fino alla mente, di solito lucida e fredda dell’elfo. Probabilmente i freni inibitori erano stati completamente ribaltati dal filtro e dall’unguento che gli erano stati somministrati durante la notte. O, perlomeno, questa era la giustificazione che si diede per quella rabbia inconsulta che era zampillata come una novella fonte al sapere di quegl’occhi scuri posati su diversi corpi che no fossero il suo, quegl’occhi che stavano assumendo sempre più la connotazione di una strana ossessione. Adamante intinse in quel salubre miscuglio una nuova garza di lino pulita, per poi strofinarla con delicatezza sull’epidermide dell’elfo. “Ha un vocabolario davvero …" si soffermò alla ricerca del termine più adatto per poi riprendere con un sorriso. "Colorito, oserei dire!” la ragazza cercò di deviare l’imbarazzo di quel momento con un argomento divertente. Ebbene quale migliore aneddoto, se non l’incontro con Gimli.

“Di chi parlate?” chiese Legolas totalmente rapito dall’indagine che aveva iniziato. Osservava con minuzia ed attenzione ogni particolare del volto cereo di Adamante cercando di trovare una prova di trasfigurazione che probabilmente la costringeva ad indossare quella maschera, l’inizio di una cicatrice, un qualcosa che gli avrebbe confermato le mille teorie indiziarie che continuava a ripetersi. Pensava che con una  vicinanza così stretta, forse, aveva una minima speranza di ottenere qualche risposta in più sul mistero di Adamante. In realtà, escluso l’unico piccolo difetto di un naso poco più pronunciato rispetto al viso magro per quel che gli era consentito di vedere, null’altro aveva scorto. Non contando la sagacia della fanciulla la quale lingua, che sapeva destreggiarsi bene nella dialettica almeno quanto le sue mani erano portatrici di sollievo, riuscì a deviare le perplessità dell’elfo e catturando l'attenzione con altri argomenti per lui di estrema importanza.

“Del vostro compagno nano!” gli angoli della bocca si alzarono non resistendo all’ effusione ilare che quel ricordo provocava, quando Adamante era entrata nella sua prigione portando con sé cibo ed acqua. Mai aveva sentito un tale uso variopinto d’ insulti, quasi era tentata di appuntare tutte le ingiurie uscite dalla folta barba per farne una guida educativa.

“Tipico del mio amico, non sa trattenersi nemmeno di fronte ad una donna!” le note sarcastiche che avevano intrappolato la conversazione, iniziarono ad allietare gli spiriti di entrambi.

“È molto simpatico, ma non lo biasimo se non prova lo stesso nei miei confronti!” il sorriso s’increspava su i visi dei due interlocutori, senza remore o paure. Se non fosse stato per la tensione della situazione ad un estraneo potevano apparire due amici di vecchia data che si raccontavano gli ultimi avvenimenti dopo anni di separazione. “Permettetemi l’ardire, mastro elfo, siete davvero uno strano duo! Singolare sicuramente! ” Il ricordo era si allegro, ma anche altrettanto malinconico. Quando Adamante, disubbidendo alla sorella, aveva rivelato al nano che Legolas era fuori pericolo il suo sguardo aveva perso ogni barriera di durezza e aveva rivelato l’animo gentile che anche un figlio della roccia poteva possedere. Adamante non sopportava vedere ulteriore sofferenza afflitta ai due, tant’è che già dalla mattina aveva deciso di aiutarli con notizie dell’uno e dell’altro, diventando messaggera. S’accostò all’orecchio dell’elfo sperando di far catturare soltanto a Legolas le parole che s’apprestava a pronunciare. “Potrò farvi da tramite, messer elfo ma dovete stare attento soprattutto in presenza di Callial a non rivelare questo segreto. Non voglio rischiare oltre quello che già sto facendo! Ora asciugatevi mentre preparo l’impacco per la vostra ferita, non ci vorrà molto!” quella ragazza rimaneva sempre più un enigma per l’elfo: perché stava cercando di aiutarli se lei stessa aveva contribuito alla loro prigionia? Perché temeva così profondamente l’altra donna? Le domande rimanevano incompiute e prive di replica. La ragazza continuava il suo laborioso operato, intenta nel pestare in un mortaio più erbe dagl’odori variegati e dalle sostanze complicate. Argilla, piccole bacche verdi e nere, foglie rosse, brandelli di corteccia tra cui anche della cannella dal caratteristico profumo. Tutto veniva abilmente rimestato, fino a creare un preparato cremoso e dall’odore tranquillamente sopportabile, seppur leggermente urticante al sensibile olfatto dell’elfo.

“Perché non posso pronunciare il vostro nome?” per la prima volta Legolas riuscì a sbloccare il tormento. Era la prima pietra di una diga, la cui pressione del fiume avrebbe permesso lo sciabordare impetuoso delle informazioni.

“Non sono affari che vi riguardano!” la risposta secca della ragazza lasciò il principe basito.

“Se non ho il permesso di fare una cosa gradirei almeno sapere il perché!” cercò di ribattere mantenendo pur sempre la quiete nei toni.  Invece, sul volto della fanciulla apparvero evidenti segni di frustrazione. Le labbra tirate in una linea dura e retta, gli occhi invasi da un’orda di fuoco, i gesti sempre più meccanici, la voce, quella che più la caratterizzava, diventò d’improvviso atona e priva di ogni inclinazione.

“Voi non avete idea delle punizioni crudeli che possono essere inflitte a chiunque azzardasse opporsi ad un Tessalon e la sua predestinata, non osate neppure immaginare con quale facilità vengono applicate siffatte sanzioni. Basta il solo sospetto di tale infamia, per essere condannate a morte e non importa di quale rango, gerarchia o fregio si è in possesso. L’unione è Sacra e va rispettata sopra ogni cosa! Ascoltate ora, perché non ripeterò la più importante regola: non vi è dato pronunciare alcun nome al di fuori della predestinata, solo Callial potrà risiedere incolume fra le vostre labbra! Per voi io sono la guaritrice e le altre solo delle serve di Artemis!” la freddezza con cui aveva terminato  si disciolse completamente, quando riprese a finire il suo compito, quando cominciò a cospargere la poltiglia medicamentosa sulla spalla. “Nessuno potrebbe avvicinarsi a voi troppo a lungo, se non fosse per la vostra ferita nemmeno io potrei! Non perpetuate nell’insistenza dei quesiti che vi siete posto, una volta ottenuto da voi quello che occorre non ricorderete nemmeno la nostra esistenza!” questo l’elfo non poteva permetterlo. Gli occhi di Adamante l’avevano ricondotto alla luce, non potevano cancellarli dalla sua memoria. Per la seconda volta la pazienza e la calma si trovarono sommersi da sentimenti negativi dimostrati appena sul corpo dell’elfo. La ragazza si rese conto di quel cambio repentino, si affrettò a terminare il suo compito e a raccogliere i suoi strumenti, con il tacito silenzio di chi non ha più nulla da dire per non incappare in un tradimento della mente. Aiutò Legolas a rivestirsi senza mai alzare lo sguardo ad incontrare quello di lui, non voleva perdersi in quell’oceano ceruleo e finire per rivelargli ogni singola omissione. Troppe orecchie erano puntate su di loro, in attesa di responso. Solo un’ultima frase risuonò dalle spalle sottili della ragazza tra le pareti fluttuanti fatte di stoffa della tenda. Legolas non poteva restare così a digiuno di quello sguardo e pregò il Destino di donarglielo per un’ultima volta prima di lasciarlo. “Dirò a Callial di partire con il favore della notte, cercate di dormire fino ad allora e di mangiare qualcosa per recuperare il più possibile le forze, Principe!” anche Adamante sentiva il bisogno di voltarsi, la necessità veniva chiamata da quelle iridi d’argento e cristalline che l’avevano stregata dal primo momento. Con una lentezza esasperante si orientò verso l’elfo che, con un gesto involontario, aveva proteso il busto in avanti quasi pronto a scattare per fermarla e prendere ciò che sentiva spettargli di diritto. “Quel esta! | S – Buon riposo! |” L’elfo non ebbe possibilità di replica che la ragazza era già scomparsa dietro l’uscio. La testa sprofondò greve sul guanciale morbido, rallentando la corsa che aveva iniziato ad intraprendere. Eccessive domande vorticavano all’interno di essa, l’enigma Adamante non voleva risolversi. Può un essere millenario che aveva assistito al mutare del mondo, diventare impaziente in poche ore? Si. Quella era l’unica risposta certa dell’elfo. Ma non solo il giovane antico si stava riscoprendo nuovo, anche una piccola e pallida guaritrice si trovava immersa nei dubbi. La maschera di Adamante era pesante più di un masso, la sciolse da dietro la nuca con un gesto rapido e la gettò tra le mani della guardia che la spiava nelle abluzioni al ferito. Per quanto le rigide regole a cui era costantemente sottoposta le andassero strette, mai si era sentita così a disagio e seccata. Non era il primo mandato che eseguiva, eppure avvertiva un nodo indigesto serrarsi nello stomaco come una valanga ripiegata sul dorso della montagna. Doveva allontanarsi dall’accampamento prima di scoppiare in un urlo liberatorio. Dopo aver spiegato le indicazioni alla combattente di guardia, imponendole di riferire a Callial della sua labile assenza e dell’imminente partenza, la ragazza chiamò il suo destriero con un fischio. Aratoamin l’aveva chiamato - il mio campione - per le sue prestazioni di velocità ben superiore a qualsiasi suo altro simile. Il suo manto era bianco e pezzato da macchie rossicce, due stelle oscure vivaci vi risiedevano come occhi, i muscoli allungati e forti per un destriero dalle dimensioni ridotte rispetto ad un suo fratello di Rohan. Un'animale troppo intelligente per non assecondare solo ed esclusivamente uno spirito simile a quello di Adamante. Avevano cercato d’imporgli la sella, di impartigli ordini con la forza e con le minacce, con il risultato d’imbizzarrirlo sempre più. Aratoamin era nato libero e libero voleva rimanere, a costo di andare incontro alla morte per mano di Callial la sua prima padrona, stanca di dover combattere contro una bestia indomabile, a suo dire. Adamante salvò la sua vita, implorando la sorella di attendere un suo tentativo. Ella entrò in punta di piedi nel cuore del cavallo, avente lo spirito guerriero e fiero. Non gl’impose imbraghi, non le occorrevano per cavalcare, ma conquistò la sua fiducia con la gentilezza e la grazia che possedeva innata. Fu la bestia a scegliere di stare con lei svincolato da ogni obbligo di sudditanza, quando un giorno le permise di salire sulla sua groppa cavalcando libero da sella e morso, perché non avevano bisogno di redini per unirsi. Semplicemente erano due anime comuni, racchiuse in un mondo che non li meritava. Come ogni volta che uno dei due sentiva il bisogno, si ritrovarono a battere le strade sconosciute a tutta velocità. La bestia volava sui suoi zoccoli, saltando gli ostacoli con maestria ed affondando leggero nel terreno sabbioso senza alzare un solo granello di polvere. Rappresentava l’eleganza e la forza, il degno compagno di Adamante. Per molto tempo intrapresero quella corsa finché la fatica cominciò a reclamare le membra della ragazza. Le Terre Brune non offrivano molti punti di ristoro, sicché si doverono accontentare di un  arbusto spoglio. La piccola Adamante finalmente si sentiva sollevata, libera di vivere a modo suo, senza maschere e timori di cadere nei tranelli delle stupide imposizione della sua corte. Socchiuse le palpebre assaporando quell’infinita sensazione di beatitudine, conquistata con la lontananza dall’accampamento. Molte volte da bambina era sfuggita dalla sorveglianza della madre e della sorella per rifugiarsi nella solitudine, dove le voci smettevano d’imporle norme su norme. L’unico momento in cui il suo cuore era lasciato a briglia sciolta, proprio come Aratoamin: poteva galoppare, correre, brucare, dormire se voleva, anche gridare quanto ingiusto era l’obbligo a cui costringevano i prigionieri. Il  torrido e soffocante clima dell’Est cominciava a lambire la pelle di Adamante, ricoprendola di brillanti goccioline d’acqua che, come il suo nome, erano degne imitazioni della sacra pietra preziosa, lacrima di Artemis. Callial aveva sempre odiato la scelta della madre di chiamare la sorella Diamante, vero significato di Adamante, ma lo preferiva a Chillah, fragile, perché di fragile in lei non vedeva nulla. Da quando era nata, si era sempre sentita minacciata da quella pallida figlia di Stelle, ma mai si era rivelata ad alcuno. Adamante avvertiva l’astio latente della sorella ad ogni segno di disprezzo. Da qualche anno aveva cominciato a sperare che le sue vessazioni si concretizzassero e che la sua crudeltà finalmente si rivelasse nella più alta delle forme, concludendosi con la separazione dello spirito della fanciulla dal corpo nel delitto che sopra a tutto voleva compiere Callial. Il riposo stava ancora favorendo le riflessioni della ragazza, quando il suo cavallo iniziò a scalpitare impennandosi sulle zampe posteriori. Il suo nitrito era forte e acuto, come di campane poste in allarme. Adamante si voltò verso di lui rimanendo seduta tra le radici aride dell’arbusto che le fungeva da poltrona.

“Mani marte, Aratoamin? | S - Cosa è successo, Aratoamin ?| ” fu l’unica cosa che riuscì a dire prima che l’estremità nodosa di un bastone da guerra cozzò contro il suo viso. Volò per alcuni metri sulla schiena, il cavallo intervenne immediatamente scalciando scalciando con insistenza l'aria contro le tre amazzoni giunte. Dopo un ordine preciso della padrona, si placò appartandosi remissivo. Adamante sapeva a cosa sarebbe andata incontro con quella sua fuga, anche se si aspettava più la solita sfuriata piuttosto che una punizione corporale. Il cavallo si scostò del tutto lasciando libera la strada a Callial, che, impietosa, afferrò la sorella per i capelli trascinandola con tutta la forza al centro del triangolo. Adamante continuava a tossire e sputare sangue proveniente dal labbro rotto e gonfio.  Non avrebbe avuto nemmeno il permesso di curarsi, come un calzolaio con la suola bucata e senza chiodi. La polvere, la terra, il livido, nulla era pari alla furia che imperversava negl’occhi della sorella. Nelle altre due riconosceva la guardia sua ombra che non aveva smesso di placcarla dalla mattina e Geldena, braccio destro nonché fida consigliera di Callial. Le loro menti erano affini ma Geldena era ancor più subdola e spaventosa. Spesso era lei ad indicare la via della perdizione alla instabile sorella, la manipolava a suo piacimento, sapendo che ovunque Callial sarebbe andata Geldena l’avrebbe seguita. Entrambe insane e crudeli, entrambe avvelenate dalla stessa brama di potere.

“Cosa pensavate di fare, Adamante? Da voi non me l’aspettavo, contravvenire ad un mio ordine diretto! La devo prendere come un insubordinazione da parte del mio stesso sangue?” sputò tutto d'un fiato la spiritata Callial, preda delle più nere tempeste che aveva mai affrontato.

“Non so di cosa tu stia parlando Callial!” Adamante rimase stesa in terra, girandosi su di un fianco per tenere sollevata la testa e non strozzarsi con lo stesso sangue che le colava dalla bocca.

“NON PRENDETEVI GIOCO DI ME!” il grido acuto di Callial arrivò fino all’accampamento. In un gesto furente si prese i capelli mentre sferrava un calcio sull’addome di Adamante. La sua follia finalmente si era mostrata la vera Callial era quella, completamente ottenebrata dalla trasbordante scia di emozioni negative di cui era vittima. Isteria, pazzia, spietatezza, ferocia e molti altri sinonimi si potevano trovare su quella donna invidiosa e vile, che approfittava della sua posizione per esprimere la dittatura basata sul terrore di ogni sbalzo che il suo umore asserviva. Adamante era il capro espiatorio in quel momento. I suoi occhi annebbiati dal velo di lacrime e dolore erano puntati sul suo fido compagno. Muoveva la testa innervosito ma era conscio di non poter intervenire, onde evitare una nuova ragione per ritorcere altre brutalità su Adamante. “Voi avete parlato al nano, come avete potuto! Perché non mancate mai di tradire la mia fiducia!” un nuovo salto nel vuoto, Callial cadde sulle ginocchia accanto alla sorella irrompendo in un pianto disperato avvinghiata al petto di Adamante. Avendo come solo testimoni le due omissive e fidate guardie, si stava completamente abbandonando al suo squilibrio. Le testimoni avrebbero taciuto qualsiasi efferratezza della loro principessa. “Perché sorella, perché non mi amate come vi amo io?” i singhiozzi della donna scuotevano anche la ragazza, che in un gesto spontaneo abbracciò Callial. Era sempre così, la conosceva ed in fondo provava pietà per lei. Il germe della pazzia era stato piantato in tenera età, quando ancora da bambine litigavano per un'inezia. Tutti conoscevano l'altalenante Callial ma nessuno aveva mai osato contraddire la predilezione della regina nei confronti della figlia maggiore, così sanguinaria e spietata da incutere terrore.

“Volevo solo rassicurare l’animo del nano, sorella mia!” la donna continuava a stringere la sorella che intanto carezzava la sua testa posando deboli e dolenti baci sulla nuca per tranquillizzarla “Non ha un carattere facile, lo volevo rendere più …” esitò nel pronunziare quella parola detta soltanto in un frangente di falsa innocenza. Rivolse un fugace sguardo ad Aratoamin che continuava a sbuffare spostando con violenza la sua testa dall’alto verso il basso e producendo versi eloquenti sul suo stato d’animo “ … malleabile, per permetterci una partenza serena!”

“Dovevi chiedermi il permesso!” la lagna con cui parlò Callial sembrava la protesta di un infante. Il tempo la stava rendendo sempre più influenzabile agl’umori.  Adamante sapeva bene usare le sue armi. Non era un’esperta combattente, in campo di battaglia sapeva a malapena difendersi, ma la sua lingua era più affilata di un coltello. Alzò il viso della sorella con due dita sotto il mento imponendo ai suoi occhi di guardarla. Callial si asciugò il viso, sporcandolo ulteriormente con la terra fra le sue mani.

“Non era mia intenzione, mancarvi di rispetto! Ho agito a fin di bene, sorella mia, potete perdonarmi?” usò tutta la dolcezza di cui era empia: i suoi occhi, ancora lucidi, imponevano al suo viso un’espressione prostrata e rammaricata. In quei casi Adamante disprezzava se stessa, mentire e ostentare tale prostrazione alla follia della sorella la rendeva un gradino al di sotto di Callial. Si sentiva sporca, eppure pensò che valeva la pena preservare ancora per qualche giorno la sua vita.  Callial si sollevò sulle ginocchia, esibendo un lauto sorriso per l’evidente asservimento  dell’indomita sorella. Quello era il suo modo di dire che l'aveva perdonata dopo le sue scuse. S’affrettò a dare ordini alle due donne che l’avevano accompagnata in quella spedizione punitiva, saltando sulla sella con la contentezza di quando otteneva ciò che più desiderava. Si miei signori, il sogno più grande di Callial era la completa sottomissione della sorella ed ogni passo che avvicinava tale scopo tornava ad essere allegra e gioviale. Per quanto le costasse ammetterlo, Adamante e le sue capacità erano importanti, per questo non l’aveva ancora eliminata. Non c’era solo il livore della sorella contro cui combattere. Geldena odiava Adamante per ciò che rappresentava: l’evidente ostacolo alla sua supremazia. Se la ragazza avesse ereditato il trono della madre, il destino della Consigliera sarebbe stato quello di pasto per i vermi, probabilmente in esilio e non sul campo di battaglia come si auspicava.

“Potete ingannare lei, ma non me Adamante! La mia testa è ancora sana, voi avete in mente qualcosa!” prima che la ragazza potesse salire in groppa al suo destriero la Consigliera l’aveva afferrata per un braccio e trascinata a sé per poterla osservare dritta negl’occhi in un gesto di sfida.

“Geldena, vi devo ricordare il rispetto che mi dovete? Non vorrete che la mia insana sorella sia costretta a punirvi per le vostre sporche mani sulla mia figura senza la giusta autorizzazione?” la stessa Adamante era libera con la donna di mostrare risentimento al contrario della sorella. Inoltre con lei, usufruiva degl’agi dovuti alla sua posizione di seconda nella linea di successione al trono.

“Non sarà sempre così!” strinse il braccio della ragazza, che la ripagò con uno sguardo ben più truce di quello della sottoposta.

“Dovete imparare dove è il vostro posto, mia cara Geldena, se volete ve lo indico io:  dietro di me!” con uno slancio Adamante si sollevò da terra posizionandosi sulla groppa di Aratoamin, il quale s’impennò, prima di correre verso l’accampamento quasi del tutto smantellato. La partenza era molto più che imminente.

Miei signori permettetemi ora una pausa, lasciate che il luppolo possa irrorare la mia gola, arsa per il troppo cantare, ma attendete, ve ne prego, perché la storia ora diventerà ancor più chiara. La bella Adamante inizierà un percorso assai difficoltoso, alimentato da una delle più grandi forze motrici esistenti in natura. Vi chiedete cosa? Ebbene, pazientate il mio ristoro ed io vi svelerò cosa in Adamante fece scattare la scintilla della ribellione.  

 

Note dell'autrice: Buona sera miei compagni d' avventura! Abbiamo scoperto quanto è folle la sorella di Adamante. Callial fa paura nella sua pazza ed insana vita. Ma guardate un po' c'è qualcuno di più spaventoso alle sue spalle: Geldena (la g si pronuncia alla tedesca, dura come ghiro per intenderci.). I cavalli delle amazzoni somigliano alla razza araba, che è molto più piccola delle altre razze per questo sono molto veloci e agili.

Rispondiamo alle recensioni:

corsara_andalusa: Grazie mille per i tuoi complimenti! Avevo proprio paura ad addentrarmi in questo mondo così ben esplorato e venerato. Quindi la tua approvazione è molto importante per te questo nuovo capitolo!

Alchimista: O Mio Dio! Per tutta la produzione di Tolkien! Grazie mille! Ci tenevo moltissimo a tenere l'IC dei protagonisti, per me il Signore degl'anelli risulta intoccabile, anche se Legolas sarà scosso come un'uragano dalla piccola Adamante. Comunque per scoprire di più bisognerà andare avanti con la storia tutta impressa nella mia malata testolina. Il fatto che tu ti stupisca delle recensioni, bhè insomma sono nuova del fandom di Tolkien e forse anche questo ha influito, visto che i lettori sono molto più oculati rispetto ad altre sezioni (te lo posso assicurare), quindi magari è più difficile ricevere recensioni, magari più in là saranno prolifiche e mature. Insomma spero di conquistare altri lettori come te. Ahi ahi, hai colpito il mio tallone d'Achille, la punteggiatura! ho sempre avuto difficoltà nel posizionarla, questo perchè scrivo di getto e spesso mi dimentico dei tastini in fondo a destra (me tapina) comunque cercherò di essere ancor più attenta nell'utilizzo di virgole punti ecc.  e presto rivedrò anche gli altri capitoli. PS: sono contenta che ti sia affezionata ad Adamante e vedo che hai già inquadrato il personaggio anche se c'è qualcosa di lei che ancora non sapete. E' importante che la protogonista attragga, sennò la storia perde di senso!^^ Continua a seguirmi e a elargire consigli, io sono qui con gli occhietti vispi e spalancati ad ogni critica costruttiva.

Vi auguro a tutti buona lettura!

Sempre vostra Malice.

   
 
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