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Autore: Less_    20/06/2010    1 recensioni
Una ragazza brillante, ma solitaria e senza amici, che vive in un piccolo paese che non ama con la sua famiglia, e un ragazzo particolare con una famiglia che cerca la tranquillità di un borgo di montagna, hanno un destino comune, troppo più grande di loro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Esco a vedere dove si è abbattuto il fulmine» decise Federico.

«Ma piove!» protestò Alessia.

«Già... piove!» ribadì Federico, come se fosse una scema.

Alessia lo guardò, seccata.

«Ti ammalerai» disse.

«Già... mi ammalerò».

«Questa storia mi sta stancando» disse Alessia.

Seguì Federico, che fece per uscire. La pioggia aveva già impregnato il terreno, rendendolo fangoso al di sotto dello strato d'erba.

Dove il fulmine era caduto c'era un chiazza nera d'erba bruciata, ma c'era anche un oggetto. Guardandolo meglio, i due ragazzi videro che si trattava di un ciondolo argentato, appeso a una catenina.

«Com'è finito qui?» chiese Federico.

«E questa, amico mio, è un'ottima domanda» disse Alessia.

Si accucciarono vicino alla catenina.

Alessia tese lentamente la mano verso il pendaglio.

Federico la guardò compiere quel gesto pieno di solenne lentezza – o forse era solo paura.

La sua mano si sciupò, divenne secca e raggrinzita. Alessia non sembrava accorgersi che la sua mano era invecchiata di settant'anni in meno di un secondo, e continuò a tendersi per raccogliere lo strano oggetto.

Federico guardò sempre più stupito la mano di Alessia. Quando questa cominciò a polverizzarsi, prese Alessia per le spalle e la tirò a sé, facendola rialzare.

Lei prese improvvisamente fiato, come qualcuno che esce da una troppo lunga apnea forzata. Tremava, e non faceva particolarmente freddo, adesso.

La sua mano era ancora al suo posto, intatta, ma aveva un segno nero, un ghirigoro floreale che non c'era mai stato prima.

«Cos'è successo?» chiese spaventata Alessia. Non sembrava ricordare niente.

«Puoi muovere la mano?» chiese Federico, ignorandola.

«Sì» fu la risposta. Alessia e Federico erano ormai completamente zuppi.

Federico si riavvicinò al ciondolo, intimando alla ragazza di rimanere ferma.

Poi, con un lembo della maglia intorno alla mano, raccolse il ciondolo. Insieme rientrarono in casa. Gocciolavano sul pavimento.

«Che disastro» commentò Alessia, guardando l'acqua a terra.

«No dico scherzi? Hai un tatuaggio sulla mano e ti preoccupi di un po' d'acqua?» chiese Federico, che iniziava a sembrare isterico.

«Va bene, ma dobbiamo asciugarci, o ci ammaleremo veramente» disse Alessia.

«No dico scherzi??? Potresti avere chissà quale malattia mortale e davvero hai paura di un po' di febbre? Io non ti capisco» si arrese Federico, disarmato.

Alessia fece spallucce.

«Ma io mi sento bene!» disse, con il tono più naturale del mondo, e corse a prendere degli asciugamani.

Si asciugarono approssimativamente. Poi Federico guardò Alessia.

«E adesso che cosa fai con quella mano tutta tatuata?» chiese.

«Ho un piano» disse Alessia.

Federico tirò un sospiro di sollievo. Non era bravo, coi piani.

«Andiamo da un adulto e gli diciamo tutta la verità» svelò allegramente lei.

Federico guardò Alessia come se avesse un serio problema.

«Oh, sì, mi immagino la scena. “Mamma, mamma, un fulmine ha colpito il giardino, e dove l'ha colpito c'era una catenina, ho provato a toccarla ma mi è venuto questo tatuaggio!” “AAAHHHHH! No aspetta che cosa che cosa che cosa?” “Sì, ti dico che ho toccato una catenina portata da un fulmine e mi sono fatta questo tatuaggio assurdo senza neanche volerlo!” “Ah sì va bene allora a posto”. Sicuro! Grande idea! Diciamolo a qualcuno! Cosa pensi che succederà?» chiese Federico, che veramente rasentava l'isteria.

Alessia chiuse gli occhi.

«Non voglio affrontare tutto questo da sola» due lacrime la scorsero lungo le guance. Non voleva piangere, non sapeva perché stesse piangendo. Di sicuro non era per quello che aveva detto. Forse stava solo pensando al suo segreto, se ne aveva uno.

Federico le si avvicinò.

«Stavolta dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Ci sarò anch'io con te, ma non possiamo affidarci agli adulti. Non è possibile. Non c'è modo» mormorò Federico, tentando timidamente di cingerla con un braccio.

Alessia rimase immobile, al centro della stanza.

Aprì gli occhi.

«Ho paura» disse in un soffio.

 

Il rumore dell'auto che faceva scricchiolare la ghiaia bagnata li distrasse.

«Merda merda merda! Sono i miei!» disse Alessia.

«Sbrigati, andiamocene» saltò su Federico. Alessia si attardò a scrivere un biglietto: “Sono da nonna. Ceno da lei. Chiama”, e a prendere il cellulare.

Lei e Federico uscirono velocemente dalla porta principale, mentre i suoi entravano dal retro.

«Dove andiamo?» chiese Alessia.

«Non lo so, ma non a casa mia, i miei sono lì!» disse Federico.

«Dobbiamo incamminarci, però, o ci vedranno» commentò lei.

Incominciarono a camminare.

«Ecco l'idea! Casa mia!» esclamò esultante Alessia qualche minuto dopo.

«Ci sei? Siamo appena andati via da casa tua... perché sono tornati i tuoi. Ti ricordi, vero?» di nuovo, Federico si comportava come se Alessia fosse pazza.

«Errore comprensibile, colpa mia. Non questa casa. Non abbiamo sempre vissuto qui. Mamma aveva una casa, e abbiamo vissuto lì finché ho avuto due anni, poi siamo venuti qui. In realtà adesso è affittata ma c'è un cortile con un capanno, e possiamo andare lì, per il momento» spiegò lei.

Mentre finiva di parlare, il telefono squillò.

«Doppia merda... pronto, ma?... sì... no, sono appena arrivata... no, voglio restare un pochino... no, scendo a piedi... sì, sono coperta! Dai, non ho due anni... uffa... va bene. Ciao» riattaccò.

«Abbiamo circa due nanosecondi di tempo per trovare una soluzione» disse Alessia accennando al tatuaggio.

«E se ti bruciassimo la mano?» suggerì Federico.

«Non sto a dirti tutte le cose che comporterebbe. Pensa solo che mamma mi ucciderebbe per non averle detto dell'ustione. E poi credo che le ustioni siano rosse... non risolve il problema tatuaggio» rispose Alessia.

Si bagnò la mano con dell'acqua depositata su un filo d'erba.

«Niente. Non scompare. Posso dire che è un tatoo temporaneo...» disse Alessia.

«Troppo complicato per essere temporaneo, e in un posto troppo strano... e si noterebbe che non se ne va».

«Merda secca!».

In quel momento passò una donna. Guardò Alessia.

«Hai la mano sporca d'erba, cara, dovresti pulirti» disse.

«D'erba?» domandò Alessia.

«Sì, un pochino sulle nocche. Ecco, sei pulita. Completamente» disse la donna dopo averle strofinato un po' la mano.

«Ciao!».

Alessia e Federico quasi dimenticarono di salutare.

«Credo che non lo veda» disse lei.

«Forse lo vediamo solo noi due» ipotizzò Federico.

«Probabile. Abbiamo visto mentre succedeva... e il fulmine... e abbiamo la catenina con noi...» disse Alessia.

Tirò un profondo sospiro.

«Che assurdità. Questo... coso, lo devo levare lo stesso, in un modo o nell'altro» sussurrò.

«Pensi che ci sia qualcosa di grande, dietro? Intendo, qualche assurda storia fantasy...» chiese poi. «Non è possibile» rispose Federico con uno strano tono.

Camminarono in silenzio per un po', poi, al bivio, Federico prese a sinistra, e Alessia andò a destra.

«Vai da tua nonna» non sembrava una domanda.

«E tu vai a casa. Ci vediamo».

Alessia camminò ancora fino a raggiungere la casa di sua nonna.

Con uno scarto di pochi minuti, che nessuno avrebbe notato, Alessia cenò. Come previsto, nessuno dei suoi nonni si accorse del segno sulla mano.

Alessia tornò a casa a piedi. Faceva caldo, le nuvole erano andate via, ma le stelle, come sempre, erano poche. Non che la affascinassero. Tante masse di gas e chissà che altro, sparse per il cielo enorme e infinito, fredde e prive di magia come un ciocco di legno... solo che loro erano molto più spaventevoli di un banale rametto.

No, decisamente, le stelle la inquietavano. Specie se doveva osservarle senza niente sopra la testa, con la consapevolezza di essere immersa e sommersa dai loro sguardi glaciali.

Forse era una specie di paranoia...

Alessia accelerò il passo.

A casa, andò a dormire presto. In realtà avrebbe voluto guardare meglio la mano, ma era stanca e in quel momento provava un senso di rifiuto assoluto della realtà.

“Perché non può essere un sogno?”.

Il mattino seguente Alessia si dedicò a qualche ricerca su internet.

La parte più difficile fu la selezione delle parole da inserire nella ricerca. Fulmine trasporta catena?

Tatuaggio impresso da un fulmine (che non era proprio vero)? Ma comunque non aveva molto senso in nessun modo, per come la si mettesse. E non trovò niente con nessuna delle due formule.

C'era bisogno di un'altra mente di supporto, anche se in quel momento Alessia non sapeva dove avrebbe potuto trovarla.

Così si diresse ai bidoni della spazzatura, dove aveva incontrato Federico due volte su tre. Stette ferma lì ad aspettarlo per un quarto d'ora, poi si rese conto dell'assurdità delle sue azioni. Che senso aveva aspettare qualcuno che non sapeva nemmeno di dover arrivare?

Infatti Federico non si presentò.

La prossima volta che lo vedo, pensò Alessia, devo chiedergli il numero di cellulare.

 

Federico aspettava dall'altra parte della strada rispetto alla casa dell'amica.

Ma poteva veramente chiamarla amica? In fondo non si conoscevano poi tanto. Normalmente l'avrebbe chiamata, almeno con se stesso, anima affine, ma quello che sentiva verso di lei non poteva lasciare spazio a fraintendimenti. Si conoscevano appena. Non potevano essere affini, né amici, perché in realtà i suoi sentimenti non lo permettevano. In effetti, doveva ammetterlo almeno con se stesso, si era innamorato. Come una pera cotta. Se ci pensava moriva d'imbarazzo... insomma, non che gli dispiacesse, ma provava una strana stretta allo stomaco, e arrossiva quando ci pensava. Perciò... cercava più che poteva di non pensarci.

In realtà Federico aspettava che la macchina dei genitori di Alessia, parcheggiata davanti alla casa, sparisse, ma potevano correrci ore prima che succedesse.

Si avvicinò alla casa, e cominciò a girarci intorno. Sbirciava dalle finestre aperte. Una camera piena di ritagli di calcio... non poteva essere lei. Non aveva manifestato il benché minimo interesse per quello sport, anche se in realtà i loro incontri erano stati talmente surreali da non lasciare spazio ai convenevoli.

Decise che, se non avesse visto altre camere che potessero appartenerle, sarebbe entrato dalla finestra aperta di quella.

Sì, entrare dalla finestra non era mai stata la sua massima ambizione, ma non voleva incontrare i genitori di lei.

Bagno, camera matrimoniale, camera singola, con Alessia. E sua madre.

Mentre Federico aspettava che la donna affaccendata uscisse dalla stanza, osservò la cameretta.

Una serie di armadi, una scrivania con un computer portatile su cui lavorava Alessia, un letto, una scaffalatura con suppellettili e libri di scuola. Un paio di quadri sulle pareti bianche, ma in linea di massima, niente di troppo personale.

La donna uscì, e Federico richiamò l'attenzione di Alessia su di lui.

«Permesso» sussurrò.

«Dai, non fare lo scemo, entra dalla porta!» rispose lei, senza neanche curarsi di tenere bassa la voce.

«No, sul serio, non voglio incrociare i tuoi. Posso passare dalla finestra?» chiese Federico.

«Come ti pare» scrollò le spalle Alessia, aiutandolo a issarsi in camera.

«Che facevi?» chiese il ragazzo.

«Scrivevo» rispose lei chiudendo una finestra sul pc. «Ho provato a cercare su internet, ma niente di niente. Del resto non capita tutti i giorni quello che è successo a me... a noi» sembrava una specie di giustificazione.

Federico arrossì internamente, nel sentire quel “a noi”.

Però lei l'aveva detto senza intonazioni particolari, e non sembrava che contasse niente quella preposizione accoppiata a un pronome personale complemento per lei.

Federico quasi sospirò, ma si fermò in tempo.

Invece si sedette con aria consumata sulla sedia girevole di fronte alla scrivania, e prese il controllo del computer.

«Bingo» sussurrò una decina di minuti dopo.

Aveva trovato un sito.

Paranormal.

C'era un'ampia sezione dedicata ai fulmini. Alessia e Federico passarono venti minuti a scorrerne gli articoli... e poi ne trovarono uno. Uno solo.

Utente anonimo. Scorsero avidamente le frasi.

 

La catena del buco nero... compare raramente ed è la chiave per la porta dell'universo... mai dimostrato... tatuaggio nero... non ce ne si può liberare se non usandola e poi aspettando un altro fulmine.

 

«Fantastico! E noi cosa ci facciamo con questa fantomatica catena?» sbottò Alessia.

   
 
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