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Autore: justsilence    21/06/2010    1 recensioni
Hanna torna dal viaggio in America, torna in una Londra diversa dall'ultima volta, cambiata. Ciò che è mistero verrà rivelato, forse.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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( second part )


Passarono pochi istanti, prima che una delle due decidesse di parlare, prima che qualcuna schiudesse le labbra per far fuoriuscire un dannatissimo suono.
‹ Il gatto ti ha mangiato la lingua, Hanna? › domandò con fare falsamente gentile Camille, rivolgendo uno sguardo di sincero sarcasmo all’altra. Un segno d’intesa che non sarebbe andato a vuoto.
‹ No, Camille. Sarebbe più probabile che io avessi fatto lo stesso al gatto. Lo sai, non sono il tipo di donna docile e indifesa. › accavallò le gambe,scoprendo un po’ di più le cosce.
‹ Oh, certo che lo so. › Camille si spostò dal punto in cui si era fermata poco prima, portando il suo corpo verso la vetrata, da cui, oramai, entrava solo la luce della luna, benché non fosse ancora alta nel cielo stellato. ‹ Stanotte è Piena.. › riferendosi, chiaramente, al globo notturno. ‹ .. ho come la sensazione che succederà qualcosa. › disse, abbassando di poco il capo , inspirare un po’ di fumo e, infine, buttarlo fuori, appannando di poco il vetro.
‹ Lo spero. › il tono di Hanna era suadente ed estremamente divertito. Inclinò lievemente il capo verso destra alzandosi dalla poltroncina. ‹ E’ da un po’ che non mi diverto, il viaggio da Los Angeles a qui è stato stancante, e non ho trovato nessuno con cui divertirmi, purtroppo … › si umettò le labbra con la punta della lingua, mentre la mano destra andava a scostare un paio di ciocche di capelli dal viso e posizionarle dietro all’orecchio sinistro.
‹ Allora dovremmo trovarti un passatempo. › disse, Camille.
‹ Lo troverò da sola, per stasera. › suggerì, l’altra rivolgendo un altro sguardo d’intesa a Camille. ‹ Stasera è impossibile, Hanna. › una pausa per spegnere la sigaretta dentro al posacenere. ‹ Stasera ti porterò io in giro, è da tempo che non ci divertiamo come prima. E la Congrega, sinceramente, mi sta annoiando da quando sei partita per l’America. › sorrise, mostrando la bianca dentatura.
‹ Stupendo, mi amor. › sottolineò le ultime parole come se, effettivamente, fosse innamorata di lei. ‹ Fatti trovare davanti ad Hyde Park alle undici di stasera. Ti farò vedere cos’è cambiato dalla tua partenza .. › Camille sospirò lasciando in sospeso la frase, per far desiderare il seguito della sera, oramai inoltrata
‹ Ci troveremo lì, allora. › rispose lentamente, alzandosi dalla poltroncina. Rivolse un veloce inchino verso la mora, accompagnando il gesto con un semplicissimo sorriso.


Ecco, più o meno, quello che è successo stamattina,
dopo il mio ritorno dall’America.


La stava aspettando con molta tranquillità davanti all’entrata di Hyde Park, sicura che chiunque sarebbe passato l’ avrebbe squadrata neanche fosse un documento da scannerizzare. Le piaceva. La rendeva una donna più di quella che era.
Lanciò uno sguardo alquanto eloquente ad un ragazzo di circa vent’anni umettandosi le labbra con fare sensuale e persuasivo, quello sbottò leggermente illuminandosi in volto.
Indossava un vestito non troppo stretto, in tinta grigio scuro stretto sulla vita; il tessuto arrivava a circa metà coscia, e al centro di questo c’era una macchia ( chiaramente voluta ) di alcuni colori, tra cui il rosso – che spiccava sul resto delle tinte. La pelle dei piedi non toccava il cemento grazie a delle ballerine nere, con un po’ di tacco, giusto per alzare di un centimetro – non di più, la ragazza. Era ormai sera, e le undici si facevano ormai un ricordo, Camille stava ritardando, come sempre. Passarono circa venti minuti prima che la mora si facesse vedere davanti al parco. Sembrava una visione, una di quelle talmente belle non essere vere; l’unica differenza era che Lei, Camille, era vera. Una donna in carne ed ossa.
‹ Sembra che tu non abbia perso il tuo egocentrismo, Camille … › sorrise, scherzosa. ‹ E’ una cosa che mi dicono in tanti. › rispose, l’altra.
Si avvicinò ad un lampione, illuminando il proprio vestito; una griffe importante, un peso importante da portarsi sopra le spalle. Un peso che Camille sosteneva perfettamente, senza alcun problema. Il tessuto nero, leggermente aderente al corpo, marcava le linee sinuose del corpo longilineo e suadente della donna. Lungo fino alle ginocchia, lasciava un velo di mistero all’immaginazione. Non sfrontato ma elegante, il seno leggermente alzato da un laccio in tessuto chiaro lasciato pendere sulla schiena. La mano destra si limitava a tenere ben salda la pochette, senza lasciarla mai andare.
‹ Bene, possiamo andare. › disse, Camille, scostandosi dal volto un paio di ciocche di capelli, lasciati sciolti.
‹ Non vedo l’ora di sapere dove mi porti stasera, Camille. › asserì.
‹ Alcune persone hanno aperto un locale, uno di quei locali che a te piacciono tanto .. misteriosi ed estremamente lussuriosi › spiegò, l’altra, rivolgendo qualche sguardo di sottecchi ai passanti. Londra era bellissima, quella sera come tutte le altre d’altronde, emanava una luce diversa da New York, un’aura più tranquilla, meno caotica e tranquilla. Senza quei rumori in eccesso che non servono a nulla, se non a disturbare chi passeggia cercando un po’ di tranquillità. Gli alberi dell’Hyde Park sparirono alla vista delle due in pochi minuti, ritrovandosi in una via buia e senza alcun punto di fuga. Un vicolo cieco, sembrava.
‹ Potevi portarmi in un posto un po’ più … luminoso. › suggerì, Hanna, prima di continuare a parlare ‹ ma se hai deciso di abusare di me … bhè, fai pure. Non disprezzo. › sorrise prima di sentire la pochette dell’altra battere sul petto. Hanna si fermò con molta tranquillità, abituata ad ubbidire agli ordini che gli vengono impartiti, soprattutto da Camille.
L’altra si mosse in direzione del muro umido e poco pulito, si fermò a circa dieci centimetri da quello.
‹ Credimi, stasera sarai tu ad abusare di qualcuno. › si umettò le labbra come a pregustarsi qualcosa di già pronto. La mancina della ragazza sfiorò lentamente il muro, chiuse le palpebre per qualche istante prima di pronunciare qualche parole in una lingua sconosciuta ai più. Lentamente, dalla mano, si formarono cinque fiammelle completamente rosse che illuminarono il luogo per una frazione di secondo, prima di scomparire e lasciare lo spazio ad una porta elegante in legno. ‹ E’ ora d’entrare, stammi vicina e non guardare negli occhi chi ti si parerà davanti, lascia fare a me. › terminò, per poi portare la mano destra sul pomello stesso della porta, girarlo lievemente ed aprire la porta. Aspettò qualche istante per permettere all’altra di posizionarsi di fianco a lei.
Il portone d’entrata s’aprì con difficoltà, rivelando un corridoio illuminato da alcune fiaccole, ai lati v’erano dei semplici quadri, ognuno dei quali ritraeva alcune donne, tutte nobili e ben vestite. Dopo il corridoio c’era una sala completamente in pietra, arredata con eleganza e sobrietà.
Al centro v’era un uomo, un armadio a quattro ante alto minimo due metri che incuteva terrore a più non posso.
‹ Sguardo basso. › suggerì Camille ad Hanna, rivolgendole uno sguardo neutrale e senza alcun significato. Hanna eseguì l’ordine, mentre Camille sosteneva il contatto visivo con l’altro senza alcun problema.
‹ Non potete entrare. › disse, l’uomo, il vocione grosso e tenebroso risuonò nella stanza mentre le pupille si stringevano, diventando come quelle dei gatti.
‹ Noi passiamo. › fredda, impassibile, Camille sembrava diversa. Austera e incredibilmente inquietante.
‹ Ho bisogno di sapere. › continuò, l’altro, restando fermo.
‹ Saprai. › lentamente, gli occhi della donna intensificarono il loro colore, talmente tanto da sembrare oro colato, senza alcuna imperfezione. ‹ Ora, fammi passare. › La voce diventò imperiosa, più possente e innaturale.
‹ Potete passare. › l’uomo si spostò, lasciando lo spazio per passare.
‹ Non potevi semplicemente raggirare l’ostacolo? › suggerì, Hanna, tornando a guardare attentamente davanti a sé.
‹ Quell’essere non è umano, è un Ubsum. › spiegò, Camille, rivolgendo per qualche istante lo sguardo sul volto di Hanna.
‹ Un Ubsum? › domandò, l’altra.
‹ Oh, tu non puoi saperlo. Sono apparsi un paio di mesi fa. › una pausa per svoltare a destra e addentrarsi in un altro corridoio sempre in pietra, illuminato da altre fiaccole. ‹ Sono Demoni rinnegati, hanno deciso di abbandonare l’inferno per vivere sulla Terra e tentare gli umani. Sto cercando di attirarli nella Congrega, per farceli alleati. Ma non riesco ad individuare il loro capo, benché sia il proprietario di questo locale. › un'altra pausa ‹ Sono delle pedine da poter uccidere, semplici pedoni da poter mandare in prima fila. Dei semplici soldati. ›
‹ Capisco .. ›
‹ E voglio che facciano parte della Congrega il prima possibile, ho dei lavoretti da svolgere e non voglio sacrificare qualcuno dei nostri. ›
La coppia si fermò a pochi centimetri da una porta che Camille aprì senza problemi, smettendo di occultare una stanza molto ampia, piena di persone.
‹ Ubsum? › domandò, Hanna.
‹ No, umani. Carne di cui cibarsi. Adocchia il migliore, e fai capire che è tuo, altrimenti farà una brutta fine. › una pausa ‹ Non che il suo destino non sia segnato, eh. › sorrise, gentile. Hanna rise mentre cominciò a guardarsi in giro, senza alcun problema.
  
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