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Autore: Less_    01/07/2010    2 recensioni
Una ragazza brillante, ma solitaria e senza amici, che vive in un piccolo paese che non ama con la sua famiglia, e un ragazzo particolare con una famiglia che cerca la tranquillità di un borgo di montagna, hanno un destino comune, troppo più grande di loro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il vecchio alzò il capo, ma non smise di picchiare con il mazzuolo sul pezzo di ferro incandescente che aveva in mano.

Federico rimase immobile sulla soglia, valutando il posto.

La stanza era completamente spoglia, non c'era che un incudine, con sopra il pezzo di ferro che lentamente si raffreddava e il mazzuolo nella mano del vecchio.

«Sei tu?» chiese, in un italiano stentato.

Federico aggrottò la fronte, senza rispondere.

«Hai la catenina?» chiese di nuovo.

«Sì» per qualche motivo la voce di Federico era quasi scomparsa.

«Sì» ripeté più forte. Il vecchio annuì e diede l'ennesimo colpo di mazzuolo.

Il ferro freddo si spezzò, ma l'uomo non ci fece caso.

«È troppo presto. O troppo tardi. La prossima luna piena ci sarà fra mezzo mese» disse gettando in un angolo il ferro rotto.

Federico lasciò immutata la sua espressione.

Si era aspettato che Alessia avesse controllato, ma evidentemente non era così.

A meno che, pensò, in Francia la luna piena non sia diversa...

Sospirò.

«Ale?» tuffo al cuore.

«Ho sentito, e lo so. Ma lo sapevo anche prima. Solo che quindici, pardon, sedici giorni sono troppi per aspettare» disse lei.

«Ho ancora la magia» aggiunse poi.

Nella sua voce, improvvisamente bassa, c'era una nota di timore reverenziale. Il mugolio di Federico fu di mera constatazione.

Anche se lui non poté mai vederla, una lacrima scese lungo la guancia di Alessia.


Alessia si dibattè nel nero universo.

Aveva la nausea. Non sono tutto girava, e girava, e girava vorticosamente. C'erano anche un paio di altre cose che le provocavano il voltastomaco.

Per esempio, ogni volta che usava la magia ricordava un brutto episodio della sua vita. E, giusto per caso, era innamorata. E spaventata. Terribilmente spaventata.

Ricordare era doloroso. Essere spaventata la faceva sentire braccata. Ma essere innamorata, per quanto potesse essere considerato stupido, la irritava. Era in un universo alternativo, sola, spaventata, non aveva modo di uscire, riviveva i suoi più brutti ricordi, letteralmente, abitava in un incubo. Ed era innamorata! Era così irritante, sciogliersi a pensare a lui ogni volta che chiudeva gli occhi. Senza fare niente di concreto. Proprio lì, quando, se c'era una speranza, non si vedeva nemmeno...

«Che ore sono?» si sentiva sempre stupida quando parlava da sola, al vuoto. Sapere che da qualche parte... oltre... ci fosse lui pronto ad ascoltarla, le provocava emozioni contrastanti.

Fastidio, come sempre. Non poteva evitarlo. Ma anche una dolcezza incredibile, un amore in cui non si lasciava sguazzare, non dentro la catenina.

«Sono le nove. Dovresti mandare avanti il tempo, adesso» disse Fe... no, non poteva pensare quel nome, o si sarebbe squagliata proprio lì, in quel preciso istante, in un universo strano e irreale, senza tornare alla sua vita ma soprattutto senza di lui.

Alessia fece spallucce, dimentica di non poter essere vista, e si concentrò.

Aveva letto tantissimi libri. Volere è potere, dicevano tutti. Lei considerava facile, per esempio, concentrarsi per evocare la magia, come in “Eragon”. Anche se sapeva che ognuno ha i suoi blocchi, aveva ragione. Era proprio facile, nonostante la riluttanza che la bloccava. E la magia arrivò.

Riuscì a malapena ad imbrigliare la forza per ciò che voleva, perché i ricordi la avvolsero, e lei vi si abbandonò, con una sorprendente quantità di masochismo.


Un martello. Una, due, tre volte. Brezza sul viso. Da quanto tempo non la sentiva? Una voce. Una mano sulla sua. E la testa che girava, esattamente come prima...

Cercò di aprire gli occhi, ma l'emicrania l'assalì con forza. Senza curarsene, si tirò a sedere di botto.

«Oddio, calmati... come stai? Ti prego, dimmi che stai bene!» la sua voce la riportò alla realtà.

«Oddio, sono viva, sto bene!» esclamò Alessia con un sorprendente senso di liberazione.

Poi scoppiò a piangere. «Accidenti, scusami, io non volevo, lo so che dovrei essere felice, ma sono così felice, mamma mia, è così bello essere tornata, non ce la facevo più e...» l'unica cosa che fu capace di azzittirla fu l'abbraccio.

Federico l'aveva abbracciata, e questo fermò definitivamente le lacrime.

«Ho avuto paura di perderti!» le mormorò nell'orecchio.

«Anch'io! Anch'io...» sussurrò lei.

Federico si staccò da lei, avvampando.

«M... mi dispiace, scusami» balbettò.

Alessia chinò il capo, con espressione tormentata. Ecco, adesso era lì. Non poteva più nascondersi. Stava bene, ed era con lui, e lui era lì, così vero...

Niente scusanti.

Alessia lo guardò.

E tutto il coraggio evaporò come neve al sole. Stupida, stupida, stupida.

«Non importa»

«Ti amo» disse lui.

Alessia lo guardò. Poi scosse il capo, e chinò la testa.

«Grazie... per avermi salvato la vita» sussurrò.

Poi sentì una fitta al cuore, e un clic sommesso. Cuore spezzato? Sapeva cosa si provava. Era già successo. Ma quella volta non era stata colpa sua. E ora...? Era stata lei? Davvero, davvero era così scema?

E... in quanti pezzi doveva ancora rompersi il suo cuore?

Federico si alzò, con uno sguardo ferito.

Si mise a camminare in cerchio, con passi sempre più grandi, e rabbiosi.

Alessia lo guardò, confusa.

«Che cos'hai?» chiese.

«Niente» sputò. «No, invece no. Sto cercando un motivo per non arrabbiarmi con te» si corresse.

Si prese la testa fra le mani e le allontanò di scatto.

«Ma che cosa stai facendo? Io ti dico che ti amo, dannazione, e tu mi allontani, e mi dici grazie! Non hai nemmeno... non mi dici nemmeno di no! Mi chiedi che cos'ho! Ma davvero sei la persona che credevo che fossi?» gridò.

«Sai, sarà anche stupido. Ma tu non mi hai solo ferito quando mi hai detto “grazie per avermi salvato la vita”, e rifiutandomi. Tu hai tradito la mia fiducia. Pensavo che non fossi quel genere di persona!» disse più piano, trattenendo la rabbia.

Si allontanò di qualche metro, e tirò un calcio a vuoto.

«Dannazione! Me ne voglio andare di qui!» gridò.

Alessia si portò la mano sul petto.

Sentiva un continuo ticchettio... ancora, il suo cuore? Ma lei sapeva esattamente cosa stava facendo. Era colpa sua. Era così masochista?

«Aspetta» gridò, alzandosi.

«Io non ti ho risposto niente perché ho avuto paura» gridò ancora, alla figura immobile e voltata di Federico.

«Credi che io non ne avessi? Ho avuto paura, dicendotelo. Ma avevo più paura quando tu non c'eri!».

«Be', scusami se ho tradito la tua fiducia! Tu neanche mi conosci! Non sai niente di me, niente! Né di me, né del mio passato!» se prima il tono era sarcastico, si era avvelenato durante la frase, e si era riempito di dolore nelle ultime parole.

«Non mi importa non conoscere il tuo passato! Conosco te! Ti conosco da quando mi hai detto che ti sentivi diversa! Da quando ero davanti a casa tua, ieri, e ho capito che eravamo anime affini! Io non avrei fatto questo, a nessun'altra!» disse, furioso, Federico.

Alessia versò una lacrima.

«Li chiamo contaminanti, perché... una volta ero innamorata di uno di loro. Mi ha spezzato il cuore, mi ha illusa. Mi distribuiva “ti amo” come caramelle. L'anno scorso. Mi ha ferita. Non volevo che anche tu mi illudessi, perché stavolta la persona che amo la amo veramente! Credi che non stia soffrendo? Sei l'unica cosa per cui valeva la pena di tornare! Ma avevo paura! E non mi fidavo di me stessa, né del mio istinto che mi diceva di fidarmi di te!»

Federico guardò in basso.

«Che cosa hai detto?, non ho capito» chiese.

«Quale parte?».

«Quella in cui mi dicevi che mi ami veramente» rispose Federico, avvicinandosi ad Alessia.

E poi la baciò.

Da quanto tempo aspettava quel momento? Gli dispiacque che fosse molto, ma forse l'attesa lo aveva solo reso più bello.

Durò lunghi attimi. C'era solo l'euforia. Era come volare, come stare sulla montagna più alta, respirare aria rarefatta e vedere che quello che hai potrebbe durare un'istante solo, ma che è la cosa più bella che tu abbia mai avuto.

Incominciò a piovere.

Alessia si staccò dolcemente da Federico, e guardò stupita il cielo nero.

«Piove» sorrise divertita.

Anche Federico sorrise, e per la seconda volta in pochi giorni, un fulmine si abbatté vicino a loro. E non ricordarono più niente.


La prima a svegliarsi fu Alessia. Erano nel prato di casa sua. Svegliò Federico.

«Ehi, siamo a casa» sorrise.

«E... stiamo insieme?» chiese lui.

Alessia sorrise.

«Sì».



Ciao! Allora, vi è piaciuto il capitolo finale? Recensirete la fine della storia? Mi dispiace aver finito, ma allo stesso tempo sono contenta... potrò dedicarmi ad altre storie, e naturalmente spero mi seguirete anche lì! Be', che dire? Grazie per avermi seguita, recensita e sostenuta. Un abbraccio. Alessia
   
 
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