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Autore: Ily Briarroot    07/07/2010    2 recensioni
Fanfiction basata sul passato di Ash e dei suoi genitori, costretti ad avere a che fare con il Team Rocket. E non saranno gli unici. Ringrazio ancora una volta Ila!
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Ash, Misty
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Spalancò lentamente la porta, cercando di evitare ogni minimo cigolio. Si ritrovò immerso nella stanza ora non più totalmente buia grazie alla fioca luce del corridoio che ne illuminava debolmente l’interno così da poter distinguere la sagoma del letto.

Si avvicinò ad esso, tenendo lo sguardo puntato sul bambino che dormiva tranquillo. Si sedette accanto a lui, ascoltando per un po’ il suo quasi impercettibile respiro regolare.

Gli accarezzò la fronte, sorridendo a quel piccolo angelo che gli somigliava così tanto. Gli stessi capelli corvini, la stessa grinta. Lo stesso modo di fare, gli occhi neri e profondi. Un amore smisurato e incondizionato per i pokèmon e tutto ciò che riguardava quel mondo. Chissà, forse un giorno sarebbe potuto diventare davvero il più grande maestro di pokèmon del mondo. Avrebbe potuto seguire le sue tracce, arrivare dove lui non era ancora riuscito. C’era qualcosa di più importante, dietro.

Vide Ash rigirarsi nel letto e lo sentì mormorare qualcosa riguardo un Charmander. Sorrise di nuovo, inconsciamente, e rimase a guardarlo per un altro po’.

“Papà?”.

Non si accorse subito della voce del piccolo, né tantomeno che si fosse svegliato. Gli rimboccò le coperte, avvicinandosi a lui.

“Sì, sono qui”.

Ash forzò la vista, cercando di distinguere la sagoma del padre al buio.

“Stai andando via?”.

Quella domanda lo colse impreparato. Non seppe cosa rispondergli.

“Tornerò appena è possibile”.

“Posso venire con te?”.

Percepì un peso allo stomaco e rimase in silenzio per parecchi secondi. Sentiva lo sguardo del figlio puntato su di sé, e si trovò in difficoltà per l’ennesima volta.

“No, Ash. Non vado a catturare pokèmon”.

“E allora dove?”.

Gli sistemò le coperte, scompigliandogli poi i capelli sbarazzini.

“Sono cose da grandi. Ora dormi. Quando ti sveglierai domattina sarò già tornato”.

Ash lo fissava senza capire.

“Ma perché adesso? E’ tardi”.

Aveva uno strano presentimento addosso. Un presentimento troppo pesante da sopportare per un bambino di cinque anni. Non voleva andasse via.

“Perché sì. Fai il bravo mentre sono via, d’accordo? Ascolta la mamma, mi raccomando”.

Lo baciò sulla fronte e si alzò dal letto mentre cercava di ignorare quel qualcosa che gli opprimeva il petto e la gola.

“Allora… ci vediamo domani mattina papà”.

Ash sorrise, scivolando di nuovo sotto le coperte.

“Certo. Hai la mia parola d’onore. Da uomo a uomo”.

Ridacchiò, facendo l’occhiolino al figlio nonostante lui non potesse notarlo. Si avvicinò alla soglia della stanza, e osservò di nuovo Ash illuminato dalla luce del corridoio.

“Ciao, papà. Ti voglio bene”.

“Anch’io, Ash. Tanto. Ora dormi… “.

Rimase sulla porta finchè non lo vide addormentarsi lentamente, col sorriso stampato sulle labbra. Se tutto non fosse andato come avrebbe dovuto, non poteva sapere se l’avrebbe più rivisto.
Ma doveva proteggerlo, a qualunque costo. Doveva proteggere suo figlio e doveva proteggere Delia. Non sapeva come, non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto. Ma non importava, non più. Ormai era deciso a farlo, e l’avrebbe fatto comunque.
Si voltò verso suo figlio ancora una volta, e sorrise. Vederlo lì, nel suo lettino, al sicuro da ogni cosa, non poteva far altro che farlo stare bene. Era tutto ciò che voleva, tutto ciò che aveva sempre voluto.
Uscì dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle, sospirando, e scese le scale tentando di non fare rumore.

 

 

“Te ne vai ancora?”.

Una voce familiare gli giunse alle orecchie, inducendolo a bloccarsi per la scalinata. Il tono distaccato non riuscì a coprire il suono dolce che l’aveva sempre contraddistinta. Sollevò lo sguardo. Mancavano soltanto un paio di gradini e ce l’avrebbe fatta.

Si voltò lievemente, e la vide. Qualche scalino dietro di lui, le braccia incrociate e la camicia da notte bianca su cui ricadevano scompostamente i capelli castani, ora sciolti dalle solite trecce. Vista così, quei lineamenti e quello sguardo serio la facevano apparire una donna ancora più matura del solito. Non la ragazzina che aveva conosciuto, né quella che aveva visto crescere e diventare una ragazza, la stessa che aveva sposato. Delia adesso era una donna e se ne accorse del tutto in quel momento.

“Non vorrei… ma devo”.

La guardò negli occhi, cercando di scorgere il solito brillio che la contraddistingueva. Ma non c’era nulla, stavolta.

“Non avevi intenzione di salutarmi, a quanto pare”.

Sospirò, avanzando verso di lei di qualche gradino.

“Non mi avresti lasciato andare”.

“L’avrei fatto se mi raccontassi una buona volta cosa sta succedendo”.

Era il momento della verità. Stavolta quello giusto.

“Devo andare. Devo… proteggere te e Ash. Devo tenervi al sicuro il più possibile o… “.

S’interruppe, notando l’espressione della moglie che da seria e distaccata si trasformava poco a poco. Ora era perplessa, e confusa.

“Proteggerci? Cosa stai… “.

“Delia, ascoltami. Ti sei sempre fidata di me, ti chiedo di farlo un’ultima volta”.

“Ma perché? Non capisco di cosa stai parlando!”.

La stava facendo spaventare, lo vedeva.

“Ti spiegherò meglio domattina, quando tutto questo sarà finito”.

“Tutto questo cosa?!”.

Lui raggiunse il piano di sotto e si voltò nuovamente verso di lei, sorridendole sinceramente.

“Ti amo. Fidati di me”.

Si avvicinò velocemente a Delia, strappandole un breve bacio a fior di labbra e scappò al piano di sotto, voltandosi solo un istante a guardarla un’ultima volta. Lei lo rincorse fino alla porta d’ingresso semichiusa, ma lui era già scomparso nell’oscurità.

“Cosa mi nascondi… ?”.

  
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